Rappresentanza reciproca: il singolo può agire a difesa dei diritti comuni e degli altri condomini

26 Maggio 2025

Con la sentenza in commento, affrontando una fattispecie complessa ma ribadendo il consueto inquadramento della figura del condominio nell'ente di gestione, la Cassazione ha statuito che, qualora il giudice di appello ritenga che sussistono i presupposti per l'estensione della domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni alle parti comuni del condominio proposta dai condomini - in ragione dell'appello proposto solo da alcuni condomini che abbiano devoluto la questione alla cognizione dello stesso giudice di appello - tale pronuncia non è affetta da extrapetizione se emessa nei confronti di tutti i condomini che si erano vista accolta in primo grado la domanda di risarcimento dei danni alle parti comuni.

Massima

Il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi componenti, i quali devono intendersi rappresentati dall'amministratore, per cui l'iniziativa di quest'ultimo, a tutela di un diritto comune, non priva i singoli condomini del potere di agire personalmente a difesa di tale diritto, nell'esercizio di una rappresentanza reciproca, che attribuisce a ciascuno una legittimazione sostitutiva, non potendo il singolo condomino tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere quelli degli altri condomini.

Il caso

La causa - giunta all'esame del Supremo Collegio - originava da una domanda proposta da alcuni condomini

nei confronti di una società; deducendo che, dopo l'acquisto dei loro appartamenti, a seguito del progressivo manifestarsi di gravi difetti, si era sospettato che i lavori di ristrutturazione non fossero stati realizzati a regola d'arte, gli attori avevano proposto ricorso per accertamento tecnico preventivo e, dal deposito della relazione peritale in quel procedimento, era emerso un quadro di gravissime carenze costruttive, tecniche e progettuali, con una stima dei costi di ripristino, per le sole parti condominiali, di € 530.650,00, sicchè veniva chiesta la condanna della suddetta società al risarcimento dei danni per le quote condominiali, nonché al risarcimento dei danni subiti alle proprietà esclusive.

La Società, costituendosi in giudizio, aveva dedotto di non avere provveduto alla ristrutturazione dello stabile ma solo alla vendita, in qualità di proprietaria di tutto il complesso, affidando l'intera opera ad altri soggetti, dei quali chiedeva l'autorizzazione alla chiamata in causa; la convenuta concludeva, quindi, per il rigetto della domanda attorea e, in caso di suo accoglimento anche parziale, la condanna dei terzi chiamati, ciascuno per le responsabilità rispettivamente accertate, a garantire e tenere indenne la società da ogni esborso che la stessa dovesse essere tenuta a sostenere, accertando la totale esclusiva responsabilità delle parti da essa chiamate in causa.

Integrato il contraddittorio con la chiamata in causa dei terzi indicati dalla società convenuta, gli attori avevano dichiarato di estendere la domanda nei confronti dei suddetti terzi.

Il Tribunale adito aveva dichiarato l'inammissibilità dell'estensione della domanda da parte degli attori nei confronti di alcuni dei chiamati in causa, in quanto tardivamente eseguita con la prima memoria ex art. 183 c.p.c.; nel merito, aveva considerato che gli smottamenti dovevano ascriversi ad errori sia nella fase progettuale che in quella esecutiva, per cui, ritenendo che l'azione esperita fosse quella di cui all'art. 1669 c.c. e che non fossero maturate decadenza e prescrizione, aveva quantificato l'importo dovuto agli attori in € 793.988,87 in proporzione delle rispettive quote millesimali, con l'aggiunta di € 7.534,23 in favore di alcuni degli attori, e, in sede di rivalsa, aveva ritenuto la responsabilità del progettista - in quanto la normale diligenza richiedeva l'imprescindibile acquisizione di tutti i dati geofisici necessari per adeguate soluzioni tecniche relative alle fondazioni - e della ditta appaltatrice.

Avverso la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, avevano proposto distinti appelli il progettista e la ditta appaltatrice, mentre alcuni dei condomini attori avevano proposto appello incidentale per avere il Tribunale erroneamente ritenuto inammissibile l'estensione della domanda attorea in quanto tardivamente formulata e per avere erroneamente qualificato la domanda svolta dalla convenuta nei confronti dei terzi chiamati.

La Corte d'Appello, sia pure riformando parzialmente la sentenza impugnata, aveva confermato - per quel qui rileva - la responsabilità della società convenuta e dei terzi chiamati in causa, per cui i soccombenti proponevano ricorso per cassazione.

La questione

Sul presupposto che il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, si trattava di verificare se l'amministratore rappresentasse in giudizio anche i singoli condomini oppure se questi ultimi potessero agire, in concorrenza con lo stesso amministratore, a difesa degli interessi comuni, con la conseguenza che gli stessi fossero legittimati ad impugnare anche personalmente un'eventuale sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettività condominiale ove non vi provveda l'amministratore stesso e potessero, in forza della rappresentanza reciproca, tutelare contemporaneamente anche gli altri partecipanti alla compagine condominiale.

