Procedimento incidentale di verifica dei crediti nella materia delle misure di prevenzione patrimoniali
22 Luglio 2025
Massima Nel procedimento incidentale di verifica dei crediti finalizzato alla formazione dello stato passivo in relazione a una misura di prevenzione patrimoniale, il soggetto terzo in buona fede deve dimostrare, mediante gli ordinari mezzi di prova previsti dai principi civilistici e fallimentari, l'effettiva esistenza del credito, nonché la sua congruenza rispetto alle attività professionali svolte (Nel caso di specie, la Corte ha confermato la decisione del Tribunale che non aveva ammesso il credito professionale vantato dal terzo per carenza di prova in ordine alla sua effettiva consistenza. Il creditore, a supporto della domanda di ammissione, aveva prodotto esclusivamente le fatture emesse nei confronti del soggetto proposto nel cui interesse aveva prestato attività legale). Il caso La decisione emessa dalla Corte di cassazione origina da un giudizio incidentale di verifica dei crediti nell'ambito di un procedimento di prevenzione avente ad oggetto un provvedimento di confisca. Il ricorrente ha sostenuto, tramite opposizione al diniego di ammissione allo stato passivo, l'esistenza di un credito derivante dall'attività professionale prestata, in qualità di avvocato, nell'interesse del soggetto proposto. Il Tribunale aveva rigettato la domanda di ammissione presentata dal creditore per carenza di prova in ordine all'effettiva sussistenza del credito, evidenziando, in particolare, l'inidoneità probatoria delle fatture prodotte dal ricorrente avvocato, stante la loro natura di mero documento contabile. La questione La questione giuridica affrontata dalla Corte di cassazione nella vicenda de qua attiene pertanto ai criteri probatori che governano il procedimento incidentale di verifica dei crediti finalizzato alla formazione dello stato passivo ai sensi dell'art. 59, d.lgs. 6.9.2011, n. 159. Tale procedura, come evidenziato altresì dalla Suprema Corte nel caso di specie (v. meglio infra), riflette il bilanciamento tra due diversi interessi: da un lato, viene in rilievo l'esigenza di garantire l'effettività della misura ablatoria (ergo di privare il destinatario della ricchezza acquisita illecitamente) e, dall'altro, emerge la necessità di tutelare i terzi in buona fede che vantano diritti di credito o diritti reali di garanzia costituiti in data anteriore al provvedimento di natura patrimoniale (sequestro/confisca). Il quesito da analizzare, cui la Corte fornisce una risposta pienamente condivisibile, può essere formulato in questi termini: è sufficiente la produzione in giudizio delle sole fatture per dimostrare l'effettiva esistenza di un credito derivante da una prestazione professionale e, quindi, per ottenerne la relativa ammissione allo stato passivo? Le soluzioni giuridiche L'esito decisorio cui perviene la Corte di cassazione, lo si anticipa subito, è di rigetto del ricorso (con condanna al pagamento delle spese processuali). Nel caso di specie – si legge nelle motivazioni – «è stata correttamente ritenuta non provata l'esistenza del credito», in quanto «non solo sono state poste a fondamento del credito professionale fatture emesse successivamente al sequestro, ma, soprattutto, non esiste nessuna prova né della effettività e della consistenza delle prestazioni che sarebbero state compiute e neppure della congruenza della somma indicata nelle fatture rispetto all'attività svolta» (considerato in diritto, § 3.). «Né è obiettivamente chiaro – si prosegue nella sentenza – perché il ricorrente non si sia munito nemmeno di un parere della competente associazione professionale volta a comprovare la esistenza del credito e del suo ammontare» (considerato in diritto, § 3.), in ossequio agli artt. 633 e 636 c.p.c. Precisata la risposta fornita dalla Suprema Corte al quesito poc'anzi formulato, occorre guardare più da vicino il relativo impianto argomentativo posto alla base delle motivazioni. Il perno attorno al quale ruota il convincimento del Collegio di legittimità attiene alla natura prettamente pubblicistica del procedimento di prevenzione, nonché della