Codice di Procedura Civile art. 61 - Consulente tecnico.

Antonio Scarpa

Consulente tecnico.

[I]. Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica [191 ss.].

[II]. La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al presente codice [13 ss. att.]1.

[1] Comma così modificato dal r.d. 20 aprile 1942, n. 504.

Inquadramento.

Gli artt. da 61 a art. 68 descrivono le figure degli “ausiliari del giudice”, categoria I cui contorni possono trarsi dalla definizione datane nell'art. 68. Tale norma, nel contemplare, oltre il consulente tecnico e il custode, gli altri ausiliari, intende come tali coloro che, nei casi previsti dalla legge o quando ne sorga la necessità, quali privati esperti in una determinata arte o professione, o comunque idonei al compimento di atti che il giudice non può compiere da solo, sono temporaneamente incaricati di una pubblica funzione, sulla base della nomina effettuata da un organo giurisdizionale, e prestano la loro attività in occasione di un processo, in modo da renderne possibile lo svolgimento o consentire la realizzazione delle particolari finalità.

Nomina del consulente.

 

Nell'elaborazione più diffusa, ed anche più tranquillizzante, della nozione di sillogismo giudiziale, la decisione di una controversia viene presentata come la conclusione, pressoché scontata, che discende logicamente dalla premessa giuridica astratta, e cioè dalla disposizione normativa da applicare alla vicenda, e dalla premessa fattuale concreta, che è, invece, il dato fenomenico concreto ricostruito sulla base delle prove raccolte. La sentenza del giudice sarebbe, così, qualcosa di tutto sommato elementare, in quanto risultato aritmetico di un'inferenza logica sorretta da una premessa maggiore di diritto ed una premessa minore di fatto. La natura logico-deduttiva dal ragionamento decisorio del giudice serve, del resto, a rafforzare il convincimento collettivo dell'intima razionalità delle decisioni dei tribunali. E' noto, tuttavia, come ormai da decenni negli studi filosofici vacillino le certezze sulle teorie sillogistiche del ragionamento decisorio: si oppone che il giudice perviene alla sua attività non sulla base di attività puramente conoscitive, che gli consentono l'individuazione della norma da applicare e del fatto da giudicare, quanto, semmai, sulla base di un insieme combinato di sillogismi, che progressivamente portano a scegliere, fra più soluzioni interpretative, come si debba formulare la premessa maggiore, come si debba formulare la premessa minore e quali inferenze logiche possano ricollegare la norma giuridica generale al precetto individuale contenuto nel dispositivo di sentenza.

Quanto, soprattutto, ai metodi di cristallizzazione della premessa fattuale del sillogismo decisorio, e cioè alle modalità epistemiche con cui vengono selezionati ed utilizzati i dati materiali che servono al giudice per dimostrare la verità della conclusione raggiunta, è facile convincersi subito che ogni forma di esercizio della giurisdizione suppone non solo l'applicazione di norme giuridiche, quanto anche l'utilizzo di strumenti inferenziali e di criteri di giudizio “altri”. Assai di frequente, questi strumenti inferenziali, che esulano dall'ambito dell'ordinamento giuridico, attingono al senso comune, nozione, però, che se apparentemente appaga il bisogno di impersonalità della decisione del giudice, rimane ad un tempo essenzialmente connotata da contorni generici, mutevoli e perciò incerti.  Di “senso comune” è, soprattutto, intriso tutto il segmento del processo che attiene proprio alla selezione delle prove e quindi all'accertamento dei fatti. Si pensi alle regole empiriche che governano la valutazione delle risultanze istruttorie, come il giudizio sull'attendibilità, sulla credibilità e sull'efficacia dimostrativa delle prove assunte, o la scelta volta a preferire una fonte rispetto ad un'altra, o l'inferenza dei fatti ignoti da quelli noti,  attività che la giurisprudenza gelosamente custodisce nell'orto conchiuso del “prudente apprezzamento” spettante al giudice (art. 116, comma 1), più volte sostituendo l'aggettivo “prudente” con “discrezionale”, se non con “sovrano”.  Per razionalizzare il ricorso del giudice al “senso comune”, quale strumento conoscitivo di raccolta delle informazioni utili al verdetto, si invoca di frequente, altrimenti, la copertura delle “massime di esperienza”, intese come regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall'osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici (Cass. n. 20313/  2011).

