I requisiti per l’omologazione ex art. 112 c.c.i.i. e il valore di liquidazione

18 Giugno 2025

Prendendo spunto da una recente pronuncia del tribunale di Ferrara, l’Autore approfondisce, con anche riferimenti alle diverse interpretazioni offerte da dottrina e giurisprudenza, il tema dell’omologa di un concordato preventivo in continuità con la contestuale applicazione del cram down fiscale e previdenziale e del c.d. cross-class cram down, nonché della corretta stima del valore di liquidazione.

Premesse

Una recente pronuncia del Tribunale di Ferrara - Trib. Ferrara, 20 novembre/11 dicembre 2024 (di seguito anche “Sentenza”) - offre lo spunto per approfondire alcune tematiche sorte nell'applicazione del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.c.i.i.) oggetto di contrastanti interpretazioni, sia dottrinali sia giurisprudenziali, che solo con il d.lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Correttivo-ter) hanno trovato una soluzione. Il riferimento è, in primo luogo, (i) all'applicazione, nell'ambito del concordato preventivo in continuità aziendale, del c.d. cram down fiscale e previdenziale (tradotto letteralmente dall'inglese “buttare giù, inghiottire a forza”), previsto, al comma 3 e al comma 4 dell'art. 88 del c.c.i.i., rispettivamente per il concordato liquidatorio e per quello in continuità aziendale, (ii) all'applicazione di quest'ultimo istituto in presenza del c.d. cross-class cram down e, infine, (iii) alla corretta definizione del termine “valore di liquidazione giudiziale”.

Lo spunto: Trib. Ferrara, 20 novembre/11 dicembre 2024

Nell'ambito di un procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale, la società debitrice insisteva affinché fosse dato corso al giudizio di omologa del proposto concordato preventivo in continuità aziendale e all'emanazione della successiva sentenza di omologa, «[…] una volta esercitata da parte del Tribunale la c.d. cross class cram down, ricorrendo nella fattispecie le condizioni di legge e le due condizioni di cui all'art. 11 della direttiva Insolvency come interpretata dalla Suprema Corte di Cassazione, Ufficio del massimario del ruolo, nella relazione n. 87 sulle novità introdotte dal Nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza — attuazione della Direttiva UE n. 1023/2019 c.d. Insolvency d.lgs. n. 83/2022 allegata sub doc. F» (p. 1 Sentenza); con l'opposizione di un creditore che «In via istruttoria sussistendo i presupposti di cui all'art. 112 comma 4 CCII, [chiedeva] disporre C.T.U. avente ad oggetto la stima del complesso aziendale della società S.p.a., comprensiva dell'apprezzamento dell'eventuale maggior valore economico realizzabile dalla cessione dell'azienda in esercizio» (p. 2 Sentenza). Il Tribunale di Ferrara, tra l'altro, omologava il concordato preventivo in continuità aziendale proposto dalla società debitrice, statuendo, in estrema sintesi, che (i) il cram down fiscale e previdenziale, previsto dall'art. 88, c.c.i.i., nel testo vigente fino al Correttivo-ter, è inapplicabile all'omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, come sarebbe confermato dalla necessità di una novella che lo ha introdotto espressamente in un contesto normativo che, in precedenza, non lo prevedeva (p. 10 e ss. della Sentenza), mentre, (ii) è applicabile il cross class cram down, previsto dal comma 2 dell'art. 112, c.c.i.i. (p. 12 e ss. della Sentenza) e, (iii) il valore di liquidazione del patrimonio, di cui al comma 1, lett. c) dell'art. 87, c.c.i.i., in presenza di opposizione dei creditori e alla luce del Correttivo-ter, deve essere ancorato alla concreta realizzazione che i beni avrebbero potuto consentire se fossero stati alienati: (a) al momento della domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi, (b) nell'ambito di una procedura giudiziale che implica la vendita coattiva e (c) tenuto conto delle modalità e della durata presumibile della liquidazione giudiziale (p. 21 della Sentenza).

L'inapplicabilità del cram down fiscale e previdenziale.

