Accesso al concordato minore da parte dell’ex socio illimitatamente responsabile della società di persone cancellata dal R.I.
23 Maggio 2025
Massima Nell’ambito della categoria residuale prevista all’art. 2, comma 1, lett. c) rientra anche l’ex socio illimitatamente responsabile di una società di persone cancellata dal registro delle imprese da più di un anno che si trovi in stato di sovraindebitamento a causa dei debiti assunti dall’imprenditore sociale. Il caso Il provvedimento oggetto di esame si pone a valle di un reclamo promosso dinanzi alla Corte di Appello di Milano ed avente ad oggetto il decreto con il quale il giudice di primo grado (segnatamente, il Tribunale di Busto Arsizio) rigettava, dichiarandola inammissibile, la proposta di concordato minore ai fini dell'esdebitazione exartt. 74 ss. c.c.i.i., formulata dall'istante nella sua qualità di ex socio illimitatamente responsabile della s.n.c. (società cancellata dal registro delle imprese) con l'ausilio dell'OCC di Buscate, ai sensi dell'art. 76 c.c.i.i.. La posizione del tribunale prendeva le mosse da una stretta applicazione del dato normativo di cui all'art. 33, comma 4, c.c.i.i., che sancisce l'inammissibilità della domanda di accesso al concordato minore, preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese. L'applicabilità di tale disposizione a fattispecie equivalenti a quella oggetto del procedimento è stata invero sancita anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 26 luglio 2023, n. 22699), che estende l'inammissibilità alla proposta di concordato minore formulata dall'imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese (ai sensi dell'art. 33, comma 4, c.c.i.i.), in considerazione del fatto che tale disposizione non opera alcuna distinzione tra imprenditore individuale o collettivo. Orientamento, questo, che, a dire del ricorrente, non meriterebbe, invece, di essere seguito: secondo il ricorrente, la corretta interpretazione della disposizione avrebbe ad oggetto soltanto l'imprenditore, con ciò intendendosi dunque la s.n.c. cancellata dal registro delle imprese, quindi la sua applicabilità non potrebbe essere estesa anche all'ex socio illimitatamente responsabile come persona fisica. In effetti, nell'ambito della giurisprudenza di merito (Trib. Cagliari, 21 settembre 2023) si registrano pronunce volte ad escludere l'applicabilità della norma in discorso (id est l'accesso allo strumento del concordato minore) al socio illimitatamente responsabile di una società cancellata (non più assoggettabile a liquidazione giudiziale) per debiti nascenti dall'esercizio dell'impresa cessata. Ciò in quanto una tale opzione interpretativa equivarrebbe a “costringerlo” a seguire l'alternativa della liquidazione controllata, precludendogli la possibilità di accesso agli strumenti negoziali di regolazione della crisi - conclusione, questa, che, innanzitutto, è tutt'altro che in linea con il favor mostrato dal legislatore per gli strumenti di regolazione della crisi. Inoltre, essa mal si concilia con la direttiva (UE) 2019/1023, che profila la liquidazione controllata quale «strumento residuale di risoluzione della crisi d'impresa». Il reclamo proposto al giudice di appello è stato accolto e la proposta di concordato minore avanzata dal ricorrente è stata dichiarata ammissibile. La questione Profili processuali Un primo profilo meritevole di attenzione con riferimento al provvedimento della Corte di Appello oggetto della presente riflessione è quello strettamente processuale e, segnatamente, relativo all'utilizzabilità del rimedio impugnatorio del reclamo avverso il decreto con il quale il Tribunale dichiari l'inammissibilità della proposta di concordato preventivo. L'utilizzabilità dello strumento in discorso discende dall'applicabilità in via residuale delle norme in tema di concordato preventivo, giusta il richiamo delle disposizioni relative al concordato minore. Il riferimento è, in particolare, all'art. 74 del d.lgs. n. 14/2019, il cui quarto comma rinvia “per tutto quanto non previsto” alle norme di cui al capo III. Tra queste, l'art. 47, comma 5, in materia di concordato preventivo, prevede il reclamo alla Corte di appello avverso al decreto con il quale il Tribunale dichiara inammissibile la proposta di concordato preventivo all'esito del vaglio preliminare, richiamando l'applicabilità della procedura camerale di cui agli artt. 737 e 738 c.p.c. (l'applicabilità di tali disposizioni è espressamente prevista dalla norma in discorso, che sancisce la