Clausola compromissoria valida anche senza firma del contratto (di somministrazione)?

15 Maggio 2025

Cosa succede se un contratto è monofirma e contiene una clausola compromissoria? È valido il contratto e, ancor più rilevante ai nostri fini, è valida la scelta in favore dell’arbitrato? Si tratta dei temi affrontati da questa recentissima ordinanza della Corte di cassazione in commento

Massima

Ai sensi dell'art. 807 c.p.c., la forma scritta della clausola compromissoria è rispettata anche quando il contratto è firmato da una sola delle parti e l'altra parte – pur non firmando il contratto – ha attivato il procedimento arbitrale, così dimostrando la volontà di dare esecuzione al contratto e alla clausola compromissoria.

Il caso

Tra le parti viene concluso un contratto di somministrazione di gas che contiene una clausola compromissoria. Le parti del contratto di somministrazione sono una s.p.a. in qualità di somministrante e una una s.r.l. in qualità di somministrata. Le forniture di gas per due anni non vengono pagate, cumulandosi un credito di € 313.498, cosicché il somministrante si avvale della clausola compromissoria per ottenere un titolo idoneo a recuperare il credito.

Sorto il contenzioso tra le parti in sede arbitrale, viene pronunciato il lodo. Contro il lodo, viene proposta impugnazione davanti alla Corte di appello di Milano, la quale conferma la validità del contratto di somministrazione e della clausola compromissoria contenuta nel contratto. Il contratto di somministrazione era stato firmato dal somministrato, ma non dal somministrante. Apertosi il contenzioso su iniziativa del somministrante, questi aveva prodotto nel giudizio arbitrale il contratto firmato dalla controparte. In questo modo, scrive il giudice di appello, il somministrante aveva manifestato la volontà di aderire alla convenzione arbitrale e il giudizio arbitrale era stato validamente instaurato.

La questione viene infine sottoposta alla Corte di cassazione, la quale conferma le decisioni precedentemente assunte dal tribunale arbitrale e dalla Corte di appello di Milano.

La questione

La vicenda si dipana su tre gradi di giudizio (prima tribunale arbitrale, poi Corte di appello di Milano, infine Corte di cassazione), in quanto il contratto di somministrazione non recava la firma del somministrante, bensì solo quella del somministrato. La questione dunque è: prima, se sia venuto ad esistenza un valido contratto di somministrazione monofirma e, poi, se sia valida la clausola compromissoria contenuta nel medesimo contratto che presenta un’unica sottoscrizione.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione fatta propria dalla Corte di cassazione nell’ordinanza in commento è nel senso della validità sia del contratto che della clausola compromissoria. Affinché un contratto possa considerarsi validamente concluso, non serve che sullo stesso documento siano apposte due firme. L’attivazione della procedura arbitrale da parte del somministrante (che non aveva firmato il contratto) vale come accettazione della proposta contrattuale, che era stata fatta dal somministrato, mediante sottoscrizione del contratto di somministrazione.

Osservazioni

L'ordinanza della Corte di cassazione in commento si colloca sulla linea di confine tra il diritto processuale e quello sostanziale. Ed è inevitabile. La competenza degli arbitri difatti presuppone un accordo tra i contraenti e tale accordo non può che trovare espressione in un contratto, assuma questo la forma di clausola compromissoria o di compromesso. La questione della validità del contratto e della clausola compromissoria è però strettamente legata ai profili processuali: se la clausola è valida, il giudice è spogliato del potere di decidere la controversia e subentrano gli arbitri.

Per comprendere meglio il tema della forma del compromesso e della clausola compromissoria, iniziamo a illustrare il quadro normativo.

La regola è che la scelta in favore dell'arbitrato deve risultare da atto scritto. Il principio è statuito dall'art. 808, comma 1, c.p.c., a mente del quale «la clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall'articolo 807». Queste disposizioni si collocano all'interno del Capo I del Titolo VIII del codice di procedura civile, capo dedicato alla «convenzione d'arbitrato». Si usa l'espressione di «convenzione» per indicare che serve un accordo tra le parti per poter derogare alla competenza dei giudici statali e rimettere la controversia ad arbitri. Questa convenzione può prendere due forme: quella del compromesso (art. 807 c.p.c.) oppure quella della clausola compromissoria (art. 808 c.p.c.).

