Aspetti medico legali nella compensatio lucri cum damno
01 Luglio 2025
Premessa Sembra necessario ritornare in argomento compensatio lucri cum damno anche in chiave medico legale, dopo la sentenza di Cassazione 10.02.2025 n. 3429: Consigliere relatore ed estensore il dott. Marco Rossetti, cui si attribuisce anche e soprattutto la pronuncia “capostipite” nella materia che qui ci occupa (la n. 13233/2014 cui ne facevano seguito altre presso gli Ermellini, a conferma della medesima regola di giudizio; per la disamina dell'istituto della compensatio lucri cum damno e l'analisi critica di questa pronuncia della Cassazione, v. D. Spera, “Responsabilità civile e danno alla persona”, Giuffrè Francis Lefebvre, 2025, pagg. 474 e ss.). Si deve ritornare in quanto nella n. 3429/25 la S.C. opera una forzatura inaccettabile sul piano medico-legale, che oltretutto si pone in contraddizione, sia pure indiretta, con la sentenza “capostipite”. Ma andiamo con ordine. Il caso Nel caso di specie, la danneggiata/infortunata: aveva presentato richiesta di indennizzo alla società di assicurazioni (con la quale aveva stipulato polizza contro gli infortuni) per le conseguenze delle stesse lesioni per le quali già era stata risarcita dal civilmente responsabile; aveva promosso causa contro la stessa società, risultandone soccombente in primo e secondo grado; e aveva perciò fatto ricorso per Cassazione fondando lo stesso sulla inapplicabilità del principio della compensatio lucri cum damno adducendo motivazioni di carattere squisitamente giuridico e del tutto trascurando quelle di ordine medico-legale (e ve ne sono). Le argomentazioni stesse venivano letteralmente demolite dalla S.C. nella n. 3429/25; risultando affermato, in particolare, che se il danno già è stato risarcito da terzi (il civilmente responsabile) cade anche l'obbligazione indennitaria dell'assicuratore. Compensatio lucri cum damno Il principio stesso che viene qui affermato a chiare lettere, quasi “a gran voce”, è appunto quello della cosiddetta compensatio lucri cum damno. E tra le argomentazioni giuridiche elaborate non si trova alcun cenno di replica agli argomenti proposti, in senso contrario, al punto 4) della sentenza 2894/2023, Sez. X Civ. Tribunale Ordinario di Milano: argomenti che, auspicabilmente, potranno essere in futuro ripresi dalla S.C.; purché non si intenda avviare il Giudice milanese ad una sorta di damnatio memoriae (non sarà certo lo scrivente, mero orecchiante di cose-juris, ad entrare nel merito). Ma nella spinosa materia vi sono rilevanti aspetti medico-legali e, perciò, ci si sente autorizzati a “mettere il naso”. Invero, la sentenza in esame risulta chiara anche al profano. Segnatamente dove afferma che “Così a seguire la tesi della ricorrente, il derubato che abbia stipulato un'assicurazione contro il furto avrebbe diritto al pagamento dell'indennizzo anche se il ladro gli avesse già reso il maltolto”. E dopo approfondite motivazioni francamente tecnico-giuridiche, non egualmente accessibili al profano, la sentenza così conclude: “Se, quindi, la vittima di un fatto illecito fosse risarcita di un danno già indennizzato dal suo assicuratore sarebbe violato il principio di indifferenza del risarcimento; se l'assicurato fosse indennizzato di un danno già risarcito dal responsabile sarebbe violato il principio indennitario. Differenza non vi è fra le due ipotesi”. Pertanto, sembra che la Cassazione con ciò intenda voler posare una sorta di pietra tombale sulla questione; e tuttavia qui si ritiene che la tomba debba essere scoperchiata in ragione di quanto al punto 6) della sentenza “capostipite” (n. 13233/2014) in cui la stessa Corte aveva stabilito: “Resta solo da aggiungere, per completezza, che la detrazione dal risarcimento del danno aquiliano dell'indennizzo assicurativo percepito dalla vittima in virtù di una assicurazione contro gli infortuni, esige che il danno patito e il rischio assicurato coincidano: se l'assicurazione copre il danno da perdita della capacità di lavoro (danno patrimoniale), e la vittima del fatto illecito ebbe soltanto un danno biologico (danno non patrimoniale), nessuna detrazione sarà possibile, a nulla rilevando che l'assicuratore abbia, per effetto di particolari clausole contrattuali che ammettano l'indennizzabilità di un danno presunto, pagato ugualmente l'indennizzo”. Il principio che così ammette il cumulo delle somme previste per risarcimento in r.c. e per indennizzo per privata assicurazione contro gli infortuni, risulta ribadito, sia pure in fattispecie non-sovrapponibile, anche nella recente sentenza n. 6031/2025 (Cass. sez. III) secondo la quale: “… dall'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico non deve detrarsi l'indennizzo erogato dall'INPS in favore degli invalidi civile, trattandosi di prestazione volta a ristorare un pregiudizio patrimoniale rappresentato dalla perduta capacità di lavoro