Il vespaio sottostante al pavimento del piano terra non rientra nel suolo comune
21 Maggio 2025
Massima Poiché l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto e, quindi, anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta, il suolo su cui sorge l'edificio, oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 c.c., non è la superficie, a livello del piano di campagna, che viene scavata per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione di terreno sulla quale viene a poggiare l'intero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso. Il caso La causa - giunta, di recente, all'esame del Supremo Collegio - originava da una domanda proposta da un condomino nei confronti del proprio Condominio, volta alla condanna di quest'ultimo al rimborso delle spese sostenute, pari a € 59.393,83, per l'esecuzione di lavori di manutenzione imputabili al cattivo funzionamento delle tubazioni fognarie condominiali e alla presenza di una falda acquifera sotto il fabbricato. La necessità di tali lavori era stata riconosciuta da una precedente assemblea dello stesso Condominio e confermata, poi, in successive delibere dell'organo collegiale; a seguito delle piogge occorse nelle more, la situazione era divenuta intollerabile, imponendosi l'urgenza dell'intervento; non avendo l'assemblea deciso il rimborso della suddetta somma, l'attore aveva agito ai sensi dell'art. 1134 c.c. Il Tribunale adìto aveva accolto la domanda, condannando il Condominio a versare la somma di € 52.542,67, mentre la Corte d'Appello, accogliendo in parte il gravame del Condominio, aveva ridotto la condanna alla somma di € 9.010,00. I giudici di secondo grado - per quel che qui interessa - avevano, dapprima, affermato la sussistenza del diritto al rimborso delle spese ex art. 1134 c.c., avendo l'attore avvisato il Condominio della necessità di eseguire urgentemente i lavori all'interno del suo appartamento, tanto che la stessa assemblea aveva deliberato di “provvedere subito” alla loro realizzazione; nella perdurante inerzia della gestione condominiale, risultava, quindi, giustificata l'iniziativa intrapresa dal condomino con l'affidamento dei lavori ad un'impresa. In prosieguo, la sentenza impugnata aveva, tuttavia, escluso la natura condominiale del vespaio oggetto dell'intervento manutentivo, giacché il solaio afferente al piano terreno e costruito a livello della superficie di campagna aveva solo funzione di sostegno e non copriva alcun locale sottostante. Sul punto, la Corte territoriale ha richiamato l'espletata CTU, secondo la quale l'edificio oggetto di causa “è una struttura antica e, all'epoca, le modalità costruttive erano quelle di spiccare le fondazioni direttamente sulla sabbia e i pavimenti erano costruiti, con un interposto di strati di inerti (vespaio), direttamente sulla medesima sabbia”; sempre secondo l'elaborato peritale, tale “vespaio non è una platea di fondazione e non è una parte comune dell'edificio” - è, infatti, solo un'opera, corretta e necessaria, a vantaggio esclusivo dell'appartamento di cui trattasi - e, ancora, “l'opera, a pavimento, è stata semplicemente sostitutiva di un vecchio vespaio, sul quale l'impermeabilizzazione o era mancante o non assolveva più al compito cui era destinata e la problematica lamentata dall'attore (allagamenti) non ebbe quindi a scaturire da parti comuni, ma semplicemente dal cattivo funzionamento della impermeabilizzazione del vespaio”. Ritenuti gli errori della sentenza di primo grado quanto al supposto carattere condominiale del vespaio e quanto alla “non contestazione” dell'importo dei lavori, il giudice distrettuale aveva, pertanto, riconosciuto il diritto dell'attore al rimborso delle sole spese sostenute per l'eliminazione delle infiltrazioni provenienti dai muri perimetrali dell'edificio, stimate, appunto, nel ridotto importo di € 9.010,00. Il condomino, originariamente attore, proponeva quindi ricorso per cassazione. La questione Posto che la causa aveva ad oggetto soltanto la pretesa di rimborso avanzata dall'attore, ai sensi dell'art. 1134 c.c., nei confronti del Condominio in relazione alle spese sostenute per l'esecuzione di lavori di manutenzione imputabili al cattivo funzionamento delle tubazioni