Per la Corte EDU il P.M. rumeno non può sequestrare computer e documenti di una banca

13 Maggio 2025

La Corte EDU ha riconosciuto la violazione, da parte della Romania, dell'art. 8 CEDU, che tutela il diritto al rispetto della vita privata, del domicilio e della corrispondenza, ritenendo illegittimi perquisizione e sequestro di computer e documenti disposti dal pubblico ministero in un istituto di credito, nell'ambito di un'indagine penale in materia di concorrenza, in esito alla quale furono stampate ed acquisite diverse e-mail.

La vicenda

Il pubblico ministero aveva disposto una perquisizione negli uffici di un istituto di credito nei confronti di due dipendenti, sottoposti ad indagine per alcuni reati, per i quali, tuttavia, la legislazione rumena non consentiva di procedere alla perquisizione informatica.

La società ricorrente, basandosi sulla sentenza della Corte giust. U.E. 22 ottobre 2002, Roquette Frères (C-94/00, EU:C:2002:603), aveva sostenuto che l'indagine e l'ispezione erano prive di proporzionalità, a causa della formulazione vaga degli ordini di perquisizione e sequestro. Com'è noto, nella menzionata sentenza, la Corte giust. U.E. aveva affermato che, in forza del principio generale del diritto della U.E. che impone una tutela contro gli interventi arbitrari o sproporzionati della pubblica autorità nella sfera d'attività privata di una persona fisica o giuridica, spetta al giudice nazionale, competente in forza del diritto interno ad autorizzare ispezioni e sequestri nei locali di imprese sospettate di infrazioni alle norme sulla concorrenza, verificare se i provvedimenti coercitivi, richiesti a seguito di una domanda di assistenza, non siano arbitrari o sproporzionati rispetto all'oggetto dell'accertamento ordinato, e che comunque il diritto U.E. osta a che il sindacato esercitato da tale giudice nazionale, quanto alla fondatezza dei detti provvedimenti, vada al di là di quanto richiesto dal citato principio generale.

La decisione della Corte di Strasburgo

I giudici di Strasburgo, ritenuta la legittimità dell'interferenza perchè perseguiva un obiettivo legittimo essendo finalizzata alla repressione di reati, si è posta il problema di verificare se l'ingerenza fosse “necessaria in una società democratica”.

Nel valutare le garanzie contro abusi e arbitrarietà previste dal diritto rumeno all'epoca dei fatti, la Corte EDU ha rilevato che il sequestro dei due computer appartenenti alla società era stato eseguito a seguito di una decisione del pubblico ministero che non era stata sottoposta a controllo giurisdizionale in quella specifica fase del procedimento.

I giudici europei hanno perciò riconosciuto la violazione dell'art. 8 CEDU quanto alla legittimità delle perquisizioni e sequestri disposti dall'autorità giudiziaria in una indagine penale, affermando che il sequestro dei due computer effettuato nei locali della società non era previsto dalla legge. Infatti, il diritto interno non disciplinava il sequestro di dispositivi di archiviazione elettronica nei casi riguardanti reati diversi da quelli commessi tramite sistemi informatici. Anche le successive perquisizioni informatiche non erano state condotte in conformità alla legge, che consentiva tali perquisizioni solo nei casi di reati commessi tramite sistemi informatici, il che non era il caso in questione. 

In secondo luogo, la Corte EDU ha affermato che, nel caso di specie non sussistevano ragioni che giustificassero il sequestro e la sussistenza di tali ragioni non era stata verificata, poiché il provvedimento era stato eseguito su ordine del pubblico ministero senza previa autorizzazione di un giudice. Inoltre, il quadro giuridico interno non prevedeva sufficienti garanzie nei casi di perquisizioni informatiche. Né la legge. n. 161/2003 né il codice di procedura penale rumeno, al tempo, prevedevano disposizioni relative alla procedura da seguire in seguito al sequestro di dispositivi di archiviazione elettronica, nè quando e a quali condizioni fossero accessibili, chi dovesse autorizzare tale accesso, chi dovesse essere presente e se potessero essere fatte copie e, in tal caso, le condizioni della loro conservazione, accesso o distruzione. 

