Le misure protettive e cautelari atipiche secondo la giurisprudenza
26 Maggio 2025
Premessa Nessun processo di risanamento potrebbe fondatamente perseguirsi senza essere accompagnato da una rete di protezione diretta a preservare l'impresa, nel momento in cui rende pubbliche le proprie difficoltà, da aggressive azioni dei creditori idonee a trasformare crisi, gestibili con limitati sacrifici, in irreversibili insolvenze. Ben consapevole di ciò il legislatore della riforma concorsuale, che ha promosso con diverse misure l'emersione tempestiva della crisi ed il suo superamento attraverso il coinvolgimento diretto ed attivo dei creditori, ha messo a disposizione del debitore una serie di strumenti di tutela destinati a proteggere l'azienda durante la fase delle trattative tra cui, in primis, il divieto di acquisire diritti di prelazione ( se non concordati con il debitore) e di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e diritti sui quali viene esercitata l'attività di impresa. L'apparato protettivo si estende al divieto, imposto ai creditori dell'impresa in crisi, di rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti e di provocarne la risoluzione ovvero di anticiparne la scadenza o di introdurre modifiche riduttive dei diritti del debitore nonché al divieto di pronunciare sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Si tratta, a ben guardare, di misure che prevalentemente anticipano alla fase della composizione negoziata misure già ampiamente sperimentate negli strumenti di composizione della crisi e disciplinati dagli artt. 54 e 94-bis c.c.i.i. Tuttavia, l'apparato protettivo nella composizione negoziata è connotato da una duttilità maggiore, essendo consentito al debitore di conformare sulle proprie specifiche esigenze le misure a tutela dell'impresa durante le trattative, potendosi prevedere, tra l'altro, che esse siano limitate a solo talune iniziative dei creditori ovvero anche a taluni soli creditori o categorie di creditori, così rendendole applicabili, se ritenuto necessario, nei confronti di quei soggetti che manifestano maggiore resistenza verso le iniziative di risanamento. Anzi, l'adattabilità alle peculiari esigenze delle singole imprese coinvolte nel processo di risanamento costituisce la cifra caratteristica delle misure protettive e cautelari richiedibili nella composizione negoziata come emerge dai provvedimenti annotati e da altri ancora (per un esame dei rapporti tra misure protettive tipiche ed atipiche e quelle protettive e sui presupposti per la concessione di tali misure, da ultimo l'approfondita ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Cassazione ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c. del Tribunale di Brindisi 3 dicembre 2024, in dirittodellacrisi, peraltro dichiarata inammissibile da Cass., Prima Presidenza, 3 aprile 2025, n. 8794, ivi, con commento di L. Baccaglini e S. Leuzzi, Su natura, funzione e limiti delle misure protettive e cautelari nel sistema concorsuale - considerazioni a margine di un recente rinvio pregiudiziale e di altre ordinanze-, in dirittodellacrisi.it, 10 febbraio 2025). Sia l'ordinanza del Tribunale di Venezia sia quella del Tribunale di Crotone dispongono, in via cautelare, il divieto di segnalazione alla Centrale dei Rischi ed alla Centrale dei Rischi Interbancaria dell'interruzione dei pagamenti dei crediti bancari degli imprenditori che avevano fatto ricorso alla composizione negoziata, avendo considerato tale misura necessaria per non compromettere l'esito delle trattative ed il risanamento delle imprese istanti. Prima di affrontare direttamente la questione sottoposta all'esame dei Tribunali, occorre ricordare che le disposizioni del codice della crisi e dell'insolvenza, in tema di misure interinali, distinguono quelle protettive da quelle cautelari prevedendo in particolare, all'art. 18, che le misure protettive, chieste con l'istanza di nomina dell'esperto, siano di immediata applicazione a far tempo dal deposito dell'istanza fino alla conferma ( o modifica) da parte del Tribunale, mentre l'efficacia dei provvedimenti cautelari rimane subordinata all'effettiva emissione del