Codice di Procedura Civile art. 5 - Momento determinante della giurisdizione e della competenza 1 .

Mauro Di Marzio

Momento determinante della giurisdizione e della competenza 1.

[I]. La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda [99, 163, 167, 414, 416, 638, 669-bis; 70-ter att.], e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza 1° gennaio 1993, ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti come stabilito dall'art. 92, della l. 353/1990 cit., come modificato dall'art. 50, comma 1, l. 21 novembre 1991, n. 374 , dall'art. 2, comma 5, l. 4 dicembre 1992, n. 477 e da ultimo dall'art. 6, comma 1, d.l. 7 ottobre 1994, n. 571, conv. con modif. in l. 6 dicembre 1994, n. 673. Il testo precedente recitava: «[I]. La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti dello stato medesimo».

Inquadramento

La norma in commento sancisce un principio essenziale per il buon funzionamento del processo civile: quello secondo cui, una volta radicatosi dinanzi al giudice dotato di giurisdizione e competenza, esso non subisce, a tal riguardo, l'influenza delle vicende sopravvenute, né dal versante della legge vigente, né da quello dello stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda.

Sempre nella medesima ottica di economia processuale, tuttavia, si riconosce che le vicende sopravvenute hanno rilievo quando attribuiscono ex post al giudice adito la giurisdizione o la competenza (per una recente applicazione Cass. n. 4059/2016) di cui egli era privo al momento dell'introduzione della lite.

In taluni casi, inoltre, il principio menzionato non opera: in particolare per il fatto che lo stesso legislatore, nell'intervenire sulla disciplina della giurisdizione o della competenza, detta specifiche disposizioni transitorie di segno diverso.

La stessa disposizione àncora la determinazione della giurisdizione e della competenza al momento della proposizione della domanda, ossia alla notificazione della citazione ovvero al deposito del ricorso, a seconda che il procedimento vada introdotto con l'una o con l'altro.

Il principio della perpetuatio iurisdictionis

Il precetto posto dalla norma si riassume nel c.d. principio della perpetuatio iurisdictionis in forza del quale giurisdizione e competenza si determinano dalla ed al momento della domanda (assumendo rilievo non il decisum bensì il deductum o, meglio, il disputandum, e perciò la domanda, con ogni suo accessorio, al momento della relativa proposizione: così in giurisprudenza Cass. n. 8243/2000; tra le tante Cass.  S.U., n. 64/2001; Cass.  S.U., n. 19600/2012), avuto riguardo alla «legge vigente» (il riferimento a quest'ultima è stato introdotto dalla l. n. 353/1990, facendo venir meno talune questioni dibattute in precedenza) ed allo «stato di fatto» del momento medesimo, senza, cioè, che le successive modificazioni tanto della legge vigente, quanto dello stato di fatto possano dispiegare in proposito alcun effetto. Sicché, ad esempio, in tema di contratti del consumatore, la competenza va regolata sulla base delle norme in vigore alla data di proposizione della domanda e non di quelle in vigore alla data di conclusione del contratto dal quale derivano le obbligazioni controverse (Cass. n. 25108/2024). Tale disposizione, che si pone in deroga della regola tempus regit actum (regola che, pur non espressamente sancita, sembra potersi desumere a contrario proprio dalla norma in commento, quantunque la sua esistenza sia stata rimessa in discussione da parte della dottrina e la sua forza sia stata attenuata dagli orientamenti di recente emersi in giurisprudenza, in tema di overruling: v. Cass.  S.U., n. 15144/2011;  Cass. n. 28967/2011; Cass. n. 6801/2012; Cass. n. 7755/2012; Cass. n. 5962/2013; Cass. n. 3782/2018) risponde, in conformità all'odierno quadro costituzionale, ad esigenze pratiche di immediata evidenza: se le modificazioni della legge vigente e dello stato di fatto potessero dispiegare effetto sulla giurisdizione o sulla competenza, il giudice validamente adito dovrebbe in tal caso decidere in rito con una pronuncia declinatoria dell'una o dell'altra, con evidente sacrificio del diritto di agire in giudizio sancito dall'art. 24 Cost., del principio del giudice naturale sancito dall'art. 25 Cost. (ed infatti potrebbe essere il convenuto a modificare ad esempio la propria residenza per ottenere lo spostamento della causa dinanzi ad un altro giudice), nonché, evidentemente, del principio di ragionevole durata sancito dall'art. 111 Cost.

