Codice di Procedura Civile art. 25 - Foro della pubblica amministrazione.

Mauro Di Marzio

Foro della pubblica amministrazione.

[I]. Per le cause nelle quali è parte un'amministrazione dello Stato è competente, a norma delle leggi speciali sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio e nei casi ivi previsti, il giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie [18 ss.]. Quando l'amministrazione è convenuta, tale distretto si determina con riguardo al giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione o in cui si trova la cosa mobile o immobile oggetto della domanda [28].

Inquadramento

La norma il commento va letta in combinato disposto con gli artt. 6-10 r.d. n. 1611/1933. L'art. 1 del medesimo testo attribuisce la rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, davanti a qualsiasi organo giurisdizionale, all'Avvocatura dello Stato, intesa nel suo complesso quale ente unitariamente considerato gerarchicamente sottordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e sotto la direzione dell'Avvocato generale; essa si articola nell'Avvocatura generale, con sede in Roma, e nelle Avvocature distrettuali che hanno sede in ciascun capoluogo di regione sede di Corte d'appello. L'art. 6 stabilisce che la competenza per cause nelle quali è parte una Amministrazione dello Stato, anche nel caso di più convenuti, spetta al Tribunale o alla Corte di appello del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il Tribunale o la Corte d'appello che sarebbe competente secondo le norme ordinarie.

Dal combinato disposto degli artt. 25 e 6 r.d. n. 1611/1933 discende che, quando lo Stato è parte di un giudizio davanti al tribunale o alla corte d'appello, occorre anzitutto individuare quale sarebbe il giudice territorialmente competente secondo le regole ordinarie, e quindi individuare in quale distretto dell'avvocatura dello Stato ha sede quel giudice: in tal modo si individua il giudice competente ai sensi dell'art. 25, ossia quello che ha sede nel distretto dell'avvocatura dello Stato così determinato.

Ambito di applicazione

La norma in commento è considerata di stretta interpretazione, sicché il foro erariale si applica solo alle controversie nelle quali sia parte un'amministrazione dello Stato, e non anche un ente territoriale o altro ente pubblico, pur se per legge difeso in giudizio dall'Avvocatura dello Stato (Cass. n. 30035/2011), salvo che l'applicazione del foro erariale non discenda apposite disposizioni di legge.

Il foro erariale è perciò inapplicabile alle controversie nelle quali sia parte un'Agenzia del Territorio (Cass. n. 17475/2015), un'agenzia delle entrate (Cass. n. 26994/2005); la Cassa del Mezzogiorno (Cass. n. 30035/2011), l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno (Cass. n. 7956/1997); una università (Cass. n. 20582/2008; Cass. n. 7163/2013); l'Inpdap (Cass. n. 11187/2008); l'Anas (Cass. n. 7405/2007; Cass. n. 3353/2009). Esso è stato invece ritenuto applicabile alle istituzioni scolastiche statali (Cass. n. 12977/2004) e all'Aima (Cass. n. 14375/2000).

Secondo l'art. 7, comma 1, r.d. n. 1611/1933, le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa un'amministrazione dello Stato, per i giudizi innanzi ai pretori ed ai conciliatori (oggi innanzi al giudice di pace), nonché per i giudizi relativi ai procedimenti esecutivi e fallimentari e a quelli di cui agli artt. 873 dell'allora vigente codice di commercio e 94 del codice di procedura civile del tempo (oggi, rispettivamente art. 590 c. nav., competenza per territorio per i sinistri marittimi, e art. 22, cause ereditarie). Rimangono ferme inoltre le regole generali nei casi di volontario intervento in causa di una amministrazione dello Stato e nei giudizi di opposizione di terzo.

Ne deriva che il foro erariale trova applicazione soltanto per le cause dinanzi al tribunale, quantunque già appartenenti alla competenza del pretore (Cass. S.U., n. 18036/2008) e alla corte d'appello.

Ed inoltre, per effetto della stessa norma, le cause di opposizione all'esecuzione proposte ex art. 615 nei confronti della pubblica amministrazione sono soggette alle regole contenute nell'art. 27, e non a quelle di cui all'art. 25, restando devolute alla competenza del giudice nel cui circondario si trovano gli immobili oggetto dell'esecuzione, trattandosi di domanda rientrante tra i procedimenti per i quali l'art. 7 cit. esclude l'operatività del foro erariale (Cass. n. 1465/2014).