provvedimento ai sensi dell'art. 19, comma 4 , c.c.i.i. Malgrado il codice della crisi, fin dalla prima versione, avesse distinto le misure protettive da quelle cautelari, l'importanza concreta della differenziazione è emersa soprattutto dopo l'emanazione del d.l. 24 agosto 2021, n. 118 convertito con la l. 21 ottobre 2021, n. 147 che ha previsto, come indicato, un diverso momento di efficacia. Orbene, le definizioni di misure protettive e cautelari presenti nel codice della crisi, così come anche recentemente modificate nell'ultimo correttivo, presentano delle indubitabili sovrapposizioni che rendono non facilmente distinguibili le une dalle altre. Infatti per l'art. 2 sono “misure protettive” quelle temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni o condotte dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza, anche prima dell'accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza; mentre sono “misure cautelari” quelle emesse dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell'impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonee ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative, gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e delle procedure di insolvenza e l'attuazione delle relative decisioni. Le definizioni generali trovano poi ulteriore specificazione, per la composizione negoziata, nell'art. 18 che valuta come protettive le misure previste dai commi 3 ( divieto di acquisizione di diritti di prelazione, divieto di inizio o di prosecuzione di azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l'attività d'impresa) e 5 ( divieto per i creditori anche bancari e finanziari, di rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore) e nell'art. 19 che attribuisce la natura di provvedimenti cautelari a quelli necessari per condurre a termine le trattative. Relativamente agli strumenti di definizione della crisi, l'art. 54 c.c.i.i. (nella versione introdotta dal Correttivo-ter) indica, nel comma 3, quali misure protettive, il divieto di inizio o di prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l'attività d'impresa e quelle, comunque, funzionali ad evitare che determinate azioni o condotte di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza. Lo stesso art. 54 attribuisce la natura di provvedimenti cautelari, concedibili anche dopo la pubblicazione dell'istanza per la composizione negoziata, alla nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio, nonché a tutte le misure che appaiano, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare provvisoriamente l'attuazione delle sentenze di omologazione di strumenti di regolazione della crisi e di apertura delle procedure di insolvenza. Insomma, risulta oggettivamente difficile distinguere in modo sicuro le misure protettive da quelle cautelari sulla base delle definizioni rinvenibili nell'intero codice. Tuttavia, dovendosi privilegiare, almeno nell'ambito della composizione negoziata, la distinzione ricavabile dalla disciplina specificamente dettata per essa, possono considerarsi protettive quelle dirette ad evitare che le iniziative dei (soli) creditori possano pregiudicare l'esito delle iniziative assunte dal debitore, mentre misure cautelari sono quelle che proteggono in generale il patrimonio e l'impresa del debitore affinché risulti inalterato il valore destinato a garantire al meglio gli effetti ed i risultati dell'ipotizzato programma di risanamento. V'è un'altra ragione che suggerisce di considerare la disciplina delle misure cautelari e protettive prevista dalle specifiche norme sulla composizione negoziata come autonoma rispetto a quella delle analoghe misure prevista in generale dalle altre norme del codice della crisi. La durata massima delle misure protettive è fissata dall'art. 8 in un anno, mentre nessun limite è fissato per la durata delle misure cautelari; ma per le misure protettive e cautelari previste nell'ambito della composizione negoziata il limite massimo è sempre indistintamente di 240 giorni come previsto dall'art. 19, comma 5, c.c.i.i. (che pone il limite di durata indifferentemente per tutte le misure che possono essere concesse dal giudice