Infine, secondo la Corte di Strasburgo, le leggi rumene che regolano il segreto bancario e le perquisizioni condotte nei procedimenti penali difettavano di prevedibilità poiché il quadro giuridico interno era molto generico e non includeva alcuna garanzia per la situazione specifica delle perquisizioni condotte nei locali di una banca in cui vi sono dati coperti dal segreto bancario che potrebbero essere incisi dalla perquisizione e dal sequestro. Tale assenza di garanzie era inoltre aggravata dall'impossibilità di contestare dinanzi a un tribunale il provvedimento del pubblico ministero e la sua esecuzione.

La Corte EDU ribadisce inoltre che le perquisizioni e i sequestri effettuati nei locali delle società commerciali possono essere giustificati al fine di impedire la scomparsa o l'occultamento di prove di pratiche anticoncorrenziali, ma che la legislazione e la prassi pertinenti devono offrire adeguate ed efficaci garanzie contro qualsiasi abuso e arbitrarietà. Nei casi riguardanti ispezioni senza preavviso da parte degli ispettori della concorrenza nei locali delle società commerciali, effettuate senza previa autorizzazione di un giudice o sulla base di decisioni che non erano soggette a revisione da parte di un tribunale, la Corte EDU ha ritenuto che  l'assenza di un'autorizzazione preventiva da parte di un giudice può essere controbilanciata dalla disponibilità di un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimità e della necessità della misura impugnata nelle particolari circostanze del caso. In pratica, ciò implica che le persone interessate possano ottenere un effettivo riesame giurisdizionale, in fatto e in diritto, della misura impugnata e della sua condotta e che venga loro concesso un adeguato risarcimento laddove sia già stata effettuata una perquisizione irregolare.

Alla luce di tali valutazioni, la Corte EDU ha ritenuto che, date le circostanze particolari del caso, in particolare l'assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale significativo e la durata dell'indagine penale, le garanzie previste e applicate nel caso di specie non garantivano un'efficace tutela del diritto della società ricorrente al rispetto del suo domicilio e della sua corrispondenza e pertanto, l'ingerenza nei suoi diritti, tramite le perquisizioni informatiche e il successivo sequestro, non poteva essere considerata proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito, con conseguente violazione dell'art. 8 CEDU.

In proposito i giudici europei hanno richiamato la precedente sentenza Copland contro Regno Unito, in cui la Corte ha ritenuto che la raccolta e la conservazione di informazioni personali concernenti l'utilizzo da parte del lavoratore del telefono, della posta elettronica e del collegamento Internet costituivano un'ingerenza nell'esercizio del diritto dell'interessato al rispetto della propria vita privata nonché della corrispondenza, tutelato dall'art. 8 CEDU, (Corte EDU, 3 aprile 2007, Copland v. Regno unito).

In precedenza la giurisprudenza della Corte EDU aveva già affermato in numerose occasioni che la perquisizione dei locali commerciali e la perquisizione informatica costituivano un'ingerenza nel “diritto al rispetto del domicilio” (Corte EDU 21 dicembre 2010, S.C.P. e altri v. Francia, n. 29408/08; Corte EDU 2 ottobre 2014, D.P. v. Repubblica ceca, n. 97/11) e della “corrispondenza” (Corte EDU, 16 ottobre 2007, W. e B.B. GmbH v. Austria, n. 74336/01). La Corte ha sostenuto, in particolare, che nel determinare se la misura è “necessaria in una società democratica”, essa considera se, alla luce del caso nel suo complesso, le ragioni addotte per giustificarla fossero pertinenti e sufficienti e se fosse proporzionata allo scopo legittimo perseguito. Nel fare ciò, la Corte tiene conto del fatto che alle autorità nazionali è accordato un certo margine di apprezzamento, la cui portata dipende da fattori quali la natura e la gravità degli interessi in gioco e la gravità dell'ingerenza (Corte EDU, 14 marzo 2013, B.L. Holding AS e altri v. Norvegia, n. 24117/08).

Nella vicenda rumena in esame la Corte di Strasburgo è quindi giunta alla conclusione che proprio l'assenza di un controllo giurisdizionale, la durata dell'indagine penale, le garanzie disponibili, come applicate nel caso di specie, non hanno garantito un'efficace tutela del diritto della società al rispetto del suo domicilio e della sua corrispondenza. Pertanto, l'ingerenza nei suoi diritti non poteva essere considerata proporzionata all'obiettivo perseguito, con conseguente violazione dell'art. 8 CEDU.

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