Parimenti, in tema di ingiunzione fiscale emessa in materia di riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, l'opposizione all'ingiunzione dà luogo ad un procedimento di cognizione volto a contestare il diritto di procedere all'esecuzione forzata ed ad ottenere un accertamento negativo della pretesa fatta valere in executivis dalla pubblica amministrazione, sicché, avuto riguardo al carattere esecutivo del procedimento in cui essa opposizione si inserisce, deve trovare applicazione la disciplina del menzionato art. 7 (Cass. n. 9421/2003). La previsione dettata da tale norma con riguardo ai procedimenti fallimentari è stata impiegata per escludere l'applicazione del foro erariale la domanda proposta dal commissario liquidatore di un ente sottoposto a liquidazione coatta amministrativa per il riesame della liquidazione del compenso a lui spettante (Cass. n. 2719/1977).

In materia di opposizione all'esecuzione avverso una cartella esattoriale emessa su richiesta di un'autorità giudiziario (nella specie, del presidente del tribunale), per la restituzione di somme ricevute a titolo di compensi per prestazioni di patrocinio a spese dello Stato, la competenza per materia è del tribunale, secondo il foro erariale, avendo la lite ad oggetto un criterio di ripartizione della competenza per materia, riguardante i modi con cui il provvedimento di liquidazione può essere opposto (Cass. n. 10395/2016).

La regola del foro erariale è inoltre derogata in forza di speciali disposizioni, e così per l'opposizione al decreto di pagamento delle competenze del difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato (Cass. n. 12668/2014; Cass. n. 26791/2011); per le cause di affrancazione del fondo enfiteutico proposta nei confronti di una pubblica amministrazione (Cass. n. 7595/2011); per le opposizioni alle ordinanze-ingiunzioni di cui all'art. 22 l. n. 689/1981 (Cass. n. 14828/2006); per gli appelli contro le sentenze del giudice di pace in materia di opposizione a sanzioni amministrative (Cass. S.U., n. 23285/2010; Cass. n. 8482/2012; Cass. S.U., n. 23594/2010); per le controversie nei confronti del Garante riguardanti il trattamento di dati personali (Cass. n. 24281/2007); per il ricorso contro il diniego di nulla osta al ricongiungimento familiare (Cass. n. 11862/2004).

Quando un'amministrazione dello Stato è chiamata in garanzia, la cognizione così della causa principale come della azione in garanzia è devoluta, sulla semplice richiesta dell'amministrazione, all'autorità giudiziaria competente secondo la regola del foro erariale (art. 6, comma 2, r.d. n. 1611/1933; v. Cass. n. 15052/2011). La S.C. dà della norma una lettura estensiva, ritenendola applicabile in ogni ipotesi di connessione, tanto se la pubblica amministrazione è parte della causa principale, quanto se è parte di altra causa connessa (Cass. n. 13796/2004). Occorrendo la richiesta dell'amministrazione, tanto nel caso di chiamata in garanzia della pubblica amministrazione a norma dell'art. 106, quanto in ipotesi di chiamata in giudizio della iussu iudicis per comunanza di causa ai sensi dell'art. 107, è inapplicabile la disposizione dell'art. 25 in difetto di detta esplicita richiesta (Cass. n. 15093/2005; Cass. n. 12282/2010).

Nei casi di esclusione del foro erariale opera nuovamente, in fase d'impugnazione, la deroga alla disciplina generale in tema di determinazione del giudice d'appello di cui all'art. 341: (art. 7, comma 2, r.d. n. 1611/1933). Si è già accennato però che il foro erariale non trova applicazione nei giudizi d'appello contro le sentenze pronunciate dal giudice di pace in tema di opposizione a sanzioni amministrative ed in cui sia parte un'amministrazione dello Stato, in ragione del criterio di «prossimità» che informa l'individuazione del foro competente in materia di sanzioni amministrative.

Perciò si è anche ribadito che, ai fini della competenza territoriale relativa ai procedimenti d'appello avverso le sentenze emesse dal giudice di pace in materia di opposizione a sanzioni amministrative, non si applica la regola del foro erariale stabilita nell'art. 7 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, relativa alle controversie in cui sia parte un'amministrazione dello Stato (Cass. n. 5249/2018).

Rientra nei poteri del giudice, sottesi al principio iura novit curia, l'individuazione della norma che sorregge l'eccezione di incompetenza riservata alla parte, restando pertanto irrilevante che quest'ultima, nel sollevare l'eccezione e nell'indicare il foro reputato competente, non abbia anche invocato espressamente la norma a sostegno di tale indicazione o ne abbia indicata una erronea; pertanto, nell'ipotesi di chiamata in garanzia di una P.A., il radicamento della competenza presso il foro erariale prescinde dal richiamo che la stessa abbia fatto, nel sollevare l'eccezione d'incompetenza del giudice adito, al comma 1 dell'art. 6 del r.d. n. 1611/1933, anziché al comma 2, che disciplina le modalità di devoluzione della competenza in caso di chiamata in causa (Cass. n. 21184/2017).

