Rapporti tra assoluzione penale e processo tributario: la parola passa alla Corte costituzionale
25 Giugno 2025
Massima È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, così come introdotto dall'art. 1 D.Lgs. n. 87/2024 e che dal 1/1/2026 rifluirà nell'art. 119 D.Lgs. n. 175/2024, sollevata d'ufficio in riferimento agli articoli 3, comma primo, 53, 24, 97, 111, commi primo e secondo, della Costituzione. Il caso La novella legislativa Oggetto di causa è l'impugnativa di un avviso di accertamento emesso dall'Ufficio per il recupero a tassazione, con relative sanzioni, di ricavi non dichiarati ed imputati per trasparenza a coloro i quali sono stati ritenuti amministratori di una società di fatto destinataria di una previa verifica fiscale ed autori delle violazioni contestate. Nel corso di un articolato e complesso contenzioso, la Corte di Giustizia Tributaria regionale del Lazio ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per difetto di contraddittorio; e quindi la controversia è stata riassunta davanti alla CGT di primo grado di Roma per la prosecuzione del giudizio, previa integrazione del contraddittorio e con successiva riunione dei distinti giudizi impugnatori. È proprio in questa sede di riassunzione che alcuni dei ricorrenti hanno eccepito di essere stati assolti in sede penale, con sentenza passata in giudicato e con la formula ‘perché il fatto non sussiste' o ‘per non avere commesso il fatto', dall'imputazione relativa alla commissione di quei fatti-reato sulla base dei quali è stato emesso l'impugnato avviso di accertamento ed in relazione ai quali sono stati mossi i conseguenti rilievi per le violazioni fiscali contestate nel giudizio tributario. Per tale motivo, i ricorrenti hanno invocato l'applicazione del vigente articolo 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera m), D.Lgs. n. 87/2024, a tenore del quale “la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi”. La Corte di Giustizia, ritenuta la norma rilevante nel caso di specie e dubitando della sua legittimità, ha d'ufficio sollevato incidente di costituzionalità, rimettendo gli atti alla Corte costituzionale e sospendendo conseguentemente il giudizio tributario. Analoga rimessione alla Corte costituzionale era stata operata tre mesi prima dalla CGT di secondo grado del Piemonte, con l'ordinanza 10/3/2025 n. 64/2025. La questione Le pronunce della Cassazione e il rinvio alle Sezioni Unite Come più sopra chiarito, la questione affrontata dalla pronuncia qui in commento è quella del rapporto tra la sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste o per non avere commesso il fatto, ed il procedimento tributario che vede tali fatti posti alla base delle contestazioni mosse al contribuente. Come noto, fino all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 87/2024 il tradizionale insegnamento della Suprema Corte era quello del cd. doppio binario, id est di autonomia tra i due procedimenti, a tenore del quale la sentenza di assoluzione penale (così come quella di condanna) non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario e non può quindi comportare di per sé l'annullamento dell'accertamento, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente; e ciò in ragione della diversità dei sistemi probatori che contraddistinguono i due procedimenti e della possibilità per il processo tributario di accertare i fatti anche alla luce di presunzioni; con la conseguenza che il contenuto della sentenza assolutoria può quindi solo essere valutato dal giudice quale elemento di prova, al pari di altri, sui quali fondare il proprio convincimento (cfr., ex pluribusCass. n. 25632/2021, Cass. n. 17258/2019, Cass. n. 10578/2015). Su questo pacifico panorama giurisprudenziale è intervenuto lo ius superveniens del D.Lgs. n. 87/2024, che introducendo l'articolo 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, ha previsto che “la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi” (comma 1); e che detta sentenza penale irrevocabile “può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione” (comma 2). La norma di nuovo conio è già stata oggetto di numerosi arresti anche da parte della Corte di cassazione, che muovendo dal pacifico tenore letterale della disposizione ha chiarito come il principio non si estenda alle assoluzioni ‘perché il fatto non costituisce reato' ed alle sentenze non dibattimentali (Cass. n. 1144/2025 e Cass. n. 1148/2025). E' stato poi convincentemente spiegato che la norma ha natura processuale, con la conseguenza che essa si applica anche