Rimedi giudiziali e stragiudiziali in caso di silenzio assenso dell’Amministrazione, anche ai sensi del nuovo art. 36-bis d.p.r. 380/2001 (TUE)
Christian Corbi
19 Maggio 2025
Il presente focus si pone l'obiettivo di vagliare, in disparte i rimedi stragiudiziali di cui all'art. 20 l. n. 241/1990 di cui pure si dirà, le tecniche giudiziali esperibili a fronte del silenzio assenso dell'Amministrazione. Ci si è chiesti, in particolare, se il decorso del termine per provvedere, in relazione a quelle materie per le quali il legislatore ha previsto il silenzio assenso, consumi effettivamente l'obbligo, non certo il potere, dell'Amministrazione di adottare il provvedimento espresso (necessariamente) favorevole all'istante, ovvero se, in una prospettiva de iure condendo, vi sia spazio per l'azione exartt. 31 e 117 c.p.a. Infatti, solo un provvedimento amministrativo corredato dell'adeguata motivazione consente all'interessato di conseguire effettivamente il bene della vita cui anela.
In argomento, il dibattito è stato di recente alimentato dal nuovo art. 36 bis d.P.R. n. 380/0221, introdotto dal d.l. n. 69/2024 che, in antitesi rispetto alle previsioni di cui all'art. 36 d.P.R. n. 380/0221, ha introdotto, in riferimento al permesso di costruire in sanatoria, il silenzio assenso in luogo del silenzio diniego.
Premessa
Prima di indagare il silenzio assenso in chiave processuale - avendo riguardo ai rimedi giudiziali e stragiudiziali di cui dispone il privato al fine di soddisfare l'esigenza di certezza della situazione giuridica favorevole dallo stesso conseguita tramite la fictio iuris di cui all'art. 20 l. n. 241/1990 - appare utile ricostruire, seppure brevemente, la relativa natura giuridica. Solo per tal via, è, infatti, possibile inquadrare la funzione di per sé rimediale che il silenzio assenso assolve nell'attuale contesto ordinamentale e quindi esaminare il connesso aspetto della consumazione del potere amministrativo, sul pianto attivo, e dell'obbligo di provvedere, sul piano passivo.
In tale ambito, si ripercorrerà l'impostazione classica - che esclude l'esperibilità, avverso il silenzio assenso dell'Amministrazione, del rimedio di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. - per poi indagare se, anche alla luce dell'art. 36-bis d.P.R. n. 380/2001, tale impostazione possa, o meno, ritenersi dogmaticamente superabile.
La natura giuridica del silenzio assenso
In ordine alla natura giuridica del silenzio assenso, deve oggi di ritenersi superata la tesi per la quale esso si traduca, di fatto, in un provvedimento tacito dell'Amministrazione, da giustapporre ai provvedimenti espressi della stessa.
In tale ottica, depone, in modo decisivo, l'art. 20, comma 2-bis, l. n. 241/1990 che, nel recitare “nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1”, afferma sostanzialmente che il silenzio assenso è un fatto, e non un provvedimento tacito, cui la legge ricollega un effetto, quello proprio del provvedimento amministrativo.
Pertanto, il silenzio assenso è un comportamento legalmente tipizzato, di cui il privato potrà impugnare l'effetto e non l'atto.
Se così è, allora il silenzio assenso è un rimedio stragiudiziale, in forma specifica, rispetto all'inerzia dell'Amministrazione e alla conseguente violazione dell'obbligo di provvedere.
Si tratta rimedio stragiudiziale, perché esso evita che l'inerzia dell'Amministrazione, altrimenti qualificabile quale silenzio inadempimento, possa essere stigmatizzata mediante il rito ex artt. 31 e 117 c.p.a.
