I crediti garantiti dal Mediocredito Centrale nelle procedure concorsuali
Valerio Sangiovanni
09 Giugno 2025
Cosa succede se la banca finanziatrice, a fronte dell’inadempimento del debitore principale, escute la garanzia rilasciata dal Fondo di garanzia? Il Fondo, tramite il Mediocredito Centrale, si surroga nella posizione del creditore. Se il debitore principale è stato assoggettato ad una procedura concorsuale, il recupero del credito segue le regole proprie del concorso. L’articolo esamina le peculiarità che si pongono nelle procedure concorsuali per i crediti garantiti dal Fondo.
Osservazioni introduttive
Talvolta le banche elargiscono finanziamenti a società con la garanzia del Mediocredito Centrale. Il Mediocredito è un istituto di credito partecipato dallo Stato che gestisce un Fondo di garanzia pubblico, disciplinato da minuziose disposizioni di rango secondario (si tratta delle disposizioni operative del Fondo di garanzia, in fondidigaranzia.it).
Alcune volte i finanziamenti sono stati erogati dalle banche senza preventiva appropriata verifica del merito creditizio, potendo contare sulla garanzia pubblica. Se le società finanziate vengono assoggettate a procedure concorsuali, le banche – per rientrare dal credito – escutono le garanzie rilasciate dal Mediocredito Centrale. Il Mediocredito, una volta che ha pagato, si surroga nella posizione del creditore e ha dunque azione di recupero nei confronti del debitore principale. Si tratta di complessi rapporti multiparti. I soggetti coinvolti sono i seguenti: la banca erogatrice del credito, la società finanziata, il Mediocredito Centrale quale garante pubblico della banca; l’Agenzia delle entrate che recupera il credito dal debitore principale (per conto del Mediocredito).
Valutazione del merito creditizio e difetto di istruttoria
La giurisprudenza mostra che una prima contestazione che viene mossa alle banche, nell'ambito dei crediti garantiti dal Mediocredito Centrale, è quella di avere erogato superficialmente il credito. Nel nostro ordinamento, dovere fondamentale della banca è quello di verificare anticipatamente il merito di credito del debitore, al fine di assicurarsi che quest'ultimo sia in grado di restituire il finanziamento.
Il dovere di verificare il merito creditizio ha una base normativa, seppure in un contesto particolare: quello del credito al consumo.
L'articolo 124-bis, comma 1, t.u.b. prevede che «prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente».
La verifica va effettuata prima della conclusione del contratto, in quanto il contratto di credito – una volta concluso – vincola le parti e la banca è obbligata a erogare il credito (a un soggetto, in tesi, incapiente).
La valutazione va fatta sulla base di informazioni adeguate. La fonte di queste informazioni è generalmente il medesimo cliente. Tuttavia, in aggiunta, gli istituti di credito consultano quasi sempre delle banche dati finanziarie, per avere migliore contezza della reale esposizione debitoria del cliente e della presenza di segnalazioni negative.
La disposizione in esame riguarda il solo credito al consumo, ma essa deve reputarsi applicabile in via analogica a qualsiasi altro contesto in cui la banca stia per erogare credito.
Cosa succede se la banca viola l'obbligo di verificare il merito creditizio del cliente? L'articolo 124-bis t.u.b. non risponde in modo espresso al quesito. Si può ipotizzare che l'istituto di credito debba risarcire il danno al cliente, danno la cui individuazione risulta però complessa per il fatto che la banca eroga più danaro di quello che altrimenti potrebbe erogare: difatti, il patrimonio del cliente aumenta (e non diminuisce) per effetto dell'erogazione eccessiva. Se ad esempio la banca poteva erogare al cliente, tenuto conto delle sue capacità di restituzione, solo 50.000 euro, e ne eroga invece 80.000, i 30.000 euro erogati in più non costituiscono un danno per il cliente, bensì un arricchimento.