Al fine di scongiurare i soggettivismi giudiziari insiti nell'uso (o abuso) dei rinvii al senso comune ed all'esperienza, si presta particolarmente, invece, nell'accertamento dei fatti di causa, l'utilizzazione della scienza, e ciò sotto un duplice profilo operativo: sia nel senso di rielaborare i tradizionali ragionamenti probatori alla luce di schemi valutativi di carattere scientifico, sia nel senso di fornire direttamente prove scientifiche, ovvero metodi di indagine ed analisi che agevolano la raccolta e la verificazione degli elementi dimostrativi.

Il processo, dunque, avverte talvolta la «convenienza di integrare la idoneità del giudice singolo o collegiale, nei casi in cui la natura della lite sia tale da superarne le forze». In questi casi, l'ordinamento conosce due strade per prevenire comunque ad una “giusta sentenza”: o introdurre nel collegio “la persona o le persone idonee”, o fornire al giudice l'assistenza di un perito. Il perito, però, non concorre col giudice a formare il giudizio, e quindi non giudica, ma “fornisce al giudice i mezzi per giudicare”, “prepara ed aiuta” la decisione, dunque, “le sue percezioni e le sue deduzioni non si traducono in giudizio se non in quanto vengano fatte proprie dal giudice” (Carnelutti, 52 ss.). Proprio perché il decidere se ricorrere, o meno, ad una perizia, dipende, in sostanza, da una valutazione di autostima del giudice, ovvero dalla fiducia che egli abbia nelle proprie forze, la nomina dell'ausiliare non deve dipendere da un'istanza delle parti, potendo il magistrato procedervi d'ufficio, come anche rifiutarsi di servirsi del consulente se “senta di non averne bisogno”. Il giudice giudica le proprie conoscenze e valuta se i fatti sui cui debba pronunciarsi vi rientrano. Il che spiega l'alternativa se nominare o meno il perito secondo una logica confuciana, sì che il giudice dovrebbe al riguardo preoccuparsi non di quanto lo apprezzino le parti, ma di quanto egli non apprezzi se stesso.  Peraltro, alla subordinazione giuridica del perito al giudice non corrisponde “sempre né spesso una effettiva indipendenza del secondo di fronte al primo: al contrario, quanto maggiore è il disequilibrio fra la esperienza o la coltura del giudice e quella del perito nell'ambito della perizia, tanto meno praticamente attuabile è la libertà del giudice predicata dalla legge”. D'altro canto, a differenza del testimone, che nel processo ha una funzione passiva, ed infatti viene esaminato, il perito adempie ad una funzione attiva, esamina, e perfino percepisce egli stesso i fatti di causa, quando il giudice non abbia preparazione sufficiente per la percezione diretta dei fatti medesimi, il che avviene se questa imponga il ricorso a regole tecniche, anziché a regole di comune esperienza.

Il c.c. e il c.p.c. escludono la consulenza tecnica dal novero dei mezzi di prova in senso stretto, e qualificano la stessa come strumento istruttorio in senso lato, sulla scia delle dottrine più influenti dello scorso secolo, che indussero il nostro legislatore a rimeditare sull'opposta collocazione sistematica, la quale era invece pacifica nella vigenza della codificazione del 1865. Si tratta, in ogni caso, di mezzo che, se non serve direttamente a fissare formalmente la verità legale dei fatti affermati dalle parti, coopera con le prove allo scopo di rendere intelligibili gli stessi. In particolare, la ragione giustificatrice della consulenza è quella di sopperire alla insufficienza delle conoscenze tecniche e scientifiche del giudice e delle stesse parti, intendendosi, in realtà, per tecnica o scienza ogni regola di valutazione delle risultanze probatorie che non si identifichi con le norme del diritto (v. Andrioli,   1971, 802). Il consulente tecnico fornisce perciò al giudice, al fine della sua decisione, quelle nozioni che, pur apparendo necessarie alla composizione della lite, esulano dal comune patrimonio di esperienze dell'uomo medio.