relativa procedura incidentale di verifica dei crediti e di formazione dello stato passivo. Anche quest'ultima fase, pur essendo governata da principi mutuati dal diritto civile e fallimentare, contempera, quale finalità prevalente, l'esigenza dello Stato ad acquisire la res confiscata. La salvaguardia dei diritti dei terzi in buona fede, sebbene trovi nel codice antimafia una specifica disciplina ai sensi degli artt. 52 e ss., riveste una funzione non preminente. Ciò si evince con chiarezza dall'intelaiatura normativa del d.lgs. n. 159/2011. La prima disposizione richiamata dalla Corte di cassazione attraverso la citazione di un precedente giurisprudenziale è l'art. 45 del codice antimafia, che, al «secondo periodo del primo comma pone, tecnicamente, una riserva, quanto alla tutela dei terzi, in capo al giudice della prevenzione» (considerato in diritto, § 2.; cfr. altresì Cass. pen., sez. II, 1° aprile 2022 (dep. 23 giugno 2022), n. 24311). La tutela è infatti garantita «entro i limiti e nelle forme» degli artt. 52 ss., d.lgs. n. 159/2011. Decisiva è poi la norma sulla verifica dei crediti, che delinea compiti e poteri del giudice delegato in ordine alla formazione dello stato passivo (art. 59). A tal proposito, il Collegio sottolinea come il procedimento incidentale di verifica dei crediti nell'ambito della materia antimafia, pur originando da una domanda giudiziale di parte privata (vale a dire l'istanza di ammissione presentata dal creditore ai sensi dell'art. 58), è pur sempre «caratterizzato da un potere di accertamento diverso rispetto a quello del giudizio civile ordinario (che si fonda sul principio di iniziativa delle parti), atteso l'espresso riconoscimento dei poteri officiosi riconosciuti al giudice della prevenzione (art. 59, comma 1, d.lgs. n. 159/2011), in sintonia con la natura pubblicistica dell'intero procedimento di prevenzione» (considerato in diritto, § 2.). Il combinato disposto delle norme dedicate alla destinazione dei beni confiscati e alla tutela dei terzi, nonché, in particolare, ai poteri d'ufficio riconosciuti al giudice per espletare adeguatamente la verifica dei crediti vantati dalle parti in relazione a beni oggetto di sequestro/confisca di prevenzione, restituisce la ratio del procedimento regolato dal codice antimafia. Si tratta di un «sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, imperniato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contradittorio e sulla successiva formazione di un ‘piano di pagamento', secondo cadenze mutuate in larga misura dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare, che […] rappresenta il frutto del bilanciamento legislativo tra i due interessi che in materia si contrappongono» (considerato in diritto, § 2.). Vale a dire, come anticipato supra, «da un lato, l'interesse dei creditori del proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni; dall'altro, l'interesse pubblico ad assicurare l'effettività della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare il destinatario dei risultati economici dell'attività illecita» (considerato in diritto, § 2.; nonché C. cost., 11 febbraio 2015 (dep. 28 maggio 2015), n. 94). Ciò spiega, per tornare nuovamente al ruolo del giudice delegato nel procedimento incidentale di verifica dei crediti, il senso del «“controllo”» a lui affidato, anche tramite l'esercizio di poteri ex officio. L'effettività delle misure ablatorie prevenzionistiche deve infatti essere messa al riparo da eventuali «manovre collusive» poste in essere dal debitore di concerto con prestanomi che possano vantare fittiziamente diritti su beni oggetto del vincolo reale (cfr. C. cost., 5 dicembre 2018 (dep. 27 febbraio 2019) n. 26, così come citata altresì dalla sentenza in commento). Se ciò avvenisse, a ben vedere, il proposto rientrerebbe nella disponibilità sostanziale dei beni, vanificando l'efficacia del binomio sequestro/confisca. Siffatto argomentare consente agevolmente al Supremo Collegio di pervenire alla decisione anticipata in apertura, considerando peraltro che, in base ai principi civilistici, la fattura non costituisce idonea prova scritta del credito e della