Codice di Procedura Civile art. 167 - Comparsa di risposta 1 .Comparsa di risposta1. [I]. Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, 2i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni 3. [II]. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio4. Se è omesso o risulta assolutamente incerto l'oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente alla integrazione 5. [III]. Se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell'articolo 269.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 11 l. 26 novembre 1990, n. 353. Il testo recitava: «Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese e le eventuali domande riconvenzionali, indicare specificamente i mezzi di prova dei quali intende valersi e formulare le conclusioni. Se intende chiamare un terzo in causa per la prima udienza, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa». [2] Le parole «le proprie generalità e il codice fiscale,» sono state inserite dall'art. 4, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modif., in l. 22 febbraio 2010, n. 24. [3] Le parole «le proprie generalità e il codice fiscale,» sono state inserite dall'art. 4, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modif., in l. 22 febbraio 2010, n. 24. Comma successivamente modificato dall'art. 3, comma 12, lett. f), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che ha inserito le seguenti parole: «in modo chiaro e specifico» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". [4] Le parole « e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio » sono state inserite, in sede di conversione, dall'art. 23 lett. b-ter)d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. [5] Comma così sostituito dall'art. 3 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534. Il testo recitava: «A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio». InquadramentoL'art. 167 elenca al primo comma il contenuto tipico della comparsa di risposta, mentre nel secondo e nel terzo comma evidenzia quali siano le attività che debbano necessariamente svolgersi mediante essa, a pena altrimenti di decadenza dalle relative facoltà. L'onere di prendere posizioneLe attività del convenuto descritte nel comma 1 dell'art. 167, sebbene collocate nel contenuto proprio della comparsa di risposta, non sono presidiate dalla sanzione di decadenza espressa, invece, per la facoltà indicate nel comma 2. Così, ad esempio, come per la citazione, non è elemento indifferibile della comparsa di risposta l'indicazione dei mezzi di prova di cui il convenuto, come dei documenti offerti in comunicazione, É, infatti, possibile articolare i mezzi di prova (diretta e contraria) ed effettuare le produzioni documentali sino alla scadenza dei termini perentori previsti per le memorie integrative anche in mancanza della loro indicazione negli atti introduttivi, non essendo prevista alcuna decadenza per il convenuto che non vi abbia provveduto nella sua comparsa iniziale, né sancita la nullità (e la conseguente eventuale sanatoria) dall'art. 164 per la domanda che non contempli deduzioni istruttorie (Cass. I, n. 15691/2011). Nel contenuto della comparsa di risposta stabilito dal comma 1 dell'art. 167 (come in quello della memoria difensiva ex art. 416, comma 3) c'è l'onere per il convenuto di proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda (per effetto del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, e con la decorrenza indicata dall’art. 35 dello stesso decreto, è aggiunto che ciò deve avvenire “in modo chiaro e specifico”: vedi sub art. 163). Si tratta, però, anche in tal caso, di adempimento dilazionabile nel prosieguo del giudizio, segnando soltanto l'udienza di trattazione, pur con tutte le scansioni contemplate dall'art. 183, il limite per la contestazione dei fatti allegati dalla controparte. Il tema della definizione e della rilevanza della « non contestazione » è ancor più vivo dopo la modifica apportata all'art. 115l. n. 69/2009 secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione « i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita ». L'effettiva misura dell'onere probatorio spettante ai contendenti dipende, invero, dal funzionamento del cosiddetto principio di non contestazione, in forza del quale non hanno necessità di essere provati, dalla parte che intenda allegarli, quei fatti la cui sussistenza non sia posta in dubbio dalla controparte. In tal caso sorge l'obbligo del giudice («deve ») di considerare acquisiti detti fatti facendo assurgere, quanto agli effetti, il comportamento silente della parte alla dignità di piena prova, con la conseguenza che il giudice dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio e, perciò — sempre che per quel fatto non sia stabilita una particolare forma solenne — ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti (Cass. III, n. 5356/2009). La modifica dell'art. 115, comma 1, (nel senso che i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita devono essere posti dal giudice a fondamento della sua decisione) è stata introdotta dalla l. n. 69/2009, ma l'onere di specifica contestazione era già presente nell'art. 167 per i giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della l. n. 353/1990. Perché un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto, e perciò non richiedente una specifica dimostrazione, occorre o che lo stesso fatto sia da quello esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col disconoscimento di quel fatto. La non contestazione scaturisce, pertanto, dalla non negazione del fatto costitutivo della domanda (Cass. III, n. 19896/2015, riteneva, ad esempio, ammessi i fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, in quanto la controparte, nella comparsa di costituzione e risposta, si era limitata a negare genericamente la "sussistenza dei presupposti di legge" per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica). Il difetto di contestazione dei fatti allegati dall'attore implica, così, l'ammissione in giudizio degli stessi, se si tratta di fatti principali, ovvero costitutivi del diritto azionato, mentre, quanto ai fatti secondari, e cioè dedotti in esclusiva funzione probatoria, la non contestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2 (Cass. I, n. 5191/2008). Se, peraltro, l'attore voglia invocare il principio di non contestazione, per far ritenere non bisognoso di prova uno dei fatti costitutivi della sua domanda, occorre che dimostri di aver ottemperato all'onere processuale posto a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali il convenuto era tenuto a prendere posizione; una generica enunciazione dei fatti e degli elementi di diritto in citazione esonera, infatti, il convenuto dal compiere una contestazione circostanziata (Cass. VI, n. 26908/2020; Cass. III, n. 3023/2016). In tanto può quindi porsi il problema della contestazione del fatto ed assumere rilievo la non contestazione - quale indice, in positivo e di per sé, di una linea difensiva incompatibile con la negazione del fatto, - in quanto l'allegazione del fatto, con tutti gli elementi costituenti il suo contenuto variabile e complesso, risulti connotata da precisione e specificità, tali da renderla conforme al modello postulato dalla regola legale o contrattuale per l'attribuzione del diritto; altrimenti, il fatto resta, per ciò stesso, estraneo al potere - dovere di contestazione, atteso il collegamento con quello di allegazione (di cui costituisce riflesso processuale) posto dall'art. 167, e la sua omessa deduzione (nella estensione dovuta) lo restituisce interamente al thema probandum come disciplinato dall'art. 2697 c.c. (Cass. III, n. 2299/2004). I “fatti” posti dall'attore a fondamento della domanda (art. 163, comma 3, n. 4), sui quali il convenuto deve prendere posizione nella comparsa di risposta (art. 167, comma 1), sono sia i “fatti principali”, ex art. 2697 c.c. (cioè i “fatti” costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivo), sia i fatti secondari (cioè i fatti dedotti ed affermati in funzione di prova di un fatto principale). D i regola, ogni domanda è fondata su una pluralità di fatti costitutivi, mentre ciascun singolo fatto impeditivo, modificativo o estintivo (ad esempio, l'avvenuto pagamento) dà luogo al rilievo di una distinta eccezione. Può poi trattarsi di fatto integrante un'eccezione in senso stretto (ad esempio, prescrizione), che perciò suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte per svolgere l'efficacia modificativa, impeditiva od estintiva del rapporto giuridico litigioso. Se invece si tratti di fatto che integra un'eccezione in senso lato (ad esempio, interruzione della prescrizione), il corrispondente rilievo giudiziale non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte, ed è, anzi, ammissibile anche in appello, sempre che quel fatto risulti documentato ex actis. Ne consegue che in presenza di una eccezione in senso lato il giudice può esercitare anche i propri poteri officiosi al fine di ammettere le prove indispensabili, cioè quelle idonee ad elidere ogni incertezza nella ricostruzione degli eventi (Cass. VI, n. 25434/2019). Quanto alla mancata contestazione di alcuno dei plurimi fatti costitutivi della domanda ad opera del convenuto, la stessa è priva di decisività qualora il giudice accerti l'insussistenza di un indispensabile fatto costitutivo concorrente, oppure accerti la sussistenza di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo eccepito dal medesimo convenuto. Ove sia, invece, configurabile una domanda la cui causa petendi sia strutturata su un unico fatto costitutivo, al pari di quanto solitamente avviene per le eccezioni, l'omesso