ai sensi dell'art. 19, comma 4, c.c.i.i.; per la possibilità di concedere anche nella composizione negoziata misure cautelari oltre il termine di 240 giorni, Trib. Imperia 20 febbraio 2024, in dirittodellacrisi.it, 4 marzo 2024, con nota adesiva di I. Pagni e L. Baccaglini, Misure cautelari e misure protettive nel Codice della crisi: una chiave di lettura per l'impiego anche combinato dei diversi strumenti di tutela; sullo stesso provvedimento, ma con una diversa posizione, F. Platania, Contenuto e proroga delle misure protettive e cautelari nella composizione negoziata anche alla luce del decreto correttivo, in Foro Padano, 2024, I, 293). Le misure protettive possono avere anche un contenuto atipico proprio perché il legislatore vuole lasciare al debitore la possibilità di modellare l'apparato protettivo sulla sua specifica posizione fin dal momento della presentazione dell'istanza. Non si può, quindi, condividere quanto sostenuto in dottrina, secondo cui le misure protettive, concesse durante la composizione negoziata, possano essere solo quelle tipiche (I. Pagni e L. Baccaglini, cit.; L. Baccaglini e S. Leuzzi, cit.) mentre solo le misure cautelari possono essere atipiche, in quanto ciò è escluso in modo piuttosto evidente dall'art. 18 che al primo comma dispone che l'imprenditore possa chiedere l'applicazione di generiche misure protettive senza alcuna espressa limitazione alle sole previste in via generale dallo stesso art. 18, commi 3, 4, 5 e 5-bis (come sarebbe dovuto essere se si fosse voluto effettivamente limitare le misure protettive a quelle tipiche). Del resto, non avrebbe nessuna logica escludere l'emissione di misure protettive atipiche nella sola composizione negoziata ed ammetterle, invece, nei procedimenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza come disposto dall'art. 54, comma 2, c.c.i.i., considerato che negare l'anticipazione degli effetti (sia pure fino alla conferma del giudice) di misure atipiche potrebbe fortemente pregiudicare la stessa finalità di apprestare immediatamente, come talvolta assolutamente necessario, un apparato di tutela effettivo, valutato che per l'emanazione del provvedimento divisato potrebbe occorrere un tempo ben superiore a trenta giorni, largamente sufficiente a consentire ai creditori di porre in essere azioni idonee a compromettere definitivamente un eventuale percorso di risanamento. Nella composizione negoziata, pertanto, l'imprenditore, già con l'istanza di nomina dell'esperto può temporaneamente predisporre un apparato protettivo a sua misura richiedendone la conferma successivamente. Però, per essere immediatamente efficaci in pendenza del procedimento di conferma (che deve essere richiesto entro il giorno successivo alla formulazione della domanda ma che può richiedere diversi giorni per essere confermato) occorre che i provvedimenti possano essere qualificati effettivamente come protettivi e non cautelari. Tuttavia, come già sottolineato, il confine è molto labile, come confermato dalla circostanza che taluni provvedimenti sono stati qualificati, in giurisprudenza, indifferentemente come misure cautelari o misure protettive. In giurisprudenza (Trib.Brindisi cit.) si è avanzata, inoltre, l'opinione secondo cui la conferma delle misure protettive e la concessione dei provvedimenti cautelari siano sottoposte a diversi presupposti, dovendosi applicare solo a questi ultimi i criteri della strumentalità, del periculum in mora e del fumus. Si ritiene più corretto, invece, considerare che la conferma o la concessione delle misure previste dagli artt. 18 e 19 c.c.i.i. sia collegata sempre soltanto alla valutazione di effettiva idoneità di tali strumenti a favorire una soluzione negoziata, permettendo al debitore di collaborare con tutti i creditori su un piano di leale ed effettiva parità senza dovere temere aggressioni del tutto intempestive o accondiscendendo a richieste che potrebbero alterare, a vantaggio solo di taluni, le misure di risanamento. Condivisibile è, pertanto, la decisione del Tribunale di Trapani (Trib. Trapani 11 marzo 2025, in dirittodellacrisi,10 aprile 2025), che ha ritenuto che il requisito del fumus