La ricostruzione dell'attività del consulente è corroborata dall'inquadramento che lo stesso Codice di rito civile fa dell'ausiliare del giudice, messo a confronto con il perito previsto nel processo penale: l'art. 61 prevede che il giudice possa farsi assistere da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica “per il compimento di singoli atti o per tutto il processo”, con ciò espressamente non riducendo lo scopo della consulenza tecnica all'isolata esposizione di un parere in sede di relazione.

La l. n. 69/2009 ha inciso sull'atto di nomina del Consulente Tecnico d'Ufficio, modificando innanzitutto l'art. 191, comma 1, con due innovazioni. La prima relativa al “quando”, che meglio ricolloca nella sequenza processuale il provvedimento di designazione, ormai di regola fatto coincidere dal legislatore con l'ordinanza ammissiva dei mezzi di prova ex art. 183, comma 7; la seconda, invece, incidente sul “quid” e sul “quomodo” dell'atto di nomina, vincolandosi il giudice a formulare già in esso “I quesiti”, con ciò evidenziandosi la necessità di una rigorosa delimitazione dell'incarico assegnato dal giudice all'ausiliare, in maniera da estirpare l'adozione di formule pigre e stereotipate.

Altra modifica introdotta dalla l. n. 69/2009 in tema di nomina del Ctu è costituita dall'ampliamento dell'art. 23 disp. att., concernente la vigilanza del presidente del tribunale sulla distribuzione degli incarichi, vigilanza ora regolata da un criterio proporzionale, in base al quale a nessuno dei consulenti iscritti dovrebbero essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall'ufficio (criterio apparentemente rigido, ma di contorto funzionamento, essendo all'evidenza questo limite percentuale verificabile solo ex post, e giammai ex ante: cfr. P. G. Demarchi, Il nuovo processo civile, Milano 2009, 227) .

La riformulazione degli artt. 191 e 23 disp. att. ha rafforzato l'immagine della “nomina” del Ctu come atto proprio ed esclusivo del giudice, chiamato ora dalla legge a dettagliare nel suo provvedimento il tema dell'indagine peritale ed ad operare calcoli preventivi per garantire l'equa distribuzione degli incarichi.

La giurisprudenza risulta al riguardo propensa ad un atteggiamento conservatore dell'insindacabile discrezionalità della scelta giudiziale del consulente tecnico. Alle norme di cui agli artt. 61 e 13 e 22, comma 2, disp. att. si riconoscono natura e finalità meramente direttive (Cass. I, n. 11221/2024; Cass. III, n. 7622/2010). Come pure l'affidamento di un incarico ad un consulente iscritto nell'albo di altro tribunale, o non iscritto in alcun albo, in assenza di motivazione che indichi I motivi della scelta, è valido e non è censurabile, trattandosi di valutazione rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice (Cass. I, n. 19173/2015; Cass. I, n. 12499/2023). Mentre alle parti è accordato uno strumento di sola reazione, con finalità rescindente rispetto alla scelta del consulente tecnico unilateralmente operata dal giudice, strumento consistente nella istanza di ricusazione operata ai sensi degli artt. 63 e 51, e limitato alla rimozione di eventuali dubbi circa l'obiettività e l'imparzialità del consulente tecnico (Cass. L, n. 11412/1997; Cass. L, n. 1000/1990). Sovrano è l'apprezzamento del giudice quanto alla categoria professionale di appartenenza del consulente ed alla competenza qualificata dello stesso in relazione alla questione tecnica da risolvere; alla parte non resterebbe che il potere di muovere censure alla consulenza ormai effettuata, denunciandola come erronea, ovvero inidonea per incompetenza scientifica della persona nominata (Cass. L, n. 2751/1987; Cass. L, n. 481/1986).