fognarie condominiali e alla presenza di una falda acquifera sotto il fabbricato, si trattava di verificare se le porzioni dell'edificio interessate da tali lavori, e segnatamente il c.d. vespaio, fossero o meno di proprietà comune. Le soluzioni giuridiche I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondate le doglianze del ricorrente. Innanzitutto, risultavano del tutto estranee alla materia del contendere le questioni circa la “provenienza” delle infiltrazioni e la “responsabilità” del Condominio, quale custode dei beni e dei servizi comuni ex art. 2051 c.c., per “danni” cagionati a porzione di proprietà esclusiva; parimenti, non era oggetto del sindacato la questione che quella oggetto di causa fosse, o meno, una “spesa urgente” agli effetti dell'art. 1134 c.c. (secondo il testo previgente alla modifica operata con la l. n. 220/2012). Vertendosi nell'ambito di un condominio edilizio, si applica l'art. 1134 c.c., il quale, a differenza dell'art. 1110 c.c., che opera in materia di comunione ordinaria, regola il rimborso delle spese di gestione delle parti comuni sostenute dal partecipante non alla mera trascuranza o tolleranza degli altri comunisti (per quanto, nella specie, di durata pluriennale), quanto al diverso e più stringente presupposto dell'urgenza, intendendo la legge trattare nel condominio con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nell'amministrazione dei beni in comproprietà. Ne discende che, instaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile soltanto nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art. 1134 c.c. (Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2006, n. 2046; cui adde Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2016, n. 18759). Tale requisito dell'urgenza - ad avviso degli ermellini - condiziona il diritto al rimborso del condomino gestore, il quale deve darne prova, e si spiega non soltanto come dimostrazione che le spese anticipate dal singolo fossero indispensabili per evitare un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune, ma altresì che le opere dovessero essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l'amministratore o gli altri condomini; nulla è, invece, dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (art. 1110 c.c.). Se l'assemblea, a fronte dell'urgenza dell'intervento conservativo delle cose comuni, non vi provvede o non raggiunge la necessaria maggioranza, o - come è avvenuto nel caso di specie - la delibera adottata non viene eseguita, il rimedio è dato dal ricorso all'autorità giudiziaria, come previsto dall'art. 1105, comma 4, c.c. (richiamato dall'art. 1139 c.c.), e non dall'iniziativa individuale di uno o più condomini che assumano la gestione delle parti condominiali degradate (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2018, n. 9280; Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2011, n. 21015). Il Condominio, nel proprio appello, dopo aver lamentato la carenza dell'urgenza - doglianza disattesa, però, dalla Corte territoriale - ha contestato la proprietà condominiale del vespaio coinvolto nell'intervento manutentivo realizzato ad iniziativa del condomino attore. Secondo il giudice di ultima istanza, è corretta l'applicazione dell'art. 1134 c.c. - nella formulazione vigente ratione temporis - fatta dalla Corte d'Appello: invero, l'art. 1134 c.c., prima della modifica operata con l. n. 220/2012, si riferiva alle “spese per le cose comuni”, cioè alle spese necessarie per la conservazione delle parti comuni, e non delle proprietà esclusive, non avendo altrimenti senso la precisazione “senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea”; in tal senso, è più chiaro il testo introdotto proprio dalla l. n. 220/2012, ove si parla di “condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni”. Con accertamento di fatto, che costituisce prerogativa dei giudici del merito e che è sindacabile per cassazione solo nei limiti dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., la sentenza impugnata ha escluso la natura condominiale del vespaio oggetto dell'intervento manutentivo, giacché il solaio afferente al piano terreno e costruito a livello della superficie di campagna direttamente sulla sabbia, con un