La necessità della forma scritta risulta con chiarezza dall'art. 807, comma 1, c.p.c., secondo cui «il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l'oggetto della controversia». Viene poi stabilito direttamente dalla legge cosa si intenda per forma scritta: «si intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi» (art. 807, comma 2, c.p.c.). La disposizione è stata modificata l'ultima volta nell'anno 2006 ed elenca delle modalità di conclusione degli accordi arbitrali che non non sono più usuali, ma si conclude con il messaggio telematico, che è oggi la forma più ricorrente.

Nel caso oggetto dell'ordinanza della Corte di cassazione, il contratto che contiene la clausola compromissoria è un contratto di somministrazione. Non si tratta di uno dei contratti per i quali la legge richiede la forma scritta a pena d'invalidità. Se così fosse, la mancanza di testo scritto implicherebbe la nullità dell'intero rapporto contrattuale, e non solo della clausola compromissoria. Il principio che non serve la forma scritta per il contratto di somministrazione è ormai consolidato. È stato affermato in una decisione della Corte di cassazione molto risalente nel tempo: il contratto di somministrazione di beni e servizi prescinde da rigorismi di forma, onde è sufficiente a rivelarne l'esistenza il comportamento di fatto dei soggetti, consistente nella ricezione e fruizione, da parte di uno di essi, della fornitura effettuata dall'altro (così Cass. civ., sez. II, 30 giugno 1982, n. 3936). Di recente la medesima Suprema Corte ha statuito che il contratto di somministrazione non richiede la forma scritta né ad probationemad substantiam; la sua conclusione può avvenire anche per fatti concludenti e la prova di esso può essere data con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici (Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2023, n. 20267). Se però non c'è il testo scritto del contratto di somministrazione, non vi può essere valida scelta a favore dell'arbitrato.

Ma come si soddisfa il requisito della forma scritta per le convenzioni d'arbitrato?

Si può considerare acquisito, nella giurisprudenza, la regola in forza della quale non è necessario che le due firme dei contraenti siano apposte sullo stesso documento. Basta che ci siano due distinte dichiarazioni di volontà, anche contenute in documenti separati, purché proposta e accettazione coincidano. La Corte di cassazione ha affermato che il requisito della forma scritta per la validità del compromesso (e della clausola compromissoria) può realizzarsi anche con lo scambio di missive contenenti la proposta e l'accettazione, rispondendo tale interpretazione a un'esigenza di deformalizzazione dell'obbligo pur conservandone il nucleo indefettibile dell'incontro effettivo, e riscontrabile per iscritto, di volontà sulla compromettibilità e sull'oggetto del compromesso (Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2014, n. 10436). Questo precedente della Suprema Corte è espressamente richiamato dall'ordinanza in commento, anche se - in realtà - nel provvedimento del 2025 che si sta commentando manca la firma di uno dei contraenti.

Più di recente questo favore per l'arbitrato è stato confermato in un'altra pronuncia della Corte di cassazione (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2023, n. 18579). Si trattava di un contratto di fornitura di olio fondato su di un ordine di acquisto seguito da accettazione contenente una clausola di arbitrato, alla quale aveva fatto seguito la conferma dell'ordine da parte dell'acquirente con espressa menzione di tale clausola. La Suprema Corte conferma dunque che il requisito della forma scritta, richiesto per la validità del compromesso e della clausola compromissoria, non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo esso realizzarsi anche con lo scambio di missive contenenti rispettivamente la proposta e l'accettazione del deferimento della controversia ad arbitri.

Rispetto a questo orientamento giurisprudenziale peraltro, come si accennava, il caso affrontato dall'ordinanza della Corte di cassazione in commento è leggermente diverso: il somministrante non ha difatti mai firmato il contratto di somministrazione. Il somministrante ha invece attivato il procedimento arbitrale. Secondo la Suprema Corte, così facendo, il somministrante ha manifestato la volontà di aderire alla convenzione arbitrale, e ciò vale a ritenere perfezionato il contratto. La Cassazione sottolinea che, dopo che il somministrato ha inviato il contratto firmato al somministrante, non ha più revocato la propria dichiarazione di volontà (ossia la proposta). La successiva attivazione del procedimento arbitrale da parte del somministrante vale come accettazione della proposta contrattuale.

Nel caso in commento, la Corte di cassazione valorizza più elementi per convincersi che ambo le parti volessero il procedimento arbitrale.