Il Tribunale di Ferrara, in merito all'applicazione estensiva del cram down fiscale e previdenziale, ossia alla possibilità, in caso di mancato raggiungimento di un accordo transattivo volontario con le amministrazioni pubbliche creditrici, di procedere, mediante richiesta al tribunale, all'omologa forzosa della proposta formulata dall'impresa debitrice - (per cui, sia in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 63, comma 4, c.c.i.i., sia in caso di concordato preventivo ex art. 88, comma 3 e 4, c.c.i.i., è assegnato, tra l'altro, all'autorità giudiziaria il potere di omologare forzosamente il piano proposto ai creditori, sempre che tale adesione sia determinante; sulla natura di tale istituto e le sue finalità nella previgente l. fall., cfr. il decreto del Tribunale di Torre Annunziata, 31 dicembre 2024, in dirittodellacrisi.it, secondo cui «L'istituto del cram down fiscale rappresenta, dunque, una “dirompente novità dell'ordinamento concorsuale attraverso cui, in un'ottica di favor rei per la soluzione concordataria, si mira a superare le farraginosità burocratiche sovente registrate nell'espressione del consenso da parte dei creditori pubblici”. È una regola sostanziale del giudizio di omologazione poiché realizza, per una sorta di fictio, il raggiungimento delle maggioranze prescritte dall'art. 177, comma 1, l. fall., anche nel caso in cui esse non fossero state raggiunte per la mancata adesione determinante dell'amministrazione finanziaria. Attraverso questo meccanismo così “è come se fosse realizzato il presupposto dell'approvazione del concordato a norma del primo comma dell'articolo 177, come prevede l'articolo 180, comma 1, l.f.”. Non si tratta, quindi, di un tertium genus rispetto alle ipotesi in cui la proposta non sia stata approvata (art. 179) o viceversa sia stata approvata (art. 180), bensì di una regola di omologazione che, proprio in virtù del suo funzionamento, si colloca nella seconda ipotesi, ove è infatti disciplinata (Cass., sez. I, ordinanza n. 1033, depositata il 10 gennaio 2024)») - ha, in primo luogo, chiarito che «[…] la domanda di omologa in esame va vagliata avendo riguardo all'art. 112 c.c.i.i. per come modificato dall'ultimo correttivo, posto che, ai sensi dell'art. 56 del citato d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136 [comma 4], salva diversa disposizione, il decreto si applica alle procedure pendenti alla data della sua entrata in vigore e a quelle instaurate o aperte successivamente» (p. 10 della Sentenza; in proposito, nel caso di specie, la domanda per l'accesso ad uno strumento di regolazione della crisi era stata presentata ex artt. 40 e 44 c.c.i.i. il 30 dicembre 2023 e, con decreto 30 maggio 2024, era stata dichiarata aperta la procedura di concordato preventivo).

Sempre il tribunale di Ferrara, per contro, precisa che «Ai sensi del medesimo art. 56, comma 3  (secondo cui, si ricorda, «Le disposizioni di cui agli articoli 16, comma 6 (relativo alla transazione su crediti tributari e contributivi nell'ambito degli accordi di ristrutturazione, di cui all'art. 63, c.c.i.i.), 17, comma 1, lettera a) (relativo alla transazione su crediti tributari e contributivi nell'ambito dei piani di ristrutturazione soggetti a omologazione, di cui all'art. 64-bis, c.c.i.i.), e 21, comma 4 (relativo alla transazione su crediti tributari e contributivi nell'ambito del concordato, di cui all'art. 88, c.c.i.i.), del presente decreto si applicano alle proposte di transazione presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore») le modifiche non sono applicabili alle procedure pendenti, in quanto si applicano alle proposte di transazione presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore. Viene quindi in considerazione il “vecchio” testo dell'art. 88 c.c.i.i., sulla base della cui formulazione si era dibattuto circa l'applicabilità del cram down fiscale e previdenziale anche al concordato in continuità» (p. 10 della Sentenza).

Fatta questa doverosa premessa, il Giudicante ha ritenuto «[…] preferibile la tesi che dubita dell'applicabilità del cram down previsto dall'art. 88 C.C.I.I., nel testo vigente fino al correttivo del 2024, alle ipotesi di omologa del concordato in continuità aziendale» (p. 11 della Sentenza), aderendo, come si vedrà, alla tesi proposta da certa giurisprudenza [cfr. sub (a) (i) che segue] ma contrastata da altra [cfr. sub (a) (ii) che segue] e, da ultimo, smentita dal Correttivo-ter che ha riscritto l'art. 88, comma 4, c.c.i.i. prevedendo che «Nel concordato in continuità aziendale, ferme restando le altre condizioni previste dall'articolo 112, comma 2, il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione, che comprende il voto contrario, da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazioni obbligatorie, se la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazioni obbligatorie risulta non deteriore rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale. Nell'ipotesi di cui al primo periodo il tribunale omologa se tale adesione è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi prevista dal primo periodo dell'articolo 112, comma 2, lettera d), oppure se la stessa maggioranza è raggiunta escludendo dal computo le classi dei creditori di cui al comma 1. In ogni caso, ai fini della condizione prevista dall'articolo 112, comma 2, lettera d), numeri 1 e 2, l'adesione dei creditori pubblici deve essere espressa».

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(a) I diversi orientamenti sorti, prima del Correttivo-ter, circa l'estensione del cram down al concordato in continuità aziendale.

Invero, il Tribunale di Ferrara dà atto dei contrasti sorti al riguardo in capo alla giurisprudenza e alla dottrina.

Con riferimento alla giurisprudenza, si richiamano i seguenti orientamenti.