reclamabilità del decreto con il quale il Tribunale dichiara inammissibile la proposta di concordato preventivo dinanzi alla corte di appello entro trenta giorni dalla comunicazione: «la corte di appello, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato», attraverso l'applicazione degli artt. 737 ss. c.p.c.): nel delineare il procedimento di accesso al concordato preventivo, la norma in esame non detta invero regole procedurali specifiche, ragione per la quale essa è stata ricondotta, in dottrina, al rito sommario camerale (per tutti, Pagni, Del controllo del tribunale sulla proposta di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521 (e sui rapporti tra concordato e fallimento), in Corr. giur., 2013, n. 5, 633). Vale peraltro la pena ricordare come già nel vigore della previgente disciplinare la giurisprudenza di legittimità avesse escluso la natura cognitiva del procedimento: da prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 14/2019 essa non aveva mancato di evidenziare come il decreto con il quale il tribunale dichiara l'inammissibilità della proposta di concordato (nel vigore dell'art. 162, comma 2, l. fall.) ovvero revoca l'ammissione alla procedura di concordato, senza emettere consequenziale sentenza dichiarativa del fallimento (ora liquidazione giudiziale) del debitore, non è soggetto a ricorso per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., non avendo carattere decisorio (in dottrina non si è tuttavia mancato di rilevare come il decreto di inammissibilità, reclamabile non precluda la riproposizione della domanda che, tuttavia, è subordinata ad un mutamento delle circostanze, ergo sarebbe opportuno ammettere la esperibilità avverso ad esso del ricorso straordinario per cassazione. Cfr. De Santis, Le Sezioni Unite ed il giudizio di fattibilità sulla proposta di concordato, in Società, 2013, n. 4, 442 ss.), poiché, non decidendo nel contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi, non è idoneo al giudicato (Cass., sez. un., 27 dicembre 2016, n. 27043). Considerata la mancanza di una specifica disposizione in materia di concordato minore, il reclamo promosso è stato dunque dichiarato ammissibile, essendo stato correttamente esperito, anche con riferimento al decreto che dichiara l'inammissibilità della proposta di concordato minore, il mezzo del reclamo alla Corte di appello, utilizzabile per il concordato preventivo (cfr., sul punto, Corte d'appello di Firenze, 30 gennaio 2024). Aspetti sostanziali. Requisiti oggettivi di applicabilità del concordato minore Regolato dagli artt. 74 ss. c.c.i.i., non serve ricordare come il concordato minore rientri tra i nuovi strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento (cfr. Pellecchia, La definizione di sovraindebitamento nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: cosa resta e cosa cambia, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2019, 5, 1134 ss.), con ciò intendendosi lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell'imprenditore minore, dell'imprenditore agricolo, delle start-up innovative (di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale (già “fallimento”) ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza [art. 2, lett. c) c.c.i.i.]. In buona sostanza, tale strumento ha quali destinatari principalmente piccole imprese e prevede requisiti di accesso meno stringenti rispetto al concordato ordinario, consentendo all'azienda di evitare il dissesto irreversibile attraverso una ristrutturazione del debito. Il pilastro normativo sul quale si fonda la procedura del concordato minore è rappresentato dall'art. 74 c.c.i.i.: introdotta con l'obiettivo di fornire una soluzione rapida ed efficace alle situazioni di sovraindebitamento dei soggetti non fallibili, come professionisti e piccole imprese individuali, tale disposizione delinea i presupposti e le modalità per accedere a questa particolare forma di composizione della crisi. In particolare, la proposta di concordato minore deve prevedere il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti attraverso qualsiasi forma, nonché la eventuale suddivisione dei creditori in classi con indicazione dei criteri adottati; essa indica in modo specifico modalità e tempi di adempimento e può prevedere il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti attraverso qualsiasi forma, nonché la eventuale suddivisione dei creditori in classi. Salvo quanto si avrà modo di osservare a proposito della suddivisione dei creditori in classi, in via di