La terzietà - imparzialità del consulente tecnico d'ufficio, il quale non deve essere legato a nessuna delle parti del processo, viene pertanto garantita unicamente dal demandarne la nomina al giudice, organo per il quale l'imparzialità è autonomamente e preliminarmente prescritta; di tal che le parti neppure possono in alcun modo dolersi di non aver partecipato alla nomina del perito (cfr. Cass. I, n. 13667/2004, anche per I riferimenti all'art. 6.1. Cedu, nell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo con le sentenze 20 febbraio 1996, Vermeulen c. Belgio;  31 ottobre 1995, Papamichalopoulos c. Grecia, e 18 marzo 1997, Mantovanelli c. Francia).

Fra i componenti di un collegio di consulenti tecnici può essere fatta distribuzione di particolari attività, tanto più quando alcuni di essi abbiano una competenza professionale distinta da quella degli altri, purché i risultati dell'attività di ciascuno siano partecipati agli altri e da questi valutati, sicché collegialmente si formino le conclusioni da sottoporre al giudice (Cass. I, n. 96/2017).

Si è escluso che l'art. 3, comma 5, d.l. n. 158/2012 (convertito dalla l. n. 189/2012) - il quale dispone che gli albi dei consulenti tecnici d'ufficio devono essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale al fine di garantire, oltre a quella medico legale, una idonea rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche dell'area sanitaria – configuri, in assenza di una specifica previsione legislativa (come l'art. 15, comma 4, l. n. 24/2017, non applicabile alla fattispecie "ratione temporis"), un precetto vincolante ai fini della nomina di c.t.u. nei giudizi pendenti di responsabilità medica (Cass. III, n. 32143/2019).

Per l'inapplicabilità ai processi pendenti dell'art. 15 della l. n. 24 del 2017, che stabilisce l'obbligatorietà della perizia o consulenza collegiale nei procedimenti civili aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria (Cass. III, n. 13060/2024).

Così, in generale, i commenti sono poco inclini a distinguere i ruoli dei soggetti del processo nella fase della scelta della persona fisica che debba assumere il ruolo di ausiliario e nella conseguente fase di nomina del consulente d'ufficio (cfr. Cataldi, 2799). Il problema dell'accurata individuazione del Ctu, ovvero di un esperto che assicuri l'acquisizione di nozioni tecniche affidabili, “tocca al giudice”, quale gatekeeper delle prove scientifiche. È dal giudice che si pretende la conoscenza delle condizioni occorrenti perché un'informazione sia dotata di validità scientifica; un giudice che si immagina non “scienziato”, ma comunque provvisto di buona preparazione epistemologica, per di più articolata in funzione delle caratteristiche delle diverse aree del sapere scientifico che entrano in gioco nel processo (così Taruffo, 1079 ss.).

Sotto l'aspetto meramente formale, la “particolare competenza tecnica” del consulente viene garantita dalla iscrizione “negli albi speciali” di cui agli artt. 61 e 13 e ss. disp. att.; non possono certo rassicurare il giudice, circa l'elevato livello di specializzazione del consulente, I generici requisiti di iscrizione posti dall'art. 15 disp. att. 

Del tutto peculiare è la consulenza tecnica d'ufficio prevista dall'art. 473-bis.25, inserito dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (per la cui disciplina transitoria si veda l'art. 35 dello stesso d.lgs. n. 149) nell'ambito delle norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie. L'art. 473-bis.25 stabilisce che, quando dispone consulenza tecnica d'ufficio, “il giudice precisa l'oggetto dell'incarico e sceglie il consulente tra quelli dotati di specifica competenza in relazione all'accertamento e alle valutazioni da compiere”. In caso di consulenza psicologica, la nuova norma precisa che “le indagini e le valutazioni su caratteristiche e profili di personalità delle parti sono consentite nei limiti in cui hanno ad oggetto aspetti tali da incidere direttamente sulle capacità genitoriali, e sono fondate su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica”. Si aggiunge che il consulente “svolge le indagini che coinvolgono direttamente il minore in orari compatibili con gli impegni scolastici, e con durata e modalità che garantiscono la serenità del minore e sono adeguate alla sua età”. Nell'elaborato peritale, l'ausiliare deve, inoltre, tenere “distinti i fatti osservati direttamente, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le valutazioni da lui formulate”. La relazione indica inoltre,  “le metodologie e i protocolli seguiti, nonché eventuali specifiche proposte di intervento a sostegno del nucleo familiare e del minore”.