  • (i) Tesi restrittiva, contro l'estensione del cram down al concordato in continuità aziendale in quanto, in sintesi, (i) l'art. 88, comma 1, c.c.i.i. iniziava con la locuzione «Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall'articolo 112, comma 2», proprio per salvaguardare le disposizioni presenti nella norma da ultimo citata per la ristrutturazione trasversale dei debiti e, (ii) il comma 2-bis dell'art. 88, c.c.i.i. richiamava testualmente solo il comma 1 dell'art. 109, c.c.i.i., il quale disponeva in merito al concordato liquidatorio, mentre nessun rinvio diretto era presente con riguardo al comma 5 dell'art. 109, c.c.i.i. relativo al concordato in continuità, né al comma 2 dell'art. 112 c.c.i.i., che ne regola la ristrutturazione trasversale; fra le altre, a favore di tale tesi, Trib. Lucca, sentenza 18 luglio 2023, n. 62/2023, in dirittodellacrisi.it; App. Firenze, sentenza 31 ottobre 2023, n. 1647, in ilcaso.it, richiamata anche dalla Sentenza; Trib. Ancona, sentenza 29 aprile 2024, n. 36/2024; Trib. Cosenza, sentenza 12 giugno 2024; Trib. Genova, sentenza 17 giugno 2024, in ilcaso.it; Trib. Roma, sentenza 10 luglio 2024, richiamata anche dalla Sentenza, e Trib. Vicenza, 29 ottobre 2024, in ilcaso.it.
  • (ii) Tesi estensiva, a favore dell'estensione del cram down al concordato in continuità aziendale, tra le altre, si richiamano, Trib. Spoleto che con sentenza 29 dicembre 2023 n. 65/2023, analizzate le motivazioni del richiamato Trib. Lucca, ha assunto una posizione antitetica, ritenendo applicabile il cram down fiscale anche al concordato in continuità e, in particolare, (i) riguardo al riferimento dell'art. 88 c.c.i.i. all'art. 112, comma 2, c.c.i.i., ha inteso che la disposizione in questione debba essere considerata in aggiunta e non in sostituzione a quanto disposto dall'art. 88, c.c.i.i. i cui effetti giuridici restano estesi ad entrambe le modalità di concordato; (ii) in merito al mancato richiamo alla continuità dell'art. 88, comma 2-bis, c.c.i.i., ha obiettato che quest'ultimo comma si riferisce alle percentuali di approvazione della proposta liquidatoria, per cui sarebbe stato incoerente il richiamo alle maggioranze delle classi previste per il concordato in continuità; dedurre da ciò una “volontà di esclusione” del legislatore sarebbe un'interpretazione eccessivamente restrittiva (peraltro, la sentenza in questione puntualizza come, in origine, l'art. 109, c.c.i.i., richiamato dall'art. 88, comma 2, c.c.i.i., non faceva distinzione tra concordato liquidatorio e in continuità, distinzione introdotta solo con il successivo recepimento della Direttiva Insolvency) e, infine (iii) ha rilevato come il comma 2 dell'art. 88 c.c.i.i. preveda, nel caso della continuità, che un professionista attesti «la sussistenza di un trattamento non deteriore» rispetto allo scenario liquidatorio e la stessa terminologia, «conveniente o non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria», veniva adottata anche nella chiusura del comma 2-bis dell'art. 88 c.c.i.i. quale presupposto per il cram down. In sostanza, quindi, questa identità terminologica ha senso solo presupponendo l'applicazione di questo strumento anche alla fattispecie della continuità; Trib. Napoli, che con sentenza 24 aprile 2024 n. 83/2024, in ilcaso.it, si è pronunciato a favore dell'estensione della disciplina del cram down al concordato in continuità, sulla base dei motivi che saranno in seguito richiamati; Trib. Bari, sez. IV, 19 luglio 2024 e App. Bari, 4 dicembre 2024, in ilcaso.it, che hanno anch'esse aderito alla tesi che ritiene ammissibile lo strumento del cram down nell'ambito del concordato preventivo in continuità, attesa la ratio comune ai due strumenti: il superamento del diniego in presenza di proposte non deteriori rispetto all'alternativa liquidatoria; da ultimo, Trib. Pavia, che, con sentenza n. 29 del 13 febbraio 2025, in onelegale.it, ha ritenuto applicabile il cram down fiscale, di cui già all'art. 88, comma 2-bis, c.c.i.i., al concordato preventivo in continuità aziendale indiretta, consentendo l'omologazione del concordato contro il voto contrario degli enti rappresentativi dell'amministrazione finanziaria e dei gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, al fine di «[…] superare ingiustificati dinieghi dinanzi a soluzioni transattive non peggiorative rispetto alla liquidazione giudiziale, promuovendo la salvaguardia dei valori aziendali e la tutela dei livelli occupazionali».

Con riferimento alla dottrina in punto, si richiamano, invece, i seguenti contributi, rispettivamente a favore e contro l'estensione del cram down: G. Andreani, Il cram down fiscale nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, G. Andreani e F. D'Aquino, Cram down fiscale anche nel concordato in continuità, in NT+Fisco, 25 luglio 2023, da una parte, e F. Randazzo, Osservazioni in tema di cram down fiscale e contributivo nel codice della crisi, in Diritto e pratica tributaria, I, 3, 2024, dall'altra.

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(b) La posizione del Tribunale di Ferrara.

Nonostante i contrasti, a grandi linee sopra richiamati, il Tribunale di Ferrara, nel caso di specie, si è limitato ad affermare che il Correttivo-ter ha previsto espressamente la possibilità di utilizzare il cram down fiscale e previdenziale anche nell'ambito del concordato in continuità, «[…] confermando, proprio per la ritenuta necessità di una novella, la sua assenza nel contesto normativo precedente» (p. 12 Sentenza). Si legge nella Relazione dell'Ufficio del massimario e del ruolo della Suprema Corte di Cassazione del 30 gennaio 2025: «Viene poi distinta l'operatività del cram down a seconda della natura, liquidatoria o in continuità del piano concordatario. Nel primo caso, "il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione, che comprende il voto contrario, da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o, assistenza e assicurazioni obbligatorie quando" a) l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'articolo 109, comma 1; b) il trattamento è conveniente rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale. Nel caso di concordato in continuità, invece, il tribunale omologa se a) "ferme restando le altre condizioni previste dall'articolo 112, comma 2"; b) il trattamento non è deteriore rispetto a quello ritraibile dal creditore erariale nell'alternativa della liquidazione giudiziale. Si specifica poi, superando una diatriba formatasi nella giurisprudenza di merito, che nel caso di ristrutturazione trasversale di cui all'art. 112, comma 2 c.c.i.i., per potersi applicare il cram down l'adesione della parte pubblica deve essere determinante al fine di raggiungere la maggioranza delle classi aderenti alla proposta di concordato, mentre nell'ipotesi alternativa dell'omologazione “trasversale” con una sola classe privilegiata aderente, il cram down non può surrogare tale condizione ed il voto favorevole dell'erario deve essere comunque espresso».