Nel contempo, è indubitabile che ci si trovi di fronte a un rimedio in forma specifica, atteso che il silenzio assenso - a differenza del silenzio rigetto che, invece, connota l'istituto giustiziale del ricorso gerarchico - non si limita a ritenere concluso il procedimento, ma accorda al privato il bene della vita, consumando il potere dell'Amministrazione di adottare, successivamente, un provvedimento sfavorevole per l'interessato.
In altre parole, il silenzio assenso consiste un meccanismo legale di tutela, atto a stigmatizzare la violazione omissiva dell'Amministrazione che, gravata dell'obbligo di provvedere, rimanga inerte e non provveda.
Le tecniche rimediali a presidio del silenzio assenso secondo la tesi classica
Secondo l'impostazione classica, pacificamente accolta dalla giurisprudenza maggioritaria, con il silenzio assenso si consuma il potere di provvedere dell'Amministrazione, non potendo essa più adottare un provvedimento espresso, se di segno sfavorevole al privato.
Infatti, l'art. 2, comma 8 bis, L. 241/1990 sancisce che i provvedimenti adottati dall'Amministrazione, una volta che sia decorso il termine per provvedere, sono inefficaci.
Sennonchè, a fronte della rilevante esigenza di certezza del privato in ordine alla prova dell'effettivo conseguimento del bene della vita cui esso ambisce, occorre chiedersi se, accanto ai rimedi stragiudiziali di cui all'art. 20 L. 241/90, sussistano e siano esperibili tecniche giudiziali in grado di consegnare all'interessato una risposta amministrativa concretamente spendibile.
Sotto il primo aspetto (rimedi stragiudiziali), l'ordinamento giuridico grava l'Amministrazione dell'obbligo di certificare due aspetti fondamentali della vicenda: l'accertamento di un fatto, ossia dell'inutile decorso del termine per provvedere, e l'accertamento dell'effetto giuridico, consistente nell'accoglimento dell'istanza.
La violazione (anche) di tale obbligo può essere stigmatizzata dal privato mediante la possibilità di quest'ultimo di rendere una dichiarazione, a valenza autocertificativa, ai sensi dell'art. 47 del DPR 445/2000, delle medesime circostanze che avrebbe dovuto certificare l'Amministrazione.
Sul punto, pare utile notare come la norma in esame, benchè troppo spesso giustificata alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'art. 118 Cost., appaia di dubbia tenuta costituzionale. Essa, infatti, non solo si limita a onerare il privato dello svolgimento di funzioni pubbliche cui sarebbe tenuta l'Amministrazione, ma gli impone altresì di rendere tali dichiarazioni sotto la propria responsabilità, anche di tipo penale.
Inoltre, appare incerto il perimetro di estensione dell'autocertificazione in esame.
Al riguardo, si ritiene certamente ammissibile e legittimo che il privato possa autocertificare il mero decorso del tempo (fatto storico), ma le medesime conclusioni non sembrano potersi estendere alla diversa ipotesi dell'autocertificazione dell'intervenuto accoglimento per silentium dell'istanza depositata dall'interessato. Tale ultima dichiarazione sembra infatti preclusa a quest'ultimo, trattandosi di adempimento proprio dell'Amministrazione, non “delegabile” nemmeno ai sensi e per gli effetti dell'art. 118 Cost.
Sotto l'altro aspetto (rimedi giudiziali), la giurisprudenza amministrativa (TAR Cagliari, Sez. I, n. 843/2022) esclude pacificamente la possibilità per il privato, in caso di silenzio assenso dell'Amministrazione, di agire, nei confronti di quest'ultima, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., per ottenere espressamente il provvedimento favorevole. E ciò in quanto “tale rimedio opera solo in riferimento all'attività provvedimentale, ma non anche materiale dell'Amministrazione”.
La conclusione appena tracciata è perfettamente coerente con la natura giuridica tributata al silenzio assenso che, lungi dall'essere dogmaticamente ricondotto all'ambito attizio dell'agere amministrativo, integra, piuttosto, un comportamento a valenza provvedimentale.