Vero è che la clausola non era stata sottoscritta dal somministrante; tuttavia il somministrante aveva avviato il procedimento arbitrale. Il somministrato aveva non solo firmato il contratto, ma non aveva mai disconosciuto la firma, confermando dunque di essersi espresso in favore dell'arbitrato. Il somministrato aveva ricevuto la bozza di contratto dal somministrante e l'aveva restituita firmata per accettazione. Il somministrato, infine, non aveva mai revocato la sua manifestazione di volontà (cioè, la firma della clausola compromissoria) prima dell'avvio del procedimento arbitrale.

A ben pensarci (ma si sta ora forzando la tesi), l'arbitrato che è stato oggetto dell'ordinanza della Corte di cassazione in commento potrebbe perfino reputarsi fondato non tanto su di una clausola compromissoria, bensì su di un compromesso.

Il compromesso è l'accordo che si fa una volta che la lite è sorta. Nel caso di specie il contratto era stato firmato da una parte sola (il somministrato) e valeva dunque come mera proposta. Il contratto non era stato formalmente firmato dall'altra parte (somministrante) e non valeva dunque come accettazione della proposta. Tuttavia – dice la Suprema Corte – l'attivazione del procedimento arbitrale da parte del somministrante vale come accettazione della proposta. Si potrebbe però ritenere che, in realtà, l'attivazione del procedimento arbitrale da parte del somministrante valga come proposta, che poi si concretizza con l'accettazione da parte del somministrato. Ciò può avvenire se il somministrato non solleva immediatamente l'eccezione di incompetenza degli arbitri. Si consideri che, nel verbale di costituzione del tribunale arbitrale, la prassi è quella che le parti indichino quale sia la clausola compromissoria su cui si basa la controversia e diano atto che il giudizio arbitrale è stato correttamente incardinato. In altre parole, il verbale della prima udienza del tribunale arbitrale, se firmato anche dalle parti, potrebbe essere equiparato a un compromesso, o almeno valere come ratifica della clausola compromissoria.

Questa tesi trova un addentellato in una decisione della Corte di cassazione (Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2007, n. 2256). Secondo questo intervento della Suprema Corte il requisito della forma scritta ad substantiam richiesto per la validità della clausola compromissoria e del compromesso non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo realizzarsi anche con lo scambio di missive contenenti rispettivamente la proposta e l'accettazione del deferimento della controversia ad arbitri (e abbiamo già visto altri precedenti che statuiscono questo principio). La Cassazione poi aggiunge, ed è questo il passaggio rilevante, che la richiesta di costituzione del collegio arbitrale e la relativa accettazione può essere interpretata come concorde volontà di compromettere la lite in arbitri. Si trattava di un contratto di appalto contenente una clausola compromissoria, e il giudice ha ritenuto perfezionato l'accordo per il mero fatto che una delle parti aveva nominato il suo arbitro e l'altra, in adesione all'iniziativa, aveva nominato il proprio.

Per completezza di esposizione, si osservi che la necessità della forma scritta per la convenzione arbitrale risulta anche dal disposto di legge sulle condizioni generali di contratto. Vanno difatti approvate specificamente per iscritto anche le clausole compromissorie (previste espressamente nell'elenco dell'art. 1341, comma 2, c.c.). Peraltro, la disposizione opera solo se il contratto è stato predisposto unilateralmente, non se è stato oggetto di concreta trattativa.

Al riguardo, di recente, la Corte di cassazione (Cass. civ., sez. VI, 14 febbraio 2023, n. 4531) ha affermato che - in tema di condizioni generali di contratto - la necessità di specifica approvazione scritta della clausola compromissoria è esclusa solo se vi sia prova che la conclusione del contratto sia stata preceduta da una trattativa che abbia avuto a oggetto specificamente l'inserimento di tale clausola.

In conclusione, l'ordinanza della Corte di cassazione in commento conferma il favor della giurisprudenza - anche di legittimità - per lo strumento arbitrale. Non solo non si richiedono due firme sullo stesso testo contrattuale contenente la clausola compromissoria, ma si fa bastare un contratto firmato da una sola delle parti, purché l'altra abbia posto in essere una condotta in fatto (ossia, l'avvio del procedimento arbitrale) che dimostra l'accettazione della clausola compromissoria.

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