È evidente così che nel Correttivo-ter vi è, come in passato, un espresso richiamo alle norme sulla ristrutturazione trasversale dei debiti nell'ambito del concordato in continuità: l'art. 88, c.c.i.i., nella nuova formulazione, al comma 4, prevede che «Nel concordato in continuità aziendale, ferme restando le altre condizioni previste dall'articolo 112, comma 2 […]» e, al comma 3, esplicita da subito la possibilità, per il tribunale, di omologare forzosamente il concordato in continuità «anche in mancanza di adesione, che comprende il voto contrario, da parte dell'amministrazione finanziaria […]».

Nella novella, inoltre, non è più richiamato il raggiungimento delle percentuali di cui all'art. 109, comma 1, c.c.i.i. come, invece, nel precedente comma 2-bis dell'art. 88, c.c.i.i. Sempre nel Correttivo-ter è, infine, chiarito che la “mancata adesione” dei creditori pubblici comprende il voto contrario da parte dell'amministrazione finanziaria e degli enti di previdenza e assistenza obbligatorie (art. 88, commi 3 e 4, c.c.i.i. nella nuova formulazione). Tutto ciò, si è detto (A. M. Manco, Le possibili interazioni fra ristrutturazione trasversale dei debiti e transazione tributaria nel concordato in continuità, alla luce del decreto correttivo al Codice della crisi (D.Lgs. n. 136 del 13/09/2024), in dirittodellacrisi.it), «[…] non lascia dubbi sul fatto che la disciplina della transazione tributaria possa applicarsi anche alle ipotesi di ristrutturazione dei debiti con continuità aziendale» anche se, si è precisato, «[..] l'uso della congiunzione (con valore disgiuntivo) “oppure” [di cui alla lett. d) del novellato comma 2 dell'art. 112, c.c.i.i.] rischia di generare nuove incertezze interpretative, perché induce a ritenere (invertendo l'ordine dei fattori) che per verificare il raggiungimento della maggioranza delle classi, oltre al criterio che esclude dal computo i creditori pubblici, sussista un altro criterio per computare il raggiungimento della maggioranza delle classi dai contorni non espressamente precisati in via legislativa» (G. Andreani e A. Tubelli, Cram down fiscale e concordato in continuità: un rapporto complicato, in transazione-fiscale.it). In ogni caso, considerata l'imminente entrata in vigore del Correttivo-ter e la circostanza che, già prima delle ultime riforme, la dottrina più accorta (G. Andreani, Il cram down fiscale nel concordato preventivo in continuità, cit.) avesse ampiamente dimostrato come non fosse corretto escludere la possibilità di transazione tributaria e previdenziale nell'ambito del concordato in continuità e, allo stesso modo, parte della giurisprudenza [cfr. sopra sub (a) (ii)], avesse precisato le ragioni per ritenere certamente applicabile alla continuità aziendale la disciplina di cui all'art. 88, c.c.i.i. [in particolare, secondo Trib. Napoli, 24 aprile 2024, cit., depone a favore dell'applicazione, anche al concordato in continuità dell'allora vigente comma 2-bis dell'art. 88, c.c.i.i.(a) la circostanza che il comma 2 della richiamata norma prevedesse che l'attestazione del professionista indipendente dovesse avere ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto al Fisco rispetto alla liquidazione giudiziale e, «nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore» (anche se, tale argomento, con la modifica del Correttivo-ter verrebbe meno); (b) il carattere non decisivo del richiamo, nell'art. 88, c.c.i.i. allora vigente, all'art. 109, comma 1, c.c.i.i. relativo al concordato liquidatorio e non anche al comma 5 di detto articolo, che riguarda il concordato in continuità, in quanto è lo stesso comma 1 a far salva l'applicazione delle regole di cui al comma 5 per il concordato in continuità e (c) la ratio, in ogni caso, della omologazione forzosa, diretta a superare ingiustificati dinieghi da parte degli enti finanziari e previdenziali in presenza di proposte non deteriori rispetto all'alternativa liquidatoria].

Considerata peraltro l'eminente entrata in vigore del Correttivo-ter, alla luce dei provvedimenti della giurisprudenza espressasi già a favore dell'interpretazione estensiva del cram down fiscale e previdenziale [cfr. sopra sub (a) (ii)], la posizione assunta in punto dal Tribunale di Ferrara avrebbe meritato una più approfondita analisi. D'altra parte, vi è da segnalare che la Cassazione, con ordinanza n. 24527 del 12 settembre 2024, ha ribadito la natura eccezionale della disciplina in tema di cram down, affermando, in particolare, che «[…] la previsione dell'ultima parte del 4 comma dell'art. 180 L. Fall.» (che, si ricorda, non è più in vigore, o meglio non si applica alle pratiche in corso dopo l'entrata in vigore del c.c.i.i. ma, anche dopo il Correttivo-ter, la relativa previsione è comunque contenuta nell'art. 88, comma 3, c.c.i.i., i.e.: concordato liquidatorio, e comma 4, i.e.: concordato in continuità) «[…] ha sicuramente natura di norma eccezionale, nella misura in cui consente al Tribunale, ai fini dell'omologazione del concordato preventivo, di surrogarsi all'Amministrazione finanziaria ovvero agli Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie in caso di loro mancata adesione - determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze - alla proposta concordataria».

