Codice di Procedura Civile art. 133 - Pubblicazione e comunicazione della sentenza. 1Pubblicazione e comunicazione della sentenza.1 [I]. La sentenza è resa pubblica mediante deposito telematico, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. [II]. Il cancelliere da' immediata comunicazione del deposito alle parti che si sono costituite. La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'articolo 325.
[1] Articolo sostituito dall'art. 3, comma 1, lett. m), d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Il testo precedente, come da ultimo modificato dall'art. 45, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv., con modif., in l. 11 agosto 2014, n. 114, era il seguente « La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata. Il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza, ne dà notizia alle parti che si sono costituite [136]. La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325.». Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. Per la questione di non fondatezza, nei termini di cui in motivazione, relativamente al testo antecedente la sostituzione, v. Corte cost. 22 gennaio 2015, n. 3 InquadramentoLa disposizione in commento ― che il c.d. Correttivo alla c.d. riforma Cartabia (d.lgs. n. 164/2024)ha aggiornato, in relazione agli adempimenti del deposito telematico ― si collega a quella precedente, anch'essa dedicata alla sentenza, disciplinandone gli aspetti della pubblicazione e comunicazione. La pubblicazione segna il momento in cui la sentenza acquista esistenza come atto giuridico (Liebman, 219; D'Onofrio, 257) divenendo non più modificabile da parte del giudice che l'ha emessa, il quale deve fino a tal momento tener conto dell'eventuale ius superveniens, anche successivo alla stesura del dispositivo (Cass. n. 5855/2000). Dalla pubblicazione decorre inoltre il termine «lungo» per l'impugnazione di cui all'art. 327. Anche nel giudizio di cassazione, qualora sopravvenga, dopo la deliberazione della decisione e prima della pubblicazione, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge e tale dichiarazione si palesi tale da condizionare il contenuto ed il tipo di decisione che la Corte stessa è chiamata a rendere, sussiste il dovere della Corte di cassazione di tenere conto della suddetta dichiarazione, posto che il giudizio di cassazione pende sino a quando la sentenza non sia stata pubblicata (Cass. n. 16081/2004). La mancanza della data di pubblicazione non è causa di nullità della sentenza se il cancelliere abbia provveduto all'annotazione dell'avvenuta pubblicazione nel registro cronologico, l'abbia trasmessa all'ufficio del registro degli atti giudiziari ed abbia comunicato alle parti costituite l'avvenuto deposito della decisione, di modo che la parte interessata abbia potuto tempestivamente impugnare la pronuncia a lei sfavorevole (Cass. n. 7243/2006; Cass. n. 118/2015). È stato ulteriormente precisato che il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione. Qualora, peraltro, tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione, il giudice deve accertare - attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla regola di cui all'art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione - quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo (Cass. n. 18569/2016). In tema di redazione della sentenza in formato elettronico, dal momento della sua trasmissione per via telematica mediante PEC, il procedimento decisionale è completato e si esterna, divenendo il provvedimento, dalla relativa data, irretrattabile dal giudice che l'ha pronunciato e legalmente noto a tutti, con decorrenza del termine lungo di decadenza per le impugnazioni ex art. 327 (Cass. n. 17278/2016). La sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 281-sexies, integralmente letta in udienza e sottoscritta dal giudice con la sottoscrizione del verbale che la contiene, deve ritenersi pubblicata e non può essere dichiarata nulla nel caso in cui il cancelliere non abbia dato atto del deposito in cancelleria e non vi abbia apposto la data e la firma immediatamente dopo l'udienza (Cass. n. 11176/2015). Nel caso di sentenza emessa ai sensi dell'art. 281-sexies, la pronuncia di essa, unitamente alla sottoscrizione del relativo verbale da