Leverage cash out e abuso del diritto

Giovambattista Palumbo
19 Maggio 2025

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 6741 del 14/03/2025, ha chiarito un caso di contestato abuso del diritto, relativo ad una operazione di leverage cash out.

Massima

L’operazione di leverage cash out non è abusiva laddove supportata anche da altre ragioni economiche, oltre al mero risparmio fiscale, spettando comunque all’Amministrazione la prova del disegno elusivo e delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato.

Il caso

Nel caso di specie, l'Amministrazione finanziaria aveva notificato al contribuente quattro avvisi di accertamento, con i quali riprendeva a tassazione un maggior reddito per gli anni di imposta 2011-2014. Le pretese erariali scaturivano dagli esiti di una verifica che aveva interessato il gruppo di società riconducibile al contribuente (e ad altri soci) e dalla quale era derivata la contestazione di un'operazione di leverage cash out, connotata, ad avviso dell'Agenzia delle Entrate, da finalità elusive.

Più in particolare, l'operazione contestata era caratterizzata dai seguenti passaggi:

  • la società a ristretta base partecipativa, della quale i contribuenti, soci di maggioranza e appartenenti allo stesso gruppo familiare, detenevano il 27% delle quote ciascuno, era titolare della quasi totalità delle partecipazioni nelle altre società del gruppo, e, negli anni, aveva incrementato le proprie riserve straordinarie prevalentemente tramite gli utili corrisposti dalle partecipate;
  • il 28 ottobre 2010 i soci avevano rivalutato le proprie partecipazioni societarie ai sensi degli artt. 5 e 7 della L. n. 448/2001 e art. 2 del d.l. n. 2828/2002, allineandone il valore a quello di mercato, mediante il pagamento rateizzato dell'imposta sostitutiva;
  • il 7 dicembre 2010 i soci di maggioranza avevano costituito una nuova società, sottoscrivendo l'intero capitale sociale, alla quale poi avevano ceduto le loro quote di partecipazione per un corrispettivo pari al valore rivalutato, senza realizzare alcuna plusvalenza tassabile e pattuendo il pagamento del corrispettivo (pari ad € 80.350.000,00) in due rate;
  • allo scadere della prima rata, erano stati distribuiti dividendi per € 2.250.000,00, prelevati dalla riserva straordinaria;
  • tale somma era stata impiegata dalla newco per il pagamento della rata stessa, e, successivamente, dai soci per il saldo dell'imposta sostitutiva dovuta sulla rivalutazione delle partecipazioni;
  • per il pagamento della seconda rata era stato, invece, convenuto che lo stesso avvenisse in parte mediante versamento soci in conto capitale e in parte mediante l'emissione in favore dei cedenti di quattro prestiti obbligazionari con titoli a rimborso rateizzato ventennale, per l'estinzione dei quali si era poi attinto alla riserva straordinaria e agli utili distribuiti nel tempo, con conseguente sostanziale rimborso di una quota capitale dei prestiti obbligazionari sottoscritti dai soci.

In sostanza, a partire dal 2011 e fino alla sua successiva incorporazione in altra società del gruppo (avvenuta nel 2014), la newco aveva incassato dividendi detassati per il 95% ai sensi dell'art. 89 del TUIR e li aveva utilizzati per estinguere i debiti obbligazionari contratti con i cedenti mediante pagamento rateale, con corresponsione di interessi deducibili da parte dell'emittente e non tassati per i percettori, in quanto costituenti corrispettivo di cessione.

La questione

Tale operazione, ad avviso dell'Ufficio, aveva consentito che i detti soci entrassero nella disponibilità degli utili e delle riserve della società senza scontare la tassazione connessa alla loro natura di dividendi, il che ne rivelava l'intento elusivo della disposizione di cui all'art. 47 del TUIR. In altri termini, l'operazione, secondo l'Amministrazione, era finalizzata ad incamerare gli utili da partecipazione trasformandoli in parte in titoli obbligazionari produttivi di interessi deducibili dall'emittente, e in parte in apporti di capitale nella newco detassati all'atto della loro distribuzione, con ciò connotandosi come abuso del diritto ai sensi dell'art. 10-bis della L. n. 212/2000.

Gli atti impositivi venivano impugnati dai contribuenti.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso, con sentenza poi ribaltata in sede di appello, laddove la Commissione Tributaria Regionale riteneva che la fattispecie di abuso del diritto non sussistesse, essendo l'operazione stata posta in essere in presenza di ragioni extrafiscali non marginali, tra cui liquidare i soci non interessati al rilancio industriale e finanziario del gruppo, incrementare il patrimonio netto per poter più agevolmente ricorrere al credito bancario e costituire una holding familiare.