L'omologa del concordato preventivo in continuità con il c.d. cross-class cram down

Altro aspetto interessante della pronuncia in esame è l'applicazione, da parte del tribunale, del c.d. cross class cram down (ossia, a mente della Direttiva Insolvency, 1023/2019, la ristrutturazione trasversale richiesta quando, nella tipologia concordataria in continuità, manchi l'adesione della totalità delle classi, in presenza delle condizioni di cui al comma 2 dell'art. 112 c.c.i.i. che, si ricorda, il Tribunale di Ferrara ha ritenuto applicabile con le modifiche introdotte dal Correttivo-ter) con l'esclusione, nel contempo e per le ragioni di ordine temporale che si sono viste, dell'applicazione del cram down fiscale e previdenziale.

D'altra parte, l'adesione del creditore fiscale e/o previdenziale (i.e.: Agenzia delle Entrate, nel caso di specie), sarebbe determinante per l'approvazione del concordato preventivo integrando, congiuntamente sia i requisiti richiesti dal comma 2-bis dell'art. 88 c.c.i.i. per il cram down fiscale, sia quelli richiesti dal comma 2 dell'art. 112 c.c.i.i. per il cross class cram down, rendendo possibile l'omologazione forzosa del tribunale nel dissenso di tutti i creditori, ma sul presupposto che, comunque, la soluzione del concordato preventivo in continuità sia, nella fattispecie concreta, migliorativa per i creditori rispetto ad ogni altra soluzione concretamente praticabile.

Nel caso di specie, la proposta concordataria sottoposta al voto dei creditori ha ricevuto il consenso del 64,53% dei crediti ammessi, risultando approvata da 6 classi su 12. Non essendovi dunque dubbi circa l'impossibilità di procedere all'omologa per unanimità delle classi (ex art. 109, comma 5, c.c.i.i.), la società ricorrente avanzava istanza per l'esercizio, da parte del tribunale, del cross-class cram down, sul presupposto che: (i) le classi consenzienti avrebbero rappresentato classi particolarmente rappresentative (Erario e istituti bancari), (ii) per le classi dissenzienti sarebbe stato previsto comunque un trattamento non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria e (iii) ci sarebbero state tutte le condizioni previste dal comma 2 dell'art. 112 c.c.i.i. [lett. a), b), c), e d)]. In particolare, quanto alla lettera d), la classe “sfavorita” dalla continuità sarebbe stata l'Agenzia delle Entrate che, nello scenario liquidatorio, avrebbe ottenuto il pagamento di un importo maggiore di 1/3 rispetto a quanto riconosciutole dalla proposta concordataria in continuità. In proposito, la società debitrice ha richiamato il principio che sarebbe stato affermato dalla Corte di Cassazione nella Relazione dell'Ufficio del Massimario del 15 settembre 2022, p. 32, che, a dire della società debitrice, avrebbe consentito di «far luogo, in sede di omologazione del concordato in continuità, al c.d. Cross class cram down (prevista dall'art. 11 della Direttiva, per cui il concordato può essere comunque omologato in mancanza di voto unanime di tutte le Classi, quando fra quelle consenzienti si contino classi particolarmente rappresentative e per quelle dissenzienti sia previsto un trattamento non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria» (p. 8 della Sentenza).

Il tribunale ferrarese, in realtà, bolla come “eccessivamente semplificatoria” (p. 12 della Sentenza) una simile lettura del comma 2 dell'art. 112 c.c.i.i. Premesso, infatti, che l'art. 11 della Direttiva Insolvency costituisce una disciplina volta ad armonizzare il diritto negli Stati membri, lasciando agli stessi, in presenza di certi requisiti, anche quanto alla ristrutturazione trasversale, spazi per legiferare nell'ambito del diritto interno, il tribunale precisa che questi requisiti non possono essere genericamente riferiti al “trattamento non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria”, ma vanno specificamente individuati nell'art. 112 c.c.i.i., per cui la loro sussistenza deve essere vagliata in sede di omologazione del concordato. «In altre parole, quella del «trattamento non deteriore» costituisce la cornice interpretativa, fissata dal legislatore unionale unitamente agli altri criteri fissati dalla Direttiva e richiamata nella Relazione [dell'Ufficio del Massimario del 15 settembre 2022] prodotta dalla ricorrente, che è stata riempita dal legislatore nazionale bilanciando i requisiti specifici sulla base dei quali si ammette l'anomalia di un concordato non poggiato sulla volontà dei creditori» (p. 13 della Sentenza).

