Diritto di critica e whistleblowing: illegittimo il licenziamento del dipendente che censura aspramente il superiore per la violazione dei protocolli anti-Covid.
Domenico Tambasco
13 Maggio 2025
L’ordinanza Cass. n. 10864/2025 riconosce come legittima, e riconducibile al whistleblowing, la segnalazione di un lavoratore contenente un’aspra critica nei confronti del proprio superiore, reo di aver violato il protocollo aziendale anti-Covid, pur non applicando la protezione anti-ritorsioni prevista dalla legislazione speciale. L’articolo evidenzia la persistente resistenza giurisprudenziale al nuovo regime normativo e propone una griglia interpretativa “a cerchi concentrici” per distinguere tra segnalazioni tipiche e atipiche, orientando gli operatori del diritto nella corretta qualificazione della tutela applicabile.
Il caso
La pronuncia in esame ci riconduce idealmente ai giorni più oscuri della pandemia da Covid-19, quando il timore del contagio aleggiava come un'ombra collettiva, permeando ogni aspetto dell'esistenza, incluso — e forse soprattutto — il mondo del lavoro, attraversato da ansie, restrizioni e inedite modalità operative.
In tale contesto, è l'ansia a dominare la scena: la paura che la leggerezza nell'applicazione dei protocolli aziendali potesse riaprire le porte al virus rappresenta la scintilla che ha acceso la miccia del contenzioso, destinato a giungere sino ai corridoi dei giudici della Corte di cassazione.
La vicenda si dipana con apparente linearità: un lavoratore, già colpito dal Covid-19 e profondamente segnato dall'esperienza della malattia, stigmatizza l'operato del proprio superiore, reo di aver convocato una riunione in presenza violando le misure precauzionali previste dal protocollo aziendale. Ne scaturisce un vivace scambio epistolare, culminato in una segnalazione formale indirizzata al Comitato Aziendale Anticovid – organo previsto dal Codice Etico Interno – e al Presidente della società.
La reazione datoriale non si fa attendere: il dipendente viene inizialmente sospeso in via cautelare e, all'esito dell'istruttoria disciplinare, licenziato in tronco per giusta causa.
La controversia approda dunque nelle aule giudiziarie. I giudici di merito – tanto in primo quanto in secondo grado – pur riconoscendo l'illegittimità del recesso datoriale, escludono la tutela reintegratoria.
Come già evidenziato in altra sede in relazione alla rilevanza del contesto lavorativo stressogeno nella cessazione del rapporto (D. Tambasco, A. Rosiello, Il risarcimento del danno da stress lavorativo. Nuove forme di tutela nell'era del lavoro digitale, Giuffrè Lefebvre, 2024, pp. 105-106), il Tribunale di Monza ha valorizzato il contesto ambientale in cui si è collocata la condotta del lavoratore, attenuandone il disvalore disciplinare. In entrambe le decisioni rese in primo grado (Trib. Monza, ord. 17 gennaio 2023, n. 328; sent. 3 gennaio 2024, n. 3), infatti, viene riconosciuta – ai fini della graduazione della responsabilità – la pregnanza del “contesto di allarme generato dalla Pandemia e la lunga malattia da infezione del virus Covid-19” che aveva colpito il ricorrente, rendendolo “particolarmente soggetto al verificarsi di possibili situazioni di rischio per un nuovo contagio” (cfr. Trib. Monza, 3 gennaio 2024, n. 3).
In tale ottica, se il primo grado ha condotto all'annullamento del licenziamento con condanna dell'azienda al pagamento di un'indennità pari a sedici mensilità, la Corte d'appello ha confermato l'impostazione dei giudici monzesi, limitandosi ad un intervento “correttivo” sulla misura dell'indennizzo, elevato a venti mensilità.
Il vero snodo decisivo si verifica in sede di legittimità. L'ordinanza in esame segna, infatti, una netta inversione di rotta rispetto all'impostazione seguita dai giudici di merito, escludendo qualsivoglia rilevanza disciplinare nella condotta del lavoratore, qualificata invece come legittima espressione del diritto di critica, secondo i parametri elaborati dal diritto vivente. In particolare, la Suprema Corte ritiene che il contenuto e la rilevanza della segnalazione, valutati insieme agli ulteriori elementi accertati in secondo grado e alla documentazione prodotta, impongono – in applicazione della normativa vigente e della giurisprudenza di legittimità (tra cui Cass. n. 17715/2024) – l'esigenza di garantire una tutela effettiva del whistleblower.