parte del giudice, equivale alla pubblicazione prescritta nei casi ordinari dall'art. 133 (Cass. n. 17311/2015). La mancanza della data di pubblicazione non è causa di nullità della sentenza se il cancelliere abbia provveduto all'annotazione dell'avvenuta pubblicazione nel registro cronologico, l'abbia trasmessa all'ufficio del registro degli atti giudiziari ed abbia comunicato alle parti costituite l'avvenuto deposito della decisione, di modo che la parte interessata abbia potuto tempestivamente impugnare la pronuncia a lei sfavorevole (Cass. n. 7243/2006; Cass. n. 118/2015). La comunicazione della sentenza è l'atto mediante il quale il cancelliere dà notizia alle parti della pronuncia del giudice. La comunicazione a oggi ad oggetto «il testo integrale della sentenza», comunicazione che, tuttavia, non comporta il decorso del termine «breve» per l'impugnazione di cui all'art. 325, come del resto si desume dall'art. 285, secondo cui il decorso del detto termine discende dalla notificazione della sentenza su istanza di parte. La comunicazione fissa il dies a quo per il regolamento di competenza nonché per la riassunzione della causa ai sensi dell'art. 50. Duplicità di date di deposito e pubblicazioneAlla luce della norma in commento il deposito — di cui al cancelliere dà atto apponendo data e firma in calce alla sentenza — costituisce adempimento a mezzo del quale si realizza la pubblicazione. Al di là dell'apparente chiarezza del dato normativo, la nozione di «deposito» è discussa. La S.C. ha sovente identificato il deposito nella consegna da parte del giudice al cancelliere dell'originale della sentenza, che diviene così atto pubblico irretrattabile e immodificabile (p. es. Cass. n. 9863/2004; Cass. n. 4571/1980; Cass. n. 9/1977). Viceversa, si sostiene in dottrina che il deposito sia atto del cancelliere e non del giudice, sicché l'espressione «del giudice» contenuta nel comma 1 dell'art. 133 verrebbe impiegata al solo fine di individuare la cancelleria competente all'adempimento (Capponi, Lo «strano caso» delle sentenze pubblicate più di una volta, in Giusto proc. civ. 2012, 509). Ed in effetti le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 13794/2012) hanno in tal senso definito il deposito come la «certificazione da parte del cancelliere della consegna ufficiale della sentenza», il cui effetto legale è la pubblicazione. Consegna e deposito, in altre parole, costituiscono momenti distinti del medesimo complesso adempimento finalizzato alla pubblicazione: la consegna è cioè operata dal giudice e prelude al deposito, che è invece compiuto dal cancelliere. Pur coincidendo cronologicamente — almeno nella fisiologia di funzionamento del congegno — consegna e deposito non si sovrappongono, giacché l'art. 133, comma 1, prescrive «la consegna della sentenza da parte del giudice al cancelliere e il suo contestuale deposito da parte di quest'ultimo» (Cass. n. 20858/2009). Una volta effettuata la consegna della sentenza da parte del giudice al cancelliere, ed eseguito da parte di quest'ultimo il deposito, si perfeziona la pubblicazione, cui «resta attribuita la funzione principale di costituire veicolo attraverso cui la sentenza acquista quella particolare efficacia che la rende espressione del dictum del giudice, venendo a conseguire, in tal modo, anche la peculiare efficacia autoritativa ad essa connessa» (Diana, I provvedimenti del giudice civile, Padova, 2009, 129). Una situazione patologica si verifica in caso di mancanza di contestualità tra deposito e pubblicazione della sentenza, come nel caso scrutinato da Cass. S.U., n. 13794/2012, concernente sentenza che presentava due annotazioni, entrambe recanti timbro e firma del cancelliere: la prima, del 16 marzo 2004, certificava il deposito, mentre la seconda, del 22 luglio 2004, la pubblicazione. Sicché sorgeva questione in ordine all'individuazione del dies a quo per il calcolo del termine per l'impugnazione ex art. 327. Le Sezioni Unite, ribadito che l'esistenza giuridica della sentenza prende corso dalla pubblicazione, con conseguente sua irretrattabilità e decorrenza del termine lungo per le impugnazioni, hanno censurato la condotta del cancelliere che, in assenza di una specifica previsione legislativa, interrompa la necessaria continuità