Sempre ad avviso del tribunale, sono poi quattro le condizioni che devono congiuntamente ricorrere:

  • (a) la distribuzione del valore di liquidazione, come definito dall'art. 87, comma 1, lett. c), nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (come da lett. a) dell'art. 112, comma 2, c.c.i.i.);
  • (b) la distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione (o anche plusvalore da continuità) in modo tale che i creditori inclusi nelle classi dissenzienti ricevano un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall'art. 84, comma 7, c.c.i.i., per i crediti da lavoro ex art. 2751-bis, n. 1, c.c. [come da lett. b) del comma 2 dell'art. 112 c.c.i.i.];
  • (c) l'assegnazione a ciascun creditore di un importo non superiore al proprio credito [come da lett. c) del comma 2 dell'art. 112 c.c.i.i.];
  • (d) l'approvazione, comunque, della proposta dalla maggioranza delle classi, sempre che almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza l'approvazione a maggioranza delle classi, approvata anche soltanto da una classe di creditori ai quali è offerto un importo non integrale del credito e che sarebbero soddisfatti totalmente o parzialmente ove si applicasse l'ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

L'analisi di tali condizioni presuppone poi una premessa circa l'ordine di soddisfacimento dei crediti (negli stessi termini, App. Bari 4 dicembre 2024 cit.). Così la Sentenza (p. 13), con riferimento alla condizione sub (a) richiama la "absolute priority rule" (APR), secondo cui il valore di liquidazione dei beni dovrà essere distribuito, in osservanza degli artt. 2740 e 2741 c.c., nel rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione sull'attivo ripartibile e i creditori di rango inferiore possono essere pagati solo una volta avvenuto il completo soddisfacimento dei creditori di rango superiore. Riguardo alla condizione sub (b), la distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione (per la determinazione di tale valore, cfr. anche A.M. Leozappa, Sul “valore eccedente quello di liquidazione” nel concordato preventivo in continuità aziendale (art. 84, comma 6, CCII), in dirittodellacrisi.it) dovrà avvenire sulla base della regola della priorità relativa, "relative priority rule" (RPR) in maniera tale, cioè, che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi del medesimo grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, «[…] consentendosi così una distribuzione per i creditori successivi anche in caso di soddisfazione non integrale della classe superiore, nel rispetto di quanto i primi riceverebbero dalla liquidazione giudiziale dei beni, con l'unica eccezione dei creditori assistiti da privilegio generale ai sensi dell'art. 2751-bis, n. 1, c.c., per i quali il principio della priorità assoluta va in ogni caso rispettato» (D. Fico, La ristrutturazione trasversale nel concordato in continuità, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, oltre all'ivi richiamato G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in dirittodellacrisi.it e le pronunce Trib. Torino, 11 novembre 2024, in ilcaso.it e Trib. Busto Arsizio, 8 maggio 2024, in Il Fallimento, 2024, 1566 e ss.).

Infine, il Tribunale di Ferrara, rispetto alla condizione prevista dal comma 3 dell'art. 112 c.c.i.i. ha accertato, per il creditore opponente (i.e.: Regione Emilia Romagna), la convenienza della proposta e del piano rispetto alla liquidazione giudiziale. All'esito della predetta verifica, il Tribunale di Ferrara ha, infine, accolto la proposta domanda di omologa del concordato, una volta esercitato, come si è visto sopra, il cross class cram down. La peculiarità della pronuncia in esame sembra quindi risiedere nell'omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale con l'applicazione del solo cross class cram down (così come disciplinato dal nuovo art. 112, comma 2, c.c.i.i.) escludendo invece il c.d. “cram down” fiscale e contributivo (previsto dall'allora art. 88, comma 2-bis, c.c.i.i.), ritenuto inapplicabile al caso di specie, non in quanto in contrasto con la continuità aziendale (come ritenuto dalla giurisprudenza richiamata sub (a) (i) che precede) ma in ragione dell'efficacia delle norme introdotte dal Correttivo-ter e, in particolare, in ragione dell'art. 56 del citato d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136, come si è visto sopra sub A) (i) e come opportunamente rilevato dalla Sentenza. Ora, in verità, il Correttivo-ter, sostituendo l'art. 88, c.c.i.i. sembra aver posto fine agli animati contrasti dottrinali e giurisprudenziali sorti sulla questione, ciò in quanto, con le modifiche apportate, si è precisato come, una volta riscontrato il carattere non deteriore della proposta di transazione fiscale e previdenziale rispetto all'alternativo scenario liquidatorio, presupposto sempre imprescindibile, il tribunale possa, come da previsione del nuovo comma 4 dell'art. 88 c.c.i.i., provvedere all'omologazione del concordato se, come da manifestazione necessariamente espressa, l'approvazione dell'amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali e assistenziali risulti determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi, come previsto dall'art. 112, comma 2, lett. d), c.c.i.i. , oppure se la maggioranza sia conseguita escludendo dal calcolo le classi dei medesimi creditori pubblici. Tale modifica normativa, anche se, come avvertito dal Tribunale di Ferrara, è applicabile alle proposte di transazione fiscale presentate successivamente all'entrata in vigore del Correttivo-ter, costituisce, comunque, un non trascurabile indice normativo suscettibile di ineludibile valorizzazione nell'interpretazione del previgente testo dell'art. 88 c.c.i.i., nel senso dell'ammissibilità del “cram down” anche per il concordato in continuità aziendale.

La corretta stima del valore di liquidazione con riferimento alla possibilità, o meno, di vendere in blocco o atomisticamente i beni aziendali

Nel valutare i requisiti per l'omologazione del concordato in continuità aziendale della società debitrice ex art. 112 c.c.i.i. (nella formulazione di cui al Correttivo-ter), il Tribunale di Ferrara ha considerato poi, sotto il profilo del difetto di convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale, l'opposizione proposta da un creditore (i.e.: Regione Emilia Romagna) ai sensi del terzo comma della norma richiamata.

