La clausola di revisione prezzi e l’evoluzione della rinegoziazione dei contratti pubblici

Loredana Castello
14 Luglio 2025

La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, ha affermato che, ai fini del vaglio sull’operatività della clausola di revisione prezzi di cui all’art. 60 d.lgs. n. 36/2023, non rileva il termine di esecuzione previsto nel disciplinare di gara, bensì lo iato temporale tra la data dell’aggiudicazione e quella di completamento dell’esecuzione. Quest’ultimo, difatti, ben può protrarsi per oltre un anno nonostante il tempo di esecuzione della prestazione sia individuato, come nel caso di specie, in un arco temporale inferiore all’anno. Detta discrasia temporale può essere occasionata, a titolo esemplificativo, da una sospensione cautelare disposta dal Giudice Amministrativo o dal verificarsi dei presupposti di cui all’art. 121 d.lgs. n. 36/2023

Massima

L'operatività della clausola di revisione prezzi (art. 60 d.lgs. n. 36/2023) non è esclusa per il solo fatto che il disciplinare di gara prevede un termine infra-annuale di esecuzione della prestazione, dovendosi piuttosto guardare al lasso temporale tra la data dell'aggiudicazione e la data del completamento dell'esecuzione.In un'ottica conservativa del contratto pubblico, in ogni caso, la mancata previsione di detta clausola nel disciplinare di gara ne comporta la etero-integrazione ai sensi dell'art. 1339 c.c., con la conseguente sostituzione di diritto delle clausole contrattuali difformi, nulle ai sensi dell'art. 1419 c.c. Ne discende che l'appaltatore – al ricorrere dei presupposti normativamente indicati – può chiedere la revisione prezzi.

La fattispecie

Nel caso di specie, il disciplinare di gara escludeva espressamente l'operatività della clausola di revisione prezzi di cui all'art. 60 d.lgs. n. 36/2023, e ciò in ragione della durata delle prestazioni oggetto di contratto, trattandosi di un contratto di fornitura per il quale era previsto un termine di esecuzione di 240 giorni. A parere dell'Ente in sede di rilievo, difatti, “la normale periodicità annuale del calcolo degli incrementi degli indici Istat è del tutto incompatibile con il termine fissato”.

Ad avviso della Sezione, viceversa, a prescindere dalla periodicità annuale di aggiornamento del singolo indice Istat cui andrebbe ancorata la revisione dei prezzi, opinare in tal senso significherebbe sottrarre in radice all'obbligo di cui all'art. 60 d.lgs. n. 36/2023, tutti i contratti di durata aventi ad oggetto prestazioni da eseguire in un arco temporale inferiore all'anno. Ebbene, una siffatta soluzione interpretativa anzitutto non trova riscontro nel dato normativo di riferimento, poiché l'art. 60 d.lgs. n. 36/2023, nel prevedere l'obbligo di inserimento delle clausole di revisione prezzi nei documenti di gara, non introduce una siffatta limitazione temporale. A ciò va aggiunto che l'art. 60 chiarisce che l'arco temporale rilevante ai fini della valorizzazione dell'oscillazione dell'indice Istat di riferimento è quello che intercorre tra il mese dell'aggiudicazione ed il momento in cui interviene il superamento della soglia prevista dalla clausola di revisione, da collocarsi entro il perimetro della fase esecutiva del contratto. Ed è ben possibile che tale frangente temporale si protragga per oltre un anno anche laddove sia individuato un tempo di esecuzione della prestazione più breve dell'anno (come nel caso di specie, ove la prestazione deve essere eseguita in un arco temporale di 240 giorni decorrenti dal verbale di avvio dell'esecuzione).