e, quindi, di guadagno (così l'ordinanza 11 aprile 2022, n. 11657, correttamente richiamata nel ricorso). Nella pronuncia ora richiamata, alla quale l'odierna decisione intende dare continuità, è stato detto che quella parte di danno subito dalla vittima consistente nel danno biologico non può essere sottratta dalle prestazioni erogate dall'INPS, attesa l'evidente diversità delle poste risarcitorie. Come l'ordinanza citata ha affermato (che) le prestazioni dell'INPS in favore degli invalidi civile si fondano tutte sul presupposto dell'esistenza d'un pregiudizio patrimoniale (che è presupposto juris et de jure) rappresentato dalla perduta capacità di lavoro e, quindi, di guadagno. Per contro l'INPS in nessun caso indennizza agli invalidi civili il danno non patrimoniale alla salute”. Aspetto medico legale È di tutta evidenza l'aspetto medico legale della problematica, nella parte della pronuncia n. 3429/2025, poco sopra richiamata; e sorprende che negli atti di ricorso in Cassazione, a difesa del danneggiato/infortunato, regolarmente ci si affatichi su complesse questioni giuridiche e mai si valorizzi l'aspetto medico-legale della problematica che invece potrebbe/dovrebbe rappresentare “carta vincente”. Non è chiaro, allo scrivente, se alla Corte sia o non sia consentito supplire a carenze motivazionali nei ricorsi come anche nel caso di cui alla sentenza in esame, andando a ricercare d'Ufficio come meglio gli stessi avrebbero potuto essere proposti (“Le carenze nel ricorso in cassazione di cui all'ordinanza della corte n.14358/19: a proposito di compensatio lucri cum damno”, E. Ronchi, RIDARE 2021). Ed anche qui risulta totalmente trascurata dal ricorrente la motivazione medico-legale che, per quanto sopra, avrebbe potuto rappresentare utile grimaldello per forzare la porta blindata della Compensatio. Tuttavia, sia pur non richiesta di intervento diretto nello specifico punto, nella n. 3429/25 la Corte sconfina nel terreno medico legale, dove appare protagonista di forzature (ben inteso sul solo piano medico-legale). La “forzatura” sta al punto 4.1) che così recita: “… L'assicurazione contro gli infortuni non mortali è quindi un'assicurazione di persone, soggetta alle regole dell'assicurazione danni … Nel caso di specie, è la stessa ricorrente ad allegare che la polizza oggetto del contendere stabiliva che l'indennizzo per invalidità permanente fosse accertato secondo i criteri e le percentuali previste dalla tabella allegata al DPR 30.06.1965 n. 1124. Le tabelle (ben undici) allegate al testo unico suddetto hanno ad oggetto l'invalidità causata dal danno biologico (art. 13 DPR 38/2000). Dunque, il contratto copriva il rischio di danno alla salute. Se quindi il danno alla salute derivato dall'infortunio è stato risarcito da un terzo, viene meno il presupposto stesso dell'obbligazione indennitaria gravante sull'assicuratore. Consentire all'assicurato di incassare l'indennizzo dovutogli per un danno già risarcito da terzi significherebbe trasformare la causa stessa del contratto di assicurazione, in quanto … (seguono le motivazioni di carattere giuridico) … Tutti questi principi sono già stati affermati da questa Corte con la sentenza 13203/14 alla cui ampia motivazione si può qui rinviare …”. A ben vedere, le motivazioni in sentenza testé richiamate, sotto il profilo medico legale costituiscono “forzature” incomprensibili. Afferma sostanzialmente la sentenza, che all'assicuratore privato è vietato di liquidare lo stesso danno alla salute, cagionato dal medesimo sinistro/infortunio, laddove esso già sia stato risarcito dal civilmente responsabile. Ed è precisamente questo il punto in cui agevolmente è possibile riconoscere l'errore di ordine medico legale, nel caso di specie. Infatti, la tabella allegata al DPR 30.06.1965 n. 1124 prevede valutazioni medico-legali per varie voci di invalidità che, nelle consuete indicazioni percentuali, esprimono non il danno biologico (o alla salute), bensì la permanente diminuzione di attitudine al lavoro. L'art. 2 del Testo Unico del 1965 definisce come segue l'oggetto dell'assicurazione: “… Tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o una inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero, inabilità temporanea assoluta che comporti l'astensione dal lavoro per più di tre giorni”. E le ipotesi relative all'invalidità permanente parziale o totale sono così definite dal medesimo Testo Unico: “La conseguenza di un infortunio la quale diminuisca in parte, ma essenzialmente per tutta la vita, l'attitudine al lavoro”; ovvero “La conseguenza di un infortunio la quale tolga completamente per tutta la vita l'attitudine al lavoro”. Ne deriva che la S.C., preso atto che la polizza allegata dalla ricorrente adotta la cosiddetta tabella INAIL del 1965, i cui valori percentuali esprimono permanente diminuzione di capacità lavorativa; e preso atto che nella fattispecie il