Nella specie, l'opponente si doleva che «[…] la quota di propria spettanza calcolata sul valore di liquidazione risulta erroneamente determinata in ragione della non corretta stima dello stesso, per non avere la debitrice computato al suo interno il maggior valore economico realizzabile dalla cessione dell'azienda in esercizio, limitandosi a quantificare il valore ritraibile dalla vendita atomistica dei beni che compongono l'azienda della società debitrice. In sostanza, la convenienza non sarebbe stata vagliata nell'ottica della cessione dell'azienda in funzionamento nella liquidazione giudiziale dopo un periodo di esercizio provvisorio» (pp. 17 e 18 della Sentenza).

In proposito, come avvertito dalla Sentenza, il valore di liquidazione del patrimonio in caso di liquidazione giudiziale è il punto cruciale delle proposte concordatarie (cfr. F. Benassi, Dal valore di mercato al valore di liquidazione nel codice della crisi: per chi suona la campana? in ristrutturazioniaziendali.Ilcaso.it) in quanto:

  • (a) è il parametro per verificare se il soddisfacimento dei creditori non è inferiore rispetto a quello realizzabile nello scenario liquidatorio [art. 87, comma 1, lett. c), c.c.i.i.];
  • (b) delimita, nel concordato in continuità aziendale, il perimetro applicativo della regola della priorità assoluta nella distribuzione dell'attivo (art. 84, comma 6, c.c.i.i.);
  • (c) offre al singolo creditore il diritto a vedersi riconosciuta la propria pretesa di sindacare un potenziale pregiudizio del proprio credito, mediante l'opposizione all'omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale (art. 112, comma 3, c.c.i.i.).

Tuttavia, almeno fino al Correttivo-ter, il c.c.i.i. non ne ha fornito una chiara definizione, utilizzando espressioni differenti per disciplinare (forse) uno stesso "valore". Giustamente, allora, è necessario definirne il parametro di riferimento (come avvertito dalla Sentenza, laddove precisa che «Occorre qui svolgere una indispensabile considerazione circa il corretto impiego da parte del legislatore del termine valore di liquidazione (giudiziale) e non più di valore di mercato», p. 19 della Sentenza).

Si è detto, del resto, che per aversi un “valore” «[…] occorre preliminarmente individuare lo scenario (di liquidazione) nell'ambito del quale operare le diverse simulazioni relative agli attivi patrimoniali dell'impresa, tenuto conto che accanto a norme del c.c.i.i. che prendono in considerazione il valore di liquidazione, ve ne sono altre che, invece, si riferiscono al valore di mercato, ovvero norme che richiamano espressamente lo scenario della liquidazione giudiziale e altre che, invece, si riferiscono genericamente alla liquidazione dei beni e diritti. Oltre al fatto che, a seguito dell'intervento del recente decreto correttivo, il riferimento al “valore di mercato” è rimasto unicamente agli artt. 75 e 100 c.c.i.i., una lettura coordinata delle norme, la coerenza della disposizione di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 84 con il principio sancito dal primo comma della stessa norma, nonché il contesto giuridico di riferimento della crisi d'impresa o dell'insolvenza nel quale si trova l'imprenditore e la circostanza per cui l'unico scenario oggettivo, e “coercibile” ad iniziativa dei creditori, da assumere quale termine di raffronto è quello della liquidazione giudiziale, chiarisce che anche il valore di liquidazione di cui all'art. 84, comma 5 e 6, CCII debba intendersi quale “valore di liquidazione giudiziale” (A. Turchi, Il valore di liquidazione nel Codice della crisi e dell'insolvenza, in dirittodellacrisi.it).