Un'alternativa radicale al rimedio del risarcimento del danno, per il caso di errata valutazione del merito creditizio da parte della banca, è quella di considerare il contratto di finanziamento come nullo. Proprio nel contesto dei finanziamenti erogati a società con garanzia del Mediocredito Centrale alcuni precedenti giurisprudenziali si sono spinti ad affermare la nullità del contratto di finanziamento. Un recente decreto del Tribunale di Piacenza (Trib. Piacenza, 8 gennaio 2025, in dirittobancario.it) ha affrontato un caso del genere. Una banca eroga un finanziamento di natura chirografaria a una società. Il mutuo è garantito dal Mediocredito Centrale. La S.r.l. viene poi dichiarata fallita e la banca fa domanda di ammissione al passivo per la quota parte del suo credito che non è stata rimborsata dal Mediocredito (si consideri che le normative che disciplinano il Fondo di garanzia prevedono dei limiti percentuali alla copertura del Mediocredito rispetto al finanziamento: non può essere garantito il 100% dell'erogato). La domanda di insinuazione viene rigettata, cosicché la banca fa opposizione allo stato passivo. Il giudice piacentino però non accoglie l'opposizione, sulla base dell'argomentazione che la banca avrebbe erogato credito a una società in difficoltà finanziaria, che non sarebbe stata meritevole di accedere al credito bancario, tanto più se quel credito è garantito da un Fondo di garanzia pubblico. La situazione di crisi risultava da elementi che non erano stati considerati dalla banca. La S.r.l. aveva deliberato una riduzione del capitale per perdite, con delibera pubblicata nel registro delle imprese. Alla domanda di mutuo era però stato allegato dalla società richiedente il finanziamento solo un bilancio “provvisorio” (non quello depositato al registro delle imprese), tra l'altro artefatto, e incompatibile con i dati risultanti dal bilancio dell'anno precedente. La parte preponderante dell'attivo del bilancio risulta costituito da crediti, rispetto ai quali la banca non effettua alcuna verifica. Secondo il giudice piacentino questa condotta della banca è gravemente colpevole e impedisce l'ammissione del credito al passivo fallimentare. Il contratto di finanziamento viola norme imperative e deve dunque considerarsi nullo. Un contratto nullo non può produrre effetti e non legittima l'ammissione del credito. La nullità del contratto viene in particolare fatta derivare dalla circostanza che la condotta della banca può integrare una fattispecie di reato, avendo causato l'aggravamento del dissesto. Risulta dall'istruttoria che la società aveva ceduto un ramo d'azienda operativo a una società di nuova costituzione. Questa operazione ha svuotato la prima S.r.l. di qualsiasi attivo. Si tratta di un'operazione di natura distrattiva, a cui fa seguito il sostanziale blocco dell'attività della società. Ciò nonostante, la società riceve il finanziamento bancario. L'erogazione di un finanziamento di 250.000 euro integra un'operazione gravemente imprudente, priva di logica imprenditoriale che ha aggravato la crisi della S.r.l. Quegli importi vengono usati principalmente per tacitare creditori chirografari senza rispettare l'ordine delle cause di prelazione e senza destinare somme al pagamento di imposte e contributi scaduti. Tutto ciò ha permesso alla società, già in crisi, di procrastinare la dichiarazione di fallimento e di accumulare ulteriori debiti da indebita prosecuzione di attività di impresa. Secondo il Tribunale di Piacenza, il finanziamento alla società è sussumibile nell'illecito penale di aggravamento del dissesto con operazioni gravemente colpose ed è ostativo alla domanda di recupero del credito. Ciò vale anche per la domanda subordinata, presentata dalla banca, di ripetizione dell'indebito. Se il contratto di finanziamento è nullo, esso non produce interessi passivi: peraltro la somma capitale, essendo stata erogata senza titolo, dovrebbe astrattamente essere restituita. Secondo il giudice piacentino, tuttavia, trova applicazione l'art. 2035 c.c. (sulle prestazioni contrarie al buon costume) e la banca non può pretendere la restituzione nemmeno del capitale. In conclusione, viene rigettata l'opposizione e la banca non viene ammessa al passivo fallimentare.
Anche il Tribunale di Pescara (Trib. Pescara, 2 luglio 2024) si è occupato di un mutuo chirografario erogato da una banca a una società, con garanzia del Mediocredito Centrale. La società finanziata viene messa in liquidazione giudiziale, cosicché la banca presenta domanda di ammissione al passivo per la quota di mutuo non restituita. Il credito però non viene ammesso, e di conseguenza la banca impugna lo stato passivo chiedendo l'ammissione del proprio credito. Il giudice pescarese rileva che la banca, prima di concedere il finanziamento, non ha effettuato alcuna istruttoria seria. La banca non aveva precedenti rapporti con il debitore, che si era rivolto all'istituto di credito la prima volta per ottenere quello specifico finanziamento. La circostanza di non conoscere il futuro cliente avrebbe dovuto indurre la banca a particolare prudenza. La banca è tenuta alla diligenza professionale prevista dal comma 2 dell'articolo 1176 c.c. L'attività della banca consiste proprio nel valutare il merito di credito del potenziale cliente. Nel caso di specie risulta in particolare che, al momento dell'erogazione del credito, la società da finanziarsi non aveva ancora depositato il bilancio, che quindi non era stato esaminato dalla banca. In conclusione, il Tribunale di Pescara rigetta l'opposizione allo stato passivo e conferma che il credito residuo della banca non può essere ammesso al passivo.
