Circa l’illegittimità costituzionale dell’art. 1284, comma 4°, del codice civile
Nicola Rizzo
27 Giugno 2025
Per cercare di rispondere alla domanda posta nel titolo di questo breve contributo, si devono prendere le mosse dal d.l. n. 132 del 2014 convertito nella l. n. 162 del 2014, non per considerarne – come già opportunamente è stato fatto – i lavori preparatori , ma per porre in luce l'affinità strutturale e teleologica tra due norme poste dal menzionato provvedimento legislativo: i novelli commi 4° e 5° dell'art. 1284 c.c. e il novellato comma 2° dell'art. 92 c.p.c.
La funzione degli interessi di cui all'art. 1284, comma 1°, c.c. e della condanna alle spese del giudizio di cui all'art. 92, comma 2°, c.p.c.
Con un progressivo slittamento verso una (semi)plena indefettibilità del principio victus victori, le «gravi ed eccezionali ragioni» di compensazione delle spese di lite – che, per effetto della l. n. 69 del 2009, avevano a loro volta sostituito i «giusti motivi» della legge processuale del 1940 – vengono soppiantate dalle due ipotesi nominate, di compensazione totale o parziale delle spese, introdotte dai provvedimenti del 2014: la «assoluta novità della questione trattata» e il «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti». Il costo dell'agire o del resistere in giudizio, per la parte che si riveli (totalmente) soccombente (ché la soccombenza reciproca era e rimane motivo di compensazione delle spese di lite), cresce mentre, di pari passo, si rafforza il principio victus victori, la cui area di non applicazione, un tempo rimessa a una clausola generale (i giusti motivi), si tinge di eccezionalità, non perché qualificata come tale (le gravi ed eccezionali ragioni) ma in quanto delimitata attraverso la tipizzazione delle sole due specifiche ipotesi in cui il giudice può compensare le spese tra le parti.
Il costo della resistenza in giudizio si aggrava, ulteriormente, per la parte soccombente che sia debitrice di una somma di denaro – o meglio sarebbe dire, come vedremo, di una obbligazione che deve estinguersi in moneta – poiché il tasso a cui dovrà prestare gli interessi legali dal momento in cui è proposta domanda giudiziale, o è promosso il procedimento arbitrale, è quello determinato, perrelationem rispetto alla legislazione speciale sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, dal 4° comma dell'art. 1284, pari attualmente al 12,25% in ragione d'anno (contro un tasso, di cui al 1° comma del medesimo art. 1284, fissato al 2%).
La regola della condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali, nella sua nitida spiegazione chiovendiana (G. Chiovenda, La condanna nelle spese giudiziali, Roma, 1935, p. 157: «tutto ciò che fu necessario al riconoscimento del diritto è concorso a diminuirlo e deve essere reintegrato al subbietto del diritto stesso, in modo che questo non soffra detrimento dal giudizio». V., in particolare, G. Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano, 1998, soprattutto p. 102 ss., 308 ss., 310 ss.), impedisce che il processo vada a detrimento del titolare del diritto: così come gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda, la parte vittoriosa deve essere posta nella situazione in cui si sarebbe trovata se il diritto fosse stato riconosciuto a quel tempo. L'indennizzo delle spese sostenute ha, dunque, la funzione di compensare il titolare del diritto della perdita subita per essere reintegrato nella disponibilità di quella determinata situazione soggettiva; si tratta di una voce di danno che trova la propria causa nella privazione o, in ogni caso, nella mancata disponibilità del diritto conteso. Gli interessi, viceversa, pur nelle differenti declinazioni delle rispettive fattispecie produttive, rappresentano un corrispettivo della mancata disponibilità della somma oggetto del credito, la cui misura minima è rappresentata proprio dal saggio legale di cui al comma 1° dell'art. 1284, costruito, non a caso, sul rapporto tra i differenti parametri del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e del tasso di inflazione, quindi calibrato in modo tale da rappresentare il rendimento normale di quella somma per un determinato periodo di tempo, una porzione più o meno lunga del quale potrà coincidere con la durata del processo.