boni iuris si ravvisi nella possibilità che la situazione di crisi e di insolvenza possa essere scongiurata all'esito delle trattative ed il periculum in mora, nel rischio che la mancata concessione delle misure richieste possa pregiudicare l'andamento ed il buon esito delle trattative e soprattutto il risanamento dell'impresa. Provvedimenti protettivi atipici L'art. 18 c.c.i.i. connette automaticamente alla presentazione dell'istanza di applicazione delle misure protettive il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive in danno del debitore sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l'impresa ma tale inibizione ovviamente non si estende ai garanti dei creditori che frequentemente, però, quali soci della società debitrice o soggetti prossimi al debitore, sono direttamente coinvolti, a vario titolo, nel risanamento dell'impresa. La stessa Direttiva UE 2019/1013 (considerando 32) lascia agli Stati la possibilità di estendere la sospensione delle azioni esecutive nei confronti dei garanti. L'azione esecutiva in danno di tali soggetti, soprattutto se si ipotizza un loro intervento finanziario a favore della società debitrice, potrebbe, infatti, pregiudicare definitivamente il percorso di risanamento con grave danno per tutti i creditori che non potessero vantare analoghe garanzie. Da qui l'esigenza di estendere, immediatamente, ai garanti la sospensione delle azioni esecutive applicabili al debitore. A tale conclusione è, infatti, giunto Trib. Verona,12 aprile 2024 (in ilcaso.It, 16 maggio 2024) che ha disposto, qualificandolo come misura protettiva, il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sia nei confronti della società debitrice sia nei confronti di un suo garante. Analoga posizione è stata assunta da Trib. Genova, 17 febbraio 2025 (in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 24 febbraio 2025) che, a conferma dell'indicata capacità dei provvedimenti emessi durante la composizione negoziata di svolgere anche un'indiretta funzione premiale, ha ritenuto accoglibile la richiesta di emissione di provvedimento cautelare avanzata dalla società debitrice volto ad inibire ai suoi creditori azioni esecutive nei confronti del solo garante che si era impegnato a finanziare ulteriormente la società nella fase di risanamento. Questo provvedimento era stato, altresì, accompagnato dall'ulteriore divieto per gli altri garanti (non ugualmente protetti dalle azioni dei creditori), di agire a loro volta verso il debitore per il recupero di quanto versato, considerato che non fosse nell'interesse del buon esito dell'iniziativa proteggere il patrimonio degli altri garanti che non avevano assunto impegni di finanziamento della società debitrice. Nel medesimo provvedimento era stato poi specificato che, in ogni caso, il divieto di azioni esecutive in danno dei garanti non fosse operativo in relazione alle garanzie prestate ai sensi dell'art. 30, comma 3, l. n. 99/2009 a favore del Gestore dei Mercati Energetici per l'adempimento delle prestazioni imposte alla società debitrice. Anche Trib. Milano, 10 febbraio 2025 seppure negandolo nella specie, ha ritenuto che fosse possibile estendere, con apposito provvedimento qualificato come cautelare, il divieto di azioni esecutive nei confronti di quei garanti che avessero assunto significativi ed apprezzabili impegni di intervento nel risanamento dell'impresa. Anche più recentemente Trib. Modena, 8 marzo 2025 ha ritenuto ammissibile l'emissione di un provvedimento inibitorio dell'escussione della garanzia prestata da un fideiussore, definendolo provvedimento cautelare avendo, persino, escluso la stessa possibilità di emettere misure protettive atipiche. Come emerge dai citati precedenti giurisprudenziali, v'è ampia convergenza sulla possibilità di emettere provvedimenti che estendono ai garanti, se effettivamente e concretamente coinvolti nel procedimento di risanamento, il divieto di azioni esecutive o cautelari, ma non è chiaro se tali provvedimenti debbano essere qualificati (com'è, però, rilevante per quanto in precedenza detto) come misure protettive ovvero cautelari. Ciò deriva, come già in precedenza