Responsabilità ex art. 2049 c.c.: la Corte di cassazione amplia la portata del nesso di occasionalità necessaria

16 Luglio 2025

In tema di responsabilità ex art. 2049 c.c., ai fini della sussistenza del nesso di occasionalità necessaria tra il fatto illecito del preposto e l'esecuzione delle incombenze affidategli - che ricorre allorquando l'esercizio delle medesime espone il terzo all'ingerenza dannosa del preposto determinando, agevolando o comunque rendendo possibile la realizzazione del fatto lesivo - occorre che la sua condotta costituisca il "normale sviluppo" dell'esercizio delle mansioni assegnate dal preponente, ovvero che rimanga nei confini della non imprevedibile evoluzione di "sequenze ed eventi connessi all'ordinario espletamento" delle stesse, e non è escluso dalla degenerazione o dall'eccesso nel loro esercizio, determinati dall'abuso della posizione ricoperta o dalla contravvenzione alle modalità del loro svolgimento o ai compiti assegnati o, ancora, dalla violazione delle regole stabilite o delle istruzioni ricevute.

Massima

Nella specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di appello la quale, in relazione alle lesioni subite dall'avventore di una discoteca in conseguenza della condotta illecita tenuta, per una finalità di natura meramente personale, da un addetto alla sicurezza, aveva erroneamente ritenuto idoneo ad escludere il nesso di occasionalità necessaria il fatto che tale condotta fosse stata posta in essere fuori dal locale, dopo un apprezzabile lasso di tempo dal momento in cui la vittima ne era stata invitata ad uscire, in ragione di una discussione con altri clienti che era proseguita pure fuori dal locale.

Il caso

Nel corso di una serata in discoteca, alcuni avventori avevano una discussione ed uno di loro, dopo essere uscito dalla discoteca, era raggiunto da un addetto alla sicurezza che lo aveva improvvisamente colpito con un violento calcio alla testa e al volto, provocandogli gravi lesioni personali.

L’attore citava in giudizio la società gestrice della discoteca, nonché datrice di lavoro del danneggiante, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni complessivamente subìti.

I giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, accoglievano la domanda solo nei confronti dell’aggressore, ritenendo estranea la società datrice di lavoro.

In particolare, il giudice di appello sulla scorta del materiale probatorio aveva accertato che: 

a) l’addetto alla sicurezza per un motivo strettamente personale (legato alla volontà di vendicarsi a seguito di un precedente diverbio, come accertato dal giudice penale), aveva commesso il fatto dannoso al di fuori del locale (ad una distanza variabile tra i 30 e i 100 metri dal suo ingresso); 

b) l’aggressione si era verificata dopo che era trascorso un considerevole lasso di tempo dal momento in cui la vittima e gli altri altercanti ne erano usciti e senza che vi fosse alcuna necessità di intervenire per assicurare la sicurezza all’interno della discoteca o per regolarne il flusso di ingresso.

Proposto ricorso in cassazione, i giudici di legittimità hanno annullato la sentenza di appello sul rilievo che l’esercizio delle incombenze che formavano oggetto del rapporto di preposizione aveva esposto la vittima all’ingerenza dannosa del preposto, rendendo possibile la commissione del fatto lesivo, il quale, benché esorbitante dall’incarico ricevuto e rispondente ad una finalità personale in contrasto con quella perseguita dalla società preponente, aveva nondimeno costituito lo sviluppo non imprevedibile – ancorché illecito e persino delittuoso – dello scorretto esercizio delle mansioni di addetto alla sicurezza.

La questione

La questione in esame è la seguente: quando può ritenersi interrotto il nesso di occasionalità necessaria?

La soluzione giuridica

Nella giurisprudenza di legittimità ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c. , non è affatto necessario che l'agente sia legato al responsabile da un rapporto di lavoro subordinato ma è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato ma anche quando per volontà di un soggetto (committente) un altro (commesso) esplichi un'attività per suo conto (Cass. n. 28852/2021; Cass. n. 12283/2016).

Si è anzi chiarito che la responsabilità del committente per fatto proprio dell'ausiliario di cui all'art. 2049 c.c. sussiste non solo in presenza di un rapporto contrattuale, ma anche in presenza di un rapporto di fatto che leghi due soggetti, dei quali l'uno esplichi, in posizione di sostanziale subordinazione, una attività per conto dell'altro, il quale conservi un potere di direzione e di sorveglianza sulla condotta del primo (Cass. n. 8668/1991, secondo cui va considerato committente ai fini previsti dall'art. 2049 c.c., anche chi si avvalga, nella esecuzione di un determinato lavoro, dell'attività lavorativa di persona che, seppure nominalmente figurante alle dipendenze di altri, debba peraltro rispondere verso di lui, o verso entrambi, del proprio operato, senza che sia necessario accertare, e qualificare, la natura del rapporto intercorrente tra l'effettivo committente ed il datore di lavoro solo nominale dell'ausiliario).

Al fine di delineare l'ambito di applicabilità della previsione in esame, sono stati individuati i requisiti necessari per la configurabilità di tale tipo di responsabilità, escludendo, da un lato, che possa darsi rilievo alla tendenziale autonomia del preposto nell'espletamento delle mansioni a questo affidate (Cass. n. 23973/2019) e, precisando, dall'altro, che, ai fini dell'imputazione della responsabilità in capo al preponente, è sufficiente la sussistenza di un rapporto di occasionalità necessaria, da intendersi nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass. n. 1516/2007).

