Codice di Procedura Civile art. 154 - Prorogabilità del termine ordinatorio.Prorogabilità del termine ordinatorio. [I]. Il giudice, prima della scadenza, può abbreviare o prorogare, anche d'ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza [203 4]. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato. InquadramentoAlla proroga dei termini ordinatori si riferisce espressamente l'art. 154. I termini ordinatori, dunque, possono essere abbreviati o prorogati, anche d'ufficio, ma ciò può avvenire solo prima che siano scaduti. Sorge qui anzitutto il problema se la tempestività della proroga, avuto riguardo allo spirare del termine, debba essere scrutinata, in caso di proroga richiesta dalla parte, con riguardo al momento in cui l'istanza è proposta, ovvero a quello in cui il giudice assume successivamente la decisione sul punto. Non v'è dubbio che il dato testuale deponga per l'interpretazione più restrittiva, nel qual senso sarebbe però erroneo leggere la massima, più volte ribadita, secondo cui i termini ordinatori possono essere prorogati dal giudice solo a condizione che essi non siano ancora scaduti (Cass. n. 23227/2010; Cass. n. 808/1999; Cass. n. 10174/1998; Cass. n. 3340/1997; Cass. n. 8453/1996; Cass. n. 12400/1995; Cass. n. 12640/1992). Tale massima, infatti, non fa altro che riprodurre il dato normativo in fattispecie in cui non sorgeva questione di verifica della tempestività nell'ipotesi in cui l'interessato avesse proposto l'istanza di proroga prima della scadenza del termine, ma il giudice avesse deciso successivamente. Alla necessità di una istanza di proroga prima della scadenza fanno viceversa riferimento diverse decisioni della S.C. (Cass. n. 4448/2013; Cass. n. 27086/2011), le quali inducono a credere che il tempo impiegato dal giudice per deliberare sull'istanza di proroga del termine non possa ridondare in danno dell'istante, tanto più che la proposizione dell'istanza di proroga del termine ordinatorio a ridosso della sua scadenza — la quale impedisca ad un giudice pur diligente di provvedere prima che la scadenza venga da consumarsi — ben può essere dovuta non già a semplice inerzia dell'interessato, ma a valide concrete ragioni (Cass. n. 10174/1998). A tale conclusione risulta aver consapevolmente aderito la stessa S.C., con l'affermazione secondo cui «il rimedio per ovviare alla scadenza del termine ordinatorio... è stato previsto, ma anche disciplinato dal legislatore, ed è quello della concessione della proroga prima della sua scadenza, onde il decorso del detto termine — senza almeno la presentazione di un'istanza intesa ad ottenere il provvedimento de quo — non può non avere gli stessi effetti preclusivi della scadenza d'un termine perentorio» (Cass. n. 10174/1998). Ciò che occorre per i fini della tempestività della proroga, dunque, è la presentazione dell'istanza, ma non il provvedimento di proroga, che può intervenire successivamente. Occorre poi chiedersi quali siano gli effetti del difetto di proroga, perché non tempestivamente richiesta dalla parte. Si diceva poc'anzi che il tratto caratterizzante dei termini ordinatori sta nel non determinare né la decadenza dal potere di compiere l'atto, né la nullità dell'atto compiuto dopo la scadenza del termine. Profili processualiTuttavia il meccanismo di operatività dei termini perentori, in caso di loro violazione, è discusso, e la discussione trae argomento dalla stessa formulazione dell'art. 154. Secondo l'opinione tradizionale, il problema delle conseguenze della violazione dei termini ordinatori, esclusa la decadenza e la nullità, si risolve «rinunciando alla ricerca di un effetto tipico per tutti i termini ordinatori, la cui violazione è sanzionata in modo eterogeneo, in forma prevalentemente indiretta stabilendo, a seconda dei casi, un maggior carico di spese, la fissazione di un termine perentorio, la concessione di un contro termine; attribuendo, comunque, ai soggetti del processo che subiscono la violazione delle posizioni di vantaggio, cui corrispondono posizione di svantaggio per chi non ha osservato il termine» (Grossi, 245). Altri sostengono che la differenza tra termini perentori ed ordinatori non risiederebbe nella mancanza, in questi ultimi, dell'effetto di decadenza o nullità, giacché esso conseguirebbe, al contrario, all'inosservanza sia degli uni che degli altri, bensì nel congegno di operatività della sanzione di decadenza o nullità, il quale opererebbe ipso iure per i termini perentori e previa valutazione del giudice per i termini ordinatori (Balbi, 47). Secondo una ulteriore tesi, sostenuta dal Satta, la non prorogabilità di un termine processuale ordinatorio che sia scaduto (o sia già stato prorogato) non è una qualità che comporti un mutamento di natura del termine medesimo e la sua trasformazione in perentorio, in quanto il termine così assegnato alla prorogabilità ha esso stesso carattere ordinatorio e non entra a far parte della fattispecie dell'atto del procedimento di cui si tratta, sicché la sua inosservanza non impedisce di emettere un valido provvedimento di proroga, sempre che non si sia verificata una situazione esterna con questa incompatibile (Cass. n. 8711/1993; Cass. n. 248/1992; Cass. n. 2322/1987; Cass. n. 1582/1987; Cass. n. 1046/1979). La soluzione che vede equiparati quanto ad effetti i termini perentori e quelli ordinatori trova il consenso della S.C., secondo cui, una volta, pertanto, scaduto il termine ordinatorio senza che si sia avuta una proroga si determinano, per il venir meno del potere di compiere l'atto, conseguenze analoghe a quelle ricollegabili al decorso del termine perentorio» (Cass. n. 20604/2008). Tornando alla già ricordata previsione dettata dall'art. 154, la proroga dei termini ordinatori ― ma, a tenore della norma, anche la loro abbreviazione ― può essere disposta: a) su istanza di parte o d'ufficio; b) prima della scadenza, il che ha però da essere inteso nel senso che, in caso di proroga disposta su istanza di parte, occorre che l'istanza sia proposta prima della scadenza, mentre il provvedimento del giudice può essere anche successivo; c) per una durata non superiore al termine originario; d) con provvedimento che non richiede motivazione come si desume a contrario dalla seconda parte dell'articolo. Una proroga ulteriore è consentita solo per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato: la motivazione non è soggetta a forme particolari e può essere implicitamente contenuta nel contesto del provvedimento di proroga (Cass. n. 6239/1983). BibliografiaBalbi, La decadenza nel processo di cognizione, Milano, 1993; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2010, 281; Grossi, Termini (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992; Verde, Considerazioni sul progetto Vassalli, in Foro it. 1989, V, 250. |