Inderogabilità e prevalenza del foro erariale

Il foro erariale è inderogabile per espressa previsione legislativa, ex art. art.6 r.d. n. 1611/1933 (Cass. n. 17311/2002, la quale chiarisce che l'ufficio giudiziario competente a conoscere della domanda proposta nei confronti dello Stato italiano deve essere individuato in quello di Roma tutte le volte in cui l'obbligazione dedotta in giudizio sia riferibile ad un comportamento del legislatore).

Come tale, esso è sottratto alla disponibilità delle parti. È stato difatti chiarito che l'adesione dell'attore all'indicazione del giudice territorialmente competente fatta dal convenuto comporta la cancellazione della causa dal ruolo solo in quanto la controversia non rientri fra quelle nelle quali a norma dell'art. 28 la competenza per territorio è inderogabile, sicché, quando sia convenuta in giudizio una amministrazione dello Stato l'accordo sulla competenza intercorso tra i procuratori delle parti è improduttivo di effetti (Cass. n. 5174/1997).

Della stessa opinione è la dottrina (Levoni, 126).

Nelle cause con una pluralità di convenuti, nelle quali è parte un'amministrazione dello Stato, come litisconsorte necessario, prevale la competenza del foro erariale, trattandosi di competenza funzionale e inderogabile (Cass. n. 26883/2020). Peraltro, 'inderogabilità comporta che, stabilendo a propria volta inderogabilmente l'art. 645 che l'opposizione a decreto ingiuntivo deve essere proposta dinanzi all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, qualora nel corso del giudizio di opposizione sia stata formulata una domanda di garanzia impropria nei confronti di un'amministrazione dello Stato, domanda appartenente alla competenza territoriale inderogabile di altro giudice, il giudice dell'opposizione deve disporre la separazione delle cause, trattenendo il procedimento di opposizione e rimettendo l'altra al giudice territorialmente competente, salva la successiva applicazione, da parte di quest'ultimo, dei principi in materia di sospensione dei processi (Cass. n. 11796/2020; Cass. n. 15052/2011).

Il foro erariale prevale di regola sugli altri fori. La regola del foro erariale non soffre in particolare eccezione per la regione che si tratta di controversia di lavoro, dato che le norme relative alla competenza territoriale per tali controversie, pur con le loro peculiari caratteristiche e finalità, si inseriscono nell'ambito di quelle relative al processo ordinario e quindi possono essere derogate dalle norme relative al foro erariale, che hanno invece carattere speciale (Cass. n. 3276/1983; Cass. n. 4800/1983; Cass. n. 7028/1987; Cass. n. 7225/1987; Cass. n. 4857/1985, Cass. n. 457/1995). Anche le controversie tributarie sono devolute alla competenza territoriale inderogabile del tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie (Cass. n. 2147/1982; Cass. n. 11957/1993). Il foro erariale trova applicazione nelle controversie in materia di apolidia (Cass. n. 25440/2020).

Tuttavia, la competenza territoriale delle sezioni specializzate agrarie è prevalente rispetto alla competenza del foro dello Stato, in considerazione della presenza degli esperti, che devono avere conoscenza del contesto locale (Cass. n. 3452/1974). Anche l'attribuzione della competenza in materia di previdenza e assistenza obbligatoria al tribunale del luogo di residenza del lavoratore o del soggetto fruente delle prestazioni assistenziali, ex art. 444 opera pure quando l'amministrazione convenuta fruisca della rappresentanza in giudizio dell'avvocatura dello Stato, in quanto tale disposizione, nell'attribuire la competenza su quelle controversie al tribunale in funzione di giudice del lavoro nella cui circoscrizione ha residenza l'attore, non opera alcuna distinzione in riferimento alle controversie nelle quali sia parte un'amministrazione centrale dello Stato e, se non la si interpretasse nel senso che essa deroga al foro erariale, sarebbe priva di uno specifico contenuto prescrittivo (Cass. n. 16317/2002; analogamente Cass. n. 3338/2020).

Ancora, in materia di condotte discriminatorie, l'art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 150/2011 attribuisce la competenza a conoscere le relative controversie al tribunale del luogo in cui ha domicilio il ricorrente, prevedendo un foro funzionale ed esclusivo, che deve essere preferito agli altri fori, anche inderogabili, compreso quello erariale, trattandosi di disciplina speciale, posta a tutela di un interesse primario del nostro ordinamento, volto a contrastare gli atti e i comportamenti che impediscono il pieno dispiegarsi della persona umana, prevalente rispetto alle esigenze di carattere organizzativo poste a fondamento dell'accentramento della competenza presso un unico ufficio giudiziario, ai sensi dell'art. 6 del r.d. n. 1611/1933 (Cass. n. 296/2021, che ha ritenuto competente il tribunale del luogo in cui aveva il domicilio un minore disabile, i cui genitori, in rappresentanza del figlio, avevano agito per ottenere il risarcimento del danno conseguente alle asserite condotte discriminatorie dell'Amministrazione scolastica).