sottolineato, dall'ambiguità delle definizioni accolte dal legislatore ancorché, sulla base della stessa formulazione dell'art. 18, comma 1, c.c.i.i., che inserisce il divieto di inizio o di prosecuzione delle azioni esecutive tra quelle protettive, e della definizione dell'art. 2, lett. p), dovrebbe essere più corretto (e più funzionale alle esigenze di tutela interinale protette dalla norma) far rientrare tale inibitoria atipica tra le misure protettive. Non può, però, escludersi che uno stesso provvedimento possa rientrare in entrambe le categorie a seconda della preminente finalità assegnata dal debitore, e, quindi, essere valutato come protettivo o come cautelare; in ogni caso, ancorché fosse considerato provvedimento protettivo, nulla potrebbe vietare al debitore di chiedere di posporre l'efficacia dell'inibitoria a favore dei garanti all'emissione di un eventuale provvedimento positivo, conformemente a quanto previsto dall'art. 18, comma 3, c.c.i.i. che permette al debitore di limitare la portata dei provvedimenti protettivi sia soggettivamente che oggettivamente e, quindi, anche posticipando l'efficacia ad un momento diverso da quello ipotizzato in via generale dal legislatore. Provvedimenti cautelari atipici Piuttosto rilevante è la richiesta di accertamento dei presupposti per il rilascio del DURC. Sulla questione si segnalano, innanzitutto, due opposti provvedimenti del Tribunale di Napoli. con il primo, 19 giugno 2024, il giudice ha negato la possibilità di interpretare estensivamente il D.M. 24 ottobre 2007, art. 5, comma 2, ed il D.M. 30 gennaio 2015, articolo 3, comma 2, non rientrando la composizione negoziata tra le procedure concorsuali alle quali solo sarebbe applicabile la disciplina del citato decreto ministeriale; con il secondo invece, del 10 settembre 2024 (in dirittodellacrisi.it), il giudice ha riconosciuto la sussistenza dei requisiti per il rilascio del certificato di regolarità contributiva, considerata estensivamente applicabile alla composizione negoziata l'indicata normativa. Sempre sullo stesso argomento è intervenuto anche il Tribunale di Milano, 24 gennaio 2025 (in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) – ilfallimentarista, 31 gennaio 2025) che ha accertato, in via cautelare, la sussistenza dei presupposti per il rilascio del DURC, giudicando altrimenti impossibile garantire la continuità aziendale. Bisogna osservare che i giudici non hanno deciso di emettere un provvedimento in sostituzione del DURC, ma piuttosto si sono limitati ad accertare la sussistenza dei presupposti per il suo rilascio, ritenendo sempre sussistente il divieto di emanzione di un atto amministrativo da parte del giudice ordinario. Condivisibile è, in questo caso, la qualificazione di provvedimento cautelare emergente dalle ordinanze, considerato che il DURC rappresenta soltanto uno strumento affinché l'impresa possa operare regolarmente, senza limitare le azioni aggressive dei creditori, come previsto per le misure protettive; conseguentemente il provvedimento avrà efficacia solo dopo la sua emanazione. Quanto alla durata dell'efficacia del provvedimento cautelare, occorre rammentare che esso risente necessariamente della circostanza che il DURC ha una validità di soli 120 giorni, scaduti i quali occorre procedere a nuova richiesta; tuttavia, il limite di 240 giorni per la durata massima dei provvedimenti protettivi e cautelari esclude che l'accertamento della sussistenza dei requisiti possa essere estesa oltre l'indicato limite. Ovviamente, in caso di accesso agli strumenti di composizione della crisi, possono trovare diretta applicazione le regole espressamente previste per le procedure concorsuali. Inibitoria di segnalazione alla Centrale dei Rischi Anche i provvedimenti in commento (cui si aggiunge Trib. Trapani 11 marzo 2025, cit.) che, come già indicato, inibiscono ai creditori finanziari di segnalare alla Centrale dei Rischi ed alle Centrale Rischi Interbancaria i mancati pagamenti, rappresentano esempi di misure cautelari atipiche, non inibendo alcuna iniziativa dei creditori ma limitandosi a proteggere la capacità di ricorrere al finanziamento altrimenti fortemente