Contro l'abuso del processo
Se, quindi, la condanna alle spese del giudizio indennizza un danno emergente, gli interessi sui crediti litigiosi compensano un lucro cessante. Questa funzione degli interessi si trova inscritta nella loro stessa definizione normativa – di cui all'art. 820, comma 3°, c.c. – come corrispettivo del godimento del capitale che altri ne abbia, ed è capace di spiegare tutte le fattispecie produttive di interessi previste nell'ordinamento, proprio come un corrispettivo dovuto per la disponibilità di una somma di denaro “altrui” a prescindere da quale ne sia la causa, quindi tanto nelle ipotesi in cui il credito alla prestazione della somma sia esigibile (art. 1282, comma 1°, c.c.) quanto là dove, viceversa, sia inesigibile (art. 1815, comma 1°, c.c.); così nell'ipotesi in cui la disponibilità della somma sia lecita (artt. 1282, comma 1°, e 1815, comma 1°, c.c.) come nell'ipotesi in cui sia da qualificarsi come illecita (art. 1224, comma 1°, c.c.); tanto nel caso in cui il credito sia liquido quanto nell'occorrenza della sua illiquidità (artt. 1219, comma 2°, n. 1 e 1224, comma 1°, c.c.).
Ora, considerato che la previsione della regola del nominalismo monetario (art. 1277 c.c.) non equivale alla sanzione della legale irrilevanza delle oscillazioni del potere d'acquisto della moneta, ha – entro certi limiti – un fondamento giuridico il problema della reintegrazione della perdita di potere d'acquisto subita dalla somma a causa dell'inflazione registratasi nel periodo in cui non era nella disponibilità di chi la poteva esigere o, in ogni caso, (atecnicamente) del suo titolare. Il problema si è posto, principalmente, in periodi di elevata inflazione, in relazione alla determinazione del contenuto della prova del c.d. maggior danno di cui al 2° comma dell'art. 1224, nella vigenza di un tasso legale degli interessi fissato (come era, dal testo dell'art. 1284, comma 1°, c.c. in vigore fino al 1990) al 5% in ragione d'anno. Pur non essendo mancati i tentativi di configurare la perdita di potere d'acquisto della somma dovuta come danno – a un tempo, contraddittoriamente, emergente e in re ipsa – da svalutazione monetaria, può considerarsi acquisito che la mancata disponibilità di una somma di denaro è fonte di un lucro cessante, e la possibilità di traslare la perdita di potere d'acquisto registratasi nel periodo considerato dipende – quantomeno in linea di principio, cioè tralasciando qui il tema della prova dell'utilizzo ipotetico di un bene particolarissimo come è la moneta, mezzo generale degli scambi – dalla dimostrazione di un impiego alternativo della somma tale da salvaguardarne, in tutto o in parte, il valore (reale).
Quanto premesso, ci consente di concludere, senza difficoltà, come il tasso individuato dal 4° comma dell'art. 1284 nulla abbia a che fare con la mimesi dell'id quod plerumque accidit, cioè con la determinazione generale (per ogni rapporto di obbligazione) – e per questo forfettizzata – del corrispettivo della disponibilità della somma di denaro “altrui”, mentre abbia una funzione che, ex ante rispetto al procedimento giurisdizionale, si qualifica come deterrente – proprio perché tesa a scoraggiarne l'instaurazione – e quindi ex post, una volta che l'esercizio della giurisdizione sia stato innescato e la conseguenza negativa venga irrogata, si qualifica come pena privata, poiché ridonda a vantaggio non di una cassa pubblica ma della controparte del rapporto e del processo.
Mentre all'indennizzo delle spese processuali non può attribuirsi la qualificazione di pena privata per la funzione strettamente compensativa e reintegrativa che ne impronta la quantificazione, alla restrizione, nel segno dell'eccezionalità, delle ipotesi di compensazione deve senz'altro riconoscersi la medesima funzione deterrente rispetto all'instaurazione del giudizio.