Individuazione del giudice competente

Ai sensi dell'art. 25 la competenza, quando lo Stato è attore, si determina secondo le norme ordinarie, fatta eccezione per le cause in materia di imposte e tasse (artt. 18-24). Se lo Stato è convenuto, la stessa norma stabilisce che il foro erariale si determina in base agli artt. 20 e 21.

In generale, nei casi in cui la pubblica amministrazione è convenuta, il foro erariale va individuato nel giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione, dovendo ritenersi che, per i pagamenti che non devono eseguirsi mediante ruoli, tale è il giudice nella cui circoscrizione si trova la sezione di tesoreria della provincia ove il creditore è domiciliato, in base alle norme di contabilità pubblica (art. 54 r.d. n. 2440/1923; artt. 278, lett. d, 287 e 407 r.d. n. 827/1924) (Cass. n. 11385/2004). Difatti, nelle cause relative a debiti pecuniari delle pubbliche amministrazioni, il forum destinatae solutionis non si determina in applicazione dell'art. 1182 c.c., bensì in base alle norme di contabilità pubblica (art. 54 r.d. n. 2440 del 1923 e artt. 278, lettera d, 287 e 407 r.d. n. 827 del 1924), con la conseguenza che è competente per territorio il giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio di tesoreria tenuto ad effettuare il pagamento, che è quello della provincia in cui il creditore è domiciliato, tranne che l'amministrazione convenuta abbia un'unica Tesoreria di riferimento (Cass. n. 21817/2024).

Anche in relazione all'obbligazione degli enti pubblici territoriali trova inoltre applicazione, in deroga all'art. 1182, comma 3, c.c., il congegno che indica nella sede della tesoreria comunale il luogo d'adempimento delle obbligazioni assunte dall'ente territoriale, secondo il disposto dell'art. 185 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 118 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) (Cass. n. 3573/2005; Cass. n. 19413/2004; Cass. n. 15465/2000).

Qualora l'obbligazione dedotta in giudizio abbia origine da un fatto illecito, ai fini dell'individuazione del giudice competente per territorio, ai sensi degli artt. 6 r.d. n. 1611/1933 e 25, il forum delicti concorre, in via alternativa, con il forum destinatae solutionis, da determinarsi ancora una volta in base al luogo in cui ha sede l'ufficio di tesoreria tenuto ad effettuare il pagamento, che è quello della provincia in cui il creditore è domiciliato (Cass. n. 2265/2012; Cass. n. 14718/2004; Cass. n. 5270/2001).

Con riguardo alla domanda di equa riparazione per violazione del ragionevole termine di un processo in esame il criterio di collegamento territoriale stabilito dall'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 3 l. n. 89/2001, deve essere applicato con riferimento al luogo in cui ha sede il giudice di merito, ordinario o speciale, dinanzi al quale ha avuto inizio il giudizio presupposto (anche se un segmento dello stesso si è concluso dinanzi alla Corte di Cassazione) (Cass. S.U., n. 6307/2010).