Quanto allo stato di fatto, non incidono sulla già radicata giurisdizione o competenza, ad es.: lo spostamento delle cose da sequestrare (Cass. n. 1716/1998); lo spostamento della sede sociale della società nel corso del processo (Cass. n. 2795/1997; Cass. n. 9070/2000; secondo Cass. n. 453/2007 non rileva il fatto che la sede fosse in un determinato luogo al momento dell'insorgenza del rapporto dedotto in giudizio e sia stata poi trasferita); il trasferimento dell'interdetto legale dalla struttura detentiva in cui era ristretto successivamente all'apertura della tutela e prima della nomina del tutore (Cass. n. 10373/2013; il raggiungimento della maggiore età del minore nel corso del giudizio dinanzi al tribunale dei minorenni per la dichiarazione giudiziale di paternità (Cass. n. 12667/1991); il trasferimento della residenza abituale del minore da uno Stato ad un altro, per i fini del radicamento della giurisdizione sui provvedimenti de potestate (Cass.  S.U., n. 16864/2011, Fam. dir. 2012, 29, con nota di Liuzzi); nello stesso senso Cass. n. 7161/2016, secondo cui nei procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., il principio della perpetuatio iurisdictionis, in forza del quale la competenza territoriale del giudice adito rimane ferma, nonostante lo spostamento in corso di causa della residenza anagrafica o del domicilio del minore, a seguito del trasferimento del genitore con cui egli convive, prevale, per esigenze di certezza e di garanzia di effettività della tutela giurisdizionale, su quello di «prossimità», ove il provvedimento in relazione al quale deve individuarsi il giudice competente sia quello stesso richiesto con l'istanza introduttiva o con altra che si inserisca incidentalmente nella medesima procedura: nella specie, la S.C. ha accolto il regolamento di competenza d'ufficio sollevato dal Tribunale per i minorenni di Brescia, dinanzi al quale era stato riattivato, nei medesimi termini originari, il procedimento de potestate dopo la pronuncia di incompetenza del Tribunale per i minorenni di Bologna, adito dal P.M., motivata sul trasferimento, in corso di causa, della madre, insieme alle minori, in un comune in provincia di Brescia); il trasferimento di un genitore e dei minori nei procedimenti de potestate di cui agli artt. 330-333 c.c. (Cass. n. 7161/2016). Per il caso di cambiamento di residenza del minore nei procedimenti di affidamento eterofamiliare v. Cass.  S.U., n. 28875/2008, Fam. dir. 2009, 701, con nota di Salvaneschi. Per il cambiamento di residenza del beneficiario dell'amministrazione di sostegno v. Cass. n. 9389/2013, , e, infra, Cass. n. 23772/2017

Parimenti, nel giudizio di divorzio che attenga anche all'affidamento ed alla collocazione di un figlio minorenne, al fine di determinare quale sia il giudice nazionale dotato di giurisdizione deve aversi riguardo alla residenza della famiglia al momento della proposizione della domanda, rimanendo ininfluente il successivo trasferimento del figlio con un genitore all'estero (Cass. n. 15728/2019).

Quanto alla legge vigente, può ricordarsi la pronuncia secondo cui la competenza a conoscere della domanda di limitazione o decadenza dalla potestà dei genitori, introdotta prima della modifica del testo dell'art. 38 disp. att. c.c. disposta dall'art. 3 l. n. 219/2012, rimane radicata presso il tribunale per i minorenni anche se nel corso del giudizio sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in ossequio al principio della perpetuatio jurisdictionis ed a ragioni di economia processuale (Cass. n. 21633/2014). 

Ed ancora, in materia di responsabilità degli organi di gestione RAI, ove la decisione di condanna in primo grado del giudice contabile sia stata appellata senza la proposizione di uno specifico motivo di gravame attinente alla giurisdizione, deve ritenersi formato il giudicato implicito sul punto, senza che rilevi, quale ius superveniens, l'introduzione dell'art. 49-bis d.lgs. n. 177/2005, il quale prevede la soggezione degli organi di gestione e di controllo della RAI alle ordinarie azioni civili di responsabilità stabilite per le società di capitali, atteso che il momento determinate la giurisdizione va fissato non solo con riguardo allo stato di fatto esistente al tempo della proposizione della domanda, ma anche con riferimento alla legge vigente in quel momento, senza che possano rilevare eventuali sopravvenienze in fatto o in diritto (Cass. S.U. n. 25937/2018).