prima approssimazione vale la pena ricordare come, se nell'impostazione originaria la legge n. 3/2012 prevedeva un accordo di composizione della crisi che sostanzialmente replicava quello previsto dall'art. 182-bis l. fall. (avente chiaramente natura negoziale), con le modifiche introdotte nel 2012 (ci si riferisce al d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre 2012 n. 221) il regime dell'accordo si è accostato a quello del concordato preventivo. Ciò emerge in particolare dal meccanismo di approvazione della proposta, al fine del quale è richiesta la maggioranza qualificata vincolante anche per i creditori dissenzienti, con conseguente effetto esdebitatorio anche nei confronti di questi ultimi. In particolare, sotto il profilo oggettivo, le condizioni per l'accesso all'istituto sono lo stato di sovraindebitamento, come sopra delineato oppure, in via residuale (fuori dei casi previsti da tale ipotesi), l'apporto di risorse esterne che incrementino in misura apprezzabile l'attivo disponibile al momento della presentazione della domanda. Ferma restando la generale libertà nella determinazione dei contenuti della proposta, tuttavia la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di sottolineare il dovere del giudice del merito di accertare la legittimità del giudizio di fattibilità della proposta di concordato, considerato che questo non può ritenersi “assorbito” dall'attestazione del professionista. Ai creditori resta invece comunque la valutazione intorno al merito di tale giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti (nello specifico, il controllo di legittimità del giudice avviene facendo applicazione “di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l'effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato; quest'ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”. Cfr. Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521). La ratio dell'istituto è invero quella di consentire al debitore di proseguire la propria attività imprenditoriale o professionale; a tal fine, la proposta deve indicare in modo specifico i tempi e le modalità per superare la crisi (può essere previsto il soddisfacimento anche parziale dei crediti attraverso qualsiasi forma) - quindi il soddisfacimento, anche in parte, dei crediti “attraverso qualsiasi forma”, ricorrendo, se del caso, alla suddivisione dei creditori in classi [sebbene sia stato affermato con riferimento al concordato preventivo, sembra possibile estendere anche al caso del concordato minore quanto sancito dalla giurisprudenza di legittimità a proposito della suddivisione in classi. Come chiarito dalla Cassazione, ove si intenda prevedere la suddivisione in classi, la proposta deve necessariamente conformarsi ai due criteri fissati dal legislatore nell'art. 160, comma 1, l. fall. quali, segnatamente, l'omogeneità delle posizioni giuridiche (che riguardano la natura del credito, le sue qualità intrinseche, il carattere chirografario o privilegiato, l'eventuale esistenza di contestazioni, ovvero la presenza o meno di garanzie prestate da terzi o di un titolo esecutivo) e degli interessi economici (riferiti alla fonte e alla tipologia socio-economica del credito, ovvero al peculiare tornaconto vantato dal suo titolare). Rientra tra i compiti del tribunale – con un accertamento in fatto che non è sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato – valutare congiuntamente i detti criteri al fine di verificare l'omogeneità dei crediti raggruppati, che non può essere affermata in termini di assoluta identità, essendo sufficiente la presenza di tratti principali comuni di importanza preponderante, che rendano di secondario rilievo quelli differenzianti, in modo da far apparire ragionevole una comune sorte satisfattiva per le singole posizioni costituite in classe. Cfr. Cass., 16 aprile 2018, n. 9378]. La suddivisione in classi, richiamata sulla falsariga della previsione di cui all'art. 85, comma 1 (ferma restando, di regola, la necessità di annoverare creditori in posizioni tra loro omogenee, la proposta può comunque prevedere un trattamento differenziato tra le classi; fermo restando il rispetto delle cause legittime di prelazione, tale eventualità, da un lato, rende evidente la natura relativa del principio della par condicio creditorum, dall'altro consente al debitore di strutturare la proposta in maniera tale da favorirne l'approvazione da parte dei creditori ), è obbligatoria solo per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi e deve