I crediti garantiti dal Mediocredito nel contesto della composizione negoziata
La banca che ha erogato un finanziamento con la garanzia del Mediocredito Centrale può, in caso di mancato pagamento del debitore principale, rivolgersi al Mediocredito ed escutere la garanzia. Se la banca viene pagata dal Mediocredito, si verifica un meccanismo di surrogazione: al primo creditore (la banca) si sostituisce un secondo creditore (il Mediocredito). Avendo il Mediocredito pagato la banca, ha il diritto di recuperare l'importo pagato nei confronti del debitore principale.
Il debitore principale che non paga è probabilmente in una situazione di crisi. Potrebbe allora capitare che la società finanziata debba accedere a qualcuna delle procedure concorsuali previste dal codice della crisi o, ancor prima, alla composizione negoziata. Più volte la giurisprudenza di merito si è occupata delle garanzie pubbliche nell'ambito della composizione negoziata della crisi. Va considerato che dette garanzie sono “pericolose” per le sorti della composizione negoziata, in quanto l'escussione della garanzia implica il subentro di un creditore privilegiato (il Mediocredito Centrale) al posto di un creditore chirografario (la banca originaria creditrice). Ciò altera il rango dei creditori e potrebbe determinare l'insuccesso delle trattative.
Di questo complesso di questioni si è occupato, di recente, il Tribunale di Milano (Trib. Milano, 4 settembre 2024, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it). Viene aperta la procedura di composizione negoziata con la nomina di un esperto che intavola trattative tra i creditori e il debitore. Vengono chieste misure protettive, che vengono concesse per un primo periodo di 120 giorni. L'ordinanza del giudice milanese concerne la richiesta di proroga delle misure protettive, proroga che viene concessa. Risulta difatti che tra i creditori vi siano alcune banche, con crediti meramente chirografari, che godono però della garanzia del Mediocredito Centrale. Le banche minacciano di escutere il Mediocredito. Se ciò avvenisse, al loro posto subentrerebbe il medesimo Mediocredito, titolare di un credito non chirografario, bensì garantito. Questa nuova situazione farebbe molto probabilmente saltare il tavolo delle trattative, perché non consentirebbe la soddisfazione nella stessa misura percentuale già ipotizzata in presenza di creditori solo chirografari.
I finanziamenti garantiti dal Mediocredito Centrale nel contesto della composizione negoziata della crisi sono stati oggetto anche di un'altra pronuncia del medesimo Tribunale di Milano (Trib. Milano, 12 maggio 2024). Nel corso della composizione negoziata vengono avviate trattative con diversi creditori. Uno di essi vanta un credito che è garantito da Mediocredito. Se la banca escutesse il credito, il Mediocredito Centrale si surrogherebbe nella posizione della banca. Il punto è che il credito del Mediocredito è privilegiato. La normativa prevede che al credito chirografario del creditore principale (la banca) si sostituisca, una volta che il Mediocredito ha pagato la banca, un credito privilegiato del Mediocredito. Se al posto di un creditore chirografario subentra un creditore privilegiato, tutto l'impianto delle trattative volte alla composizione negoziata della crisi rischia di saltare. La disciplina della composizione negoziata consente di chiedere al giudice delle misure cautelari (art. 19 c.c.i.i.). Nel caso affrontato dal giudice milanese, l'imprenditore presenta istanza cautelare per bloccare l'escussione da parte della banca munita della garanzia del Mediocredito Centrale. Il Tribunale di Milano accoglie la domanda. L'escussione della garanzia pregiudicherebbe gli altri creditori e la debitrice. Gli altri creditori si vedrebbero “superare” da un creditore garantito (il Mediocredito in via di surrogazione). La società debitrice, dal canto suo, non riuscirebbe a concludere positivamente le trattative e si vedrebbe esposta al rischio dell'apertura di qualche procedura concorsuale. Oggetto di discussione nel caso di specie è un accordo di ristrutturazione, che potrebbe saltare nel caso in cui mutasse la natura del credito vantato da uno dei creditori, passando da chirografario a privilegiato. In conclusione, il giudice milanese dispone in via cautelare che è vietato ai creditori bancari procedere a ogni procedura di recupero del credito e comunque alla escussione della garanzia prestata dal Mediocredito Centrale e che è vietato al Mediocredito esigere l'azione esecutiva e/o di recupero del credito. Il Tribunale di Milano inoltre sospende e inibisce il procedimento istruttorio di escussione della garanzia.