Ne consegue che, dal punto di vista teleologico, tanto la previsione dell'art. 1284, commi 4° e 5°, c.c. quanto la disposizione dell'art. 92, comma 2°, c.c. trovano una comune giustificazione nella reazione all'abuso del processo, inteso però, in queste ipotesi, come fenomeno socio-giuridico e non come preciso comportamento abusivo descritto attraverso la tecnica della fattispecie, tanto che il presupposto per l'applicazione degli interessi (che possiamo definire) processuali al tasso di cui all'art. 1284, comma 4°, è la mera soccombenza: quindi, la resistenza giudiziale all'adempimento dell'obbligazione pecuniaria, se non coronata dal successo, si rivela già ipso facto abusiva. Più sfumata, in quanto non del tutto generalizzata, è l'equazione tra azione e difesa in giudizio, da un lato, e abuso del processo, dall'altro, che emerge dalla norma di cui all'art. 92, comma 2°, c.p.c., che, al fine della condanna alle spese, quantomeno integra il presupposto positivo della soccombenza con quello negativo che non vi sia assoluta incertezza sulla soluzione del caso controverso. In sintesi, le spese, salvo eccezioni, seguono la soccombenza; gli interessi maggiorati dal gravoso tasso di cui al d.lgs. n. 231 del 2002 seguono, senza eccezioni (Se non quelle determinate dalla eventuale sussistenza di una regola pattizia, la cui applicazione la norma fa salva. V., in questo senso, U. Carnevali, Il saggio degli interessi pendente lite e il risveglio dell'inflazione, in I Contratti, 2022, 6, p. 609 ss; Id., Il saggio degli interessi legali pendente lite: una importante pronuncia della Cassazione sull'ambito di applicazione dell'art. 1284, comma 4, c.c., ivi, 2023, 6, p. 585 ss. V., altresì, R. Pardolesi e B. Sassani, «Abbiamo scherzato?». Saggio dell'interesse legale e domanda giudiziale (ovvero politica del diritto versus diritto), in Foro it., 2020, I, c. 692 ss.), la soccombenza.
La descrizione di una condotta propriamente abusiva – «la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave» – è, invece, alla base della comminatoria della pena privata prevista dal 3° comma dell'art. 96 c.p.c. – introdotto, nella medesima temperie di politica del diritto, dalla l. n. 69 del 2009 – il cui enunciato deve, appunto, essere integrato dalla fattispecie prevista dal 1° comma della medesima disposizione; significativamente, è proprio tale integrazione interpretativa che ha permesso alla Corte costituzionale di confermarne la legittimità.
Quanto alla disposizione di cui all'art. 614 bis c.p.c. – anch'essa introdotta dalla l. n. 69 del 2009 – il limite all'irrogazione della misura di coercizione indiretta prevista dalla norma è proprio la manifesta iniquità della stessa.
Il mancato bilanciamento tra diritti e interessi generali
Giunti a questo punto del nostro breve discorso, ci si deve interrogare sul significato da attribuire alla relativa autonomia della fattispecie del 4° comma dell'art. 1284, rispetto alla fattispecie di cui al 1° comma della medesima disposizione, predicata dalla pronuncia n. 12449 del 2024 delle sezioni unite della Corte di cassazione*, tale che là dove il titolo esecutivo giudiziale condanni il debitore a prestare gli interessi legali senza specificarne il saggio – se quello di cui al 4° o al 1° comma – il calcolo degli stessi dovrebbe seguire il tasso di cui al 1° comma dell'art. 1284, pur per il periodo decorrente dalla proposizione della domanda giudiziale.
L'autonomia della norma di cui al 4° comma dell'art. 1284, rispetto al 1° comma della medesima disposizione, è relativa esclusivamente all'individuazione del termine a quo del saggio maggiorato degli interessi legali, coincidente con la proposizione della domanda giudiziale. La clausola di salvezza dell'autonomia privata in relazione alla determinazione del tasso vale, infatti, tanto per la fattispecie degli interessi processuali quanto per la fattispecie generale degli interessi legali, poiché la misura degli interessi – nel rispetto del vincolo di forma di cui al 3° comma dell'art. 1284 e del limite dell'usurarietà di cui al 2° comma dell'art. 1815 – è materia nella disponibilità delle parti. Si può discutere se la previsione della clausola di salvezza dell'autonomia privata nell'enunciato dell'art. 1284, comma 4°, sia semplicemente inutile o serva a sancire la possibilità per le parti di individuare un tasso superiore a quello di cui al d.lgs. n. 231 del 2002 senza incorrere nella nullità prevista dalla disciplina antiusura, ma in ogni caso – per quel che qui interessa – si tratta di una previsione che in nulla rende autonoma la fattispecie del 4° comma da quella del 1° comma dell'art. 1284.