Tuttavia, gran parte della giurisprudenza (TAR Lazio-Roma, Sez. II, n. 6358/2015) ammette, sulla base di quanto a suo tempo stabilito dal Consiglio di Stato (sent. n. 15/2011), l'esperibilità dell'azione atipica di accertamento circa il modo di essere della situazione giuridica soggettiva implicata dal caso concreto, purchè sussistano – come in effetti sembrano sussistere nelle ipotesi di silenzio assenso – i presupposti della res dubia e del pregiudizio in danno del privato.
Il silenzio assenso e la persistenza del dovere dell'Amministrazione di adottare espressamente il provvedimento favorevole
A parere di chi scrive, l'art. 20 l. n. 241/90 e la logica di semplificazione che lo sottende, può, de iure condendo, condurre a esiti in parte differenti rispetto a quelli cui sono, sino a oggi e in maniera costante, pervenute la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria.
Ebbene, il sistema del silenzio assenso, così come delineato dall'art. 20 l. n. 241/90, sembra dar luogo, nella sostanza, a tre specifici e diversi obblighi dell'Amministrazione, cui la stessa è in ottica sussidiaria (1. obbligo di provvedere tout court, anche in senso sfavorevole al privato; 2. obbligo di adottare espressamente il provvedimento favorevole, a valle della maturazione del silenzio assenso; 3. obbligo di autocertificare l'intervenuto acquisto del bene della vita in capo al privato), cui fanno da contraltare tre rimedi legali stragiudiziali, organizzati, tra loro, in forma gerarchica (1. silenzio assenso, che consuma il potere dell'Amministrazione di adottare il provvedimento sfavorevole; 2. istanza del privato per il rilascio della certificazione amministrativa, attestante l'acquisto, per silenzio assenso e in proprio favore, del bene della vita; 3. autocertificazione ex art. 47 d.P.R. n. 445/2000).
Esaminando le diverse ipotesi nel dettaglio, giova rilevare come il primo obbligo di cui si è detto consista nel dovere dell'Amministrazione di provvedere, se del caso anche in senso sfavorevole al privato, nel termine di cui all'art. 2 l. n. 241/90, generato dall'istanza presentata da quest'ultimo.
La violazione di tale obbligo viene stigmatizzata dall'ordinamento giuridico mediante l'attribuzione in maniera generalizzata (e salvi i casi di cui al comma 4 dell'art. 20 l. n. 241/90), all'inerzia dell'Amministrazione, della valenza provvedimentale quoad effectum (rimedio stragiudiziale di tipo legale).
Il silenzio assenso, dunque, non estingue il potere amministrativo di provvedere tout court, ma solo quello di provvedere in senso sfavorevole al privato, lasciando ferma e impregiudicata, secondo la tesi classica, la “facoltà” dell'Amministrazione, non coercibile, come detto, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., di adottare espressamente, e successivamente alla scadenza del termine di conclusione del procedimento, il provvedimento favorevole.
A parere di chi scrive, invece, il maturare del silenzio significativo non esonera automaticamente l'Amministrazione dall'obbligo di adottare espressamente il provvedimento favorevole per il privato (del resto, tale tesi, seppure circoscritta alla materia dell'edilizia e riferita specificamente al permesso di costruire, risulta seguita da TAR Campania - Napoli, nn. 260/2021, 590/2020, 4711/2019, che così ha stabilito: “benché la nuova formulazione dell'art. 20, d.P.R. n. 380/2001 […] abbia introdotto nel procedimento per il rilascio del permesso di costruire, al di fuori delle fattispecie nelle quali emerga la sussistenza dei vincoli espressamente indicati, un'ipotesi di silenzio assenso, deve tuttavia ritenersi che dalla sopra indicata disposizione non discenda in ogni caso e automaticamente l'inammissibilità dell'azione avverso il silenzio - inadempimento ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., dovendo di contro essere valutata, al fine di verificare la sussistenza dell'obbligo dell'Amministrazione di provvedere, la specificità della fattispecie esaminata, la natura del potere esercitato dall'Amministrazione e il complesso degli interessi coinvolti”), atteso che la norma in esame prevede, in caso di violazione dell'obbligo di tal fatta, il rimedio stragiudiziale (legale) della certificazione del silenzio assenso. Per tal via, l'Amministrazione non si limita ad attestare il mero decorso del termine per provvedere, ma è contestualmente tenuta a dare atto dell'accoglimento dell'istanza e quindi ad adottare, seppure al netto della motivazione, il provvedimento favorevole espresso.