del procedimento di pubblicazione della sentenza, scindendo l'attestazione della data di deposito da quella di avvenuta pubblicazione, fissata in altra data dallo stesso cancelliere autonomamente determinata. Ciò detto, la pronuncia in esame ha evidenziato come siffatta condotta abbia dato luogo al sorgere di un contrasto giurisprudenziale, contrasto risolto con l'affermazione del principio secondo cui, a norma dell'art. 133, la consegna dell'originale completo del documento-sentenza al cancelliere, nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione, il quale si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l'apposizione, in calce al documento, della firma e della data del cancelliere, che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. È pertanto da escludere che il cancelliere, preposto, nell'espletamento di tale attività, alla tutela della fede pubblica (art. 2699 c.c.), possa attestare che la sentenza, già pubblicata, ai sensi dell'art. 133, alla data del suo deposito, viene pubblicata in data successiva, con la conseguenza che, ove sulla sentenza siano state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento contiene soltanto la minuta del provvedimento, e l'altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono già dalla data del suo deposito. Sulla conformità a Costituzione di questo orientamento la S.C. ha successivamente a pronunciarsi la Consulta, ipotizzando un contrasto con gli artt. 3 e 24 della Carta. La Corte costituzionale ha però dichiarato infondata la questione sull'assunto di una interpretazione diversa, costituzionalmente orientata, tale da escludere ogni dubbio di legittimità e da tutelare adeguatamente le parti interessate. Essa ha affermato che, in ipotesi di divergenza di date e quando non risulti che il magistrato ha consegnato una minuta del suo elaborato, deve aversi come fonte degli effetti propri della pubblicazione l'ultima tra esse, in ordine di tempo, alla quale il cancelliere riferisce essere avvenuta la pubblicazione (Corte cost. n. 3/2015).Dopodiché le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato che il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione. Qualora, peraltro, tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione, il giudice deve accertare - attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla regola di cui all'art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione - quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo (Cass. S.U., n. 18569/2016). Si afferma in tale decisione (ribadita da Cass. n. 6384/2017; Cass. n. 9958/2020) che il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilità per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza «esiste» a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo per la sua impugnazione. La pronuncia ha nuovamente stigmatizzato la prassi delle cancellerie che ha definito quale «sciagurata consuetudine di apporre una doppia data in calce alle sentenze civili». E ha ricordato che tutte le decisioni adottate sul punto, pur nella diversità delle soluzioni adottate, avevano descritto quel comportamento come lesivo delle posizioni giuridiche delle parti e fonte di dubbi e perplessità in un momento processuale di massimo rilievo: il momento dell'individuazione della data di perfezionamento dell'iter procedimentale che conduce alla pubblicazione della sentenza e alla decorrenza dei termini per l'impugnazione. In questo incerto contesto la statuizione di non fondatezza della questione di costituzionalità degli artt. 133 e 327, se interpretati nel senso indicato dalla Corte costituzionale, era venuta a costituire un punto fermo e un vincolo esegetico per l'interprete, tenuto a conciliare l'indicazione adeguatrice della Consulta con l'esigenza di assicurare che il momento in cui viene ad essere la sentenza sia riconducibile ad una iniziativa del giudice e non resti nella disponibilità del cancelliere: non è questi, infatti, il soggetto al quale il legislatore attribuisce la titolarità – e quindi la responsabilità – delle scelte incidenti sul processo. Per pervenire, dunque, ad una soddisfacente composizione della questione, le Sezioni Unite hanno osservato che l'art. 133 non considera la pubblicazione come un posterius o comunque come