I principi di diritto
L'indagine dei giudici di legittimità si orienta in primo luogo sull'insussistenza del fatto materiale addebitato, inteso nella sua componente giuridica. Per far ciò, l'ordinanza in commento utilizza quale parametro di giudizio i criteri elaborati dal diritto vivente in tema di diritto di critica, ovvero la continenza (formale e sostanziale) della critica espressa dal lavoratore nonché la sua pertinenza.
Niente di nuovo, sotto questo angolo visuale. Gli Ermellini, infatti, riprendono la consolidata giurisprudenza elaborata nell'alveo della critica giornalistica e trasposta nel contesto lavorativo, che esige ai fini dello scrutinio di legittimità la sussistenza di un linguaggio corretto e misurato (continenza formale), la veridicità -almeno putativa- dei fatti (continenza sostanziale) e la rispondenza della critica ad un interesse meritevole di tutela in confronto al bene suscettibile di lesione (pertinenza).
Più precisamente:
Sul piano della continenza formale, l'esposizione della critica deve avvenire nel rispetto dei canoni di correttezza, misura e rispetto della dignità altrui. Ciò significa, in concreto, che possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, purché strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dell'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato (cfr. Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2008, 12420; Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2015, n.1434; Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2016, n. 12522; Cass., sez. lav., 18 gennaio 2019, n. 1379). In definitiva, “l'offesa è gratuita quando non è in alcun modo collegata e funzionale allo scopo per cui la critica è mossa” (ordinanza in commento);
Sotto il profilo della continenza sostanziale, la critica deve consistere in un giudizio per fatti o condotte che siano vere, anche solo putativamente, ovverosia sulla base di un'incolpevole convinzione del dichiarante (cfr. Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2011, n.7847; Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25420; Cass. civ. sez. VI-3, 3 dicembre 2021, n. 38215);
Nella prospettiva della pertinenza, il diritto di critica è integrato allorché corrisponda ad un interesse meritevole di tutela che, nell'ambito del rapporto di lavoro, si traduce nella relazione diretta o indiretta della critica con le condizioni di lavoro o dell'impresa (quali sono, ad esempio, le rivendicazioni di carattere sindacale o le manifestazioni di opinioni attinenti al contratto di lavoro). In quest'ottica, esorbitano il limite della pertinenza le critiche rivolte al datore di lavoro, magari afferenti alle sue qualità personali, oggettivamente avulse da ogni correlazione con il rapporto contrattuale e gratuitamente mirate a ledere la sua onorabilità (cfr. Cass., sez. lav., 18 gennaio 2019, n. 1379, cit.).
Fermo restando che il giudizio di fatto sulla compatibilità di una determinata espressione critica con i limiti di continenza e pertinenza è di competenza esclusiva dei giudici di merito, è invece certamente consentito al giudice di legittimità lo scrutinio in ordine all'applicazione e al rispetto dei criteri elaborati dal diritto vivente nell'ambito del diritto di critica. Ed è proprio su questo punto che interviene la “scure” della Corte di cassazione, che censura nel caso di specie la non corretta applicazione dei criteri da parte dei giudici di merito, i quali non hanno “in alcun modo affrontato i limiti della pertinenza e della continenza ad essa connessi, limitandosi a far riferimento ad un generico, quanto immotivato indebito abuso critico rivolto ad una figura di forte rilievo aziendale”.
Il percorso motivazionale dell'ordinanza si sposta dunque nel campo del whistleblowing, costruendo un ponte tra diritto di critica e segnalazione del lavoratore al comitato anti-Covid, con ciò istituendo un nesso organico, in cui il whistleblower esercita con la sua segnalazione un diritto di critica “qualificato”; sotto tale profilo, la Cassazione ritiene doverosa l'attivazione del sistema di protezione predisposto dall'ordinamento a salvaguardia dei segnalanti.
Fermiamoci un attimo su questo punto, che appare rilevante per una più precisa qualificazione dell'istituto del whistleblowing.