Quanto poi alla funzione di prezzo contrattuale, retributiva, risarcitoria, restitutoria, indennitaria, alimentare dell'obbligazione pecuniaria, essa rimane insensibile rispetto alla misura del saggio degli interessi legali, sia esso determinato sulla base della l. n. 662 del 1996, della l. n. 353 del 1990, dell'originaria formulazione del codice del '42 o, appunto, della l. n. 162 del 2014: la scelta fra il 1° e il 4° comma dell'art. 1284 dipende esclusivamente dal dato obiettivo della proposizione della domanda giudiziale o dell'instaurazione del procedimento arbitrale, rappresentando, anzi, l'individuazione di questo termine di decorrenza una palese semplificazione della fattispecie di produzione degli interessi processuali rispetto alla fattispecie generale degli interessi legali, che richiede di determinare se la prestazione sia soggetta o meno a un termine di adempimento; nel caso in cui non lo sia se si debba fare applicazione del principio quod sine die debetur statim debetur o se la determinazione di una modalità temporale della prestazione sia ugualmente necessaria; se l'esercizio del diritto di credito sia o meno soggetto a un vincolo di forma (intimazione o richiesta fatta per iscritto); quindi se l'obbligazione sia portable o querable o se derivi da un fatto illecito; in taluni casi, se il debitore sia in buona o in mala fede.
Quanto alle obbligazioni risarcitorie e, più in generale, alle obbligazioni illiquide che si estinguono attraverso la prestazione di un multiplo dell'unità monetaria legale, chi scrive ha sostenuto la tesi dell'unitarietà della categoria delle obbligazioni pecuniarie. I dubbi sollevati sull'applicabilità dell'art. 1284, comma 4°, a questo tipo di obbligazioni confermano, una volta di più, la fondatezza di quella conclusione. Cionondimeno, non si vede come la tecnica valoristica di liquidazione dell'obbligazione pecuniaria possa limitare l'applicazione dell'uno o dell'altro tasso che, volta per volta, il legislatore individui (Rizzo, op. ult. cit., p. 134 ss.). Semplicemente, dal momento della proposizione della domanda giudiziale, la tecnica valoristica si applicherà a partire dal tasso di cui al 4° comma dell'art. 1284 e non dal tasso di cui al 1° comma della medesima disposizione.
In conclusione, la pretesa di limitare l'applicazione dell'art. 1284, comma 4°, all'uno o all'altro tipo di obbligazione pecuniaria (solo contrattuale, contrattuale e restitutoria ma non risarcitoria e così via)** non trova il benché minimo fondamento nel diritto delle obbligazioni.
Allora perché si cerca di trovare delle ragioni per restringere l'ambito oggettivo di applicazione dei c.d. super interessi e qual è il fil rouge che lega gli esiti di questi tentativi?
Cominciando dalla seconda domanda, l'intento è sostanzialmente quello di distinguere le ipotesi in cui il debito pecuniario appaia certo da quelle in cui non lo sia, come se l'esistenza di una obbligazione pecuniaria di fonte contrattuale non potesse essere più incerta di quella di un'obbligazione risarcitoria. Al fondo, il risultato che si cerca di raggiungere è distinguere la difesa lecita dalla difesa abusiva del debitore, non tenendo conto che un tale giudizio può realizzarsi soltanto caso per caso e non per tipi di obbligazione. Il vero problema dell'art. 1284, comma 4°, è che il tempo dell'applicazione del saggio maggiorato degli interessi coincide con l'esercizio di un diritto inviolabile del debitore, e se si vuole scoraggiare l'abuso – senza disincentivare anche l'uso – di questo diritto il presupposto della mera soccombenza non è, evidentemente, adeguato allo scopo.
L'art. 92, comma 2°, c.p.c., stabilendo che le spese possono essere compensate nei casi dell'assoluta novità della questione trattata e del mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, pone delle eccezioni alla regola che la condanna alle spese segue la soccombenza. Eccezioni giustificate dalla necessità di non ledere il diritto inviolabile di azione e di difesa della parte soccombente; eccezioni che, però, non sono state ritenute sufficienti dalla Corte costituzionale, che, con la pronuncia n. 77 del 2018, ha stabilito che «il disposto di cui al novellato art. 92, comma 2˚, c.p.c. contrasta con i principi di ragionevolezza ed eguaglianza ex art. 3, comma 1˚, Cost. nella parte in cui esclude dal novero delle fattispecie di compensazione delle spese di lite in caso di soccombenza totale le ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e a questioni di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità di quelle tipiche espressamente previste dalla norma, le quali hanno quindi carattere paradigmatico e svolgono una mera funzione parametrica ed esplicativa, nonché con il principio del giusto processo ex art. 111, comma 1˚, Cost. e col diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24, comma 1˚, Cost. in quanto la prospettiva della condanna in expensis in qualsiasi situazione del tutto imprevista e imprevedibile può costituire per la parte che agisce o resiste in giudizio una remora ingiustificata a far valere i propri diritti» (Corte cost., 19 aprile 2018, n. 77, in Riv. dir. proc., 2019, 1, p. 257 ss., con nota di R. Di Grazia, Sulla compensazione delle spese giudiziali in caso di soccombenza totale.).