una attività diversa dal deposito ma la identifica in questo, sì che non è logicamente ipotizzabile una pubblicazione quale attività autonoma del cancelliere, diversa e successiva. Ai fini della pubblicazione non è necessario che si dia notizia alle parti costituite; ma la rilevanza dell'atto per le importanti conseguenze che ne derivano rende necessario un collegamento tra esse e una volizione del giudice, cui spetta di rendere definitiva e irretrattabile la sentenza, depositandola in cancelleria. Allo scopo, afferma la Corte, va considerato che il deposito è un atto sui generis, sia perché non serve (solo) a custodire la cosa ma (innanzitutto) serve ad attuarne la pubblicazione, quale strumento a tal scopo individuato dal legislatore, e sia perché la norma si riferisce chiaramente ad un deposito «in cancelleria» del quale il cancelliere dà atto in calce alla sentenza. È allora evidente che un tale atto effettuato presso un ufficio pubblico non può risolversi nella semplice traditio brevi manu della sentenza, attestata dal cancelliere, risultando assolutamente indispensabile, in relazione alle conseguenze che debbono trarsene, che esso abbia carattere ufficiale e cioè che nel luogo individuato per il deposito (la cancelleria) esso risulti ufficialmente. Questa risultanza non può verificarsi se non a seguito dell'inserimento dell'atto oggetto di deposito nell'elenco cronologico delle sentenze esistente presso la cancelleria, con assegnazione del numero identificativo, non fosse altro perché una sentenza non identificabile non può neppure risultare ufficialmente depositata. È, pertanto, l'inserimento nell'elenco cronologico delle sentenze il «mezzo» attraverso il quale si realizza ufficialmente il «deposito in cancelleria» della sentenza e, al contempo, la pubblicità necessaria alla conoscibilità della stessa. Una conclusione in tal senso, si afferma, è l'unico modo per attribuire significato ad una norma che descrive il deposito quale strumento della pubblicazione e che fa coincidere questi due momenti. Nella sua motivazione le Sezioni Unite rivolgono un monito ai principali soggetti processuali per i quali la pubblicazione della sentenza assume rilievo. In particolare, al difensore viene indicato che l'affermata interpretazione dell'art. 133 comporta che, a partire dal deposito, sia assicurata (se non la conoscenza, di certo) la conoscibilità della sentenza, nel senso che il difensore, con la diligenza dovuta in rebus suis, recandosi periodicamente in cancelleria per informarsi sull'esito di una causa della quale conosce la data di deliberazione, potrebbe, a partire del momento del deposito, stante l'annotazione nell'elenco cronologico, venirne a conoscenza ed estrarne copia. Deposito telematicoIn tema di redazione della sentenza in formato elettronico, dal momento della sua trasmissione per via telematica mediante PEC, il procedimento decisionale è completato e si esterna, divenendo il provvedimento, dalla relativa data, irretrattabile dal giudice che l'ha pronunciato e legalmente noto a tutti, con decorrenza del termine lungo di decadenza per le impugnazioni ex art. 327 (Cass. n. 17278/2016). Bisogna considerare che anche in caso di deposito telematico può sorgere questione in ordine all'individuazione della data di pubblicazione, rilevante per i fini del decorso del termine lungo. La questione si è ad esempio prospettata in una peculiare situazione in cui il ricorrente per cassazione si doleva della dichiarazione di inammissibilità per tardività di un appello contro sentenza risultante depositata il giorno 25 aprile, ossia in un giorno festivo (v. Cass. n. 9345/2018). La S.C. ha rammentato che, a seguito dell'introduzione del processo civile telematico è ben possibile che il giudice — nel senso precisato — provveda al deposito della sentenza in un giorno festivo, giacché, ai sensi dell'art. 15 d.m. n. 44/2011 e dell'art. 16-bis comma 9-bis d.l. n. 179/2012 non è necessaria la firma digitale del cancelliere per l'accettazione dei provvedimenti e dei verbali telematici dei giudici, nemmeno laddove si tratti di sentenze depositate telematicamente. La pronuncia ha tuttavia precisato che il congegno del deposito telematico della sentenza non esclude il rilievo della successiva pubblicazione