Le soluzioni giuridiche

Nello specifico, i ricorrenti si erano lamentati del fatto che la Corte territoriale aveva accolto la domanda degli attori di primo grado nei loro confronti, evidenziando che solo alcuni degli attori in primo grado erano stati anche appellanti incidentali in grado di appello e, con il loro motivo di appello incidentale, avevano censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto inammissibile l'estensione della domanda attorea ai terzi chiamati in quanto tardivamente eseguita; in altri termini, si sosteneva che la sentenza impugnata, ritenendo fondato il motivo di gravame, erroneamente avesse pronunciato l'accoglimento della domanda nei confronti di tutti gli attori in primo grado, ossia anche nei confronti di quelli che non avevano proposto impugnazione e per i quali, quindi, la pronuncia di primo grado era passata in giudicato.

I ricorrenti evidenziavano, inoltre, che il principio dell'estensione automatica della domanda operasse qualora cui il giudizio verteva sull'individuazione del responsabile sulla base di un rapporto unico, mentre non operasse in caso di chiamata in garanzia impropria, come era nella fattispecie, in quanto la società costruttrice aveva chiamato i terzi per essere garantita, esercitando azione riconducibile a quella di rivalsa ex art. 1670 c.c., applicabile anche nel caso di cui all'art. 1669 c.c.

Tutti le suddette doglianze - esaminate unitariamente stante la stretta connessione - sono state ritenute infondate dai giudici di Piazza Cavour.

Invero, la sentenza impugnata ha sottolineato che gli appellanti incidentali avevano censurato la sentenza di primo grado per avere escluso l'estensione della domanda attorea nei confronti dei terzi chiamati perché tardivamente eseguita solo con la memoria, ma avevano anche lamentato che la sentenza di primo grado avesse erroneamente qualificato la domanda svolta dalla società convenuta nei confronti dei terzi chiamati come domanda di manleva e, conseguentemente, avesse escluso l'estensione automatica della domanda.

La stessa sentenza ha considerato che gli appellanti incidentali avevano sostenuto che, avendo la società convenuta chiesto che venisse accertata la totale esclusiva responsabilità dei chiamati in causa, il Tribunale avrebbe dovuto emettere sentenza di condanna nei confronti dei terzi chiamati, anche in assenza di specifica richiesta di parte attrice; ciò in quanto, nel caso della responsabilità ex art. 1669 c.c., si verte in ipotesi in cui l'azione del convenuto nei confronti del terzo è tesa all'accertamento del ruolo del terzo quale soggetto passivo, per cui la domanda originaria si estende automaticamente al terzo, trattandosi di individuare il responsabile nel quadro di un rapporto unico.

La sentenza impugnata ha accolto tale tesi, dichiarando che la convenuta aveva inteso individuare i terzi come responsabili del danno, indicandoli come i veri legittimati, e ciò aveva determinato l'estensione automatica della domanda nei confronti dei terzi chiamati dalla società, con la conseguenza che il giudice poteva direttamente emettere nei confronti dei terzi la pronuncia di condanna, anche se gli attori non l'avevano richiesta, senza incorrere nel vizio di extrapetizione, ed ha, altresì, dato atto che la stessa società, nella sua comparsa di costituzione e risposta con chiamata di terzo, aveva chiesto, per l'ipotesi di accoglimento della domanda attorea, la condanna dei terzi chiamati, individuandoli come responsabili dell'obbligazione da fatto illecito dedotta dagli attori, con estensione automatica della domanda nei loro confronti.

Osservazioni

La gravata pronuncia - ad avviso degli ermellini - si sottrae a tutte le critiche dei ricorrenti, in quanto ha applicato correttamente i principi elaborati dalla giurisprudenza di vertice in materia di estensione automatica della domanda ai terzi responsabili.

Invero, qualora il convenuto chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attore, la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario; invece, qualora la chiamata del terzo sia in garanzia, tale estensione automatica non si verifica, in ragione dell'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo (Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n. 516; Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2013, n. 5400; Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2006, n. 1522).

Inoltre, è già stato affermato il principio secondo il quale, in tema di responsabilità ex art. 1669 c.c. per rovina e gravi difetti dell'opera, la responsabilità extracontrattuale ivi prevista si applica non solo a carico del costruttore, ma anche a carico di coloro che abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase della progettazione, che in quella di direzione dell'esecuzione dell'opera, qualora la rovina o i difetti siano ricollegabili al fatto loro imputabile; in tale caso, la chiamata in causa del progettista e del direttore dei lavori da parte dell'appaltatore convenuto in giudizio, per rispondere ai sensi dell'art. 1669 c.c. dell'esistenza di gravi difetti dell'opera, effettuata non solo a fini di garanzia ma anche per rispondere della pretesa dell'attore, comporta che la domanda originaria, anche in mancanza di espressa istanza, si intenda automaticamente estesa al terzo, trattandosi di individuare il responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unico.

