Codice di Procedura Civile art. 120 - Pubblicità della sentenza.Pubblicità della sentenza. [I]. Nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, compreso quello derivante per effetto di quanto previsto all’articolo 96, il giudice, su istanza di parte, può ordinarla a cura e spese del soccombente, mediante inserzione per estratto, ovvero mediante comunicazione, nelle forme specificamente indicate, in una o più testate giornalistiche, radiofoniche o televisive e in siti internet da lui designati 1. [II]. Se l'inserzione non avviene nel termine stabilito dal giudice, può procedervi la parte a favore della quale è stata disposta, con diritto a ripetere le spese dall'obbligato.
[1] Comma così sostituito dall'art. 45, comma 16, della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. Il testo precedente recitava: «Nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, il giudice, su istanza di parte, può ordinarla a cura e spese del soccombente, mediante inserzione per estratto in uno o più giornali da lui designati». InquadramentoLa divulgazione della sentenza può assurgere, secondo quanto previsto dalla norma in commento, a modalità di riparazione del danno (Grasso, in Comm. Allorio, 1973, 1341). Per alcuni si tratta di un vero e proprio danno non patrimoniale sicché la parte richiedente deve allegare e provare il dolo o la colpa (Andrioli, I, 349). Per altri invece sarebbe tutelato l'interesse generale ad evitare la circolazione di false rappresentazioni della realtà con conseguente insussistenza dell'onere di dimostrare lo stato soggettivo dell'altra parte (Cavallone, 1964, 43). In ogni caso, la pubblicità in questione prescinde dalla natura, contrattuale o extracontrattuale, dell'illecito (Cass. n. 11801/1998). Pubblicità della sentenzaLa sentenza può essere divulgata per estratto, ovvero mediante comunicazione, nelle forme specificamente indicate, in una o più testate giornalistiche, radiofoniche e televisive o in siti internet designati, quando tale pubblicizzazione contribuisce a riparare il danno (Grasso, in Comm. Allorio, 1973, 1341). In dottrina è discussa la natura del danno che la divulgazione della decisione ai sensi della norma in esame contribuisce a riparare. Per alcuni, invero, si tratta di un vero e proprio danno non patrimoniale sicché la parte richiedente deve allegare e provare il dolo o la colpa (Andrioli, I, 349). La necessità dell’elemento soggettivo in capo al danneggiante è stata affermata anche in giurisprudenza (Cass. n. 2422/1958). Per altri, invece, la pubblicità della sentenza costituisce una misura che tutela l'interesse generale a che non circolino false rappresentazioni della realtà, misura che pertanto può essere disposta senza la necessità di accertare il danno (Cavallone, 1964, 43). Ferma la necessaria richiesta di parte (anche in ordine alla pubblicazione integrale o per estratto) rientra nel potere discrezionale del giudice la decisione in ordine alle modalità ed estensione della pubblicazione della sentenza, nonché alla scelta del giornale, nei casi in cui ne sia riconosciuta l'utilità per la riparazione in forma specifica del danno, con il solo limite della razionalità ed adeguatezza della pronuncia (Cass. n. 2491/1993). La S.C. ha precisato che, in tema di lesione del diritto all'immagine ed alla reputazione, la quantificata entità del corrispondente danno risarcibile non può essere automaticamente ridotta per effetto della pubblicazione della sentenza su un quotidiano, costituendo tale misura, oggetto di un potere discrezionale del giudice, una sanzione autonoma che, grazie alla conoscenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto all'ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell'illecito, diversamente dal risarcimento del danno per equivalente che mira al ristoro di un pregiudizio già verificatosi (Cass. n. 1091/2016). Risalente giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la domanda di pubblicazione della sentenza , avendo la stessa dei costi, è rilevante ai fini della determinazione del valore della causa (Cass. n. 2232/1965). Casistica La pubblicità a mezzo stampa della decisione di merito, disposta dal giudice quale contributo a riparare il danno, prescinde dalla natura extracontrattuale o contrattuale dell'illecito (Cass. n. 11801/1998). In tema di diffamazione a mezzo stampa, in caso di mancata ottemperanza da parte del danneggiante all'ordine del giudice di pubblicare la sentenza di condanna su uno o più giornali, il danneggiato ha la facoltà, e non l'obbligo, di provvedere autonomamente a tale pubblicazione a sua cura e spese: peraltro, il mancato esercizio di tale facoltà non integra violazione del dovere di attivarsi secondo correttezza al fine di evitare il danno, previsto dall'art. 1227, comma 