Le cause di responsabilità civile dei magistrati

Un'attenzione particolare occorre prestare alla questione se ed in quali limiti dell'art. 25 in esame trovi applicazione nelle cause di responsabilità civile dei magistrati. È stato affermato che, nei giudizi di responsabilità civile promossi contro lo Stato, ai sensi della l. n. 117/1988 quando più giudici, di merito e di legittimità, cooperino a fatti dolosi o colposi anche diversi nell'ambito della stessa vicenda giudiziaria, la causa è necessariamente unitaria e la competenza per territorio deve essere attribuita per tutti in base al criterio di cui all'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 4, comma 1, l. cit.; qualora, invece, tale giudizio abbia ad oggetto solo i comportamenti, atti o provvedimenti dei magistrati della Corte di cassazione, non applicandosi in tal caso lo spostamento di competenza previsto dal citato art. 11 c.p.p., la competenza per territorio è attribuita secondo la regola del forum commissi delicti, sicché spetta in ogni caso al tribunale di Roma, ai sensi dell'art. 25, quale foro del luogo in cui è sorta l'obbligazione (Cass. S.U., n. 14842/2018; Cass. n. 13475/2019)La disciplina prevista per i giudici di legittimità si applica anche nei giudizi di responsabilità civile promossi contro lo Stato che abbiano ad oggetto comportamenti, atti o provvedimenti dei magistrati appartenenti alla sezione giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei conti (Cass. n. 612/2022)Le Sezioni Unite hanno anzitutto esaminato la necessità di stabilire se la particolare regola di competenza di cui all'art. 11 c.p.p., espressamente richiamata dall'art. 4, comma 1, l. n. 117/1988 a proposito della responsabilità civile dei magistrati, sia applicabile o meno anche ai magistrati che svolgono le loro funzioni presso la Corte di cassazione. Su tale questione la S.C. (Cass. n. 3243/1996Cass. n. 7924/2005), in casi di responsabilità civile promossi soltanto contro magistrati della Corte di cassazione, hanno escluso che l'art. 11 c.p.p. e, di conseguenza, l'art. 4, comma 1, l. n. 117/1988, possano trovare applicazione per i magistrati di legittimità. La prima delle due menzionate decisioni ha chiarito che l'art. 4, comma 1, cit., «trova applicazione, con riguardo ai componenti di questa Corte, solo per quanto attiene alla competenza per materia del tribunale, non anche in ordine al criterio territoriale, perché la Corte medesima, per organizzazione e compiti giurisdizionali, opera su livello nazionale, e comunque, non è “ufficio compreso” in un distretto d'appello». Ha aggiunto quella sentenza che «un'interpretazione estensiva della disposizione in esame, nel senso di ritenere la Corte di cassazione, sia pure soltanto ai fini in discorso, inclusa nel distretto della Corte d'appello di Roma, per il mero fatto della sua collocazione geografica, non è autorizzata dalla lettera della norma, la quale, con le parole "ufficio compreso", adotta un'espressione tecnica dell'ordinamento giudiziario, rivolta ad identificare l'organo che si inserisca per funzioni all'interno di una determinata corte d'appello, e, del resto, non trova supporto nella ratio legis»; sicché l'individuazione del tribunale competente per la cause di responsabilità rivolte contro i magistrati della Corte di cassazione «va effettuata sulla base delle norme comuni». Ad analoga conclusione è pervenuta Cass. n. 7922/2005, rilevando che la motivazione della precedente citata sentenza non veniva ad essere modificata a seguito delle novità introdotte dalla l. 2 dicembre 1998, n. 420, «essendo evidente che con il richiamo al distretto la norma non intende alludere alla mera collocazione territoriale dell'ufficio, ma allo svolgimento delle funzioni giurisdizionali, nel senso che deve trattarsi di magistrato incardinato in uno degli uffici giudiziari componenti il distretto della Corte d'appello, ciò che appunto non può dirsi per i magistrati della Corte di cassazione». Per cui, ha concluso detta sentenza, non trovando applicazione la regola dell'art. 4, comma 1, cit., la competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile avanzate contro i magistrati della Corte Suprema deve essere individuata facendo applicazione dell'art. 25 (nello stesso senso Cass. n. 6551/2005). È appena il caso di aggiungere che siffatta conclusione è stata in più occasioni condivisa dalla giurisprudenza penale della S.C., la quale ha stabilito che la disciplina dell'art. 11 c.p.p. non trova applicazione con riguardo ai magistrati della Corte di cassazione, trattandosi di un ufficio di competenza nazionale (v., per tutte, Cass. pen. n. 30760/2009). Hanno dunque ritenuto le Sezioni Unite di dover dare continuità a tale orientamento, con talune precisazioni. La Corte di cassazione è, infatti, un ufficio di rilevanza nazionale, riguardo. al quale non è prospettabile alcun collegamento con un distretto di corte d'appello geograficamente inteso. La circostanza che la Suprema Corte operi a Roma, come previsto dall'art. 65, comma 2, r.d. n. 12/1941, si collega al fatto che essa è «organo supremo di giustizia» che «assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni» (art. 65, comma 