Basti pensare che la stipula del contratto può intervenire fino a 60 giorni dalla data dell'aggiudicazione, eventualmente differibili. Ancora, un'eventuale sospensione cautelare disposta dal Giudice amministrativo può produrre una ulteriore dilatazione dei tempi, nonché ciò potrebbe avvenire al verificarsi dei presupposti di cui all'art. 121 d.lgs. n. 36/2023, ossia ove ricorrano “circostanze speciali, che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, e che non fossero prevedibili al momento della stipulazione del contratto” o “gravi ragioni di ordine tecnico, idonee ad incidere sulla realizzazione a regola d'arte …”.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, la circostanza che per l'esecuzione delle prestazioni sia pattuito un termine anche significativamente inferiore all'anno non comporta automaticamente che tra la data dell'aggiudicazione e la data del completamento dell'esecuzione debba necessariamente trascorrere meno di un anno, risultando quindi destituita di fondamento la censura formulata dall'amministrazione. In considerazione di siffatte osservazioni, si ritiene che la stazione appaltante abbia violato l'art. 60 d.lgs. n. 36/2023, escludendo espressamente l'inserimento di apposite clausole di revisione prezzi nel disciplinare di gara. Detta violazione, tuttavia, in un'ottica manutentiva e conservativa del contratto, ne determina una eterointegrazione ai sensi dell'art. 1339 c.c. con la clausola di revisione prezzi obbligatoria per legge (cfr. art. 60 d.lgs. n. 36/2023), con conseguente sostituzione di diritto delle clausole contrattuali difformi, nulle ai sensi dell'art. 1419 c.c. (TAR Catania n. 2544/2023; Cons. Stato, n. 7756/2022; Cons. Stato, n. 3594/2015). In altre parole, la natura cogente e inderogabile dell'art. 60 cit. fa sì che, nei casi di sua mancata inclusione nel regolamento contrattuale, operi il meccanismo di etero-integrazione, con conseguente possibilità, per l'appaltatore, di chiedere la revisione prezzi ove ricorrano i presupposti normativamente indicati.

 Le questioni affrontate e il contrasto in giurisprudenza

La sentenza è di particolare interesse in quanto colloca il summenzionato art. 60 del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) nell'area della rinegoziazione del contratto pubblico, cogliendone l'evoluzione storica.

Orbene, nel corso dell'esecuzione dei contratti di durata, possono verificarsi vicende di carattere perturbativo (sopravvenienze di fatto o di diritto), tali da incidere sul sinallagma contrattuale e sul suo equilibrio originario. In tali evenienze, il rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (cfr. art. 1467 c.c.) può risultare talora insoddisfacente per i rispettivi interessi dei contraenti, atteso che essa comporta la mera dissoluzione del rapporto, con effetti - di norma – retroattivi tra le parti (cfr. art. 1458 c.c.).  In alternativa, le parti possono propendere per un rimedio conservativo, operando una rinegoziazione del contratto, ossia avviare nuove trattative onde modificare il regolamento pattizio alla luce delle mutate circostanze fattuali, ripristinando l'originario sinallagma negoziale.

Sullo sfondo di tale dibattito si colloca il rapporto di tensione tra il principio pacta sunt servanda, fondato sull'art. 1372 c.c. ed in virtù del quale il programma negoziale è insensibile alle sopravvenienze perturbanti (così garantendosi la certezza dei rapporti giuridici), ed il principio rebus sic stantibus, in forza del quale l'alterazione del sinallagma negoziale conduce sempre alla caducazione del rapporto o alla modificazione del suo contenuto. La clausola rebus sic stantibus, benché principio sottinteso al dettato contrattuale volto ad ancorare le obbligazioni assunte alla permanenza dello stato di fatto esistente al momento del loro sorgere, non era contemplata nel codice civile del 1865, improntato all'esaltazione dell'autonomia negoziale e alla prevalenza del principio pacta sunt servanda, di talché le sopravvenienze rimanevano a carico delle parti. Viceversa, il codice civile del 1942, all'art. 1467 c.c., disciplina la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta e, al comma 3, contempla una ipotesi di rinegoziazione unilaterale. Nell'attuale contesto storico, il rinnovato rilievo della tematica delle sopravvenienze sull'equilibrio contrattuale si spiega alla luce dell'emergenza pandemica da Covid-19 e dai conflitti bellici in corso. Si è infatti osservato che l'art. 1467, comma 1, c.c. offre una tutela sovente insufficiente in quanto meramente demolitoria e che l'attivazione della rinegoziazione di cui al successivo co. 3 è legata ad una iniziativa unilaterale della parte avvantaggiata dalla sopravvenienza, iniziativa tutt'altro che scontata.

Ciò posto sulla rinegoziazione contrattuale in generale, occorre comprendere in che misura essa possa operare con riguardo ai contratti della Pubblica Amministrazione e, in particolare, ai contratti di diritto privato speciale, assoggettati alla disciplina delle procedure ad evidenza pubblica. Invero, in detto settore la rinegoziazione ha tradizionalmente trovato spazi angusti, stante la assoluta prevalenza di esigenze anti-corruttive, di trasparenza, di parità di trattamento, di preservazione della concorrenza: a titolo esemplificativo, la l. n. 109/1994 (cd. l. Merloni) tipizzava le cause che legittimavano la modificazione contenutistica del contratto.