L'Agenzia proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione dell'art. 10-bis della L. n. 212/2000, avendo la CTR errato nel considerare atomisticamente le singole scansioni dell'articolata operazione negoziale, anziché vederla nel suo complesso.

La soluzione giuridica

Secondo la Suprema Corte il ricorso non era fondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che si configura un abuso del diritto quando l'operazione economica è volta al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante un uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione (cfr., Cass., n. 9135/2021; Cass., n. 15321/2019; Cass., n. 18632/2018). In sostanza, per integrare gli estremi del comportamento abusivo un'operazione economica deve porre quale suo elemento predominante e assorbente lo scopo di ottenere vantaggi fiscali (indebiti), con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non si applica comunque se l'operazione può spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d'imposta (così Cass., n. 25972/2014 e Cass., n. 22072/2024).

In particolare, poi, rileva la Cassazione, con riguardo ai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale effettuati nell'ambito di gruppi di imprese, il divieto di comportamenti abusivi «non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d'imposta, poiché va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale» (Cass., n. 439/2015), spettando comunque all'Amministrazione la prova del disegno elusivo e delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati irragionevoli in una normale logica di mercato. E, d'altro canto, qualora l'Ufficio alleghi l'esistenza di un adeguato strumento giuridico, alternativo a quello scelto dai contraenti, che sia comunque funzionale al raggiungimento dell'obiettivo economico perseguito, il contribuente ha l'onere di allegare l'esistenza di ragioni economiche che giustifichino un'operazione così strutturata (cfr., Cass., n. 21390/2012).

Tanto premesso, venendo al caso di specie, l'Amministrazione assumeva che, attraverso le operazioni contestate, i contribuenti avevano perseguito il fine di non sottoporre gli utili al regime impositivo proprio dei dividendi, ciò che non si sarebbe verificato laddove, in luogo della cessione delle quote, queste fossero state conferite nel patrimonio della società neocostituita.

La Corte però rileva che la CTR aveva evidenziato una serie di circostanze a fondamento dell'operazione infragruppo, rappresentando la sussistenza di una serie di indicatori dell'effettiva corrispondenza di tali finalità con la realtà effettiva dell'operazione, essendo dunque emerso che l'operazione era supportata da ragioni economiche, indicative della volontà di procedere ad una riorganizzazione del gruppo che valorizzasse i soci appartenenti al medesimo nucleo familiare, con esclusione pertanto dell'abuso del diritto.

Osservazioni

A prescindere dallo specifico caso processuale, giova infine anche rilevare quanto segue. Da un punto di vista civilistico per mezzo delle operazioni di MLBO si intende perfezionare l'acquisizione di una società, ricorrendo, in gran parte, all'indebitamento.

Nella pratica, la newco è in grado di acquisire il pacchetto di maggioranza (o, in taluni casi, la totalità) delle azioni della società target, per poi fondersi ad essa. Le operazioni di MLBO costituiscono, dunque, tecniche di acquisizione di partecipazioni societarie, la cui peculiarità consiste nella circostanza che il debito contratto per l'acquisto della target è destinato ad essere ripagato dai flussi di cassa generati dalla stessa società acquisita. E ciò avviene tramite la destinazione al pagamento del debito della liquidità conseguente alla distribuzione (alla società veicolo) dei dividendi generati dall'attività della target.

Con particolare riguardo alla fattispecie occorre del resto prendere atto che si è ormai sviluppata una giurisprudenza volta ad attribuire a tale operazione la sussistenza di valide ragioni economiche, portando ad escluderne la connotazione elusiva, laddove le ragioni extra fiscali non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell'operazione, ma possono essere anche di natura meramente organizzativa, e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell'impresa.

Tutto questo appare del resto anche in linea con il recente Atto di indirizzo del MEF del 27 febbraio 2025, con cui è stato rilevato che deve comunque in tali casi restare ferma la libertà del contribuente di condurre i propri affari, anche in vista di un risparmio fiscale purché in coerenza con lo spirito delle norme tributarie.

Quanto alla “assenza di sostanza economica”, per individuarla occorre guardare agli esiti della complessiva operazione, laddove, richiamando la relazione illustrativa al D.lgs. n. 128/2015, si afferma che devono considerarsi potenzialmente abusive le sequenze di atti negoziali che, “nella loro concatenazione, non producono, né hanno la funzione di produrre, modifiche significative nella sfera economico-giuridica del soggetto, in quanto i diversi negozi che compongono la sequenza sono disposti in modo da elidersi vicendevolmente, riportando il soggetto all'assetto economico-giuridico originario (le cd. operazioni circolari)”.

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