pregiudicata (anche in ragione delle regole di vigilanza prudenziale applicabile agli intermediari finanziari) per effetto della segnalazione di omessi rimborsi. Come è noto, nella Centrale dei Rischi, gestita dalla Banca d'Italia, confluiscono tutte le informazioni relative ai crediti e alle garanzie concessi ai clienti, alle garanzie ricevute dai propri clienti e ai finanziamenti o garanzie acquistati da altri intermediari qualora l'importo dell'operazione sia pari o superiore a 30.000 euro, mentre la soglia si abbassa a 250 euro se il debitore è qualificato in sofferenza (su cui in appresso). La finalità della Centrale dei Rischi è di migliorare il processo di valutazione del merito di credito fornendo dati storici sui comportamenti pregressi e attuali del debitore. La Centrale Rischi Interbancaria (Crif) è, invece, un data base privato, non pubblico, al quale possono accedere banche, finanziarie e commercianti che permettono pagamenti rateali, in cui vengono registrate tutte le attività creditizie collegate a prestiti, fidi e mutui, positivi e negativi anche soltanto richiesti. È regolamentata dal Codice in materia dei dati personali e dalle Disposizioni del Parlamento Europeo 629/2016 e del Consiglio Europeo 27 aprile 2016 con riferimento ai dati delle persone fisiche. Nell'ambito del Crif sono anche segnalati i creditori in sofferenza. Data la finalità delle banche dati, è del tutto evidente che il giudice deve valutare con particolare rigore la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento di inibitoria della segnalazione, per evitare che i finanziatori, ai quali viene chiesta la concessione del credito da parte dell'impresa in crisi, siano pregiudicati nella corretta valutazione del rischio. Nella decisione dovrebbe rivestire un ruolo importante la disposizione inserita con l'ultimo correttivo che ha chiarito che il divieto di rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore oppure revocare in tutto o in parte le linee di credito già concesse si applica anche alle banche ed agli intermediari finanziari, a meno che la sospensione e la revoca delle linee di credito non siano disposte per effetto dell'applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale. Nella sostanza, le esigenze di credito dovrebbero essere oramai sufficientemente tutelate dalle generali disposizioni dell'art. 18, che dovrebbero rendere del tutto eccezionale la richiesta di nuovi crediti (sia pure ad altri finanziatori) in pendenza della composizione negoziata. V'è da chiedersi semmai se la segnalazione, dopo la cessazione degli effetti del provvedimento cautelare (che non potrebbe mai avere una durata superiore a 240 giorni), debba essere ugualmente effettuata anche qualora la posizione di sofferenza sia, nel frattempo, venuta meno e non sia sta ancora stipulato alcuno degli accordi previsti dall'art. 23, comma 1, c.c.i.i.. Secondo le regole della Centrale dei Rischi (Circolare n. 139 dell'11 febbraio 1991, Aggiornamento febbraio 2025, capitolo secondo, art. 8), la segnalazione di una posizione di rischio non è più dovuta quando il credito viene rimborsato dal debitore o da terzi, anche a seguito di accordo transattivo liberatorio. Per quanto riguarda il Crif, trovano applicazione le regole del Codice di condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, che prevedono che le informazioni creditizie di tipo negativo relative a ritardi nei pagamenti, successivamente regolarizzati, possono essere conservate fino a: a) dodici mesi dalla data di registrazione dei dati relativi alla regolarizzazione di ritardi non superiori a due rate o mesi; b) ventiquattro mesi dalla data di registrazione dei dati relativi alla regolarizzazione di ritardi superiori a due rate o mesi. Quindi, anche se alla cessazione del periodo di efficacia del provvedimento cautelare il credito viene saldato, permarrebbe l'obbligo di segnalazione poiché non sarebbero in ogni caso trascorsi ancora dodici/ventiquattro mesi dalla regolarizzazione. Va, anche, ricordato che per le banche italiane vigono le regole dettate dalla BCE e dall'EBA relative alla predisposizione di accantonamenti prudenziali in caso di crediti