relativa prestazione sottostante, da dimostrare, già in fase di istanza di ammissione, mediante apposita parcella delle spese e delle prestazioni sottoscritta dal ricorrente, corredata altresì dal parere della competente associazione professionale (artt. 633 e 636 c.p.c.). La carenza documentale, non colmata dal ricorrente neppure in sede di opposizione al diniego della domanda di ammissione del credito, in uno con la circostanza per cui le fatture sono state emesse successivamente al sequestro, porta la Corte di cassazione a rigettare il ricorso, così confermando la decisione assunta dal Tribunale. Osservazioni La sentenza segnalata si lascia apprezzare per la chiarezza e la profondità, pur nella loro sinteticità, delle motivazioni. I giudici di legittimità – che sarebbero potuti addivenire al medesimo esito decisorio anche facendo leva esclusivamente sulle regole civilistiche richiamate in chiusura del provvedimento (artt. 633 e 636 c.p.c.) – hanno infatti argomentato, conformemente all'orientamento seguito in materia dalla Suprema Corte (Cass. pen., sez. II, 1° aprile 2022 (dep. 23 giugno 2022), n. 24311; Cass. pen., sez. II, 13 settembre 2023 (dep. 15 novembre 2023), n. 46099; in linea altresì con gli arresti del Giudice delle Leggi, cfr. Corte cost., 5 dicembre 2018 (dep. 27 febbraio 2019) n. 26), sulla natura e sulle funzioni del procedimento di prevenzione, nonché della relativa procedura di verifica dei crediti che in esso si innesta in via incidentale. Il precipitato della decisione è allora duplice. In primo luogo, appare pacifico che il soggetto terzo in buona fede, ai fini della dimostrazione dell'effettiva esistenza del credito derivante dall'espletamento di una prestazione professionale, nonché della sua relativa congruenza con l'attività svolta, è onerato di dimostrare la sussistenza della pretesa mediante gli ordinari mezzi di prova civilistici. Nel caso di specie, pertanto, la domanda dovrà essere accompagnata dalla parcella delle spese e delle prestazioni e, soprattutto, dal parere della competente associazione professionale. Siffatto onere probatorio riflette, non soltanto il disposto dell'art. 636 c.p.c., ma altresì il contenuto della domanda di ammissione del credito, che, ai sensi dell'art. 58, comma 1 lett. c), d.lgs. n. 159/2011, richiede di indicare l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione dell'istanza, accludendo i relativi documenti giustificativi. In secondo luogo, l'ambivalente finalità del procedimento incidentale di verifica dei crediti nella materia prevenzionistica – ossia: (i) garantire l'effettività delle misure di prevenzione patrimoniali e, quindi, il recupero da parte dello Stato della ricchezza illecita; (ii) la tutela dei terzi creditori – non esclude la preminente natura pubblicistica del procedimento, che, anche nella sua fase incidentale, è pur sempre contraddistinto dallo scopo primario di contrastare la commissione di attività delittuose e, quindi, la circolazione dei relativi proventi. L'assetto complessivo della disciplina, in specie gli artt. 52 e ss. del codice antimafia, riflette la cedevolezza degli interessi dei creditori rispetto all'interesse pubblicistico connesso all'esecuzione delle misure di prevenzione patrimoniali. Conta evidenziare, non soltanto la matrice essenzialmente inquisitoria del procedimento di verifica, fondato sull'esercizio dei poteri ex officio da parte del giudice delegato e non sull'iniziativa privata (basti notare il fatto che l'amministratore giudiziario non è parte processuale, ma mero ausiliario dell'organo giudicante), ma altresì gli stringenti requisiti cui la tutela dei diritti dei terzi è condizionata (cfr. art. 52, comma 1 d.lgs. n. 159/2011), così come i limiti della garanzia patrimoniale sanciti dall'art. 53 d.lgs. n. 159/2011. Risulta allora chiara la prevalenza delle esigenze pubblicistiche perseguite attraverso le misure di prevenzione patrimoniali sugli interessi privati dei terzi creditori, che, nella vicenda giudicata dalla Suprema Corte, si salda con la necessità di osservare le ordinarie regole probatorie ai fini dell'ammissione del credito allo stato passivo. |