In altre parole, violato l'obbligo di provvedere (primo obbligo di cui all'art. 20 citato), anche in senso sfavorevole, da parte dell'Amministrazione che non ha deciso l'istanza del privato, a essa sarà precluso di adottare il successivo provvedimento di diniego (primo rimedio stragiudiziale di cui alla norma in esame). Quest'ultimo sarebbe, infatti, inefficace ex art. 2, comma 8 bis, l. n. 241/1990.
Permanendo, però, l'obbligo, in capo all'Amministrazione, di rilasciare il provvedimento espresso (secondo obbligo contenuto implicitamente nell'art. 20 citato) - perché la fictio iuris di cui all'art. 20 L. 241/1990 di fatto non accorda al privato il bene della vita, non essendo il silenzio assenso spendibile nelle relazioni orizzontali - esso viene stigmatizzato, in caso di ulteriore inerzia, da altro rimedio legale stragiudiziale, di tipo subordinato, consistente nella possibilità per il privato di fare istanza per ottenere la certificazione amministrativa dell'intervenuto acquisto, in capo esso, del bene della vita (secondo rimedio stragiudiziale di cui alla norma in esame).
L'ulteriore inerzia della PA, obbligata (terzo obbligo di cui all'art. 20 citato), a fronte dell'istanza del privato, al rilascio della certificazione richiesta, consente a quest'ultimo di esperire due ulteriori rimedi, tra loro alternativi.
Il primo, di tipo stragiudiziale (terzo rimedio stragiudiziale di cui alla norma in esame), è quello dell'autocertificazione (con dichiarazione sostitutiva di atto notorio ex art. 47 DPR 445/200), della cui tenuta costituzionale e ambito applicativo si è detto.
Il secondo, invece, è di tipo giudiziale, in quanto parte della giurisprudenza (TRGA Trento, n. 105/2022), già da tempo, consente l'esperibilità dell'azione exartt. 31 e 117 c.p.a. al fine di ottenere il rilascio, da parte dell'Amministrazione e per l'intermediazione del giudice, della certificazione attestante l'intervenuto acquisto, per silenzio assenso, del bene della vita.
La pronuncia giudiziale di tal fatta sembra poter anche avere la natura di sentenza di condanna specifica, in quanto l'Attività che avrebbe dovuto svolgere l'Amministrazione è di tipo vincolato: riscontrata la violazione del termine per provvedere, nonché l'inapplicabilità al caso di specie del comma 4 dell'art. 20 l.. 241/1990, essa è tenuta ad accertare l'intervenuta verificazione del silenzio assenso.
Il nuovo art. 36-bis d.P.R. n. 380/2001, così come novellato dal d.l. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa)
Banco di prova dei principi sopraespressi è costituito dalla materia dell'edilizia, da sempre sede delle principali applicazioni dei silenzi significativi dell'Amministrazione.
Al riguardo, in tema di permanenza del potere di provvedere e silenzio significativo, seppure in relazione al silenzio diniego (e non invece al silenzio assenso), assume rilievo, ai fini che qui interessano, l'art. 36 d.P.R. 380/2001 (recentemente interessato, quanto alla sua permanenza nell'ordinamento giuridico, dalla pronuncia della Corte cost. n. 42/2023).