in default che vengono, a loro volta, distinti in tre categorie: 1) Past due, che identifica i crediti scaduti o sconfinati da oltre 90 giorni se si verifica il superamento della soglia dell'1% o di un valore di 500 euro; il credito può ritornare ad essere classificato come in bonis se sono decorsi 90 giorni dal ripristino della regolarità ovvero decorsi 12 mesi dal ripristino della regolarità se la posizione del debitore è stata oggetto di una misura di tolleranza concessa dal finanziatore (tra le quali non rientra la sospensione delle azioni esecutive richieste dal debitore); 2) UTP (unlikely to pay) che sono quelle posizioni per le quali la banca ritiene non sia possibile il recupero integrale del credito; 3) Bad Loans (sofferenze) che sono le posizioni collegate a soggetti ritenuti insolventi. Va segnalato che è prassi bancaria considerare sempre UTP i crediti dei soggetti affidati, anche se non vi sono irregolarità o debiti scaduti, quando abbiano fatto ricorso alla composizione negoziata ed abbiano richiesto misure protettive e cautelari con l'effetto che l'intermediario non può esimersi dall'effettuare le obbligatorie svalutazioni del credito se non dopo il termine di dodici mesi dal pagamento, o di ventiquattro mesi dall'integrale pagamento se, a seguito della composizione negoziata, venga raggiunto un accordo di moratoria per effetto del quale il credito scaduto o sconfinato da più di 90 giorni viene rimborsato alle nuove scadenze concordate. Invece, se vi è stato uno stralcio parziale, il credito tornerà ad essere considerato in bonis solo passati dodici mesi da quando l'impresa abbia rimborsato un importo minimo almeno pari allo stralcio subìto, il bilancio esprima fondamentali coerenti con la valutazione di ripristino in bonis e non vi siano segnalazioni negative presso tutte le Centrale Rischi. Quindi, è assai probabile che, malgrado l'emissione di un provvedimento di sospensione della segnalazione, il ritardo nel pagamento del debito lasci traccia nelle banche dati anche dopo la conclusione positiva della composizione negoziata. Altri provvedimenti atipici Molto problematica appare la possibilità di inibire l'iscrizione nel bollettino dei protesti del mancato pagamento di assegni o cambiali. Ricordato che il protesto è condizione per il regresso nei confronti dei garanti e dei giranti (ma non nei confronti dell'emittente) e che l'iscrizione nel registro dei protesti segue necessariamente la levata del protesto (art. 3 legge 12 febbraio 1955, n. 77, come modificata dalla legge 18 agosto 2000, n. 235), va innanzitutto escluso che debba essere decisa nelle forme di cui all'art 19 c.c.i.i. l'eventuale opposizione al provvedimento di diniego frapposto dal Presidente della Camera di commercio alla richiesta di cancellazione prevista dall'art. 4 della l. n. 77/1955. Semmai può rientrare nella competenza prevista dall'art. 19 la richiesta di non iscrizione nel bollettino dei protesti qualora si assuma che la pubblicazione, pur legittima, possa pregiudicare il risanamento aziendale. La questione si intreccia con quelle che hanno dato adito all'ordinanza del Trib. di Brindisi cit., di rinvio pregiudiziale alla Cassazione, che ha posto il quesito se la sospensione della pubblicazione del protesto di effetti cambiari e degli assegni postdatati (correttamente elevato) debba essere qualificata quale misura protettiva atipica o quale misura cautelare, con conseguente riconducibilità del provvedimento suddetto al novero delle une o delle altre e quali ne siano i presupposti applicativi. Considerato che la misura non avrebbe come effetto diretto l'inibitoria di azioni esecutive dei creditori (che possono prescindere dall'elevazione del protesto) dalle quali il debitore è protetto in via generale, ma piuttosto un generico effetto di tutela del patrimonio del debitore pregiudicato dalla pubblicità conseguente alla pubblicazione nel bollettino dei protesti, essa dovrebbe essere qualificata come misura cautelare. Come tale dovrebbe essere valutata, però, con molto rigore, poiché, da un lato, occorre accertare se la pubblicazione possa effettivamente pregiudicare l'accesso al credito necessario