1, cit.); e la sua collocazione è conseguente al ruolo di capitale d'Italia che spetta alla città di Roma. Ciò non significa, però, che la Corte di legittimità faccia parte o abbia qualche forma di collegamento con il distretto della Corte d'appello di Roma. Tale conclusione viene ad essere oggi ulteriormente confermata, da un punto di vista amministrativo, dalla circostanza per cui i provvedimenti che riguardano i magistrati della Corte di cassazione e della Procura generale presso la medesima (trasferimenti, incarichi, progressioni di carriera) vengono esaminati, prima di essere definitivamente deliberati dal Consiglio superiore della magistratura, dal Consiglio direttivo appositamente istituito dal d.lgs. 27 gennaio 2006, n. 25, presso la stessa Corte (art. 7); il che è un ulteriore indizio dell'assenza di ogni legame con la Corte d'appello di Roma e con il Consiglio giudiziario esistente presso quest'ultima. Le Sezioni Unite, pertanto, rispondono al primo problema da affrontare affermando che lo spostamento di competenza per territorio di cui all'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 4, comma 1, l. n. 117/1988, non ha applicazione nei confronti dei magistrati della Corte di cassazione. Non possono trovare seguito, perciò, i dicta di Cass. n. 8997/2012 e Cass. n. 668/2013 che hanno affermato un principio opposto; né l'approdo ermeneutico raggiunto dalle Sezioni Unite è in contrasto con quanto affermato in passato a proposito della c.d. legge Pinto (v. Cass. S.U., n. 6306/2010). Una volta stabilita l'inapplicabilità dell'art. 11 c.p.p. nei termini indicati, le Sezioni Unite si sono cimentati con ulteriore questione su come vada individuata la competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile dei magistrati qualora la domanda abbia ad oggetto contemporaneamente il comportamento dei magistrati di merito e di legittimità; il che avviene quando vengono ipotizzati comportamenti dolosi o colposi, ai sensi dell'art. 2 l. n. 117/1988, in rapporto alla medesima vicenda giudiziaria nei vari gradi del giudizio. La risposta al quesito chiede di stabilire se simili cause debbano ricevere una trattazione unitaria ovvero separata. La possibilità di scindere le cause, infatti, consentirebbe di superare ogni problema, perché la causa contro i magistrati di merito potrebbe essere separata da quella contro i giudici di legittimità, applicando a ciascuna un diverso criterio di competenza per territorio. La soluzione della separazione, però, è inaccettabile per una serie di convergenti ragioni. Occorre innanzitutto rilevare che nel sistema delineato dalla l. n. 117/1988 (art. 2), colui il quale abbia subito «un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni»; non è prevista, com'è noto, un'azione diretta del danneggiato contro il magistrato, dovendo essere convenuto in giudizio lo Stato, e per esso il Presidente del Consiglio dei ministri, salvo il successivo esercizio dell'azione di rivalsa nei confronti del magistrato dopo che si sia concluso il giudizio risarcitorio (artt. 7 e 8 l. n. 117/1988). Ne consegue che, ove il giudizio risarcitorio sia promosso in relazione all'operato di più magistrati nella stessa vicenda giudiziaria, il convenuto è uno solo, cioè il Presidente del Consiglio dei ministri. L'illecito commesso dal magistrato è, in questa fase, non ancora perseguibile direttamente e, perciò, non si presenta come scindibile in rapporto alle varie fasi del giudizio, il che costituisce un primo argomento che va nel senso della necessità di una trattazione, unitaria. Un secondo argomento è costituito dal fatto che la l. n. 117/1988 costruisce il giudizio di responsabilità civile nei confronti del magistrato come una sorta di extrema ratio da perseguire nell'ipotesi in cui il sistema non sia riuscito a correggere gli errori, anche dolosi o colposi, con l'ordinario sistema delle impugnazioni. L'art. 4, comma 2, della legge in questione dispone, infatti, che l'azione di risarcimento del danno «può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno» (salva la particolare ipotesi di cui al comma 3 del medesimo art. 4, che però costituisce un'ipotesi eccezionale). In altri termini, poiché l'errore del giudice inferiore deve essere di regola corretto da quello superiore attraverso il normale sistema delle impugnazioni, è solo a conclusione dell'intero iter processuale che l'errore commesso non è più correggibile e può scattare la conseguenza del giudizio di responsabilità civile contro i magistrati; e ciò è un'ulteriore ragione a sostegno della tesi della necessità di una trattazione congiunta. Come in precedenza ha affermato (Cass. n. 9880/2004), «soltanto quando il provvedimento è divenuto definitivo può essere determinato, nell'an e nel quantum, il danno del quale lo Stato deve rispondere in relazione alla attività giurisdizionale di uno o più magistrati, resa nell'ambito di uno o più gradi del giudizio. Pertanto, non solo è unico l'eventus damni, ma è unico anche il fatto costitutivo rappresentato dalle distinte condotte dei magistrati che convergono tutte ad integrare un'unica fattispecie illecita della quale lo Stato risponde secondo lo schema disciplinato dall'art. 28 della