essere in ogni caso effettuata sulla base di criteri (dei quali occorre dare conto all'interno della relazione) che consentano di ricondurre nella medesima classe creditori aventi posizione giuridica e interessi economici omogenei. Appare evidente come l'istituto sia finalizzato a fare in maniera tale che la proposta di soddisfacimento dei debiti da parte dell'imprenditore il quale acceda alla procedura in esame possa essere quanto più possibile “realizzabile”, tenuto conto delle effettive capacità dell'impresa e dello stato di dissesto nel quale versa. Sotto tale profilo, la norma recepisce le sollecitazioni provenienti a livello europeo, recependo, in particolare, quanto stabilito dall'art. 9, § 4 della direttiva UE 2019/1023, che invitava gli Stati membri ad adottare previsioni in base alle quali le parti interessate avrebbero dovute essere trattate in classi distinte che rispecchiano una sufficiente comunanza di interessi e che “come minimo, i creditori che vantano crediti garantiti e non garantiti sono trattati in classi distinte ai fini dell'adozione del piano di ristrutturazione”. D'altra parte, risulta chiaramente come la previsione della obbligatorietà della suddivisione in classi “solo” per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi [introdotta di recente dal d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136 che ha disposto, con l'art. 20, comma 1, lett. a), la modifica dell'art. 74, comma 2; con l'art. 20, comma 1, lett. b) la modifica dell'art. 74, comma 3], sia stata diretta a colmare una lacuna della disciplina introdotta dal Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza sul modello del concordato “maggiore” di cui all'art. 85, sia pure attribuendo rilievo al solo caso in cui i creditori siano titolari di garanzie esterne. Sotto tale profilo si è invero tenuto conto della tendenziale minore portata della situazione di crisi o di insolvenza dalla quale origina la procedura, sì da mantenere fermo l'obiettivo di riservare alla regolazione di queste crisi “minori” strumenti più semplici e snelli. Gli obiettivi perseguiti sono quelli di rendere effettivo il diritto dei creditori a valutare la convenienza della proposta disponendo di informazioni adeguate e di garantire la trasparenza del meccanismo di formazione della maggioranza. Ambito soggettivo di applicazione: il caso dell'ex socio illimitatamente responsabile come ipotesi altra rispetto a quella dell'imprenditore cancellato dal registro delle imprese Ciò chiarito sotto il profilo oggettivo e strettamente funzionale dell'istituto, la questione oggetto di esame nella vicenda dalla quale origina la decisione in commento ha a che fare soprattutto con l'ambito soggettivo di applicazione dello strumento del concordato minore (per tali aspetti si veda, in dottrina, tra gli altri, Jorio, La Riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, in Il diritto fallimentare e delle Società commerciali, 2019, 2, 283; Fabiani, Il codice della crisi e dell'insolvenza tra definizioni, principi generali e qualche riflessione, in Foro.it, 2019, 1, 162). Al riguardo, mette anzitutto conto evidenziare come, sotto tale punto di vista, l'istituto non abbia subito modifiche di sorta anche alla luce dell'ultimo correttivo al c.c.i.i. (correttivo-ter). Resta dunque ferma la possibilità di accedere a tale strumento soltanto per i debitori in stato di sovraindebitamento, escluso il consumatore, quando l'accesso al concordato minore consenta di proseguire l'attività imprenditoriale o professionale. Fuori da tali ipotesi, il concordato minore può essere proposto esclusivamente quando è previsto l'apporto di risorse esterne che incrementino in misura apprezzabile l'attivo disponibile al momento della presentazione della domanda. Ora, la norma rimanda più specificamente ai debitori di cui «all'articolo 2, comma 1, lett. c)» del relativo codice, tra i quali figura, oltre al consumatore, al professionista, all'imprenditore minore, all'imprenditore agricolo e alle start-up innovative, anche la categoria residuale di “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”. Con tale disposizione, il d.lgs. n. 14/2019 ha di fatto conservato la nozione di sovraindebitamento già in uso sulla scorta della legge n. 3/2012 [nella relazione illustrativa alla disposizione prefata è infatti spiegato che “la nozione di sovraindebitamento, ormai invalsa nell'uso comune (anche a livello del diritto Euro-unitario), sia perché essa include tanto lo stato di crisi quanto quello di