Il principio sancito dall'art. 5 trova come si è detto la sua ragion d'essere in esigenze di economia processuale e riceve perciò applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza della giurisdizione o competenza del giudice adito e non anche quando il mutamento dello stato di fatto e di diritto comporti l'attribuzione della giurisdizione o della competenza al giudice che ne era privo (es. Cass.  S.U., n. 8999/2009, concernente domanda di risarcimento danni da occupazione appropriativa rivolta al giudice amministrativo, dotato di giurisdizione per gli effetti retroattivi della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 34 d.lgs. n. 80/1998, ad opera di Corte cost. n. 281/2004; Cass. n. 21221/2014 per il caso di sopravvenuta ratifica della clausola compromissoria stipulata da rappresentanze senza potere; Cass. n. 19833/2014, per il caso di radicamento della competenza dinanzi alla sezione specializzata agraria a seguito della proposizione della domanda riconvenzionale; Cass. n. 12861/2012, per il caso di controversia concernente l'impugnazione di un'iscrizione ipotecaria fondata su un credito di imposta proposta dinanzi alla giurisdizione tributaria per effetto delle disposizioni del d.l. n. 223/2006, conv., con modif., in l. n. 248/2006; Cass. n. 16667/2010; Cass. n. 13882/2010, per il caso di sanzioni amministrative concernenti la violazione finanziaria disciplinata dall'art. 195 d.lgs. n. 58/1998, a seguito della modifica introdotta dall'art. 16 d.lgs. n. 164/2007; Cass. n. 4059/2016 per il caso di attribuzione della competenza al giudice inizialmente incompetente in forza di modificazione del quadro normativo di riferimento). Anche di recente si è dunque ribadito che il principio di irrilevanza delle sopravvenienze, stabilito dall'art. 5 c.p.c., essendo diretto a favorire la perpetuatio iurisdictionis e non ad impedirla, non trova applicazione ove il fatto sopravvenuto abbia attribuito la giurisdizione al giudice italiano adito, che, al momento della proposizione della domanda, ne era privo, rimanendo così dinanzi a lui incardinato il giudizio (Cass. S.U., n. 3453/2024).  L'indirizzo giurisprudenziale menzionato trova inoltre un preciso riscontro normativo nell'art. 8 l. n. 218/1995, che, nel rinviare all'art. 5 in commento, soggiunge che la giurisdizione sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo.

Limiti

Il principio previsto dall'art. 5 non si applica in taluni casi, primo tra tutti quello in cui il legislatore, nel dettare una nuova norma in tema di giurisdizione o di competenza, ponga disposizioni transitorie che disciplinino la sua applicazione ai processi in corso. Nel caso della soppressione dell'ufficio del pretore, ad esempio, la nuova disciplina non poteva non incidere sui processi in corso, attraverso il loro trasferimento, disposto dal legislatore, al tribunale, tranne le cause già prese in decisione (artt. 1, 132 e 133 d.lgs. n. 51/1998). Lo stesso discorso vale per alcune leggi istitutive di nuovi tribunali, recanti apposite disposizioni transitorie (es. l. n. 246/1991; l. n. 126/1992; l. n. 127/1992). In mancanza di disposizioni transitorie, si torna invece all'applicazione della regola posta dall'art. 5.

Perciò, l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso dalla sezione distaccata di tribunale prima della sua soppressione si propone al tribunale che ne costituiva la sede principale, anche se la porzione di territorio della sede distaccata è stata attribuita al circondario di un diverso ufficio giudiziario (Cass. n. 6276/2015; Cass. n. 7835/2015, riferite all'art. 9 d.lgs. n. 155/2012, come integrato dall'art. 8 d.lgs. n. 14/2014). Merita parimenti rammentare, nella stessa prospettiva, ma con riguardo all'introduzione del giudizio di appello, che l'art. 5 , che prevede che la competenza si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, va interpretato nel senso che a questa non equivale l'introduzione dell'impugnazione, conseguentemente la sopravvenienza, in corso di causa, di una disposizione che individua in un diverso giudice quello dell'impugnazione, senza incidere sulla tipologia di essa, non assume rilievo sulla controversia pendente, che resta devoluta - quanto alla fase di gravame - alla cognizione del giudice ab origine individuato, fatta eccezione per il solo caso di soppressione dell'ufficio giudiziario al tempo competente a conoscere dell'impugnazione, dovendo in tale ipotesi, farsi riferimento al nuovo giudice, al quale le funzioni dell'ufficio soppresso siano state attribuite. (La Cass. n. 28468/2017, pronunciata in un caso in cui era stata appellata, di fronte al Tribunale di Napoli Nord, una sentenza pubblicata prima del 13 settembre 2013, data di efficacia dell'istituzione di detto tribunale, emessa dal Giudice di Pace di Aversa, per la quale sarebbe stato competente, al momento della pronuncia, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello - che aveva dichiarato inammissibile il gravame escludendo la translatio iudicii - e rinviato la causa al tribunale preesistente; nello stesso senso Cass. n. 8148/2017).