di essa ad opera del cancelliere, ai sensi dell'art. 133 c.p.c. Difatti, l'attività di deposito telematico nel fascicolo informatico delle sentenze redatte in formato elettronico è soltanto avviata dal giudice. È infatti sempre indispensabile l'intervento del cancelliere. A seguito della modifica dell'art. 15 del Regolamento di cui al d.m. n. 44/2011, effettuata con il d.m. n. 209/2012, art. 2, comma 1, lett. a) e b), il magistrato che ha redatto la sentenza in formato elettronico, dopo avervi apposto la propria firma digitale, non effettua personalmente il deposito, ma la norma va intesa nel senso che egli trasmette telematicamente in cancelleria il documento — corrispondente, in sostanza, alla «minuta» di cui è detto nel(l'oramai desueto) art. 119 disp. att. — perché il cancelliere («accettando» il documento) possa provvedere al deposito (dapprima, eventualmente, in minuta) e quindi alla pubblicazione (evento, quest'ultimo, che rende definitivo il testo della sentenza, e ne impedisce la modificazione anche da parte del giudice che ne è stato autore). Quando la sentenza non è «contestuale» ex art. 281-sexies, ma depositata ai sensi dell'art. 281-quinquiese del d.m. n. 44/2011, art. 15, comma 1, è riservata al cancelliere l'attività di pubblicazione ai sensi dell'l'art. 133, comma 1 e 2, che comporta anche l'inserimento della sentenza nel registro relativo, con l'attribuzione del numero identificativo (d.m. 27 marzo 2000, n. 264, art. 13 («Regolamento recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari») e l. 2 dicembre 1991, n. 399 («Delegificazione delle norme concernenti i registri che devono essere tenuti presso gli uffici giudiziari e l'amministrazione penitenziaria»). A seguito dell'adozione dei registri informatizzati, l'attività risulta regolata dal d.m. 27 aprile 2009 «Nuove regole procedurali relative alla tenuta dei registri informatizzati dell'amministrazione della giustizia», pubblicato nella G.U. 11 maggio 2009, n. 107. Con l'unico adempimento della "pubblicazione" riservato al cancelliere, il sistema provvede all'attribuzione alla sentenza del numero identificativo e della data di pubblicazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 133, comma 2, e art. 327, comma 1, (e consente inoltre l'estrazione di copia, cartacea o informatica, da attestarsi conforme da parte dei soggetti abilitati- compresi i difensori a far data dall'agosto 2014)» (Cass. n. 22871/2015). Come di recente chiarito, in caso di redazione della sentenza in formato digitale, la pubblicazione, ai fini della decorrenza del termine cd. lungo di impugnazione di cui all'art. 327, si perfeziona nel momento in cui il sistema informatico provvede, per il tramite del cancelliere, ad attribuire alla sentenza il numero identificativo e la data, poiché è da tale momento che il provvedimento diviene ostensibile agli interessati (Cass. n. 2362/2019). Sentenza «a verbale»La sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 281-sexies, integralmente letta in udienza e sottoscritta dal giudice con la sottoscrizione del verbale che la contiene, deve ritenersi pubblicata e non può essere dichiarata nulla nel caso in cui il cancelliere non abbia dato atto del deposito in cancelleria e non vi abbia apposto la data e la firma immediatamente dopo l'udienza (Cass. n. 11176/2015). Nel caso di sentenza emessa ai sensi dell'art. 281-sexies, la pronuncia di essa, unitamente alla sottoscrizione del relativo verbale da parte del giudice, equivale alla pubblicazione prescritta nei casi ordinari dall'art. 133 (Cass. n. 17311/2015). Comunicazione della sentenza e decorso del termine per l’impugnazioneLa comunicazione della sentenza è l'atto mediante il quale il cancelliere dà notizia alle parti della pronuncia del giudice. La comunicazione ha oggi ad oggetto «il testo integrale della sentenza», comunicazione che, tuttavia, non comporta il decorso del termine «breve» per l’impugnazione di cui all’art. 325, come del resto si desume dall’art. 285, secondo cui il decorso del detto termine discende dalla notificazione della sentenza su istanza di parte(v. al riguardo sul tema da ult. Cass. n. 3372/2022). La comunicazione fisartesa il dies a quo per il regolamento di competenza nonché per la riassunzione della causa ai sensi dell'art. 50. Anche il provvedimento che declina la competenza del tribunale sull'istanza di fallimento ex art. 9-bis l. fall.