È solo in questo senso che si giustifica la relativa autonomia della norma sui c.d. super interessi.
* Cass., sez. un., 7 maggio 2014, n. 12449, in Foro it., 2024, I, c. 1752 ss., con note di D. Santarpia, Interessi legali: un verdetto che scontenta tutti (dunque, il migliore possibile?); S. Pagliantini e R. Pardolesi, Cervo a primavera: la rinascita dei super-interessi ex art. 1284, comma 4, c.c.; in Nuova giur. civ. comm., 2024, 5, p. 1152 ss., con commento di C. Camardi, Il doppio saggio degli interessi legali nell'art. 1284 cod. civ. Modelli di lettura; in Accademia, 2024, p. 785 ss., con commento di F. Piraino, Sugli interessi moratori su crediti litigiosi. Note a margine della sentenza delle Sezioni unite n. 12449 del 2024; in Resp civ. prev., 2024, 5, p. 1560 s.s., con commento di M.V. Cacciola e B. Tassone, Gli interessi moratori ex comma 4 dell'art. 1284 al vaglio delle sezioni unite: la paura di decidere e le soluzioni prospettabili; in Judicium, 9 maggio 2024, con nota di F.P. Luiso, Un errore ed un autogol: brevi osservazioni a caldo su Cass. 7 maggio 2024 n. 12449; in Riv. dir. proc., con commento di S. Caporusso, Tasso degli interessi e titolo esecutivo silente: la Notte di Hegel, in corso di pubblicazione, consultata grazie alla cortesia dell'autrice; in Europa e dir. priv., con commento di C. De Menech, Le Sezioni Unite sul perimetro operativo degli interessi moratori in pendenza di lite, in corso di pubblicazione, consultata grazie alla cortesia dell'autrice. V., inoltre, G. Agrifoglio, Considerazioni su interessi nelle transazioni commerciali e interessi processuali di cui all'art. 1284, comma 4, c.c., in Foro it., 2024, I, c. 3256 ss.; B. Sassani, In difesa dell'art. 1284, comma 4, c.c., ivi, 2024, I, c. 3267; S. Pagliantini, “Prozesszinsen” all'italiana, ovvero le vicissitudini dei super-interessi e il convitato di pietra del debitore resistente consumatore. Chi ci salverà da un pancostituzionalismo debordante?, ivi, 2025, I, c. 99 ss. V., inoltre, Cass., sez. un., 13 maggio 2024, n. 12974, in Riv. it. dir. lav., 2024, II, 3, p. 365 ss., con nota di F. Bottoni, Interessi ex art. 1284 comma 4 c.c.: ambito di operatività e rapporto con i crediti di lavoro.
** V., tra le altre, Cass., 9 maggio 2022, n. 14512, in Giur. it., 2023, 325, con commento di F. Girardi, La Cassazione torna sull'art. 1284, 4° comma, c.c.: un discutibile diritto da poco vivente; contraCass., 3 gennaio 2023, n. 61, in Nuova giur. civ. comm., 2023, 5, p. 1094 ss., con commento di E. Bivona, Gli interessi moratori legali su “crediti litigiosi” tra efficienza del processo ed effettività della tutela giurisdizionale; in Resp. civ. prev., 2023, 3, p. 789 ss., con note di A.G. Antolini, Interessi al tasso c.d. «commerciale» in pendenza di lite: una forma di responsabilità per mancato adempimento spontaneo dell'obbligazione; e di A. Caloni, Interessi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c., e obbligazioni di fonte non contrattuale; in Rass. esec. forz., 2023, 1, p. 81 ss., con i contributi di C. Delle Donne, B. Capponi, L. De Propris, B. Sassani, A più voci sull'applicazione dell'art. 1284 c.c. nel processo esecutivo. V., altresì, A. Spirito, L'esecuzione forzata e la nomofilachia della Corte di cassazione, in Riv. esec. forz., 2023, 3, p. 567 ss. V., altresì, F. Gambino, Obbligazioni pecuniarie e tasso diinteresse commerciale, in I nuovi orientamenti della Cassazione civile, a cura di C. Granelli, Milano, 2024, in corso di pubblicazione.
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Rizzo, Il problema dei debiti di valore, cit., p. 75 ss.
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