2, c.c., in quanto tale comportamento corrisponde ad un apprezzabile sacrificio che va oltre i limiti della ordinaria diligenza, onde il diritto del danneggiato al risarcimento del danno derivante dalla mancata pubblicazione non può essere ridotto od escluso per non aver provveduto autonomamente a richiedere la pubblicazione (Cass. n. 2087/2015). Ai sensi dell'art 2600 c.c., in materia di concorrenza sleale, il giudice del merito può stabilire liberamente le modalità di pubblicazione della sentenza, indipendentemente alle prescrizioni dell'art. 120, sicché legittimamente il detto giudice può autorizzare l'attore a provvedere direttamente alla pubblicazione, per estratto, della sentenza. In taluni giornali, a spese della parte soccombente, senza imporre previamente la pubblicazione stessa a cura della detta parte soccombente, come prescrive in linea generale il citato art. 120 (Cass. n. 2449/1974). In tema di concorrenza sleale, nell'ipotesi in cui l'illecito provato in giudizio sia circoscritto ad un unico episodio isolato, verificatosi più di dieci anni orsono, relativo alla condotta di un modesto esercente al dettaglio, la domanda di pubblicazione della sentenza non può essere accolta né ai sensi dell'art. 2600 c.c. (visto che non si configura, in assenza della reiterazione del comportamento illecito, l'ipotesi di concorrenza sleale), né ai sensi della disposizione in esame, in quanto la pubblicazione della sentenza finirebbe per essere una forma di risarcimento eccessivamente allargata rispetto all'ambito di diffusione della condotta illecita (Trib. Salerno I, 13 febbraio 2007). La pubblicazione in uno o più giornali della sentenza che accerti la violazione dei diritti di proprietà industriale, ai sensi dell'art. 126, comma 1, c.p.i., costituisce una misura discrezionale non collegata all'accertamento del danno, trattandosi di una sanzione autonoma, diretta a portare a conoscenza del pubblico la reintegrazione del diritto offeso, analogamente a quanto previsto dall'art. 2600 c.c. in materia di concorrenza sleale, con la conseguenza che la mancata adozione del relativo ordine da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. I, n. 11362/2022). BibliografiaAndrioli, Prova (dir. proc. civ.), in Nss. D.I., XIV, Torino, 1967, 260 ss.; Calamandrei, Il significato costituzionale delle giurisdizioni di equità (1921), in Opere giuridiche, III, Napoli, 1968, 3 ss.; Cappelletti, Il giudizio di equità e l'appello, in Riv. dir. proc. 1952, II, 143 ss.; Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell'oralità, I-II, Milano, 1962; Cavallone, La divulgazione della sentenza civile, Milano, 1964; Cavallone, Oralità e disciplina delle prove nella riforma del processo civile, in Riv. dir. proc. 1984, 686 ss.; Comez, L'equità integrativa del conciliatore, ovvero « lo scandalo dell'equità », in Giust. civ. 1989, I, 2385 ss.; Consolo, Domanda giudiziale, in Dig. civ. VII, Torino, 1991, 44 ss.; Consolo - Luiso - Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996; De Marini, Il giudizio di equità nel processo civile (premesse teoriche), Padova, 1957; De Stefano, Fatto notorio, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 999 ss.; Fabbrini, Eccezione, in Enc. giur., XII, Roma, 1989; Finocchiaro, Ispezione giudiziale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXII, Milano, 1971, 948 ss.; Grasso, La pronuncia d'ufficio, Milano, 1967; Grasso, Equità (giudizio), in Dig. civ., Torino, 1991, VII, 470 ss.; Martino, Il giudizio d'equità del conciliatore ed il suo controllo da parte della Corte di Cassazione, in Giust. civ. 1991, II, 193 ss.; Martino, Decisione equitativa e « principi informatori della materia », in Riv. dir. proc. 2005, 1353; Massari, Ispezione giudiziale, in Nss. D.I., IX, Torino, 1963, 186 ss.; Punzi, Jura novit curia, Milano, 1965; Ricci, Note sul giudizio di equità, in Riv. dir. proc. 1993, 387 ss.; Satta, Jura novit curia, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1955, 380 ss.; Satta, Domanda giudiziale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 816 ss.; Vaccarella, Interrogatorio delle parti (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 353 ss.; Vaccarella, « Quaedam sunt notoria iudici tantum non aliis », in Giust. civ. 1989, I, 2552; Vaccarella, Il difensore ed il giudizio di equità, in Giust. civ. 1992, II, 465 ss.; Vaccarella, in Scritti in onore di E. Fazzalari, III, Milano, 1993, 54 ss.; Varano, Equità (I, Teoria generale), in Enc. giur., XII, Roma 1989; Varano, Equità (II, Giudizio di equità), in Enc. giur., XII, Roma 1989; Vecchione, Equità (giudizio di), in Nss. D.I., VI, Torino 1960, 625 ss.; Verde, Domanda (principio della), I, in Enc. giur., XII, Roma, 1989; Verde, Prova legale e formalismo, in Foro it. 1990, V, 465 ss. |