(per la nuova disciplina v. art. 29 d.lgs. n. 14/2019– Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), deve essere comunicato alle parti costituite (Cass. n. 20666/2019). Vi sono tuttavia casi in cui la comunicazione determina il decorso del termine per l'impugnazione della sentenza. Ed invero, in tema di adozione, la comunicazione, da parte del cancelliere, mediante posta elettronica certificata (PEC), del testo integrale della sentenza resa dalla corte d'appello, a norma dell'art. 17 della l. n. 184 del 1983, è idonea a far decorrere il termine breve di trenta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, risultando in tal modo soddisfatta la condizione della conoscenza legale del provvedimento suscettibile di impugnazione (Cass. n. 10971/2023). La comunicazione del testo integrale della sentenza di rigetto del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, effettuata dal cancelliere mediante posta elettronica certificata (PEC), è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione in cassazione ex art. 18, comma 14,l. fall.: il meccanismo previsto dall'art. 18 cit. ha infatti a fondamento, in ragione delle esigenze di celerità che caratterizzano il procedimento fallimentare, la mera conoscenza legale del provvedimento suscettibile di impugnazione, conoscenza che la comunicazione in forma integrale assicura al pari della notificazione (Cass. n. 23575/2017). Vale al riguardo rammentare che i commi 13 e 14 dell'art. 18 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 51 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), stabiliscono che la sentenza che rigetti il reclamo contro la sentenza di fallimento è «notificata» al reclamante a cura della cancelleria e che il termine per proporre il ricorso per cassazione è di 30 giorni dalla «notificazione». La S.C. ha in proposito affermato che la notifica del testo integrale della sentenza reiettiva del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, effettuata ai sensi dell'art. 18, comma 13, l. fall., dal cancelliere mediante posta elettronica certificata (PEC), ex art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012, conv., con modif, dalla l. n. 221/2012, è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione in cassazione ex art. 18, comma 14, l. fall., non ostandovi il nuovo testo dell'art. 133, comma 2, c.p.c., come novellato dal d.l. n. 90/2014, conv., con modif., dalla l. n. 114/2014, secondo il quale la comunicazione del testo integrale della sentenza da parte del cancelliere non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325 (Cass. n. 10525/2016; Cass. n. 2315/2017). Bisogna altresì ricordare che il testo vigente dell'art. 18 l. fall. deriva dall'art. 16 d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e, successivamente, dall'art. 2, comma 7, del d.lgs. n.169/2007, con la decorrenza indicata nell'art. 22 del medesimo d.lgs. n. 169/2007: val quanto dire che, all'epoca in cui la norma è stata licenziata, sussisteva una radicale distinzione tra la notificazione, che, ai sensi del comma 2 dell'art. 137, ha ad oggetto una copia conforme all'originale dell'atto da notificarsi, e la comunicazione, la quale veniva (e viene tuttora, seppure in via residuale) effettuata mediante biglietto di cancelleria, secondo la dicitura ormai inattuale dell'articolo 136, in «forma abbreviata». A partire dall'entrata in vigore del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, si è tuttavia creato un difetto di coordinamento tra il testo dell'art. 136, rimasto inalterato laddove si riferisce ad un «forma abbreviata di comunicazione», e l'art. 45 disp. att., il quale, al comma 2, stabilisce che il biglietto di cancelleria contiene «in ogni caso… il testo integrale del provvedimento comunicato»: e ciò è tanto più vero ove si consideri che, quantunque l'art. 136 stabilisca che il biglietto di cancelleria è consegnato dal cancelliere al destinatario ovvero inviato a mezzo PEC, potendo solo in via residuale, salvo che la legge non disponga altrimenti, essere trasmesso a mezzo telefax o rimesso all'ufficiale giudiziario per la notifica, l'obbligo di impiego della PEC è