alle assoluzioni divenute irrevocabili prima della novella se il procedimento tributario, pur iniziato prima dell'entrata in vigore della norma, è ancora in corso (cfr. Cass. n. 23570/2024, Cass. n. 23609/2024, Cass. n. 30814/2024, Cass. n. 936/2025, Cass. n. 1021/2025 e Cass. n. 2388/2025). Vi è invece contrasto sulla portata e sugli effetti del giudicato penale assolutorio rispetto al contenzioso tributario, ed in particolare sul fatto che esso travolga la pretesa erariale tanto sull'imposta quanto sulle sanzioni (in questi termini l'originaria tesi, ritenuta più convincente da chi scrive, di Cass. n. 21584/2024, Cass. n. 23570/2024, Cass. n. 23609/2024, Cass. n. 26584/2024, Cass. n. 30675/2024, Cass. n. 30814/2024, Cass. n. 30900/20124, Cass. n. 936/2025 e Cass. n. 1021/2025); ovvero impedisca l'irrogazione delle sole sanzioni, persistendo invece con riferimento all'imposta il cosiddetto doppio binario, nel senso che la sentenza assolutoria penale continua ad avere una valenza di mero elemento di prova oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi (così la successiva tesi di Cass. n. 3800/2025, Cass. n. 4916/2025, Cass. n. 4921/2025, Cass. n. 4924/2025, Cass. n. 4935/2025 e Cass. n. 9157/2025, con conclusioni criticate dall'unanime Dottrina). E parimenti contrasto vi è in ordine al fatto che la norma si applichi o meno anche alle assoluzioni ex art. 530, comma 2, c.p.c., id est per il caso di prova mancante, insufficiente o contraddittoria (in senso favorevole, cfr. Cass. n. 23570/2024 e Cass. n. 23609/2024; mentre in senso contrario cfr. Cass. n. 3800/2025, Cass. n. 4921/2025 e Cass. n. 4924/2025, Cass. n. 9148/2025). Per tali motivi, stante il contrasto giurisprudenziale sui due punti sopra riassunti relativi all'esclusione delle sole sanzioni od anche del rapporto impositivo, nonché sull'applicabilità o meno del principio con riferimento alle assoluzioni exarticolo 530, comma 2, c.p.p., Cass. n. 5714/2025 ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite, che hanno già calendarizzato l'udienza per il prossimo 7 ottobre. Su tali questioni la CGT non prende posizione, e ciò poiché mentre la Suprema Corte, nelle molteplici pronunce sopra riportate, ha indagato il perimetro applicativo della norma senza dubitare della sua conformità a Costituzione, la CGT ha più radicalmente ritenuto la norma stessa illegittima; e se così fosse, ogni riflessione sul suo preciso ambito applicativo sarebbe all'evidenza assorbita perché logicamente travolta. Le soluzioni giuridiche I dubbi di legittimità costituzionale Si possono sostanzialmente identificare in quattro direzioni le censure di legittimità costituzionale che la CGT di primo grado Roma muove nei confronti dell'articolo 21-bis D.Lgs. n. 74/2020.
Nonostante il richiamo sia nella parte narrativa, sia nella parte dispositiva dell'ordinanza, non è invece espressamente sviluppato nel testo del provvedimento il tema della violazione dell'articolo 97 Cost. Osservazioni Il doppio esame Prima il rinvio alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ed ora il rinvio alla Corte costituzionale. Il nuovo articolo 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, dopo nemmeno un anno dalla sua entrata in vigore ad opera del D.Lgs. n. 87/2024, sarà nei prossimi mesi sottoposto in sequenza all'attenzione dei due organi giudiziari di vertice, al fine di scrutinare il suo preciso ambito applicativo e la stessa conformità a Costituzione. La rapidità con la quale questa verifica è stata chiesta e sarà effettuata, non può che essere salutata positivamente, poiché la norma di nuovo conio, oltre che molto importante dal punto di vista sistematico, assume concretamente una rilevanza davvero centrale nell'ambito del processo tributario ed ha un impatto decisivo su molteplici controversie: pertanto, il fatto di potere presto leggere la norma stessa alla luce delle coordinate offerte da Sezioni Unite e Corte costituzionale, è certamente un elemento chiarificatore utilissimo alla stabilizzazione della giurisprudenza e fondamentale per rendere prevedibile una risposta giurisdizionale che rischierebbe altrimenti di essere divaricata ed imprevedibile, stante l'oggettivo contrasto già verificatosi. In particolare, le Sezioni Unite, pacifico essendo che l'articolo 21-bis s'applica a tutte le controversie pendenti, dovranno chiarire se la norma riguarda tanto il tributo quanto la sanzione (come sembrerebbe far ritenere il contenuto letterale della disposizione), ovvero solo la sanzione; e se l'area applicativa è relativa a tutte le