Costituzione». Da ciò consegue, sempre seguendo l'ordinanza ora citata, che «la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti dello Stato in relazione alla attività giurisdizionale dolosa o gravemente colposa, svolta da più magistrati in diversi gradi dello stesso giudizio ha carattere unitario e non può scindersi in una pluralità di azioni ciascuna delle quali fondata sulla specifica attività svolta nel corso del giudizio da uno o più magistrati». A queste argomentazioni, già di per sé decisive, ne vanno aggiunte altre due, parimenti rilevanti: da un lato, che il frazionamento del giudizio di responsabilità nei confronti dei magistrati di merito e di cassazione in relazione alla medesima vicenda è contrario ai principi di economia processuale, perché costringe il soggetto che si ritiene danneggiato a promuovere due diversi giudizi anche in sedi diverse, con aggravio di spese; dall'altro, che simile scelta porta con sé l'inevitabile rischio di un contrasto di giudicati. Hanno perciò affermato le Sezioni Unite che in un caso del genere la causa risarcitoria è unica e deve essere promossa davanti ad un unico tribunale che è il solo competente per territorio. Se, quindi, alla luce di quanto detto, la causa deve essere unitaria, si pone il problema di stabilire quale sia il criterio di individuazione della competenza per territorio. Si contendono il campo due fori entrambi inderogabili: da un lato, quello dell'art. 4, comma l, l. n. 117/1988, che richiama l'art. 11 c.p.p.; dall'altro, quello dell'art. 25. L'eventualità che vi sia un potenziale conflitto tra due fori inderogabili non costituisce un fatto senza precedenti, ma tuttavia impone di scegliere e di individuare quale tra i due prevalga sull'altro. Ritengono le Sezioni Unite che il foro speciale dell'art. 4, comma 1, l. n. 117/1988 prevalga rispetto a quello dell'art. 25 nell'ipotesi di un giudizio di responsabilità civile promosso nei confronti dei magistrati di merito e di legittimità in riferimento alla medesima vicenda processuale. Militano in questo senso la previsione di un foro inderogabile nella legge speciale appositamente dedicata alla materia della responsabilità civile dei magistrati, attraverso l'individuazione, nella Tabella A allegata alle norme di attuazione del codice di procedura penale, dello spostamento della competenza dall'uno all'altro distretto a seconda del luogo dove il magistrato eserciti le sue funzioni o le esercitava al momento del fatto; e, in secondo luogo, il silenzio, nella legge speciale, di una norma specifica per la Corte di cassazione. Tale conclusione è supportata da alcune ulteriori considerazioni. Il foro inderogabile dell'art. 25 ha una valenza generale, investendo, in linea di principio, tutte le ipotesi in cui sia parte un'amministrazione dello Stato; oltre a ciò, si tratta di un criterio mobile, perché l'art. 25 cit. stabilisce che nelle cause nelle quali è parte un'amministrazione dello Stato la competenza spetta al giudice «del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie», specificando che, se l'amministrazione è convenuta, il distretto si determina «con riguardo al giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione». In altre parole, la presenza in causa di un'amministrazione statale sposta la competenza per territorio nella sede distrettuale, ma sempre assumendo, a monte, normali criteri di individuazione della competenza. Il criterio di cui all'art. 4, comma l, l. n. 117/1988, invece, è specifico ed è dettato proprio per le cause di responsabilità civile dei magistrati. Riguardo a queste, il legislatore ha sentito come pressante ed imprescindibile l'esigenza di porre una separazione di luoghi tra la sede dove il magistrato del cui operato si discute ha svolto o svolge le sue funzioni e la sede dei colleghi che saranno chiamati a giudicare su di lui, anche se con lo schermo della presenza in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri. Come la Corte costituzionale ha avvertito nella sentenza (Corte cost. n. 147/2004), infatti, gli artt. 4 e 8 l. n. 117/1988, sottraendo alle ordinarie regole di competenza territoriale le controversie civili riguardanti l'operato dei magistrati, «intendono evitare ogni rischio di incidenza sulla serenità del giudice, conseguente alla preesistenza di rapporti personali con il magistrato interessato alla causa». Tali norme, quindi, si fondano sul bilanciamento «fra i due interessi, entrambi costituzionalmente garantiti, all'imparzialità-terzietà del giudice ed all'effettività della tutela giurisdizionale nella specifica categoria di controversie». È il caso di evidenziare che l'art. 4, comma 1, in esame esclude ogni possibilità di individuazione del giudice competente secondo le regole ordinarie; rispetto ai criteri generali degli artt. 18, 19 e 20 c.p.c., che sono alternativi, la legge speciale non consente alcuna scelta e radica la competenza assumendo come unico parametro il locus commissi delicti, in relazione al quale si determina lo spostamento nella sede vicina appositamente ed obbligatoriamente individuata. Ciò comporta che il criterio di competenza fissato dall'art. 4, comma 1, cit., è da ritenere dotato di una forza