Whistleblowing, discriminazione, diritto di denuncia e diritto di critica: la tutela a cerchi concentrici
L'istituto del whistleblowing, termine di origine anglosassone che indica la segnalazione di illeciti conosciuti nell'ambito del rapporto di lavoro ed effettuata dal dipendente a tutela dell'integrità dell'ente, rappresenta una sorta di “snodo” in cui si incrociano una pluralità di posizioni giuridiche soggettive (diritto/dovere): il diritto di critica, il diritto di denuncia, il dovere di solidarietà sociale (art. 2 Cost) e di fedeltà del cittadino alla Costituzione e alle leggi della Repubblica (art. 54, comma 1 Cost.), il diritto del lavoratore a collaborare alla gestione delle aziende (art. 46 Cost.; art. 2094 c.c.) e alla organizzazione economica, politica e sociale del paese (art. 3 comma 2 Cost.).
D'altro canto, la natura “polimorfa” del whistleblowing è riscontrabile anche nella giurisprudenza di legittimità che, se da un lato lo colloca nell'alveo del diritto di denuncia, espressione “dell'interesse pubblico a che il lavoratore, come ogni cittadino, collabori alla segnalazione di condotte illecite” (cfr. Cass., 19 dicembre 2024, n. 33452), dall'altro lo inscrive nel diritto di critica, instaurando un nesso diretto tra libera espressione del proprio pensiero e tutela del whistleblower (cfr. Cass. 24 aprile 2025, n. 10864).
Eppure, se sul piano teorico può esserci coincidenza tra i diversi piani, sul fronte pratico è necessario operare una precisa distinzione, al fine di evitare indebite confusioni operative.
Per comprendere l'attuale assetto della protezione giuridica accordata ai segnalanti, può rivelarsi particolarmente utile ricorrere all'immagine della tutela “a cerchi concentrici”, la quale consente di rappresentare visivamente la progressiva estensione del sistema di garanzie previsto dal nostro ordinamento (cfr. D. Tambasco, Le misure sostanziali e processuali di protezione dalle ritorsioni, p. 533 e ss., in R. Cantone, N. Parisi, D. Tambasco (a cura di), Whistleblowing. Commento sistematico alla disciplina del d.lgs. 24/2023, Milano, Lefebvre Giuffrè, 2025).
Il nucleo centrale è costituito dalla disciplina speciale del whistleblowing prevista dal d.lgs. n. 24/2023. Tale normativa, in presenza dei rigorosi requisiti soggettivi e oggettivi previsti, garantisce al segnalante un regime protettivo rafforzato, fondato sull'inversione dell'onere della prova (art. 17), che consente di presumere la natura ritorsiva di qualsiasi misura pregiudizievole adottata a seguito della segnalazione.
Il secondo cerchio della tutela si apre nei confronti dei segnalatori atipici, ossia coloro le cui comunicazioni non soddisfano i requisiti formali o sostanziali del decreto, ma si inquadrano comunque nel diritto di critica o di denuncia così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità. In questi casi, il dipendente potrà eventualmente avvalersi -fatto salvo l'adempimento dei rigorosi oneri probatori a proprio carico- del rimedio ordinario previsto dall'art. 1345 c.c., che consente di contrastare gli atti ritorsivi compiuti per motivo illecito esclusivo e determinante, purché il contenuto della critica sia continente e pertinente o, in via alternativa, la denuncia sia effettuata senza calunnia né indebita pubblicità.
Un terzo cerchio mediano, più sottile ma giuridicamente rilevante, si colloca nello spazio aperto tra i primi due dalla legislazione antidiscriminatoria, con particolare riguardo al divieto di discriminazioni motivate da “convinzioni personali” (art. 2 d.lgs. n. 216/2003 e art. 15 Stat. lav.). In quest'ottica, si è autorevolmente sostenuto che l'adesione ai valori della legalità e della giustizia – da cui scaturisce l'agire del whistleblower – possa configurare un vero e proprio “credo civile”, idoneo a integrare una convinzione personale meritevole di protezione (E. Tarquini, Whistleblowing e principio paritario: alcune riflessioni su tipicità ed oggettività dei divieti di discriminazione, in Riv. giur. lav., 2017, II, 135 ss., nota a sentenza Trib. Milano, sez. lav., 31 maggio 2016). Si tratta, in particolare, di ipotesi che coinvolgono soggetti già attivi in precedenti segnalazioni, membri di associazioni o movimenti per la legalità, ovvero impegnati pubblicamente in iniziative coerenti con i principi che informano la segnalazione. Le allegazioni difensive assumeranno in tal caso un ruolo centrale nel delineare tale profilo valoriale.
