Prove assunte nel processo penale ed autonomia decisionale del giudice civile
22 Maggio 2025
Massima Le prove assunte in un precedente processo penale, anche tra parti diverse, e le sentenze ivi pronunciate, prive di formale efficacia di giudicato ex artt. 651 e 652 c.p.p. nel giudizio civile di danno, ivi ritualmente prodotte, quali prove precostituite, nel contraddittorio tra le parti - che oltre alla ritualità della produzione possono contestare i fatti accertati in sede penale - sono liberamente valutabili, in quanto prove atipiche, ai fini dell'accertamento dell'illecito civile dal giudice che, potendo scegliere le prove ritenute più idonee a dimostrare la verità dei fatti, può anche escludere la concreta inferenza probatoria di taluna di esse (nella specie la sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto). Il caso A seguito del decesso di un lavoratore, il giudice civile condannava il datore di lavoro e la società committente al risarcimento dei danni subiti iure proprio e iure hereditario dai familiari della vittima. A seguito dell'incidente, era stato iniziato un procedimento penale, per il reato di cooperazione in omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, nei confronti dei soggetti coinvolti che si era concluso con sentenze di proscioglimento e di assoluzione per non aver commesso il fatto. Il giudice civile aveva posto a fondamento del giudizio di responsabilità dell'impresa appaltante e di quelle esecutrici, le sentenze pronunciate all'esito dei procedimenti penali, valorizzando la prova per testi espletata nel corso del relativo dibattimento e la perizia effettuata in sede di incidente probatorio. Proposto ricorso in Cassazione, si lamentava che il giudice civile aveva tratto argomenti per fondare il giudizio di responsabilità da una sentenza rispetto alla quale il ricorrente era rimasto estraneo al giudizio penale. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, sul rilievo che, salva l'applicazione dell'art. 652 c.p.p., il giudice civile può apprezzare liberamente le risultanze istruttorie, anche di carattere atipico, sicché, nel tener conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, può rivalutare i fatti in contestazione, in funzione dell'apprezzamento della sussistenza, degli elementi costitutivi dell'illecito civile e della individuazione dei corrispondenti criteri di imputazione della responsabilità civile. La questione La questione in esame è la seguente: il giudice civile può liberamente valutare le prove raccolte nel processo penale? Le soluzioni giuridiche Con la pronuncia in commento, la Corte di cassazione si conforma pienamente ai principi che regolano il nuovo codice di procedura penale, a mente dei quali l'accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a produrre conseguenze civili può e deve essere compiuta dal giudice civile liberamente ed in modo del tutto svincolato dal parallelo processo penale. Il venir meno del c. d. principio dell'unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile (con l'unico limite rappresentato dagli artt. 651 e ss. c.p.p.) implica che il giudice civile debba procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità dedotti nel giudizio civile. Pertanto, il giudice civile ben può utilizzare - in mancanza di qualsiasi divieto di legge e in ossequio al principio dell'atipicità delle prove - come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa civile, e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall'interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale, e purché la valutazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova. In particolare, è stato altresì precisato che il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale è stato definito ai sensi dell'art. 444 c.p.p., potendo la parte, del resto, contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Cass. civ., sez. lav., 6 agosto 2018, n. 20562; Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2013, n. 2168/2013; Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 2017, n. 1593; Cass. civ., sez. lav., 2 marzo 2017, n. 5317). Il giudice della nomofilachia ha già avuto modo di affermare che solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima) pronunziata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile (o amministrativo) per le restituzioni ed il risarcimento del danno, e non anche le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia, cui non va riconosciuta alcuna efficacia extrapenale benché, per giungere a tale conclusione, il giudice abbia accertato e valutato il fatto (Cass. civ., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1768; Cass. civ., sez. II, 25 settembre 2014, n. 20252). Si è altresì precisato che, al fine di delineare l'ambito di operatività della sentenza penale e la sua idoneità a provocare gli effetti preclusivi di cui agli artt. 652, 653 e 654 c.p.p., nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa deve risultare provato, e il giudicato di assoluzione è idoneo a produrre effetti preclusivi (quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso) nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo, specifico e concreto accertamento circa l'insussistenza del fatto o l'impossibilità di attribuire questo all'imputato, e non anche quando l'assoluzione sia determinata dall'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato. Sotto il profilo soggettivo, è altresì necessario che vi sia coincidenza delle parti tra il giudizio penale e quello civile, e cioè che non soltanto l'imputato ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale (Cass. civ., sez. III, 20 settembre 2006, n. 20325). Ben può allora il giudice civile, investito della domanda di risarcimento del danno da reato, utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata, e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede all'esito del relativo diretto esame, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere ad una autonoma valutazione, con pienezza di cognizione, al fine di accertare i fatti materiali in base al relativo proprio vaglio critico (Cass. civ., sez. VI, 17 novembre 2015, n. 23516; Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15112; Cass. civ., sez. II, 25 marzo 2005, n. 6478), ivi ricompreso il profilo del nesso di causalità, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale (Cass. civ., sez. III, 21 aprile 2016, n. 8035). Ne consegue che a tale stregua può invero pervenire