interposto di strati di inerti, ha solo funzione di sostegno e non di copertura ed è posto a vantaggio esclusivo dell'appartamento dell'attore. D'altronde, in tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, risultante dall'art. 1117 c.c., non opera riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari. Secondo il ricorrente, del vespaio per cui è causa dovrebbe affermarsi la natura condominiale, avendo esso in ogni caso - sia se realizzato mediante intercapedine, sia se realizzato mediante riempimento - la funzione di preservare l'intero edificio dall'umidità che risale dal suolo sul quale esso poggia; si osserva che, altrimenti, risulterebbe difficile distinguere la natura giuridica del bene solo in relazione alle diverse tecniche di realizzazione di un'opera che, comunque, ha la medesima finalità funzionale: proteggere dalla risalita di umidità dal suolo comune. Di diverso avviso si mostra il Supremo Collegio, per il quale, al fine di stabilire se un vespaio, sottostante al pavimento del piano terra, indipendentemente dalle modalità costruttive, costituisca uno spazio essenziale per l'esistenza dell'edificio condominiale o necessario all'uso comune, agli effetti dell'art. 1117 c.c., avendo la funzione di isolare e proteggere l'intero fabbricato dall'umidità, oppure dia luogo ad un manufatto posto al servizio esclusivo della unità immobiliare poggiante sul suolo comune, non ci si può basare semplicemente sull'interpretazione delle fattispecie astratte e generiche elencate nel citato articolo, esigendosi, piuttosto, una valutazione dello stato effettivo dei luoghi e dei rapporti intercorrenti fra le componenti condominiali. Tale concreta valutazione strutturale e funzionale è stata svolta dalla Corte d'Appello mediante apprezzamento di fatto che non è sovvertibile in sede di legittimità. Invero, l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto, e quindi anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse, ed il suolo su cui sorge l'edificio, oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 c.c. è non la superficie, a livello del piano di campagna, che viene scavata per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l'intero edificio, e, immediatamente, la parte infima dello stesso. Di conseguenza, anche per stabilire a chi spetti la proprietà di un locale dell'edificio condominiale, sottostante al piano terreno, deve farsi riferimento - non alle ordinarie norme poste dagli artt. 840 e 934 c.c., bensì - a quelle che regolano la proprietà condominiale, divisa per piani orizzontali, gradatamente accertandosi al predetto fine: a) se il titolo, esplicitamente o implicitamente, attribuisca a taluno la proprietà esclusiva; b) se, tacendo il titolo, la proprietà esclusiva possa riconoscersi ugualmente in quanto acquisita per usucapione; c) se, non potendo neanche accamparsi l'usucapione, il locale, per la sua struttura, non possa considerarsi tra le parti dell'edificio necessarie all'uso comune o tra le cose destinate ad un servizio o al godimento comune, e debba viceversa considerarsi destinato ad uso esclusivo (v., in particolare, Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1632: nella specie, era stata cassata la sentenza di merito che aveva omesso l'indagine su quest'ultimo punto in presenza di locali cui poteva accedersi soltanto attraverso due botole aperte sul pavimento del magazzino soprastante di proprietà esclusiva di un condomino). In conclusione, le spese fatte dal condomino attore per la manutenzione del vespaio, nei termini indicati, non costituivano “spese per le cose comuni” agli effetti dell'art. 1134 c.c. (vecchio testo). Osservazioni Dunque, un altro manufatto in ordine al quale è stata indagata la “condominialità”, da parte della giurisprudenza (di legittimità e di merito), è rappresentato dal “vespaio”, il quale costituisce quello strato di materiali vari posto al di sotto del pavimento annesso ai locali del piano terra ed avente funzione isolante. Dal punto di vista costruttivo, il vespaio può essere di tipo “normale”, cioè, costituito da uno strato di materiale isolante, non di rado apposito pietrisco, oppure “a camera d'aria”, vale a dire realizzato con due strati di muratura sovrapposti e