La mancata protezione del whistleblower
Facciamo un passo indietro, e torniamo alla decisione in commento.
Si è appena visto che i giudici di legittimità hanno ritenuto legittima la critica espressa dal dipendente nei confronti del proprio superiore gerarchico, qualificandola come una vera e propria segnalazione di whistleblowing meritevole di tutela.
La decisione, tuttavia, non approda alle naturali e doverose conseguenze, omettendo di dichiarare la nullità del licenziamento e di applicare la presunzione di ritorsività — con la conseguente inversione dell'onere della prova — espressamente prevista dall'art. 6, comma 2-quater, del d.lgs. 231/2001, come introdotto dall'art. 2 della legge n. 179 del 2017 (disciplina applicabile ratione temporis al caso di specie). In ragione di ciò, la protezione riconosciuta al segnalante si sostanzia soltanto nella reintegra “attenuata” dell'art. 18 comma 4 Stat. Lav., in luogo della tutela reintegratoria piena spettante a norma dell'art. 18 primo comma Stat. Lav.
La pronuncia in esame rappresenta, quindi, l'ennesima conferma di una persistente e radicata resistenza giurisprudenziale nei confronti della principale misura di protezione apprestata dal legislatore a favore dei whistleblower; resistenza che si è tradotta in una serie di pronunce, sia di merito che di legittimità, in cui a fronte dell'infondatezza nel merito dei provvedimenti sanzionatori datoriali, adottati in immediata successione cronologica con le segnalazioni di whistleblowing, non è mai stato applicato il meccanismo processuale dell'inversione dell'onere della prova (e la correlativa presunzione di ritorsività, cfr. D. Tambasco, Le misure sostanziali e processuali di protezione dalle ritorsioni, p. 533 e ss., cit., p. 507 e ss.; in giurisprudenza, cfr. cass. civ., 6 dicembre 2024, n. 31343; Trib. Milano, ord. 2 febbraio 2022; Trib. Milano, 13 dicembre 2023, n. 3854; App. Milano, 3 marzo 2023, n. 252; App. Milano, 8 marzo 2025, n. 75; Trib. Palermo, sez. lav., 12 giugno 2020, n. 1575; App. Palermo, 30 agosto 2022, n. 807; contra, cfr. Trib. Salerno, 10 gennaio 2023, n. 13; Trib. Mantova, 30 marzo 2021).
La check list del whistleblowing
Quella che si è più sopra definita come resistenza giurisprudenziale sembra in realtà riflettere un radicato approccio culturale ancorato al tradizionale paradigma codicistico della ritorsività, fondato sull'interpretazione consolidata dell'art. 1345 c.c. Questo orientamento, espressione del diritto vivente, trascura tuttavia la natura speciale e autonoma della disciplina del whistleblowing, delineata inizialmente dalla l. n. 179/2017 e successivamente dal d.lgs. n. 24/2023. In altri termini, esiste una forma peculiare di ritorsione – propria del contesto delle segnalazioni – che continua a non essere adeguatamente riconosciuta dalla giurisprudenza.
Potrebbe quindi rivelarsi opportuno predisporre una sorta di check-list, idonea a costituire una valida bussola operativa per l'operatore del diritto chiamato a valutare la natura e la tutela applicabile alla segnalazione. Quella che segue rappresenta una proposta:
La segnalazione è tipica (ai sensi del d.lgs. 24/2023 o della l. 179/2017)?
SI
Verifica requisiti soggettivi e oggettivi previsti dal d.lgs. 24/2023 o dalla l.. 179/2017.
Se presenti, si applica l'art. 17 d.lgs. 24/2023 (o art. 1/art. 2 l. 179/2017), con presunzione di ritorsività e nullità degli atti.