assoluzioni ex articolo 530 c.p.p. (anche in questo caso come sembrerebbe emergere da contenuto letterale e ratio della disposizione), ovvero solo quelle ex articolo 530 comma 1 c.p.p., con esclusione del comma 2. Più radicalmente, sulla base di quanto argomentato dall'ordinanza qui in commento e dalla precedente ordinanza di CGT secondo grado Piemonte 10/3/2025 n. 64/2025, la Corte costituzionale dovrà invece verificare la conformità a Costituzione della norma. Alla luce del combinato disposto dagli invocati articoli 3 (principio di uguaglianza e ragionevolezza), 24 (diritto di difesa) e 111 (parità delle armi), sono probabilmente due i profili di maggiore spessore eccepiti dalla CGT remittente: il fatto che una sentenza di assoluzione possa essere opposta all'Agenzia delle Entrate nel processo tributario, senza che l'Agenzia stessa possa intervenire nel relativo processo penale a tutela dell'interesse fiscale di cui è istituzionalmente portatrice; ed il fatto che non sia prevista nel processo tributario anche per la sentenza di condanna una efficacia probatoria analoga a quella della sentenza di assoluzione. In particolare e dal primo angolo visuale, si evidenzia che l'Agenzia non può costituirsi parte civile nel processo penale a carico del contribuente per tutelare la riscossione dell'imposta, ma solo per tutelare altri interessi ulteriori e ontologicamente diversi (così Cass., Sez. Un., n. 29862/2022), e ciò comporta una divaricazione con la regola generale dell'articolo 652 c.p.p., dove l'assoluzione penale è vincolante nel processo civile o amministrativo solo se il danneggiato si sia costituito parte civile o sia stato posto in condizione di farlo; da un secondo angolo visuale, si segnala poi una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla sentenza penale di condanna, della quale l'Agenzia non può giovarsi con analogo automatismo rispetto alla sentenza di assoluzione che giova al contribuente. Alla prima di tali obiezioni potrebbe forse replicarsi che l'interesse dello Stato alla riscossione dell'imposta è indirettamente garantito dall'azione del P.M., volta ad accertare il fatto storico penalmente rilevante ed alla base della violazione tributaria, ciò che deve ritenersi possibile stante l'ampia libertà della quale gode il Legislatore nel conformare gli istituti processuali; e che comunque, per il principio di non contraddizione e per il divieto di bis in idem, l'ordinamento non potrebbe ritenere il medesimo fatto storico non commesso in sede penale (stante la sentenza di assoluzione), ma commesso in sede tributaria (così come potrebbe accadere ove il giudice tributario non fosse vincolato dall'accertamento penale). Tuttavia, è proprio quest'ultima osservazione che rafforza la seconda obiezione mossa dalla CGT: gli stessi princìpi di non contraddizione e di ne bis in idem, non sembrano compatibili con l'avvenuto accertamento in sede penale e tramite la sentenza di condanna, della commissione di un fatto storico ritenuto invece non commesso in sede tributaria. Aliis verbis: se si ritiene di riconoscere valore extra penale agli accertamenti di fatto compiuti dalla sentenza penale (che storicamente è considerata quella più adeguata ad accertare gli accadimenti materiali controversi), ciò dovrebbe riguardare non solo i fatti ritenuti insussistenti dalla sentenza di assoluzione, ma anche i fatti ritenuti sussistenti dalla sentenza di condanna, così come previsto dall'articolo 654 c.p.p. con riferimento all'efficacia nei giudizi civili e amministrativi delle sentenze penali di condanna o assoluzione. E ciò è ancora più vero riflettendo sul fatto che, dopo la modifica dell'articolo 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992 e l'introduzione della prova testimoniale scritta nel processo tributario, può ritenersi ora che le “limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa” che secondo il dettato dello stesso articolo 654 c.p.p. escludono l'applicazione del contenuto della norma, sono almeno in parte superate, essendo lo standard probatorio del processo tributario assimilabile a quello del processo civile; con la conseguenza che si potrebbe forse rimeditare il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude l'efficacia automatica a favore dell'Erario per le sentenze penali di condanna. Come si diceva, la matassa sarà comunque ora sbrogliata dalla Corte costituzionale, alla quale, se si vuole usare un gergo calcistico, la palla è stata passata dalla CGT. Guida all'approfondimento
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