distanziati a formare un'intercapedine vuota. La funzione svolta dal vespaio è chiaramente isolante, finalizzata a preservare il pavimento del piano terra dall'umidità che può provenire dal sottosuolo, e dalla funzione propria di tale manufatto discende anche la relativa titolarità, in ossequio ai principi innanzi richiamati. In quest'ottica, il Supremo Collegio ha avuto modo di precisare che il vespaio, consistente in riempimento calcareo “a nido d'ape” in terra di riporto, sottostante al pavimento del piano terra, che vi viene poggiato, non rientra nell'ambito del suolo comune a norma dell'art. 1117 c.c., bensì costituisce un manufatto ben distinto dalle fondazioni ed al servizio esclusivo dell'unità immobiliare al piano terreno e poggiante sul suolo comune (Cass. civ., sez. II, 7 giugno 1993, n. 6357, citata nella motivazione della sentenza in commento). Deve darsi conto, tuttavia, che da tale impostazione si è discostata una pronuncia di merito, la quale ha, invece, qualificato tale vespaio come bene condominiale, in forza di corrispondente utilità comune: in particolare, il magistrato siciliano (Trib. Palermo 14 febbraio 2001) l'ha ritenuto rientrante nella nozione di suolo comune, poiché si tratta di un manufatto che, realizzando un'intercapedine di isolamento tra il piano terra e quello di posa delle fondazioni, svolge una funzione di conservazione delle strutture portanti dell'intero edificio e, solo in via complementare, dà utilità anche al pavimento del piano terra, preservandolo dal danno causato dall'umidità proveniente dal suolo comune. A ben vedere, tuttavia, il contrasto è solo apparente, in quanto in entrambe le sentenze il giudicante non ha fatto altro che far discendere dall'accertamento della specifica funzione del vespaio la sua qualificazione in termini di titolarità; in altre parole, qualora si accerti che la funzione isolante del vespaio è svolta a favore di altre strutture comuni, il manufatto ha natura condominiale, mentre, nel caso in cui l'isolamento è prestato a strutture esclusive, il bene non può dirsi rientrante nel patrimonio del condominio, bensì in quello del singolo condomino che di tale utilità usufruisce. Ad ogni buon conto, appare decisiva la peculiare conformazione dello stato dei luoghi, sicché risulta condivisibile quanto statuito dai giudici del Palazzaccio (Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1984, n. 2206), ad avviso dei quali le modifiche apportate da un condomino al vano terraneo in sua proprietà esclusiva, sotto forma di consolidamento e rafforzamento del piano di calpestio con massicciata più profonda, e perfino con creazione di “camere isolanti”, in relazione alla struttura, funzione e destinazione di siffatto vano, sono, ai sensi dell'art. 1102 c.c., pienamente legittime, salvo che, determinando un abbassamento del livello di pavimentazione (per l'utilizzazione della maggior cubatura conseguente), diano luogo ad invasione del suolo comune; ai fini della relativa indagine, occorre accertare, in concreto, se tale suolo condominiale si identifichi con il piano di posa delle fondazioni dell'edificio, oppure il livello del piano comune sia più elevato rispetto a tale piano di posa per la struttura delle medesime, comportante la configurazione dello spessore del piano di calpestio come manufatto distinto dalle fondazioni e di proprietà esclusiva dei condomini dei piani terranei. Riferimenti Bordolli, Suolo e sottosuolo nel condominio, in Immob. & proprietà, 2017, 22; Avigliano, Utilizzo del sottosuolo condominiale, in Ventiquattrore avvocato, 2016, fasc. 11, 24; Monegat, Il sottosuolo dell'edificio è una parte comune e nessun condomino può appropriarsene, in Immob. & proprietà, 2016, 325; De Tilla, Sulla presunzione di comunione del sottosuolo, in Arch. loc. e cond., 2012, 177; Pironti, Escavazione nel sottosuolo comune per ampliamento di un vano esclusivo, in Immob. & proprietà, 2005, 136; Meo, Il regime condominiale del vespaio, in Rass. loc. e cond., 2002, 479; La Rocca, Il “vespaio” negli edifici condominiali: disciplina giuridica e carico delle spese, in Arch. loc. e cond., 1996, 167; Alvino, Utilizzazione del suolo comune da parte dei singoli condomini, in Giust. civ., 1983, I, 1420. |