Certo è che i due valori sono profondamente diversi e non sovrapponibili a causa della presenza, nella nozione di valore di mercato, dell'elemento della autonomia e libertà contrattuale, assente invece nella nozione di valore di liquidazione connesso alla vendita coattiva disposta dal giudice. Ora, «Il recente decreto correttivo è intervenuto in modo incisivo nell'ambito della nozione di valore di liquidazione, permettendo così, ad avviso di chi scrive, di risolvere il dubbio circa il parametro di riferimento ai fini della stima del valore di liquidazione, nonché di chiarire che il valore di liquidazione rilavante ai fini dell'opposizione ex art. 112, comma 3, CCII non sia differente rispetto a quello cui si riferisce l'art. 84, comma 6, CCII in tema di regole distributive» (A. Turchi, Il valore di liquidazione nel Codice della crisi e dell'insolvenza, in dirittodellacrisi.it., cit.). Correttamente quindi il Tribunale di Ferrara, nel respingere l'opposizione, ha ritenuto «indubitabile che il valore di liquidazione, che qui viene in rilievo, sia un valore ben diverso da quello del libero mercato e correttamente la ricorrente ha individuato il parametro fondamentale del valore di liquidazione nel valore di dismissione, in ambito di vendita coattiva, dei singoli cespiti, non consentendo una maggiore soddisfazione dei creditori la vendita dei beni in blocco, secondo quanto previsto dall'art. 214, comma 1, C.C.I.I.» (p. 20 della Sentenza). In sostanza se, come nel caso di specie, quando la debitrice ha fatto accesso allo strumento di regolazione non era in grado di esprimere alcun flusso di continuità, se liquidata in quel momento, i beni aziendali avrebbero potuto essere ceduti solo atomisticamente ed a prezzo di liquidazione coattiva. Ancor prima del Correttivo-ter la giurisprudenza si era invero espressa nel senso che, ai sensi dell'art. 87 c.c.i.i. e per gli effetti di cui all'art. 84, comma 5, c.c.i.i., il valore di liquidazione del patrimonio del debitore, alla data della domanda di concordato preventivo, deve essere determinato avendo riguardo a quanto ricavabile dalla liquidazione giudiziale e deve, quindi, comprendere anche quanto ritraibile dalle azioni revocatorie eventualmente esperibili in caso di apertura di tale procedura (Trib. Verona 10 luglio 2023, in Il Fallimento, 2023, 12, 1593). Del resto, già in dottrina, per valore di liquidazione si è inteso l'attivo ricavabile dalla liquidazione, atomistica o in blocco, del patrimonio del debitore in caso di liquidazione giudiziale (cfr. G. D'Attore, Le regole di distribuzione del valore, in Il Fallimento, 2022,  1223 ss.; A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, in dirittodellacrisi.it, 2022, 3; B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, in dirittodellacrisi.it, 2023, 47 e F. Lamanna, Il codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, 466). Una conferma del resto di tale lettura si trova nella Direttiva Insolvency 2019/1023, art. 2, par. 1, n. 6, da cui è dato evincere che il valore di liquidazione è quello ritraibile da una «liquidazione per settori o [da] una vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale»: dunque, liquidazione atomistica ovvero liquidazione dell'azienda, che, a sua volta, potrebbe venire in considerazione in una dimensione statica ovvero dinamica (seppur meramente conservativa e transitoria), in ipotesi di esercizio provvisorio (G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it, 2022, 24). Nel valore di liquidazione e, in particolare, al fine verificare il rispetto del livello minimo di soddisfacimento offerto ai creditori, deve tenersi conto delle utilità che si possono attendere da eventuali azioni revocatorie e di responsabilità esperibili nel corso della procedura di liquidazione giudiziale (A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, in Il Fallimento, 2022, 751). Ancora di recente, d'altra parte, Trib. Firenze, Sez. V, con la sentenza 8 gennaio 2025, in onelegale.it, si è espresso nel senso che «[…] il valore di liquidazione, oggi meglio definito dall'art. 87, comma 1, lett. c), CCII, come modificato dal D.Lgs. n. 136 del 2024, è “quel valore” corrispondente al valore realizzabile, in sede di liquidazione giudiziale, dalla liquidazione dei beni e dei diritti, comprensivo dell'eventuale maggior valore economico realizzabile nella medesima sede dalla cessione dell'azienda in esercizio nonché delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese». In definitiva, può quindi dirsi che, nel concordato in continuità aziendale, il valore di liquidazione dell'impresa ex art. 87, comma 1, lett. c), c.c.i.i. coincide con il valore statico atomistico dell'azienda, non comprensivo del valore della cessione dell'azienda in esercizio ove, nell'ipotesi di liquidazione giudiziale dell'impresa debitrice, non sarebbe possibile la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa. D'altra parte, «La nuova formulazione dell'art. 87, comma 1, lett. c)» conclude la Sentenza «elimina ogni possibile incertezza interpretativa in merito alla determinazione del valore in oggetto, stabilendo che esso non deve rappresentare una stima ipotetica sulla base delle dinamiche del libero mercato, dovendo essere invece ancorato alla concreta realizzazione che i beni avrebbero potuto consentire se fossero stati alienati: i) al momento della domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi; ii) nell'ambito di una procedura giudiziale che implica la vendita coattiva; iii) tenuto conto delle modalità e della durata presumibile della liquidazione giudiziale» (p. 21 della Sentenza). In buona sostanza, conclude la Sentenza, «[…] la prospettiva della Regione Emilia-Romagna muove da una inattuabile sovrapposizione tra scenari alternativi, quello liquidatorio e quello concordatario. Deve invece ritenersi che non possano essere considerati ai fini del valore di liquidazione i risultati e gli obiettivi del piano pluriennale derivante dall'intervento industriale e di ristrutturazione previsto dal piano concordatario: non si possono comprendere (e valutare sotto il profilo del difetto di convenienza) valori connessi a risultati derivanti dal piano concordatario e non concretamente attuabili da parte della curatela dopo l'apertura della liquidazione giudiziale». In conclusione, precisato che è al valore di liquidazione che occorre far riferimento, la giurisprudenza è andata oltre, stabilendo che, forse nell'ottica dell'interesse pubblico di ordine economico e sociale, consistente nella salvezza dei fattori produttivi operanti sul mercato e nella conseguente salvaguardia dei livelli occupazionali, non può trovare accoglimento l'opposizione alla omologazione del concordato preventivo, sotto il profilo della erronea indicazione del valore di liquidazione, nell'ipotesi in cui la stessa non comporti un pregiudizio per il creditore opponente (da ultimo, infatti, Trib. di Milano 23 settembre 2024, in ilcaso.it, ha stabilito che «[…] la ritenuta erronea determinazione del valore di liquidazione non potrebbe, in ogni caso, sostanziarsi in un pregiudizio per il creditore opponente posto che ogni ulteriore attivo non incluso nel valore di liquidazione sarebbe destinato al soddisfacimento della pretesa erariale in uno scenario di liquidazione giudiziale)».

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