Con il successivo Codice dei contratti pubblici del 2006 è stato confermato, all'art. 114, il principio in virtù del quale è vietata qualunque modifica del contratto in corso di esecuzione, fatte salve le ipotesi espressamente previste dal Codice stesso, così perseguendo l'esigenza pro – concorrenziale di matrice europea, poi rifluita nell'art. 106 del d.lgs. n. 50/2016. Tale esigenza veniva chiaramente focalizzata dal Cons. Stato con parere n. 1084/2000, ove si affermava che la rinegoziazione va esclusa anche successivamente all'aggiudicazione in quanto, modificando la base d'asta, finirebbe (seppur indirettamente) con l'introdurre oggettivi elementi di distorsione della concorrenza, violando in tal modo i principi comunitari in materia. Tanto è stato chiarito anche dalla CGUE con la sentenza Pressetext, secondo cui le modifiche apportate ad un appalto in corso di esecuzione devono essere considerate equivalenti all'aggiudicazione di un nuovo contratto senza gara – e quindi in contrasto con il diritto europeo – quando presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell'appalto iniziale.

Il nuovo Codice appalti (d.lgs. n. 36/2023) si pone in controtendenza rispetto a siffatta chiusura, collocando tra gli undici principi generali, funzionali ad orientare la successiva interpretazione delle singole norme codicistiche, il principio enunciato dall'art. 9, recante la disciplina generale da applicare per la gestione delle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili. Il comma 1 della disposizione sancisce il diritto alla rinegoziazione secondo buona fede della parte svantaggiata al quale, dunque, corrisponde un obbligo della controparte al ricorrere di determinate condizioni: deve trattarsi di eventi straordinari e imprevedibili; i rischi generati da tali eventi non devono essere stati volontariamente assunti dalla parte pregiudicata dagli stessi; detti eventi devono determinare una alterazione rilevante dell'originario equilibrio del contratto e non devono essere riconducibili alla normale alea, alla ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato. Il co. 2 specifica che la disposizione persegue il solo scopo di ripristinare l'originario equilibrio del contratto, senza alterarne la sostanza economica, altrimenti verificandosi una elusione delle regole della procedura ad evidenza pubblica.

L'art. 9 va letto in combinazione con l'art. 5, che applica il principio di buona fede all'intera materia dei contratti pubblici, e con gli artt. 60 e 120.
L'art. 60, nello specifico, prevede l'obbligatorio inserimento nei documenti di gara delle clausole di revisione prezzi; l'art. 120, ricalcando in parte la disciplina di cui all'art. 106 del d.lgs. n. 50/2016, perimetra una serie di ipotesi specifiche in cui è possibile la modifica del contratto in sede di esecuzione, ma, al comma 8, ribadisce che “il contratto è sempre modificabile ai sensi dell'articolo 9”, così aprendo la via al generale obbligo di rinegoziazione. Lo scopo dell'art. 60 cit. è anche quello di garantire che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle amministrazioni pubbliche non subiscano con il tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione (TAR Sicilia, Catania, 27 febbraio 2025, n. 737).

Invero, nella medesima direzione manutentiva e conservativa del contratto si attesta la giurisprudenza anche in riferimento ai contratti pubblici che non ricadono nell'ambito applicativo del Codice appalti. Si pensi alla deliberazione n. 7/2021 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, che apre alla rinegoziabilità dei contratti di locazione stipulati dagli enti locali a fronte di sopravvenienze perturbanti costituenti conseguenza della pandemia da Covid-19, seppur nel necessario rispetto del principio del buon andamento e del principio dell'equilibrio di bilancio. Si pensi, ancora, alla recente sentenza n. 9014/2024 del Consiglio di Stato, che, partendo dal principio di buona fede oggettiva, traslato nell'area dei contratti ad oggetto pubblico in virtù del richiamo ai principi civilistici operato dall'art. 11, comma 2, l. n. 241/1990, configura un obbligo di provvedere del Comune sull'istanza di rinegoziazione di una convenzione di lottizzazione in presenza di circostanze sopravvenute rilevanti.

 La soluzione proposta

La Corte dei conti ha ravvisato la violazione, nel caso di specie, dell'art. 60 d.lgs. n. 36/2023 per la mancata previsione della clausola di revisione prezzi nel disciplinare di gara, ma ha altresì prospettato l'applicabilità del meccanismo della etero-integrazione a norma dell'art. 1339 c.c., con la conseguente sostituzione di diritto delle clausole contrattuali difformi, nulle ai sensi dell'art. 1419 c.c. Ne discende la possibilità, per l'appaltatore, di chiedere la revisione prezzi ove ricorrano i presupposti normativamente indicati.

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