La sostanziale unitarietà del rapporto dedotto in causa implica che il giudice, senza incorrere nella violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, può accogliere quella pretesa nei confronti del chiamato, pur in difetto di un'espressa istanza in tal senso da parte dell'attore, avendo la chiamata del terzo proprio il compito di supplire al difetto di citazione in giudizio, ad opera dell'attore, del soggetto indicato dal convenuto come responsabile in sua vece e contro il quale dovrà emettersi la condanna (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8811; Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 2014, n. 632).

Nella fattispecie, la stessa sentenza impugnata aveva dato atto che la convenuta aveva sostenuto di avere soltanto venduto gli immobili e di non avere eseguito i lavori e, quindi, di non essere responsabile dei vizi lamentati, chiedendo la chiamata dei terzi anche perché fosse accertata la loro totale esclusiva responsabilità; infatti, come risulta dalla verifica del contenuto dell'atto, la Società aveva chiesto la condanna alla manleva, ma era evidente l'intento di negare di potere essere considerata, quale mera venditrice, portatrice di responsabilità ex art. 1669 c.c. che, secondo la sua tesi, doveva ricadere sui terzi di cui chiedeva la chiamata in causa e, in primo luogo, sulla ditta appaltatrice e sul progettista-direttore dei lavori.

Ciò valeva a qualificare l'atto, aldilà di qualsiasi formula adottata, in primo luogo, come chiamata del terzo responsabile e non come chiamata in garanzia impropria, dovendosi privilegiare l'effettiva volontà del chiamante in relazione alla finalità in concreto perseguita, di attribuire ai terzi la responsabilità della cattiva esecuzione delle opere.

Quindi - secondo il parere dei magistrati del Palazzaccio - esattamente la sentenza impugnata ha ritenuto che sussistessero i presupposti per l'estensione automatica della domanda proposta dagli attori nei confronti di tutti i soggetti terzi chiamati in causa dalla società convenuta.

A questo punto, non rilevava - e ciò maggiormente interessa la materia condominiale - che soltanto alcuni dei condomini attori avessero impugnato la statuizione della sentenza di primo grado, la quale aveva escluso l'estensione della domanda, per la considerazione che la pronuncia della Corte d'Appello, confermando quella di primo grado sul punto, ha avuto ad oggetto la condanna al risarcimento dei danni alle parti comuni del condominio.

Infatti, è acquisito dai giudici di legittimità che, in tema di condominio, vige il principio della “rappresentanza reciproca”, in forza del quale ciascun condomino può agire, anche in sede di impugnazione, a tutela dei diritti comuni nei confronti dei terzi, in quanto l'interesse per il quale agisce è comune a tutti i condomini (v., per tutte, Cass. civ., sez. II, 19 maggio 2003, n. 782; Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2001, n. 8842).

Stante la peculiare natura del condominio, “ente di gestione” sfornito di personalità distinta da quella dei suoi componenti, i quali devono intendersi rappresentati dall'amministratore, neppure l'iniziativa dello amministratore a tutela di un diritto comune dei condomini priva gli stessi del potere di agire personalmente a difesa di quel diritto nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca, atta ad attribuire a ciascuno una legittimazione sostitutiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non può tutelare il suo diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condomini (v., più di recente, Cass. civ., sez. VI/II, 19 novembre 2021, n. 35576, ed i precedenti ivi richiamati).

Quindi, il fatto che solo alcuni condomini avessero impugnato la pronuncia di primo grado relativa al risarcimento del danno alle parti comuni del condominio, chiedendo di individuare diversamente i soggetti responsabili, non ha potuto comportare quanto sostengono i ricorrenti, ossia che la pronuncia di primo grado fosse passata in giudicato nei confronti dei condomini non appellanti; ciò perché è stata devoluta al giudice di appello la cognizione in ordine all'individuazione dei soggetti responsabili del danno alle parti comuni, complessivamente determinato in primo grado nell'importo di Euro 793.988,87 e non oggetto di alcuna istanza di riduzione in appello in ragione dell'impugnazione proposta soltanto da alcuni condomini.

In quest'ordine di concetti, legittimamente la sentenza di appello, in quanto ha ritenuto che sussistessero i presupposti per l'estensione della domanda, ha pronunciato tale estensione nei confronti di tutti i condomini attori in primo grado, i quali avevano chiesto ed ottenuto il risarcimento del danno ai beni comuni.