insolvenza, sia per evitare confusioni terminologiche sul piano penale, volendosi distinguere chiaramente la posizione dell'imprenditore insolvente, assoggettabile alla liquidazione giudiziale e quindi alle fattispecie delittuose di bancarotta, da quella dell'imprenditore sovraindebitato, assoggettabile alla liquidazione controllata, il quale invece non risponde di quei reati, in quanto titolare di un'impresa agricola o di un'impresa minore”], cionondimeno, diversamente da questa, non ha offerto del sovraindebitamento una definizione autonoma, rinviando piuttosto alle nozioni di insolvenza e di crisi di cui alle lett. a) e b) del medesimo art. 2. Con riferimento al caso di specie, si tratta, dunque, di accertare se tra i soggetti indicati dalla disposizione in questione possa rientrare anche l'ex socio illimitatamente responsabile di una società di persone cancellata dal registro delle imprese. La soluzione affermativa sembra imposta alla luce del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lett. c), e 33, comma 4: la prima delle due disposizioni consente l'accesso al concordato minore, secondo un criterio di tipo residuale, tra gli altri, ai debitori non assoggettabili alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza; a tale previsione fa da pendant l'art. 33 prefato. Tale ultima disposizione - ispirata dal fine di risolvere la questione sviluppatasi sotto il vigore della normativa precedente, ossia quella delle domande di concordato proposte a scopo dilatorio, al fine di far scadere il termine annuale dalla cancellazione dal registro delle imprese ed evitare il fallimento [su tali argomenti sembra utile rimandare, tra le altre, alle riflessioni (benché antecedenti al d.lgs.n. 14/2019) di Cordopatri, Fallimento di società “estinta” e legittimazione processuale, in ilfallimentarista.it, 10 marzo 2014; De Crescenzio, Decorrenza del termine dell'anno e registrazione nel registro delle imprese, in Fall. 2003, 17 ss.; De Santis, Il Processo per la dichiarazione di fallimento, Padova, 2007, 74; Fabiani, Un chiarimento sui rapporti fra procedimento per dichiarazione di fallimento e per l'ammissione al concordato, in Fallimento, 2014, 650; Longo, Sub art. 10, in Aa.Vv., Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio-Fabiani, I, Bologna, 2006, 263 ss.; Longo, Gli effetti processuali della cancellazione dal registro delle imprese, in Riv. dir. proc., 2013, 912 ss.] - sanziona con l'inammissibilità la domanda per l'accesso alla procedura di concordato minore e agli altri strumenti di regolazione della crisi presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese. Il tenore della disposizione mal si presta ad una sua interpretazione analogica, che induce ad escluderne l'applicabilità ad ipotesi diverse dal caso del socio illimitatamente responsabile di impresa cancellata: una conferma in tal senso proviene, del resto, dalla giurisprudenza di legittimità, che, in occasione di un rinvio pregiudiziale promosso ai sensi del nuovo art. 363-bis c.p.c., promosso dalla Corte d'appello di Firenze, ha escluso l'applicabilità analogica della disposizione in esame al caso (non dell'ex socio illimitatamente responsabile, ma) di un “ex imprenditore” cancellato dal registro delle imprese [ribadendo il principio già sancito con decisione del 20 febbraio 2020, n. 4329 e, prima ancora, 20 ottobre 2015, n. 4329, la Cassazione, escludendo il carattere di “novità” della questione trattata (che ha determinato l'inammissibilità del rinvio ex art. 363-bisc.p.a. sollevato), ha infatti osservato come il combinato disposto degli artt. 2495, c.c., e 10 l. fall. impedisca al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese (di cui sia chiesto dichiararsi la liquidazione giudiziale entro l'anno dalla cancellazione), di accedere al concordato preventivo, stante la finalità non solo liquidatoria ma volta alla risoluzione della crisi d'impresa di quella procedura, con conseguente inammissibilità dell'istanza eventualmente presentata]. La soluzione della Corte La decisione di merito oggetto della presente riflessione non disattende, ma anzi sviluppa, il solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità. Si consideri, infatti, che a sostegno della propria decisione il giudice di primo grado aveva richiamato la decisione appena ricordata emanata dalla Corte sul rinvio pregiudiziale. Come rilevato dalla Corte di appello, però, la pronuncia richiamata dal giudice del merito aveva ad oggetto un caso diverso, ossia la possibilità di applicare