responsabile civile aveva provveduto alla liquidazione di una diversa voce di danno (biologico o alla salute); avrebbe dovuto disapplicare il principio della compensatio lucri cum damno ed ammettere il cumulo risarcimento/indennizzo proprio in ragione del principio già affermato al punto 6) di Cass. Civ, n.13233/2014 come sopra richiamato. Va sottolineato, a questo punto, che tutti i privati contratti assicurativi contro gli infortuni adottano tabelle (cosiddette ANIA o INAIL-1965) i cui valori si riferiscono non a permanente diminuzione di integrità psico-fisica (danno biologico), bensì a riduzione di capacità all'esercizio di un qualsiasi lavoro proficuo: e ciò nel rispetto della precisa volontà dei contraenti. Infatti, all'assicurando interessa che l'assicuratore intervenga con beneficio economico in suo favore, laddove sia colpito da un evento lesivo che gli comporti impedimento (temporaneo e/o permanente) nella produzione del reddito da lavoro. È a tutti noto, poi, che l'assicuratore, per un corretto calcolo del premio e per una positiva gestione del ramo, deve affrontare un rischio per quanto possibile omogeneo; e questo spiega perché non copre la riduzione di capacità lavorativa specifica ed ha preferito definire l'invalidità permanente come diminuzione della capacità della persona allo svolgimento di un qualsiasi lavoro proficuo. D'altro canto, anche l'INAIL, nel rispetto del vigente Decreto n.38/2000, per danno biologico permanente di valore superiore al quindici%, liquida anche il danno patrimoniale (secondo criteri predefiniti per legge) per riduzione di capacità lavorativa. Dunque, si rileva non essere corretto neppure quanto affermato in sentenza a proposito delle tabelle di cui all'art. 13 del Decreto Legislativo n. 38/2000. Qui, infatti, si stabilisce che le menomazioni di grado pari o superiore al sedici% danno diritto all'erogazione di una ulteriore quota di rendita per l'indennizzo delle conseguenze delle stesse; erogazione commisurata al grado della menomazione, alla retribuzione dell'assicurato ed a coefficiente di cui all'apposita tabella dei coefficienti, che costituiscono indici di determinazione della percentuale di retribuzione da prendere in riferimento per l'indennizzo delle conseguenze patrimoniali. Sembra qui opportuno ricordare anche che “…Nella polizza infortuni, da sempre, il rischio che l'assicuratore prende in considerazione, che deve tarare, per calcolare il premio, non si identifica nei danni che l'infortunio può determinare nell'assicurato, ma unicamente nel tipo di attività che l'assicurato svolge. In altre parole, l'assegnazione della classe di rischio nella quale il proponente deve essere inserito in base alla quale viene calcolato il premio che gli deve pagare alla Compagnia, è determinata unicamente dalla rischiosità dell'attività svolta, dalla probabilità cioè che la sua vita lavorativa possa generare infortuni. Ciò spiega perché i premi delle polizze infortuni non variano in funzione dell'età dell'assicurato/contraente né delle sue condizioni di salute; e spiega anche perché, ai sensi dei vari articoli del codice civile che fanno riferimento a questa materia (artt. 1892, 1893 e 1894), l'obbligo dell'assicurato nei confronti della Compagnia, riguardante le variazioni di rischio, si riferisce unicamente all'eventuale variazione dell'attività svolta e non del suo stato di salute” ( Ronchi E., Mastroroberto L., Genovese U., Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente, in responsabilità civile e nell'assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie. Con contributo medico-legale per la quantificazione della sofferenza morale e del danno da perdita di chances, Giuffrè editore, Milano, II ed, 2015, 147). In conclusione In definitiva, ad avviso dello scrivente la Medicina Legale uniformemente dovrebbe prendere ampie distanze dalla conclusione cui giunge la n. 3429/25 (“Dunque, il contratto copriva il rischio di danno alla salute”, sic!): e, a prescindere dagli interessi di parte, dovrebbe puntualmente indirizzare i rispettivi committenti nella giusta direzione. Sia consentita, da ultimo, qualche ulteriore considerazione che potrebbe appartenere non allo Specialista di Medicina Legale ma a qualsiasi assicurando e assicuratore. Laddove si confermasse definitivamente l'interpretazione, di cui alla sentenza in esame, ogni assicurando dovrebbe essere informato dall'assicuratore che la copertura del rischio che viene offerta nel prodotto in vendita, è solo “apparentemente ampia”, in quanto sarebbe escluso il vasto campo delle conseguenze di lesioni per le quali la vittima potrebbe godere anche di diritto risarcitorio per responsabilità civile. E a fronte di tutto ciò, l'assicuratore dovrebbe quanto meno proporre prodotti assicurativi che comportino notevole ridimensionamento del premio annuo: se non altro a tutela della immagine della Società di Assicurazioni. |