particolare, tale da renderlo prevalente rispetto a quello del foro erariale. È stato inoltre chiarito che non vi è contrasto tra la decisione delle Sezioni Unite e Cass. S.U., n. 6306/2010 pronunciate con riguardo all'applicazione della l. n. 89/2001. È bene ricordare che tali precedenti si basavano su una norma diversa da quella attuale. L'art. 3, comma 1, l. n. 89/2001, infatti, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 777, l. n. 208/2015 attualmente in vigore, non contiene più alcun riferimento all'art. 11 c.p.p. e dispone che la domanda di equa riparazione sia proposta «al presidente della corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto». Nei giudizi decisi dalle suindicate ordinanze, inoltre, si trattava di ritardi nella durata del processo riscontrati in giudizi celebrati sia davanti ai giudici ordinari che ai giudici speciali. Ne consegue che il ragionamento svolto dalle Sezioni Unite aveva come primo obiettivo quello di dimostrare che il riferimento al termine «distretto» contenuto nella legge citata non doveva essere inteso come esclusivo della magistratura ordinaria. Ma, dopo aver chiarito che la norma era applica bile a tutte le magistrature, le Sezioni Unite hanno anche posto in luce che l'interpretazione accolta favoriva «la diffusione del contenzioso sull'intero sistema delle corti di appello, anziché una sua elevata concentrazione su quella di Roma, resa possibile dal fatto di avervi sede gli organi di vertice dei diversi ordini giudiziari, ordinario e speciale». Concludendo su tale questione, ove il giudizio di responsabilità abbia ad oggetto una medesima vicenda e coinvolga l'operato di giudici di merito e di giudici della Corte di cassazione, lo spostamento di competenza di cui all'art. 4, comma 1, l. n. 117/1988 si applica, in via eccezionale, anche ai giudici di legittimità; si tratta, come detto, di una competenza unica, inderogabile e tale da non consentire al danneggiato alcuna facoltà di scelta. Simile opzione ermeneutica, tra l'altro, consente di evitare la concentrazione di cause del genere presso un unico distretto e si dimostra per tale ragione in piena sintonia con le ordinanze del 2010 appena richiamate. Le Sezioni Unite hanno anche affrontato un'ulteriore questione, consistente nello stabilire quale sia il criterio di regolazione della competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile che abbiano ad oggetto soltanto l'operato dei magistrati della Corte di cassazione. La premessa è che lo spostamento di competenza dettato dall'art. 4, comma 1, cit., non può valere nei confronti dei magistrati della Corte di cassazione, né in via di interpretazione analogica né estensiva. La soluzione deriva da quanto detto in precedenza in ordine alla mancanza di riferimento e collegamento della Corte di cassazione con il distretto della Corte di appello di Roma. Osservano peraltro le Sezioni unite che detto art. 4, attraverso il richiamo all'art. 11 c.p.p., fissa un principio di carattere generale, valevole per tutti i giudizi di responsabilità nei confronti dei magistrati, in forza del quale la competenza territoriale di base, su cui si innesta solo per i magistrati di merito lo spostamento di competenza, è individuata con riferimento esclusivo al forum commissi delicti. Se la ratio della legge speciale è, come si è visto, nel senso di una centralità del luogo di commissione dell'illecito, tale criterio; pur non costituendo una regola di competenza in relazione all'ipotesi qui in esame, individua comunque un principio generale. Ciò comporta che deve essere esclusa l'operatività del forum destinatae solutionis previsto dall'art. 25, che, nella fattispecie in esame, opera in un modo che potrebbe definirsi limitato, dovendosi comunque assumere come riferimento esclusivo il luogo di commissione dell'illecito. Ciò significa, in conclusione, che la competenza per territorio in giudizi di questo genere viene a radicarsi presso il tribunale di Roma. Le Sezioni Unite sono consapevoli del fatto che in questo modo potrebbe, in astratto, porsi un problema di concentrazione del contenzioso presso un'unica sede giudiziaria. Si tratta, però, di un rischio contenuto, perché tale ipotesi riguarda una parte limitata dei giudizi di responsabilità civile, cioè appunto quelli che hanno ad oggetto i comportamenti dei soli magistrati della Corte di cassazione con esclusione di quelli di merito; e la dimensione degli uffici giudiziari romani è tale da poter ragionevolmente assorbire queste cause senza riceverne un contraccolpo eccessivo in termini di carichi di lavoro. D'altra parte, non risponde alla ratio legis consentire alla parte danneggiata una scelta tra diversi fori, creando quel fenomeno che è stato incisivamente in altre occasioni definito come forum shopping.

Bibliografia

Acone e Santulli, Competenza (dir. proc. civ.), in Enc. giur. VII, Roma 1988; D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, I-II, Torino, 1957; Finocchiaro, La competenza inderogabile che deroga alle competenze inderogabili: l'art. 30-bis c.p.c., in Giust. civ. 2002, I, 3043; Levoni, Competenza, in Dig. civ., Torino, 1988.

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