La disposizione in esame si riferisce d'altronde esclusivamente all'effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all'effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità, che, a norma dell'art. 136 Cost., dell'art. l. cost. n. 1/1953 e l. n. 87/1953, impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione o competenza; tale efficacia retroattiva, tuttavia, si arresta di fronte al giudicato, anche implicito (Cass. S.U., n. 28545/2008; Cass. S.U., n. 19495/2008; Cass. S.U., n. 14993/2007; Cass. S.U., n. 10875/2007; Cass. S.U., n. 3046/2007). In tale prospettiva, ad esempio, è stato affermato che, i n tema di contratti di appalto di opere pubbliche, la sentenza Corte cost. n. 152/1996 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16 l. n. 741/1981 - sostitutivo dell'art. 47 d.P.R. n. 1063/1962 - nella parte in cui non stabiliva che la competenza arbitrale potesse essere derogata anche con atto unilaterale di ciascuno dei contraenti: ne consegue, attesa l'efficacia retroattiva di tale pronuncia, che, come la competenza arbitrale può essere declinata in riferimento a procedimenti in corso al momento di pubblicazione della detta sentenza, allo stesso modo può essere fatta valere, ai sensi dell'art. 829, comma 1, n. 1), la nullità dei lodi arbitrali, per difetto di potestas degli arbitri, emessi anteriormente alla suddetta pubblicazione, salvo il limite del giudicato interno eventualmente prodottosi nel processo (Cass. n. 22834/2017, ha escluso la sussistenza della denunciata violazione dell'art. 5 in una ipotesi in cui, alla data della pronuncia della sentenza della Corte costituzionale, la domanda di arbitrato era già stata notificata ed erano stati designati gli arbitri ad opera delle parti). Eguali considerazioni vanno fatte con riguardo al caso della norma sulla giurisdizione o competenza contenuta in un decreto legge non convertito, dal momento che in difetto di conversione, detta norma si ha per non mai appartenuta all'ordinamento, avuto riguardo al precetto posto dal l'art. 77, comma 3, Cost. Nella stessa prospettiva, il giudicato, anche implicito, formatosi sulla giurisdizione per effetto dell'acquiescenza della parte, che non abbia contestato la sentenza sotto tale profilo, rende del tutto irrilevante nel processo la questione di legittimità costituzionale che la stessa parte abbia sollevato con riferimento alla norma posta a fondamento della pronuncia sulla giurisdizione, non potendo l'eccezione di costituzionalità sostituire l'impugnazione, e restando altresì preclusa la possibilità per il giudice di rilevarla d'ufficio (Cass. S.U., n. 3200/2010).

Un altro caso in cui l'art. 5 non trova applicazione si ha in tema di foro per le cause in cui sono parti i magistrati, secondo l'art. 30-bis. Qualora il magistrato convenuto in giudizio venga trasferito nel distretto di appartenenza dell'ufficio di merito investito della controversia, si determina la necessità della translatio iudicii innanzi al giudice competente, da determinarsi a norma dell'art. 11 c.p.p. (Cass. n. 17982/2014). Se, d'altro canto, sia stato adito un giudice competente secondo le regole ordinarie, il giudice competente deve disporre la rimessione della causa non già in base al luogo di servizio del magistrato al momento della proposizione della domanda, bensì a quello sopravvenuto sino al momento della decisione (Cass. n. 16382/2011).

Va ancora rammentato che la regola dettata dalla norma in esame non opera in caso di formulazione di domande nuove (da parte dell'attore o del convenuto) ovvero di modificazione delle medesime (Cass. n. 105/1980; Cass. n. 1608/1981; Cass. n. 1873/1981; Cass. n. 13110/1992; Cass. n. 8686/1994, per lo più riferite alla sopravvenuta esorbitanza del valore della causa dalla competenza del giudice adito; peraltro la giurisprudenza della S.C. ha in prevalenza raggiunto l'opposta conclusione con riguardo al caso opposto di riduzione della domanda in corso di causa (es. Cass. n. 4716/2006), che, dunque, non vale a ricondurre entro la competenza per valore del giudice adito la domanda, rispetto ad essa esorbitante, originariamente proposta.