Se assenti, passa alla verifica successiva.
NO
Verifica se rientra in una delle seguenti categorie atipiche: discriminazione per convinzioni personali; diritto di denuncia; diritto di critica.
La segnalazione è atipica: può configurarsi come discriminazione per convinzioni personali (d.lgs. 216/2003)?
SI
Verifica che si tratti di soggetto già attivo in precedenti segnalazioni o sia membro di associazioni o movimenti per la legalità, ovvero sia o sia stato impegnato pubblicamente in iniziative coerenti con i principi che informano la segnalazione. Se la verifica è positiva, allora si applicano art. 2 d.lgs. 216/2003, art. 28 d.lgs. 150/2011 e art. 15 Stat. lav. (onere probatorio attenuato e nullità); gli atti discriminatori sono nulli.
NO
Passa alla verifica successiva.
La segnalazione è atipica: è configurabile come esercizio del diritto di denuncia (art. 2 Cost., art. 3 comma 2 Cost)?
SI
verifica che: 1) non sia calunniosa 2) non vi sia stata indebita pubblicità. Se la verifica è positiva, si applica la disciplina ordinaria: a) condotta lecita (insussistenza fatto materiale/giuridico); b) annullamento provvedimento datoriale per infondatezza nel merito, a meno che c) il whistleblower non provi la ritorsività ex art. 1345 c.c. (motivo illecito esclusivo e determinante) - onere della prova a carico del segnalante (art. 1345 c.c.) e nullità.
NO
Passa alla verifica successiva.
La segnalazione è atipica: è espressione del diritto di critica e di manifestazione del pensiero (ex art. 21 Cost., art. 10 Cedu)?
SI
Verifica il rispetto dei canoni di continenza formale (linguaggio corretto e misurato), continenza sostanziale (verità, anche putativa) e pertinenza (interesse meritevole di tutela). Se rispettati, allora si applica la disciplina ordinaria: a) condotta lecita (insussistenza fatto materiale/giuridico); b) annullamento provvedimento datoriale per infondatezza nel merito, a meno che c) il whistleblower non provi la ritorsività ex art. 1345 c.c. (motivo illecito esclusivo e determinante) - onere della prova a carico del segnalante (art. 1345 c.c.) e nullità.
NO
Non esiste tutela specifica.
Considerazioni conclusive
L'ordinanza n. 10864 del 2025 non segna una svolta nella giurisprudenza di legittimità, ma rappresenta piuttosto l'ennesima occasione mancata per riconoscere compiutamente la specialità del sistema protettivo delineato in materia di whistleblowing. Se da un lato la Corte ha avuto il merito di riconoscere la legittimità della condotta del segnalante, qualificandola come espressione del diritto di critica e, soprattutto, come segnalazione meritevole di tutela, dall'altro ha mancato di trarne le necessarie conseguenze sul piano sanzionatorio e probatorio, omettendo di applicare il regime della nullità e la presunzione di ritorsività previsti dalla normativa speciale vigente.
Ciò conferma l'esistenza di una persistente asimmetria tra l'evoluzione legislativa e la prassi giurisprudenziale, che tende ancora ad appiattire l'istituto del whistleblowing entro i confini del paradigma codicistico della ritorsività ex art. 1345 c.c., eludendo il carattere autonomo e rafforzato del presidio previsto dall'art. 17 del d.lgs. 24/2023 (e prima ancora dalla l. 179/2017).
In questo scenario, la ricostruzione della tutela a cerchi concentrici e la predisposizione di una check-list operativa possono costituire strumenti utili, se non necessari, per guidare l'interprete — giudice o difensore — nell'individuazione del corretto regime di protezione applicabile, in funzione della natura tipica o atipica della segnalazione e dei diritti costituzionali e sovranazionali che essa richiama.
In definitiva, solo un progressivo superamento della resistenza culturale verso l'istituto del whistleblowing e l'affermazione della specialità del modello legale potranno restituire piena effettività al principio — ancora troppo spesso disatteso — secondo cui chi segnala non deve essere punito, ma protetto.
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Sommario
Whistleblowing, discriminazione, diritto di denuncia e diritto di critica: la tutela a cerchi concentrici