Sul punto, il Consiglio di Stato, da ultimo con la sentenza n. 2704/2023 (ma l'aspetto è pacifico in giurisprudenza: C.d.s., nn. 3545/2021, 5251/2021, 3417/2018), ha chiarito come, anche in caso di maturazione del silenzio diniego, non si consumi il potere dell'Amministrazione di provvedere in modo espresso, anche in difetto di supplemento istruttorio, potendo quest'ultima (e non dovendo, perché il decorso del termine ha comunque estinto l'obbligo) provvedere espressamente.
Il provvedimento espresso di diniego è infatti un atto di conferma propria, cosicchè esso deve essere, a sua volta, tempestivamente impugnato (TAR Catania, n. 475/2023), non potendosi intendere quale atto meramente confermativo del diniego formatosi in via tacita (TAR Napoli, nn. 3127/2021, 5278/2018). Il nuovo provvedimento ha infatti sostituito il precedente, che non esiste più, con effetto ex nunc, assorbendolo; e ciò in disparte la circostanza che quest'ultimo sia stato impugnato (TAR Catania, n. 475/2023). Tale provvedimento ridefinisce quindi l'assetto di interessi e, come tale, è impugnabile, anche ove non fosse stato impugnato il silenzio diniego (CDS, 3396/2021, TAR Catania, n. 475/2023 e TAR Napoli, n. 3466/2022).
Tornando ora al silenzio assenso e alle tecniche rimediali che lo connotano, non ci si può in questa sede esimere dall'esame di talune novità introdotte dal D.L. 69/2024, con particolare riferimento al nuovo art. 36 bis d.P.R. 380/2001.
La Novella è infatti intervenuta apportando, tra le altre e ai soli fini che qui interessano, le seguenti modifiche.
In primo luogo, essa ha ristretto l'ambito di operatività dell'art. 36 TUE (e quindi della sanatoria per doppia conformità) alle ipotesi di i) assenza del permesso di costruire, ii) di totale difformità dallo stesso e iii) di variazioni essenziali ex art. 31 TUE.
In secondo luogo, è stato introdotto, tramite l'art. 36 bisTUE e per le ipotesi di parziale difformità dal titolo e per le variazioni essenziali ex art. 32 TUE, una peculiare ipotesi di sanatoria che (sulla falsa riga della sanatoria giurisprudenziale) postula la doppia conformità solamente in relazione alla normativa edilizia, limitando il vaglio della conformità urbanistica alla disciplina vigente al tempo della presentazione dell'istanza di sanatoria.
In terzo luogo, la Novella ha introdotto, ai sensi dell'art. 36 bisTUE, il meccanismo del silenzio assenso, con possibilità di agire ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., in caso di omessa adozione del provvedimento favorevole espresso da parte dell'Amministrazione, nonché di omesso riscontro, da parte di quest'ultima, della successiva istanza del privato avente a oggetto lo svolgimento di attività di certificazione. L'obiettivo è quindi quello di conseguire, per il tramite del giudice, il rilascio da parte dell'Amministrazione dell'attestazione circa l'intervenuta formazione del silenzio assenso e quindi dell'intervenuta formazione dei titoli abilitativi.
Ciò posto e soffermandosi proprio su tale ultimo aspetto, il Decreto salva casa ha quindi previsto che, decorso inutilmente il termine per provvedere sull'istanza di sanatoria ex art. 36 TUE, si verifica il silenzio assenso (e non invece il silenzio diniego di cui all'art. 36 TUE). L'Amministrazione, su richiesta del privato, è tenuta, entro i successivi 10 giorni, a rilasciare in favore del privato un'attestazione analoga a quella di cui all'art. 20 L. 241/90 e quindi contenente un fatto (decorso del termine) e un effetto giuridico (accoglimento giuridico).
