Fallimento in estensione dei soci della società semplice: l’interpretazione della Corte costituzionale

La Redazione
27 Giugno 2025

Con sentenza n. 87/2025, pronunciandosi su una questione sollevata dal Tribunale di Matera, la Corte si è espressa in punto di lesione del diritto di difesa dei soci della società semplice dei quali sia chiesto il fallimento in estensione dopo il fallimento della società, senza che in tale giudizio essi siano stati convocati.

In tema di fallimento della società semplice agricola ed estensione del fallimento ai soci di questa, la Corte costituzionale ha espresso il seguente principio di diritto:

«I soci palesi di una società semplice hanno diritto a essere convocati nel giudizio sul fallimento della società, che indirettamente accerta la loro fallibilità sostanziale, anche se nel medesimo giudizio non è stato chiesto il loro fallimento in estensione. In mancanza, l'accertamento della loro fallibilità non è opponibile nel giudizio di cui all'art. 147 della legge fallimentare, salvo che, di fatto, abbiano già esercitato rispetto a tale accertamento il loro diritto di difesa».

Con questa pronuncia, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall'art. 131 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Matera , sezione fallimentare (Trib. Matera, 3 ottobre 2024) [a proposito dell'ordinanza del Tribunale, si veda il commento di F. Signorelli, Una nuova ipotesi di illegittimità costituzionale dell'art. 147 l. fall. (e dell'art. 256 c.c.i.i.?)]. 

Il Tribunale aveva ritenuto, in sintesi, che i soci di una società semplice, di cui sia chiesto il fallimento in estensione dopo il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa del fallimento della società, senza che in tale giudizio essi siano stati convocati, subirebbero una irragionevole e sproporzionata lesione del diritto di difesa di cui agli artt. 24 e 111 Cost.

La Corte, premessa una ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, delimita il thema decidendum sottoposto al proprio giudizio.

In particolare, ricorda la Corte come la giurisprudenza di legittimità posteriore alla riforma operata con il d.lgs. n. 5/2006 abbia escluso che i soci illimitatamente responsabili si possano considerare litisconsorti necessari nel giudizio sul fallimento della società, escludendo anche, di conseguenza, che sussista il dovere di convocarli (salvo che in quel giudizio non fosse stato chiesto anche il loro fallimento in estensione). Di conseguenza, costoro possono interloquire sui presupposti del fallimento solo a posteriori, impugnando la sentenza dichiarativa di fallimento, entro il termine di trenta giorni dalla data di iscrizione di detta sentenza nel Registro delle Imprese. Graverebbe, in sostanza, sui soci l'onere di verificare su tale Registro le vicende concernenti la società e, nello specifico, il suo eventuale fallimento. Tale assetto pare confermato anche rispetto alla liquidazione giudiziale, secondo le norme del codice della crisi.

La Corte precisa, tuttavia, di non essere chiamata a pronunciarsi sulla legittimità in generale di tale sistema, con riguardo alle società commerciali, bensì soltanto al più delimitato perimetro riguardante i soci palesi della società semplice (nella specie agricola), ritenuta assoggettabile alla procedura concorsuale, che non siano stati convocati nel giudizio di fallimento dell'ente.

Poiché l'accertamento circa la prevalente attività commerciale svolta dalla società semplice – necessario affinché quest'ultima sia considerata fallibile, con conseguente applicabilità dell'art. 147 l. fall. – viene effettuato nel giudizio sul fallimento della società, «non si può far gravare sui soci, non convocati in quel medesimo giudizio, l'onere di verificare sul registro delle imprese l'eventuale fallimento di un ente che normalmente non fallisce».

Conclude la Corte, prima di giungere al principio di diritto sopra richiamato: «Dove l'art. 147, terzo comma, della legge fallimentare prescrive che “prima di dichiarare il [loro] fallimento” i soci illimitatamente responsabili devono essere convocati, esso deve interpretarsi nel senso che, “prima di dichiarare il [loro] fallimento”, gli stessi devono essere stati convocati non solo nel giudizio in cui viene dichiarato il loro fallimento, ma anche in quello che accerta, per ragioni sostanziali, la fallibilità dell'ente, che costituisce presupposto della fallibilità dei soci. In mancanza, non si può far gravare su di loro l'onere di verificare sul registro delle imprese il fallimento di una società che, di norma, non è esposta al fallimento. Il richiamato dovere di convocazione non è funzionale alla emanazione della sentenza dichiarativa del fallimento della società, ma condiziona la possibilità di opporre ai soci, nell'eventuale giudizio introdotto in via successiva ai sensi dell'art. 147 della legge fallimentare e al solo fine di poter pronunciare il fallimento in estensione, la loro qualifica sostanziale di soggetti fallibili. In difetto di tale convocazione, il relativo accertamento potrà essere effettuato, , nello stesso giudizio di cui all'art. incidenter tantum 147 della legge fallimentare, al mero scopo di decidere il fallimento in estensione dei singoli soci».

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.