il combinato degli artt. 2, lett. c), 74 e 33, comma 4, c.c.i.i. ad un ex imprenditore (il che è ragionevolmente da escludersi), mentre il caso di specie aveva ad oggetto la figura di un ex socio illimitatamente responsabile della società di persone cancellata dal registro delle imprese. In tale prospettiva, esclusa quindi l'applicabilità dell'art. 33, comma 4, a soggetti diversi dall'imprenditore, sia collettivo, sia individuale, e rientrando, il socio illimitatamente responsabile di una s.n.c. cancellata dal registro delle imprese, come tale non più soggetta a liquidazione giudiziale, nella categoria residuale prevista dall'art. 2, comma 1, lett. c) richiamata dall'art. 74 c.c.i.i., ovvero in quella di “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale”, ne deriva l'ammissibilità da parte dell'ex socio della “proposta di concordato minore ai creditori della s.n.c. cancellata in relazione ai debiti” dei quali l'ex socio stesso “risponde personalmente in qualità socio illimitatamente responsabile”. Sulla base di tali premesse, il giudice di appello ha, dunque, dichiarato l'ammissibilità e la fondatezza dell'impugnazione, stante la riconducibilità dell'ex socio illimitatamente responsabile (quale era il ricorrente nel caso oggetto di esame) tra i debitori elencati in via residuale dall'art. 2, comma 1, lett. c) c.c.i.i., alla luce del fatto che, come noto, una volta trascorso un anno dalla cancellazione della società (nella specie, in nome collettivo) dal registro delle imprese, il socio illimitatamente responsabile non è assoggettabile, per estensione, a liquidazione giudiziale. È stata dunque disattesa l'opinione del Tribunale, secondo il quale l'art. 33, comma 4, che preclude all' “imprenditore cancellato dal registro delle imprese” l'accesso alla procedura di concordato minore e agli altri strumenti di regolazione della crisi, non avrebbe potuto ritenersi norma applicabile al socio illimitatamente responsabile, che risponde dei debiti sociali in quanto tale. La tesi sostenuta dal tribunale faceva invero leva su di un assunto errato, ossia prendeva le mosse dalla statuizione della giurisprudenza di legittimità che, però, come ricordato, aveva ad oggetto un'ipotesi diversa, ossia quella dell'ex imprenditore cancellato dal registro delle imprese che è “altra” rispetto a quella dell'ex socio illimitatamente responsabile della società cancellata dal registro delle imprese, il quale rientra evidentemente in quella categoria residuale individuata dall'art. 2, comma 1, lett. c). Osservazioni La soluzione alla quale perviene la Corte di Appello nella vicenda in esame merita di essere condivisa. Appare chiaramente come la vicenda fosse di fatto fondata sulla corretta interpretazione da offrire con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2, comma 1, lett. c) c.c.i.i., nel momento in cui annovera tra i soggetti in stato di sovraindebitamento ammessi a presentare domanda per l'accesso agli strumenti di composizione della crisi, tra gli altri, «ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza». In poche battute, la pronuncia ha fondato la propria decisione su di una interpretazione letterale, cionondimeno “di sistema”, delle disposizioni che vengono in considerazione in materia di accesso al concordato minore, segnatamente sotto il profilo dei requisiti soggettivi di applicazione. Fermo restando quando stabilito in proposito dalla giurisprudenza di legittimità, che se, da un lato, esclude l'applicazione analogica del disposto cui agli art. 2 lett. c) e 33, comma 4, c.c.i.i., dall'altro ne consente una estensione ai soggetti che ragionevolmente possono rientrare nella categoria residuale di coloro i quali sono ammessi a presentare domanda di accesso al concordato, così come individuata dall'art. 2 predetto. In effetti, occorre tenere conto del fatto che la ratio degli istituti di composizione della crisi da sovraindebitamento, tra i quali rientra il concordato minore, è quella di consentire al debitore in stato di sovraindebitamento di accedere a delle procedure “conservative” dell'attività imprenditoriale, in luogo dell'accesso alla liquidazione giudiziale. Alla luce di questo, quindi, sembra il caso di ritenere che le ipotesi eccezionali, tese a restringere, come tali, il ricorso agli strumenti in discorso, debbano essere contenute entro limiti determinati, insuscettibili di interpretazione analogica, semmai estensiva, sempre secondo un criterio che tenga conto delle ragioni fondative degli strumenti in discorso. |