Per affermare il nesso di occasionalità necessaria tra le incombenze dell'agente e il danno subito dal terzo è necessario, ma anche sufficiente, che le funzioni esercitate ovvero la posizione ricoperta nell'ambito dell'organizzazione del preponente abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il preposto abbia superato i limiti delle mansioni affidategli o abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali, a condizione, però che la sua condotta abbia costituito il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni (Cass. n. 31675/2023, in cui la Corte ha cassato con rinvio la sentenza che aveva escluso la responsabilità dell'agenzia e della impresa di assicurazione, per la falsificazione di polizze fideiussorie ad opera di un subagente, sulla base del rilievo che l'illecito era stato commesso per finalità di carattere personale ed in contrasto con quelle perseguite dall'agenzia assicurativa dell'ente di appartenenza).

Si è comunque segnalato che ai fini della configurabilità della responsabilità del committente per il danno arrecato dal fatto illecito del commesso ex art. 2049 c.c., pur essendo sufficiente un nesso di occasionalità necessaria tra l'illecito e il rapporto tra detti soggetti, è necessario accertare che il commesso abbia perseguito finalità coerenti con quelle per le quali erano state affidate le mansioni e non finalità proprie, alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe (Cass. n. 21385/2024, nella specie, sul rilievo che il preposto aveva agito per fini esclusivamente personali e voluttuari, la s.c. ha confermato la sentenza della corte territoriale che aveva escluso la corresponsabilità ex art. 2049 c.c. di una fondazione in concorso con un componente del suo consiglio di amministrazione, il quale aveva cagionato ingenti perdite patrimoniali alla fondazione stessa convincendola a spostare tutti i propri titoli alla filiale dell'istituto di credito dove lavorava la moglie del preposto, che provvedeva sistematicamente a distrarre i fondi ivi pervenuti per uso personale).

Osservazioni

L'art. 2049 c.c. disciplina la responsabilità del committente per danni arrecati dai commessi ai terzi, la cui ratio sta nel principio di carattere più generale per cui l'azione compiuta dal commesso nell'esercizio delle sue incombenze è sempre riferibile al committente, il quale dunque, nei rapporti con qualsiasi terzo danneggiato dal commesso, deve imputare il danno a sé stesso, salva la responsabilità del commesso nei suoi confronti.

La norma in questione, al pari di quella prevista dall'art. 1228 c.c., individua nel nostro ordinamento una ipotesi di responsabilità oggettiva, indipendente cioè dalla colpa del soggetto responsabile, sicché il dolo o la colpa vanno valutati con riferimento al sol fatto dell'ausiliario, e non al comportamento del debitore. Si tratta di una forma di responsabilità per la quale la dottrina e la giurisprudenza parlano da tempo di una presunzione assoluta di colpa e la cui giustificazione viene essenzialmente rinvenuta nella teoria del rischio di impresa, come principio generale, parallelo alla colpa, di imputazione della responsabilità espressione, in altri termini, di un criterio obiettivo di allocazione dei rischi, per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell'impresa, come componente dei costi di questa (Cass. n. 6033/2008).

Come insegna la Suprema Corte, in tema di fatto illecito, con riferimento alla responsabilità dei padroni e committenti, ai fini dell'applicabilità della norma di cui all'art. 2049 cod. civ. non è richiesto l'accertamento del nesso di causalità tra l'opera dell'ausiliario e l'obbligo del debitore, nonché della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l'autore dell'illecito ed il proprio datore di lavoro e del collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente. È infatti sufficiente, per il detto fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass. n. 1516/2007).

Per la giurisprudenza della Corte di cassazione ai fini della responsabilità ex art. 2049 c.c., le funzioni esercitate devono aver determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, con il corollario che è irrilevante che il preposto abbia superato i limiti delle sue mansioni o agito con dolo e per fini personali.

Orbene, la pronuncia in commento valorizza ai fini della applicazione dell'art. 2049 c.c. le mansioni svolte dall'addetto alla sicurezza che hanno reso possibile e comunque hanno agevolato il comportamento produttivo del danno all'attore.

Tuttavia, tale conclusione non è condivisibile tenuto conto dell'attività istruttoria svolta.

Invero, è emerso che l'addetto alla sicurezza ha inseguito la vittima per colpirla, sicché tale situazione non integra il superamento dei limiti delle mansioni del preposto, ma rappresenta sviluppo imprevedibile dell'esercizio delle mansioni, in quanto il commesso non ha perseguito finalità coerenti con quelle per le quali erano state affidate le mansioni, giacché non vi era alcuna necessità di intervenire per assicurare la sicurezza all'interno della discoteca o per regolarne il flusso di ingresso.

Pertanto, tenuto conto che l'aggressione si era verificata a distanza dalla discoteca ed in un momento in cui la potenziale situazione di pericolo anche per gli altri avventori era venuta meno, può dirsi che non sussistesse in capo all'addetto alla sicurezza l'obbligo di vigilare sul corretto ed ordinato andamento della serata, evitando il verificarsi di situazioni di aggressività e violenza, potendo a tal fine usare anche la forza fisica.

Infatti, è pur sempre necessario che la condotta del preposto abbia costituito il non imprevedibile sviluppo del suddetto esercizio delle mansioni, dovendo il giudice accertare che il commesso abbia perseguito finalità coerenti con quelle per le quali erano state affidate le mansioni e non finalità proprie, alle quali il committente non sia neppure immediatamente interessato o compartecipe.

In conclusione, l'aggressione così realizzata deve ritenersi sviluppo imprevedibile – oltre che illecito e persino delittuoso – dello scorretto esercizio delle mansioni di addetto alla sicurezza, come tale mancante di ogni collegamento con il servizio di ordine demandato all'addetto.

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