all'affermazione della civile responsabilità pur nell'insussistenza di quella penale, ovvero ad un riparto delle responsabilità diverso da quello stabilito dal giudice penale (Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2018, n. 25365). Pertanto, il giudice civile nella domanda di risarcimento del danno da reato può arrivare all'affermazione della responsabilità civile pur nell'insussistenza di quella penale. Ovviamente, ai fini della prova dei fatti accertati, le sentenze rese da un'autorità giudiziaria diversa dal giudice penale, ancorché definitive, non vincolano quest'ultimo ed una volta acquisite agli atti del dibattimento sono liberamente valutabili ai fini della decisione (Cass. civ., sez. lav. 1° dicembre 2008, n. 28529; Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2013, n. 14042; Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2011, n. 10210). Siffatto approdo interpretativo risulta assolutamente conforme alla previsione normativa, che, come si evince dal combinato disposto dell'art. 2, comma 1, c.p.p. e art. 3, comma 4, c.p.p. attribuisce al giudice penale una cognizione esclusiva su ogni questione di fatto e di diritto da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito, attribuendosi solo alle decisioni irrevocabili del giudice civile in materia di stato di famiglia e di cittadinanza efficacia di giudicato nel procedimento penale. L'utilizzo delle sentenze irrevocabili, acquisite ai fini della prova dei fatti in esse accertati ex art. 238-bis c.p.p., riguarda esclusivamente quelle rese in altro procedimento penale e non anche quelle rese in un procedimento civile, adottando i due ordinamenti processuali criteri asimmetrici nella valutazione della prova; pertanto le sentenze di un giudice diverso da quello penale, pur se definitive, non vincolano quest'ultimo, ma, una volta acquisite, sono dal medesimo liberamente valutabili. Osservazioni La sentenza penale irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste implica che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa sia stato provato ed, entro questi limiti, esplica efficacia di giudicato nel giudizio civile, sempreché la parte nei cui confronti l'imputato intende farla valere si sia costituita, quale parte civile, nel processo penale, dovendosi far riferimento, per delineare l'ambito di operatività della sentenza penale e la sua idoneità a provocare gli effetti preclusivi di cui agli artt. 652, 653 e 654 c.p.p. non solo al dispositivo, ma anche alla motivazione (Cass. civ., sez. II, 25 settembre 2014, n. 20252). Al riguardo il giudice della nomofilachia ha affermato, risolvendo un contrasto giurisprudenziale esistente, la disposizione di cui all'art. 652 c.p.p., così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 c.p.p., costituisce un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti (Cass. civ., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1768). La Suprema Corte ha pure precisato che «l'assoluzione dell'incolpato nel giudizio penale con la formula "il fatto non sussiste" non esonera il giudice civile, davanti al quale sia stata proposta l'azione per il risarcimento dei danni, dal riesame dei fatti emersi nel procedimento penale ai fini propri del giudizio civile, quando il titolo della responsabilità civile sia diverso da quello della responsabilità penale» (Cass. n. 24862/2010). L'evidente impostazione sistemica di autonomia tra il giudizio penale e il giudizio civile con conseguente dismissione del concetto di unità di giurisdizione e della prevalenza della giurisdizione penale sulla giurisdizione civile, in assenza della regola come quella dell'art. 3, comma 2, del previgente codice, deve considerarsi uno dei tratti più caratterizzanti della riforma operata mediante il vigente codice di rito penale. Sicché, alla luce del principio di autonomia e separazione tra il giudizio civile e quello penale, in presenza di una domanda risarcimento del danno derivante da un reato già oggetto di accertamento in un giudizio penale, il giudice civile può procedere ad una valutazione del quadro probatorio con criteri meno restrittivi rispetto a quelli utilizzati nel giudizio penale, giungendo in questo a modo ad un approdo diverso rispetto a quello cui era pervenuta la sentenza penale. L'assenza di una norma di chiusura nel senso dell'indicazione del numerus clausus delle prove, l'oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di produzione documentale, l'affermazione del diritto alla prova ed il correlativo principio del libero convincimento del giudice, inducono ad escludere che l'elencazione delle prove nel processo civile sia tassativa e a ritenere quindi ammissibili le prove atipiche. Dagli artt. 652 e 654 c.p.p. si evince che il discrimen tra efficacia vincolante dell'accertamento dei fatti materiali in sede penale e libera valutazione degli stessi in sede civile è costituito dall'apprezzamento della rilevanza in detta sede degli stessi fatti, essendo ipotizzabile che essi, pur rivelatisi non decisivi per la configurazione del reato contestato, conservino rilievo ai fini del rapporto dedotto innanzi al giudice civile, con la conseguenza che dall'assoluzione dalla penale responsabilità non discende in tal caso l'automatica conseguenza della preclusione alla cognizione della domanda da parte di detto giudice. Ad abundantiam, si nota che l'autonomia della giurisdizione civile rispetto alla giurisdizione penale al di fuori delle ipotesi disciplinate dagli artt. 651, 652 e 654 c.p.p., non giustifica, però, un'assoluta omissione di vaglio da parte del giudice civile di merito delle argomentazioni difensive che una parte prospetti deducendole da prove effettuate in sede penale o dalla motivazione di sentenze penali attinenti - pur senza valore di giudicato - alla stessa vicenda posta come oggetto di cognizione del giudice civile (sull'utilizzabilità per la formazione del libero convincimento da parte del giudice civile di elementi attingibili da un giudizio penale pervenuto al giudicato: Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15112, laddove conferma che, nonostante l'autonomia suddetta, «il giudice civile può legittimamente utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata e fondare la decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo a tal fine a diretto esame del contenuto del materiale probatorio, ovvero ricavando tali elementi e circostanze dalla sentenza, o se necessario, dagli atti del relativo processo»). |