Sul valore della consulenza tecnica d'ufficio nei giudizi di separazione fra coniugi, ai fini della statuizione sull'affidamento dei figli (Cass. I, n. 27348/2022); sempre in ordine alla consulenza tecnica per valutare le capacità genitoriali, (Cass. n. 26279/2022).

Nomina di un esperto.

Diverso è il ruolo assunto dal giudice che provveda nel corso di un giudizio di cognizione alla nomina del Ctu rispetto al compito cui il giudice adempie, ad esempio, nelle tante ipotesi codicistiche della disciplina societaria allorché debba procedere alla nomina di un esperto (cfr. artt. 2343, comma 1, 2343-bis, comma 2, 2437-ter, comma 6, 2501-sexies, comma 3, 2545-undecies, comma 2, c.c.), ipotesi tutte in cui la legge sostanziale vuole che sia accertato, da parte di soggetto munito dei necessari requisiti di professionalità e di terzietà, in quanto tale designato dal tribunale, il valore effettivo di determinati beni o dell'intero patrimonio sociale, condizionando l'efficacia dell'operazione collegata alla valutazione appunto rimessa all'esperto nominato. L'intervento del giudice, in queste fattispecie, non si limita perciò alla nomina incidentale dell'esperto, ma abbraccia necessariamente pure la precedente fase dell'individuazione dello stesso, ovvero della valutazione dei requisiti soggettivi che lo rendano idoneo a valutare tutti gli interessi generali e particolari coinvolti. La nomina dell'esperto investito dell'attività di stima del patrimonio sociale è dunque l'atto finale del giudice, è lo scopo ultimo del procedimento a lui affidato, fondato su una designazione operata ad personam, cui le parti devono rimanere estranee. Viceversa, il consulente tecnico è chiamato a sopperire alla insufficienza delle conoscenze tecniche e scientifiche del giudice e delle stesse parti, ed a fornire perciò quelle regole di valutazione delle risultanze probatorie che non si identifichino con le norme del diritto. La scelta del consulente tecnico non quindi è atto finale, ma atto funzionale alla decisione del giudice ed alla composizione della lite, nella quale l'ausiliare inserisce nozioni che esulano dal comune bagaglio di esperienze dell'uomo medio.

Si definisce «stimatore» o «esperto» anche il soggetto del quale l'organo giudiziario si avvale al fine di determinare il valore di beni assoggettati a procedure esecutive (anche concorsuali), figura che appartiene alla categoria residuale degli «altri ausiliari del giudice» contrapposta a quella degli ausiliari tipici e «nominati», quali il consulente tecnico o il custode (Cass. I, n. 4243/1997). L'esperto nominato dal giudice per la stima del bene pignorato è equiparabile, una volta assunto l'incarico, al consulente tecnico d'ufficio, sicché è soggetto al medesimo regime di responsabilità ex art. 64, senza che rilevi il carattere facoltativo della sua nomina da parte del giudice e l'inerenza dell'attività svolta ad una fase solo prodromica alla procedura esecutiva (Cass. III, n. 18313/2015).

Bibliografia

Andrioli, La scientificità della prova con particolare riferimento alla perizia e al libero apprezzamento del giudice, in Dir. e giur. 1971, 802 ss.; Cataldi, La nomina del C.T.U., in Giur. mer. 2007, 11, 2799 ss.; Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile,  III, Padova, 1931; FranchiLa perizia civile, Padova, 1959; Giudiceandrea, voce  Consulente tecnico – diritto processuale civile, in Enc.. dir. IX, Milano, 1961, 531 ss.;  Salomone, Sulla motivazione con riferimento alla consulenza tecnica d'ufficio, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2002, 3, 1017 ss.; Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959; Taruffo, La prova scientifica nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2005, 4, 1079 ss.

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