Infine, il Tribunale di Gorizia (Trib. Gorizia, 19 marzo 2024), in un precedente di poco anteriore, ha specificato i limiti del potere del giudice con riferimento ai rapporti contrattuali intercorrenti tra debitore principale, banca e Mediocredito Centrale nel contesto della composizione negoziata della crisi. Si apre la composizione negoziata concernente una società e vengono chieste delle misure protettive al fine di facilitare la prosecuzione e il successo delle trattative in corso, ai sensi del già citato articolo 19 del codice della crisi. La società coinvolta è una S.r.l. e le misure cautelari servono ad assicurare il buon esito delle trattative, al fine di impedire che la società si trovi costretta a pagare (durante le trattative) dei debiti pregressi e così a distrarre la liquidità necessaria che le permetterebbe di ottenere il risanamento aziendale. Il giudice goriziano concede le misure protettive, con una specificazione concernente la posizione del Mediocredito Centrale. Tra le misure protettive era stato chiesto il prolungamento della durata della garanzia statale rilasciata dal Fondo di garanzia. Secondo il Tribunale di Gorizia, l'autorità giudiziaria non ha il potere di accordare un prolungamento della garanzia statale sul finanziamento. Si tratterebbe difatti, scrive il giudice goriziano, di ordinare al Mediocredito Centrale un facere, consistente nell'esprimere una determinata volontà contrattuale, modificando un elemento del contratto di garanzia inizialmente sottoscritto, ossia la sua durata, elemento che tra l'altro è dipendente dai complessi rapporti tra soggetto finanziatore, Mediocredito Centrale e debitore. Non vi è spazio, in sede giudiziaria, per l'ottenimento in via coattiva di un tale risultato, essendo questo rimesso al libero esercizio della volontà contrattuale di tutte le parti coinvolte in sede di rinegoziazione del finanziamento. Fatta tale precisazione, la decisione del Tribunale di Gorizia non si discosta peraltro nella sostanza da quella appena sopra illustrata del Tribunale di Milano. Il giudice goriziano difatti vieta al creditore bancario di procedere al recupero del credito e comunque alla escussione della garanzia del Mediocredito Centrale. Il giudice vieta inoltre al Mediocredito di esigere l'azione esecutiva o di recupero del credito.
Superficialità nell’erogazione e abusiva concessione di credito
Come abbiamo rilevato sopra, la presenza della garanzia pubblica del Mediocredito Centrale ha talvolta indotto le banche a erogare credito con una certa facilità, in mancanza dei requisiti per concedere finanziamenti. Questa condotta delle banche, oltre a poter essere sindacabile sotto il profilo del difetto di istruttoria, potrebbe essere contestata anche nell’ottica della concessione abusiva di credito.
Con l’espressione di “concessione abusiva del credito” ci si riferisce al fatto che la banca eroga credito senza verificare la capacità di restituzione del debitore, causando così danno agli altri creditori della società. Si tratta di una figura che non ha una precisa base normativa e che è stata sviluppata dalla giurisprudenza. Se la banca continua a erogare credito a una società in difficoltà finanziaria, la quale successivamente viene ammessa a una procedura concorsuale, la condotta della banca ha concorso ad aumentare il passivo. Se la banca avesse chiuso tempestivamente la linea di credito, la liquidazione giudiziale sarebbe stata dichiarata prima, senza incremento del passivo.
La questione della possibile concessione abusiva di credito, in relazione ai crediti garantiti del Mediocredito Centrale, è stata affrontata dal Tribunale di Ancona (Trib. Ancona, 2 febbraio 2024, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it). Una banca finanzia una società, ottenendo la garanzia del Mediocredito. Successivamente, la società viene ammessa alla liquidazione giudiziale, cosicché la banca chiede l’ammissione al passivo per la quota di capitale non recuperata (circa 356.000 euro). Il curatore non ammetta il credito della banca, imputando a quest’ultima una concessione abusiva di credito. La banca presenta opposizione allo stato passivo. Il giudice anconetano accoglie l’opposizione e ammette il credito della banca. Il Tribunale di Ancona osserva che la responsabilità da concessione abusiva di credito è di natura extracontrattuale. Essa si concretizza nella violazione del dovere fondamentale del banchiere di erogare credito solo quando è ragionevole assumere che gli importi possano essere restituiti dal debitore. Trattandosi di responsabilità extracontrattuale spetta all’attore (nel caso di specie la curatela) dimostrare, da un lato, la superficialità della banca nell’erogazione del credito e, da un altro lato, il danno che gli altri creditori hanno patito per effetto della erogazione troppo generosa della banca. Nel caso concreto il giudice anconetano ritiene che la curatela non abbia offerto adeguata prova e così accoglie l’opposizione presentata dalla banca e ammette allo stato passivo della liquidazione giudiziale il credito residuo vantato.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
Superficialità nell’erogazione e abusiva concessione di credito