Regime carcerario e trattamento di patologie psichiatriche: la Corte EDU condanna l’Italia
12 Giugno 2025
La vicenda in esame vede protagonista un detenuto nel carcere di Sassari affetto da gravi patologie psichiatriche (disturbo di personalità borderline e antisociale) che si era visto più volte negare dalle autorità interne la richiesta di trasferimento presso una struttura specializzata per la cura dei suoi disturbi, in quanto queste avevano ritenuto che potesse essere adeguatamente curato dentro la struttura penitenziaria, che disponeva di psicologici, psichiatri, educatori e altre figure specializzate. A nulla erano valsi i numerosi episodi di tentato suicidio, autolesionismo e aggressività, avvenuti nel corso degli anni sia presso la struttura penitenziaria di Sassari che in quella di Torino, ove il detenuto era stato trasferito per un certo periodo. Non ottenendo risposta positiva alle proprie richieste questi si rivolgeva alla Corte europea dei diritti dell'uomo, chiedendo che sollecitasse il Governo italiano a trasferirlo in un istituto adeguato al trattamento della sua patologia. La Corte accerta una violazione degli artt. 3 e 6 par. 1 CEDU, in quanto le condizioni di detenzione non possono in nessun caso determinare nel detenuto uno stato di paura, angoscia e senso di inferiorità, né possono costituire fattori di umiliazione o compromissione della sua resistenza fisica o morale. I detenuti affetti da disturbi mentali sono più vulnerabili dei detenuti comuni e alcune esigenze della vita carceraria li espongono a un grave pericolo per la propria salute, determinando la necessità di un maggiore controllo da parte delle autorità sul rispetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La semplice circostanza che un detenuto sia stato sottoposto a visita medica in carcere e che gli sia stato prescritto un determinato trattamento non significa che le cure dispensate siano automaticamente adeguate alla sua situazione patologica. Le autorità devono assicurarsi che le informazioni relative allo stato di salute del detenuto e alle cure irrogate in carcere siano riportate in maniera esaustiva, che la diagnosi sia precisa e che la persona goda di vigilanza regolare, nonché di una adeguata strategia terapeutica globale. Spetta alle autorità anche dimostrare in giudizio di aver creato tutte le condizioni perché la terapia avesse un effettivo seguito. Anche se non è compito della Corte pronunciarsi in astratto sul modo in cui i giudici devono dare seguito alle domande di scarcerazione, nell'ambito disciplinato dall'art. 3 CEDU, assume particolare rilievo la questione se l'autorità abbia tenuto adeguatamente conto di tutte le circostanze previste dal caso specifico che, nel caso di persone affette da patologia psichiatrica, significa vigilare con particolare rigore sul fatto che le condizioni della detenzione corrispondano alle necessità specifiche derivanti dallo stato di infermità. Nel caso di specie emerge, dalle dichiarazioni del ricorrente e dalle perizie mediche effettuate nel corso degli anni e sottoposte all'attenzione della Corte, che le autorità italiane non hanno dato adeguato seguito ai numerosi episodi di aggressività e autolesivi ad opera del detenuto, mentre avrebbero dovuto condurre un esame più approfondito sulla compatibilità del regime carcerario con le sue condizioni di salute, considerando anche che gli episodi autolesivi e di aggressività, lungi dal diminuire a seguito delle cure cui il detenuto era sottoposto in carcere, si erano intensificati nel corso degli anni. Né il Governo italiano ha adempiuto al proprio onere probatorio, mancando di fornire prove sufficienti circa l'adeguatezza delle cure. L'unico provvedimento (Tribunale di sorveglianza di Cagliari del 22 novembre 2022) ad aver riscontrato che lo stato di salute del detenuto era incompatibile con il carcere si è limitato a disporre il suo trasferimento presso un'altra struttura penitenziaria, senza indicare quali cure gli sarebbero state fornite e perché fosse più conforme alle sue esigenze. Inoltre, nonostante il trasferimento fosse stato disposto con urgenza, è avvenuto oltre sei mesi dopo il provvedimento e per ragioni di sicurezza, a seguito di un episodio autolesivo particolarmente grave. In assenza di qualsiasi adeguata motivazione da parte del Governo, la Corte rileva anche la violazione dell'art. 6 par. 1 CEDU, che sancisce il diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata da un tribunale chiamato a pronunciarsi sulle controversie che lo riguardano in materia civile e che investe anche la fase esecutiva della sentenza. Per leggere il testo della sentenza: CEDU, sentenza 27 marzo 2025, caso Niort c. Italia (ric. n. 4217/23) |