L'applicazione della norma in commento è stata esclusa inoltre in materia di volontaria giurisdizione. Si è dunque detto che, in tema di amministrazione di sostegno, la competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore; né opera, in tal caso, il principio della perpetuatio iurisdictionis, trattandosi di giurisdizione volontaria non contenziosa, onde rileva la competenza del giudice nel momento in cui debbono essere adottati determinati provvedimenti sulla base di una serie di sopravvenienze (Cass. n. 23772/2017).

Il momento della proposizione della domanda

Il momento della proposizione della domanda, cui si riferisce l'art. 5, si individua diversamente a seconda che l'atto introduttivo sia una citazione ovvero un ricorso, come è testimoniato ormai sul piano normativo dal testo vigente dell'art. 39, u.c., come modificato dalla l. n. 69/2009, secondo cui «la prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione ovvero dal deposito del ricorso».

Secondo la giurisprudenza, nel primo caso si deve dunque aver riguardo alla data della notificazione della citazione, intendendo con ciò la data del completamento del procedimento di notificazione, ossia quella nella quale la notificazione si è perfezionata mediante la consegna dell'atto al destinatario o a chi sia comunque abilitato a riceverlo, senza che possa assumere rilievo il principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio (Cass. S.U., n. 9535/2013, ribadendo un orientamento chiaramente ed univocamente espresso in precedenza ad es. in Cass. n. 9181/2006 e Cass. n. 27710/2005; l'irrilevanza del principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo della notificazione è stato ribadito da Cass. S.U., n. 23675/2014, con riguardo ad un'ipotesi di litispendenza tra una causa introdotta con ricorso monitorio ed una con citazione, nuovamente investite da Cass. n. 22454/2013). Nei procedimenti con pluralità di parti, in caso di litisconsorzio facoltativo, il momento determinate ai fini dell'applicazione dell'art. 5 va singolarmente individuato in relazione a ciascuna causa (cfr. Cass. n. 23117/2014, concernente azione sociale di responsabilità cumulativamente promossa contro una pluralità di convenuti riguardo ad un'obbligazione risarcitoria solidale a loro carico, ove è affermato che, qualora la notificazione ad uno di loro sia avvenuta vigente il d.l. n. 1/2012, conv., con modif., dalla l. n. 27/2012, che ha attribuito l'azione alle sezioni specializzate previste dall'art. 1 d.lgs. n. 168/2003, la causa appartiene alla competenza funzionale di queste ultime, che si estende, ai sensi dell'art. 3, u.c., dello stesso d.lgs. alle cause connesse, ivi comprese quelle precedentemente introdotte). In caso di litisconsorzio necessario, il momento della proposizione della domanda, ai fini della determinazione della giurisdizione e della competenza, è quello della prima notificazione (Cass. n. 1760/1976; Cass. n. 8913/1998). In caso di rinnovazione della citazione ai sensi dell'art. 291, occorre aver riguardo alla prima notificazione, operando la sanatoria retroattivamente (Cass. n. 4419/1985; Cass. n. 10509/2015). In caso di rinnovazione della citazione, occorre distinguere secondo si tratti di nullità della vocatio in ius (la cui sanatoria opera ex tunc) oppure della editio actionis (la cui sanatoria opera ex nunc). V. sub art. 164.

In caso di procedimenti introdotti con ricorso, l'applicazione dell'art. 5 va commisurata alla data di deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito, e non con la successiva notificazione di tale atto al convenuto (v. per es. Cass. n. 1945/1990; Cass. S.U., n. 5597/1992, per il rito del lavoro; Cass. n. 4904/1998; Cass. n. 5035/1999; Cass. n. 8118/1999; Cass. n. 6511/2012; Cass. S.U., n. 23675/2014, per il procedimento monitorio; Cass. n. 4686/2001; Cass. n. 5729/2001; Cass. n. 14533/2003; Cass. n. 19595/2004; Cass. n. 15017/2006, per il ricorso per separazione dei coniugi; Cass. n. 1416/1982, per il procedimento cautelare; Cass. S.U., n. 9417/1994; Cass. S.U., n. 3057/2009; Cass. S.U., n. 15872/2013, per il procedimento fallimentare). La stessa regola è reputata applicabile ai procedimenti di volontaria giurisdizione che si svolgono sul modello del rito camerale.

Infine, in caso di pronuncia declinatoria della giurisdizione, il processo, tempestivamente riassunto innanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione, non è nuovo ma costituisce, per effetto della translatio iudicii, la naturale prosecuzione dell'unico giudizio. Ne consegue che, in applicazione dell'art. 5 assume rilievo, ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, la legge vigente e lo stato di fatto esistente al momento della proposizione dell'originaria domanda, senza che rilevino i mutamenti successivi (Cass. n. 4484/2013).

Bibliografia

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