per la prosecuzione dell'attività di impresa già idoneamente tutelata dal divieto di interruzione dei rapporti bancari disposta dall'art. 18 c.c.i.i. e, dall'altro, se in concreto il programma di risanamento comporti con ragionevole certezza il pagamento del titolo oggetto di protesto al più tardi alla cessazione della composizione negoziata. In ogni caso, cessata l'efficacia del provvedimento (mai superiore a 240 giorni) si ripristinerebbe l'obbligo di pubblicazione, a meno che nel frattempo il titolo non fosse integralmente pagato, sussistendo allora il diritto alla cancellazione, in applicazione delle disposizioni previste dalla richiamata legge 12 febbraio 1955, n. 77. Analoghe considerazioni potrebbero essere proposte qualora l'istanza di non iscrizione fosse avanzata dagli obbligati di regresso coinvolti nel procedimento di risanamento dell'imprenditore. Il più volte citato provvedimento del Tribunale di Trapani ha concesso l'atipica misura cautelare della sospensione dei pagamenti (unitamente al divieto di segnalazione alla Centrale dei Rischi) delle rate di mutui (per capitale ed interessi) e delle rate previste per il pagamento di crediti fiscali e previdenziali in applicazione della “rottamazione quater” e di versamenti rateali di iva. Orbene, la sospensione del pagamento delle rate della rottamazione ha l'evidente scopo di impedire la decadenza dalla sanatoria, posto che l'inadempimento di una sola rata determina la cessazione degli effetti della sanatoria (ancorché non impedisca la possibilità di chiedere la rateizzazione però dell'intero importo residuo senza le agevolazioni previste dalla speciale sanatoria in tema di interessi e sanzioni). Tuttavia, nel provvedimento non vengono chiaramente disciplinati gli effetti del provvedimento di sospensione sugli importi da corrispondere alla scadenza della misura cautelare. Infatti, la sospensione può comportare o la mera posticipazione delle rate ancora da pagare, ovvero l'obbligo di pagare tutte le rate sospese al momento della cessazione di efficacia del provvedimento cautelare; in ogni caso rimane inalterato l'obbligo di corrispondere gli interessi (non moratori) su tutte le somme che devono essere ancora pagate; e per i provvedimenti fiscali ciò comporta un nuovo onere di liquidazione da parte degli uffici con il serio rischio di innescare complessi contenziosi con gli uffici, non necessariamente attrezzati per determinare rapidamente il nuovo ammontare e valutare gli effetti della sospensione disposta. Il giudice dovrebbe anche esaminare se la possibilità di rateizzare (nei termini lunghi concessi dalla normativa fiscale ai creditori in difficoltà economica) non possa considerarsi agevolazione sufficiente e addirittura più favorevole in concreto rispetto alla mera sospensione per un tempo limitato del versamento delle rate. Conclusioni È indubbio che la scelta del legislatore di mantenere la distinzione, nei termini attuali, tra misure protettive e cautelari non sia felice ( e nemmeno prevista dalla direttiva Insolvency che ipotizza soltanto misure di sospensione delle azioni esecutive nei confronti del debitore e dei suoi garanti) risultando semmai più opportuno distinguere tra quelle a disposizione dei creditori e quelle richiedibili dal debitore; non è neppure più sostenibile la scelta di non attribuire strumenti di tutela dei creditori pur nell’ambito della composizione negoziata nella quale vi possono ben essere esigenze di protezione dei creditori a fronte del mantenimento del potere gestorio quasi illimitato lasciato al debitore. Non va poi dimenticato che l’utilizzo del termine cautelare ha generato degli equivoci (come emergente dal più volte richiamato provvedimento del Tribunale di Brindisi) lasciando pensare ad una disciplina che, invece, è largamente inapplicabile alle procedure di superamento della crisi caratterizzate da esigenze profondamente diverse rispetto a quelle tutelate nei procedimenti cautelari ordinari nei quali l’accertamento definitivo dei presupposti è affidato ad un successivo giudizio di merito, inesistente, ovviamente, nell’ambito delle procedure concorsuali o di definizione della crisi. |