La conclusione è confermata dalla considerazione che, in caso di estensione automatica della domanda al terzo, il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza incorrere nel vizio di extrapetizione (v., per tutte, Cass. civ., sez. III, 11 settembre 2018, n. 22050).

A ben vedere, la questione relativa alla legittimazione processuale dell'amministratore di condominio in rapporto agli altri condomini e quella relativa alla c.d. rappresentanza sostitutiva o reciproca non può dirsi definita in tutti i suoi risvolti applicativi (v., per tutte, Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2019, n. 10934, la quale ha considerato ammissibile il ricorso incidentale tardivo del condomino che, pur non avendo svolto difese nei precedenti gradi di merito, intendeva evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio senza risentire dell'analoga difesa già svolta dallo stesso).

In termini generali, i giudici di legittimità - come nella sentenza in commento - sono concordi nel ritenere che il condominio si configuri come un “ente di gestione” sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, sicché l'esistenza di un organo rappresentativo unitario, qual è l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all'edificio condominiale.

Pertanto, questi ultimi possono sia intervenire nei giudizi in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore, sia proporre i mezzi di impugnazione ammissibili per evitare gli effetti, a loro sfavorevoli, di sentenze pronunciate nei confronti del condominio.

Questa ricostruzione dei rapporti fra condominio e condomini implica, dunque, una forma di “rappresentanza processuale reciproca”, attributiva a ciascuno di una “legittimazione sostitutiva”, nascente dal fatto che ogni compartecipe non potrebbe tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l'analogo diritto degli altri.

In altri termini, il singolo condomino viene sempre considerato “parte” del giudizio anche se non costituito personalmente ma rappresentato dall'amministratore condominiale, e tale impostazione induce a ritenere ammissibile anche l'impugnazione da parte del singolo condomino della sentenza di condanna emessa nei confronti dell'intero condominio, senza alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti, né intervenienti in appello e senza che ciò determini il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di questi ultimi.

Tuttavia, su tale legittimazione reciproca, va registrato un contrasto nella stessa giurisprudenza sulla generale ed indistinta legittimazione di ciascun condomino ad impugnare una sentenza pronunciata nei confronti dell'amministratore.

Secondo un primo orientamento, nel condominio di edifici, il principio secondo cui l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti del condominio non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di deliberazioni della assemblea condominiale che, come quella relativa alla nomina dell'amministratore, perseguono finalità di gestione di un servizio comune e tendono ad soddisfare esigenze soltanto collettive, senza attinenza diretta all'interesse esclusivo di uno o più partecipanti; ne consegue che in tali controversie la legittimazione ad agire e, quindi, ad impugnare, spetta in via esclusiva all'amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2017, n. 29748; Cass. civ., sez. II, 21 settembre 2011, n. 19223).

Secondo un altro indirizzo, invece, nel giudizio di impugnazione della delibera dell'assemblea di condominio, il singolo condomino è legittimato ad impugnare la sentenza emessa nei confronti dell'amministratore e da questi non impugnata, anche qualora la delibera controversa persegua finalità di gestione di un servizio comune ed incida sull'interesse esclusivo del condomino soltanto in via mediata (Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 2017, n. 26557; Cass. civ., sez. II, 6 agosto 2015, n. 16562).

Riferimenti

Scarpa, L'impugnazione del singolo condomino avverso sentenza resa nei confronti del condominio, in Immob. & proprietà, 2016, fasc. 1, 6;

Campolattaro, Verso il riconoscimento della personalità giuridica del condominio, in Riv. notar., 2015, fasc. 4, 781;

Amagliani, La soggettività del condominio negli edifici, i ripensamenti del legislatore e le esigenze della prassi (a proposito della legittimazione a richiedere l'equa riparazione per la irragionevole durata del processo in cui è stato parte esclusivamente l'amministratore condominiale), in Dirittocivilecontemporaneo.com, ottobre/dicembre 2014;

Monegat, Azioni giudiziarie e legittimazione dell'amministratore, in Immob. & proprietà, 2008, 12;

Petrelli, L'amministratore di condominio e le novità introdotte dalla legge di riforma sul condominio n. 220 dell'11 dicembre 2012, in Giur. it., 2013, 7;

Cantarella, Brevi note in tema di legittimazione processuale dell'amministratore del condominio: particolarità dell'intervento del singolo condomino, in Rass. loc. e cond., 1998, 263;

Colonna, Uniti e divisi: il (particolare) rapporto tra amministratore e condomini, in Foro it., 1997, I, 1149;

De Tilla, Le azioni giudiziarie che il singolo condomino può proporre per la tutela del bene comune, in Rass. loc. e cond., 1994, 235.

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