ben più stringente di quanto non appaia alla lettura della disposizione, giacché il testo dell'art. 136 va integrato con l'ulteriore disposizione secondo cui: «Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica …» (art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012 convertito, con modificazioni, in l. n. 221/2012). Ne discende, secondo la S.C., che anche la comunicazione, come la notificazione, successivamente alla data di entrata in vigore del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, determini la decorrenza del termine breve. Difatti vi è ormai perfetta coincidenza tra l'attività che il cancelliere pone in essere per i fini della notificazione e quella che esegue in sede di comunicazione: in entrambi i casi, cioè, egli porta la sentenza a conoscenza del destinatario mediante invio di un messaggio di posta elettronica certificata contenente in allegato il testo integrale del provvedimento. Sul piano normativo, tale conclusione trova in effetti conferma, e non smentita, nell'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 133, concernente l'attività del cancelliere di pubblicazione e comunicazione della sentenza, il quale stabilisce che detta comunicazione «non è idonea a far decorrere il termine per le impugnazioni di cui all'articolo 325», inciso introdotto dall'art. 45 d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni in l. n. 114/2014. Tale disposizione, difatti, come la S.C. ha di osservato (v. Cass. n. 10525/2016, con i relativi richiami), è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni, solo nel caso di atto di impulso di controparte, ma non incide sulle norme processuali, derogatorie e speciali. In altri termini, in un sistema ordinario che ha al suo centro l'art. 285, secondo cui la notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione, si fa «su istanza di parte», la novella del comma 2 dell'art. 133 è da intendere come diretta a sottolineare che la comunicazione del testo integrale della sentenza eseguita d'ufficio non può produrre gli effetti della notificazione che la legge, ai fini della decorrenza del termine breve, riserva parte. Sicché, laddove la notificazione della sentenza debba essere doverosamente eseguita dalla cancelleria, non vi è ragione di escludere che la comunicazione sia parimenti «idonea a far decorrere il termine per le impugnazioni di cui all'art. 325». L'equiparazione della notificazione eseguita ad iniziativa del cancelliere alla comunicazione effettuata dal medesimo ufficio, allora, si giustifica proprio in ragione della distanza che separa la notificazione prevista dall'art. 285 da quella contemplata dall'art. 18 l. fall. nonché da altre analoghe disposizioni: il comma 1 dell'art. 669-terdecies, l'art. 702-quater, il comma 3 dell'art. 348-ter, l'u.c. dell'art. 99 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 207 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza). Mentre, infatti, il congegno dell'abbreviazione del termine di cui all'art. 285, con conseguente applicazione dell'art. 325, in relazione al successivo art. 326, trova fondamento nella volontà della parte vincitrice, la quale manifesta in tal modo interesse a ridurre i tempi necessari al passaggio in giudicato della sentenza, il meccanismo previsto dall'art. 18 l. fall. ha a fondamento non già l'iniziativa di parte, bensì — in ragione delle esigenze di celerità che caratterizzano il procedimento fallimentare — la mera conoscenza legale che il soccombente abbia avuto del provvedimento suscettibile di impugnazione, conoscenza legale che la comunicazione in forma integrale procura al pari della notificazione. BibliografiaAndrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979; D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, Torino, 1957; Evangelista, Motivazione della sentenza civile, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 154; Fazzalari, Sentenza civile, in Enc. dir., Xli, Milano, 1989; Lancellotti, Ordinanza, in Nss. D.I., XII, Torino, 1965; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1984; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013; Taruffo, La fisionomia della sentenza in Italia, in Materiali per un corso di analisi della giurisprudenza, a cura di Bessone e Guastini, Padova, 1994. |