In quali casi è possibile modificare la domanda di risarcimento danni?
06 Giugno 2025
La M.E.G.A. Spa citava in giudizio la F.M.A. Spa, chiedendo che fosse pronunciata la risoluzione del contratto di subappalto concluso tra le parti a causa dell'inadempimento colpevole della subappaltatrice e che la F.M.A. fosse condannata alla restituzione del corrispettivo già versatole e al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito. Si costituiva in giudizio la F.M.A. Spa, la quale contestava la fondatezza, in fatto e diritto, delle domande avversarie e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna della M.E.G.A. al pagamento del residuo corrispettivo dovuto, oltre interessi. Nel corso del giudizio erano espletate una consulenza tecnica d'ufficio metallurgica per la verifica dei vizi lamentati e una contabile per la quantificazione del danno. Quindi, il Tribunale adito, pur avendo individuato il vizio lamentato nello scorretto trattamento termico dei pezzi nella fase di raffreddamento della forgiatura, respingeva le domande di M.E.G.A. per difetto di prova che l'opera realizzata dalla subappaltatrice fosse del tutto inadatta alla sua destinazione e accoglieva la domanda riconvenzionale di F.M.A. La Corte d'appello ribaltava la sentenza, accogliendo le domande attoree e respingendo la riconvenzionale. F.M.A. ricorreva in Cassazione, censurando, per ciò che qui rileva, la violazione nella sentenza impugnata del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo la Corte d'appello compreso, nel risarcimento liquidato a M.E.G.A., il rimborso di una "penale" asseritamente pagata da M.E.G.A. ad altra società per i problemi dei propri prodotti causati dai vizi nell'opera di F.M.A., che non avrebbe potuto spiegare effetti verso F.M.A., quale terza estranea. Peraltro, M.E.G.A. non aveva mai richiesto il rimborso di tale penale, avendo agito per il solo risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, rispettivamente indicati in Euro 1.400.000,00 e in Euro 850.000,00, per un totale di Euro 2.250.000,00, mentre la sentenza avrebbe attribuito a M.E.G.A. un risarcimento inspiegabile e non richiesto di Euro 3.500.000,00, oltre alla restituzione di Euro 1.372.409,36, per un totale di Euro 4.872.409,36. La Cassazione ha accolto il citato motivo di ricorso: nel caso in esame la Corte territoriale ha violato l'art. 112 c.p.c., liquidando un danno che, seppure in ipotesi rientrante nella categoria generale del danno patrimoniale direttamente derivato dalla condotta inadempiente della convenuta, ha superato il quantum richiesto per le due voci del danno patrimoniale, comunque ritenute non provate, senza che la parte in primo grado avesse comunque chiesto una liquidazione secondo giustizia e non trattandosi di un danno ulteriore verificatosi in corso di causa. Dunque, la S.C. ha richiamato il seguente principio di diritto: «In tema di risarcimento dei danni, il principio generale della immodificabilità della domanda originariamente proposta è derogabile soltanto nel caso di riduzione della domanda, nel caso di danni incrementali (quando il danno originariamente dedotto in giudizio si sia ulteriormente incrementato nel corso dello stesso, ferma l'identità del fatto generatore) e nel caso di fatti sopravvenuti, quando l'attore deduca che, dopo il maturare delle preclusioni, si siano verificati ulteriori danni, anche di natura diversa da quelli descritti con l'atto introduttivo». |