Tuttavia, in caso di ulteriore inerzia dell'Amministrazione, il privato non è titolare del potere di autocertificazione di cui all'art. 20 L. 241/90 – della cui dubbia costituzionalità il legislatore sembrerebbe essersi medio tempore avveduto – ma può impugnare il silenzio dell'Amministrazione ai sensi degli art. 31 e 117 c.p.a., permanendo in capo a essa l'obbligo di provvedere, seppure limitatamente all'obbligo di adottare l'autocertificazione.
La norma in esame sembra quindi sancire che la permanenza dell'obbligo di provvedere, a fronte del silenzio assenso, non riguardi lo svolgimento di attività amministrativa attiva, tesa al rilascio del provvedimento espresso favorevole – circostanza relegata a mera facoltà dell'Amministrazione – ma solamente lo svolgimento dell'attività amministrativa di tipo certificativo.
Sotto tale aspetto, non sembra coerente ritenere che, in caso di intervenuto silenzio assenso, il ricorso exartt. 31 e 117 c.p.a., ove diretto a ottenere il provvedimento favorevole espresso, sarebbe inammissibile, stante l'intervenuta consumazione dell'obbligo di provvedere dell'Amministrazione; ove invece tale ricorso fosse diretto all'ottenimento di un surrogato di tale provvedimento, ossia alla mera certificazione dell'accoglimento del ricorso per silenzio assenso, lo stesso è invece pienamente ammissibile, permanendo l'obbligo di provvedere dell'Amministrazione.
In conclusione
L'indagine sin qui condotta ha avuto modo di dare atto, altresì, dell'orientamento giurisprudenziale, seppure minoritario, secondo il quale l'istituto del silenzio assenso non è automaticamente incompatibile con il rimedio giudiziale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a.
E ciò in quanto il silenzio assenso consuma sì il potere di provvedere dell'Amministrazione, ma lo consuma in parte qua, ossia limitatamente alla possibilità della stessa di adottare un provvedimento di segno sfavorevole per il privato. Pertanto, rimane pur sempre fermo l'obbligo della stessa di adottare il provvedimento espresso favorevole che, in quanto tale, deve poter essere stigmatizzato tramite il rimedio giudiziale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a.
Tuttavia, l'opinione prevalente è invece dell'avviso per il quale, a valle del silenzio assenso, l'Amministrazione sia titolare del mero potere di adottare espressamente l'atto favorevole per il privato, e non di un vero e proprio obbligo giuridico in tal senso. Con la conseguenza per la quale tale obbligo è coercibile solamente tramite i rimedi stragiudiziali di cui all'art. 20 L. 241/90 e non anche con il rimedio giudiziale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a.
Viceversa, appare indiscusso, alla luce della normativa di settore e del recente orientamento giurisprudenziale, che l'azione avverso il silenzio inadempimento possa riguardare, certamente e solo, l'obbligo dell'Amministrazione di rilasciare la certificazione attestante la maturazione del silenzio assenso.
Di qui l'incongruenza per la quale, in caso di intervenuto silenzio assenso, il ricorso exartt. 31 e 117 c.p.a., ove diretto a ottenere il provvedimento favorevole espresso, sarebbe inammissibile, stante l'intervenuta consumazione dell'obbligo di provvedere dell'Amministrazione. Ove, invece, tale ricorso fosse diretto all'ottenimento di un surrogato di tale provvedimento, ossia la mera certificazione dell'accoglimento del ricorso per silenzio assenso, lo stesso è invece pienamente ammissibile, sussistendo l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in tal senso.
A parere di chi scrive, sono maturi i tempi perché l'istituto del silenzio, e il profilo dell'estinzione dell'obbligo di provvedere, vengano posti al centro del dibattito dottrinale e ripensati dalla giurisprudenza.
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Sommario
Il silenzio assenso e la persistenza del dovere dell'Amministrazione di adottare espressamente il provvedimento favorevole
Il nuovo art. 36-bis d.P.R. n. 380/2001, così come novellato dal d.l. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa)