Danno da sofferenza soggettiva: il convitato di pietra
Patrizia Ziviz
11 Luglio 2025
La componente morale del danno – oggi identificata nei termini di danno da sofferenza soggettiva – è una voce di pregiudizio intorno alla quale si è sviluppato, in questi ultimi anni, un ampio dibattito: il quale lungo taluni aspetti presenta profili problematici, che rischiano di sminuirne il ruolo.
Un recente Corso-percorso sul Danno alla persona
Il giorno 3 aprile si è svolto nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano un interessante incontro in tema di risarcimento del danno alla persona, in seno al quale sono state affrontate varie questioni relative a questo dibattuto problema.
Nella relazione a me affidata mi sono occupata di una voce di pregiudizio che ha attraversato un percorso alquanto complesso, nel corso del quale si sono succeduti momenti di luce ed ombra, in una sequenza culminata nella relativamente recente (ri)affermazione - da parte della giurisprudenza di legittimità – dell’autonomia di tale danno.
Un simile sugello - finalizzato a riconoscere l’importanza del ruolo che una simile figura è chiamata a svolgere nel sistema di responsabilità civile – è stato incardinato su argomentazioni che talora rischiano di tradursi, in virtù dell’eterogenesi dei fini, in un mancato riscontro risarcitorio sul piano concreto. Si tratta di un risultato che, d’altro canto, pare trovare conferma nelle indicazioni di taluni interpreti i quali, riportando indietro le lancette dell’orologio di oltre un secolo, hanno inteso aderire all’idea che la sofferenza soggettiva non debba incarnare, di per sé, una posta di danno risarcibile.
Una situazione del genere finisce, allora, per attribuire al danno da sofferenza soggettiva il ruolo di convitato di pietra: quella presenza che, pur conosciuta da tutti, finisce per diventare invisibile e muta, con esiti inquietanti e imprevedibili per quel che concerne l’effettiva protezione della persona umana.
L'autonomia del danno morale
In questi ultimi anni, la questione più controversa in materia di danno morale ha interessato l'autonomia di tale voce risarcitoria laddove a essere colpita sia l'integrità psico-fisica. A scatenare tale dibattito sono state, come ben noto, le affermazioni delle Sezioni Unite del 2008, propense a riconoscere l'assorbimento della figura all'interno del danno biologico. È utile rammentare come in quelle pronunce la S.C. abbia sostenuto che la sofferenza soggettiva può essere liquidata autonomamente, come danno morale, ove rimanga confinata a livello di turbamento dell'animo, mentre ove provochi degenerazioni patologiche dovrà essere ricondotta nell'alveo del danno biologico: “del quale ogni sofferenza fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. Tale onnicomprensività del danno biologico viene poi affermata (non soltanto con riguardo alla patologia psichica originata da una sofferenza emotiva, bensì) in termini più radicali, riconoscendo in via generale che costituisce duplicazione risarcitoria - in caso di lesione alla salute - la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale.
L'equivoco generato da una simile distorta applicazione del concetto di onnicomprensività verrà sfatato successivamente dagli stessi giudici di legittimità, attraverso l'aperto riconoscimento dell'autonomia del danno morale anche nei casi in cui le sofferenze di carattere emotivo conseguano alla compromissione dell'integrità psico-fisica. Secondo i recenti orientamenti della Suprema Corte - a fronte di una lesione alla salute - costituiscono componente autonoma rispetto al danno biologico i pregiudizi incarnati dalla sofferenza interiore, i quali “non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente”.
Una volta riconosciuta la diversità ontologica che ricorre tra danno biologico e danno morale, ciò non impedisce che – a fronte di una lesione alla salute - entrambe le componenti vengano fatte confluire nell'ambito di un calcolo tabellare unitario, graduato sulla base della percentuale di invalidità. L'inclusione di entrambe le voci in un'unica tabella si fonda sul riconoscimento circa l'esistenza di una relazione tra componente biologica e componente morale del pregiudizio, come suggellato dallo stesso legislatore.
Secondo la Cassazione “ il legislatore, confermando quanto già da tempo affermato da questa Corte di legittimità, in ordine al principio della piena autonomia del danno morale rispetto al danno biologico (atteso che il sintagma ‘danno morale' non è suscettibile di accertamento medico-legale e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto, pur potendole influenzare, dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato), ha riaffermato la necessità che la liquidazione di tale (autonomo) danno morale (di natura meramente interiore) non rimanga del tutto svincolata dalla vicenda materiale che ebbe a determinarne l'insorgenza, ritenendo ragionevolmente equo stabilirne la convertibilità in termini monetari attraverso la sua identificazione in una percentuale del danno biologico complessivamente determinato” (Cass. 24 luglio 2024, n. 20661).
Il danno morale nelle tabelle normative di cui all'art. 138 e 139 cod. ass.
La diversificazione tra sofferenza interiore e compromissioni relazionali rimane ferma – secondo quanto sottolineato dalla stessa Cassazione - anche nell'ambito delle tabelle normative: sia all'interno del sottosistema delle micropermenti, disciplinato dall'art. 139 cod. ass., nonché in seno alla TUN, prevista dall'art. 138 cod ass. per le macrolesioni. In verità, assai scarso appare lo spazio che tale sistema normativa prevede per tale voce di danno.
Per quanto concerne le micropermanenti, l'art. 139 cod. ass. stabilisce che l'importo ricavato dal giudice nell'applicazione della tabella delle micropermanenti può essere incrementato fino ad un massimo del 20%. Mentre in passato il testo della norma faceva genericamente riferimento a una personalizzazione legata alle condizioni soggettive del danneggiato, oggi la norma specifica che la stessa appare praticabile in quanto la menomazione incida su “specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati”, nonché quando causi “una sofferenza psico-fisica di particolare intensità”. In buona sostanza, entro tale sistema non pare esserci spazio per la considerazione di una componente standard del pregiudizio morale, posto che il valore del punto (in passato applicato per il solo calcolo del danno biologico) non è stato incrementato ai fini di tener conto del danno morale nel momento in cui la tabellazione ha assunto carattere esaustivo (come stabilito dal comma 3). A fronte delle micropermanenti, pare dunque possibile dare riscontro soltanto alle sofferenze di particolare intensità, entro quel margine incrementale del 20% che deve essere altresì sfruttato per dar conto delle ripercussioni coinvolgenti specifici aspetti dinamico- relazionali.
Anche nella recentissima attuazione dell'art. 138 cod. ass. la considerazione del danno morale pare risultare pesantemente compressa, alla luce del metodo di calcolo adottato. La Tavola 2 del regolamento attuativo, relativa ai coefficienti moltiplicatori per il danno morale, prevede – per ciascun livello di invalidità – tre coefficienti, in corrispondenza a un livello minimo, medio o massimo del danno morale: coefficienti che, una volta applicati all'importo della componente biologica, determinano il valore di quella morale. La differenza tra livello minimo e massimo - nella liquidazione del danno morale – appare rigidamente determinata nell'ordine del 10%: ed è solo entro questo spazio che potrà trovare spazio la personalizzazione di tale voce di pregiudizio. Un intervallo così esiguo finisce, allora, per mettere seriamente in discussione la tanto decantata autonomia del danno morale.
Ogni ulteriore possibilità di personalizzazione della componente morale del pregiudizio risulta peraltro preclusa, quand'anche la menomazione accertata incida su specifici aspetti dinamico-relazionali. La possibilità, per il giudice, di procedere – in questo caso - a un aumento fino al 30 per cento, a fronte dell'apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, rimane correlata alla sola componente biologica del pregiudizio. Benché il dettato normativo stabilisca che tale percentuale vada applicata all' “ammontare del risarcimento del danno, calcolato dalla tabella unica nazionale di cui al comma 1, lettera b)”, la cui determinazione dovrebbe comprendere tutte le componenti del danno, il regolamento adotta (anche) – secondo quanto previsto dalla art. 1, comma 1, lettera b) – una tabella che non comprende il danno morale. Solo con riguardo alla stessa viene utilizzato un esplicito richiamo legislativo al comma 1, lettera b), dell'art. 138 cod. ass.; mentre lo stesso risulta invece omesso per quanto riguarda le tabelle comprensive del danno morale, ove ci si limita a citare l'art. 138, comma 2, lettera e). Alla luce di tali indicazioni, il giudice sembra essere perciò obbligato ad applicare la personalizzazione agli importi relativi alla sola componente biologica del punto (con lo scopo di conformare la liquidazione al caso concreto esclusivamente con riguardo ai profili dinamico-relazionali).
La prova del danno morale
Le ricadute concrete che implica la liquidazione del danno morale propongono vari interrogativi, tra i quali particolare rilievo assume l'applicazione del meccanismo delle presunzioni. A tale riguardo, possiamo rilevare come una certa larghezza nell'applicazione delle stesse si riscontra in settori in cui la lesione coinvolge diritti della personalità diversi dalla salute. Per illustrare un esempio in tal senso possiamo rammentare una recente pronuncia della Cassazione secondo cui – in un caso di diffamazione del congiunto deceduto – si considera corretto il ricorso alle presunzioni al fine di desumere, dall'attribuzione di condotte disonorevoli a un componente deceduto della famiglia, il diretto riverberarsi di tale condotta sui componenti della famiglia, da cui “evincere un pregiudizio da sofferenza morale (…) in assenza di elementi opposti che, quali fatti modificativi o anche impeditivi, non possono che ricadere nell'area di onere probatorio della parte destinataria della pretesa risarcitoria” (Cass. civ. 22 luglio 2024, n. 20269).
Maggior rigore sembra essere richiesto dalla giurisprudenza quando si tratti di liquidare il danno morale da lesione dell'integrità psico-fisica: l'affermazione dell'autonomia di tale voce viene sottolineata ipotizzando l'eventualità che – in assenza di prova – tale componente non venga affatto liquidata, posta la necessità di escludere qualsiasi automatismo al riguardo. In verità, sulla base delle massime di esperienza, si tratta di constatare che alla ricorrenza di una lesione alla salute si accompagna sempre e comunque una qualche sofferenza di carattere emotivo: sicché in questo campo del torto “non si ravvisano ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza specie nella materia del danno non patrimoniale, e segnatamente in tema di danno morale, ma tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell'impossibilità di provare il pregiudizio dell'essere (ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita), ad articolare estenuanti capitolo di prova relativi al significativo mutamento di stati d'animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito” (da ultimo Cass. civ. 24 luglio 2024, n. 20661).
In definitiva, appare del tutto fondato ritenere che una lesione dell'integrità psico-fisica comporti, in applicazione delle massime di esperienza, la ricorrenza di una sofferenza di carattere emotivo che può essere data per scontata, salva la prova di circostanze concrete tali da aggravarne l'entità. Lungo quest'ultimo profilo, un utile supporto potrà essere fornito dalla consulenza medico-legale. Va respinta infatti l'idea che – non avendo la sofferenza morale base organica e risultando pertanto estranea alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente - nessuno spazio andrebbe riconosciuto all'intervento del medico legale quale supporto al giudice chiamato a quantificare il danno morale derivante dalla lesione alla salute. Una conclusione del genere non si presta affatto ad essere condivisa: un conto è affermare che la percentuale di invalidità permanente va determinata in base alla considerazione della sola componente biologica del pregiudizio, altro è escludere che il medico legale abbia qualsiasi voce in capitolo in materia di sofferenza morale dalla stessa provocata. Una simile affermazione trascura, infatti, di considerare come egli, in virtù del suo ruolo, sia in grado di acclarare una serie di elementi oggettivi suscettibili di incarnare altrettanti indici in base ai quali poter presumere il grado di sofferenza emotiva patito dalla vittima. La necessità di addivenire a conclusioni del genere è stata rivendicata dalla stessa medicina legale, secondo cui una posizione centrale nella valutazione della sofferenza correlata alla lesione dell'integrità psico-fisica, spetta alla consulenza tecnica, posta la sussistenza di una serie di criteri – accertabili dal medico legale - suscettibili di incidere sull'entità del pregiudizio morale, sia per quanto concerne il pregiudizio che si manifesta nel periodo di evoluzione e stabilizzazione della lesione, sia per quel che concerne il danno legato agli esiti permanenti residuati in capo alla vittima (v., amplius, D. Spera, “Responsabilità civile e danno alla persona”, Giuffrè Francis Lefebvre, 2025, pagg. 245 e ss.).
In conclusione
Il ruolo che verrà a giocare nel prossimo futuro la componente morale del danno appare, in definitiva, condizionato da vari profili. La breve analisi fin qui condotta mette in luce come alcuni di essi possano pesare in termini negativi sul ristoro di tale voce, che rischia così di essere nuovamente trattata – come accadeva prima delle sentenze gemelle del 2003 – quale figlia di un dio minore.
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Sommario
L'autonomia del danno morale
Il danno morale nelle tabelle normative di cui all'art. 138 e 139 cod. ass.