contestazione di un tale fatto rende l'intera domanda non bisognosa di prova. Quanto ai fatti secondari, per tali intendendosi quei fatti utile a dimostrare i fatti principali per mezzo di un ragionamento logico inferenziale, la considerazione che il convenuto non abbia preso posizione avverso gli stessi assume importanza soltanto quando la mancata contestazione si ripercuota sul convincimento che il giudice maturi riguardo gli elementi costitutivi della fattispecie. La Cass. S.U., n. 2951/2016,a proposito del principio di non contestazione, ha evidenziato che il difetto di contestazione attinente non alla sussistenza di un fatto storico, ma ad un fatto costitutivo ascrivibile alla categoria dei fatti-diritto, non impone un vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l'inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall'altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto. Cosa diversa dal riconoscimento è poi il silenzio, tanto più ove proveniente dal contumace: l'art. 115, impone al giudice di porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati "dalla parte costituita". Il principio di non contestazione, quindi, non viene esteso alla parte che non si è costituita. Il silenzio della parte contumace non è perciò soggetto a valutazione, non rende, cioè, non contestati i fatti costitutivi allegati dall'attore, né altera la ripartizione degli oneri probatori tra le parti. Costituendosi tardivamente il contumace deve accettare il giudizio nello stato in cui si trova, con le preclusioni maturate, ma potrà assumere posizioni di mera negazione dei fatti costitutivi la cui prova gravi sulla controparte. Così, mentre la carenza di legittimazione ad agire, e cioè del diritto di azione, può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d'ufficio dal giudice, la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda, che l'attore ha l'onere di allegare e di provare, e che può tuttavia dirsi provata anche in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora quest'ultimo riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga difese che siano incompatibili con la negazione della titolarità. La difesa con la quale il convenuto si limiti a dedurre (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi) che l'attore non è titolare del diritto azionato, è una mera difesa e non un'eccezione: essa, pertanto, può essere proposta in ogni fase del giudizio e il giudice può rilevare dagli atti la carenza di titolarità del diritto anche d'ufficio. Viene evidenziato, pertanto, come la non contestazione dei fatti principali si atteggia a fenomeno tendenzialmente irreversibile (salva l'eventuale rimessione in termini), soggiacendo agli stessi limiti stabiliti per il potere di allegazione di tali fatti, laddove i fatti secondari non sono contemplati dagli artt. 167, comma 1, in quanto non rientrano nell'esclusiva disponibilità delle parti, sicché la loro omessa contestazione non è non vincolanti per il giudice, ma apprezzabili come argomento di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2 (Battaglia, Sull'onere del convenuto di “prendere posizione” in ordine ai fatti posti a fondamento della domanda (Riflessioni sull'onere della prova), in Riv. dir. proc. 2009, 6, 212). Il principio di non contestazione vive in simbiosi con il principio di preclusione, pur essendo diretti il primo a selezionare i fatti sottoposti all'onere probatorio ed il secondo, invece, a selezionare i residue poteri spettanti in giudizio alle parti. Invero, l'art. 115 non individua i limiti temporali della contestazione, mentre l'art. 167 (e l'art. 416) guarda per il convenuto al primo atto difensivo. Si registra un orientamento giurisprudenziale che «cristallizza» la non contestazione ed esclude la possibilità di contestazioni tardive (ad eccezione che nel caso previsto dall'art. 153 (Frus, 2015, 65). Controversa è altresì la reversibilità della non contestazione, con riguardo all'ipotesi in cui il fatto non contestato risulti poi smentito da una prova comunque raccolta nel processo (della Pietra, 2020, 1173). Si conclude, così, che «in un sistema processuale improntato alla tecnica della preclusione, il fatto non contestato, prima ancora di rilevare come dato storico ammesso su cui il giudice è abilitato a fondare la decisione, diviene costituto processuale e non può essere nuovamente posto in dubbio attraverso l'esercizio dello jus poenitendi (che sia occasionato dall'esito sfavorevole del primo grado e dalla necessità di contrastare la sentenza che s'intende impugnare, o più semplicemente dal mutamento di difensore in corso di causa)» (Cass. II, n. 26859/2013). Le attività a pena di decadenzaNel comma 2 dell'art. 167 sono elencate le attività che il convenuto deve esplicare necessariamente nella comparsa di risposta, da depositare nel termine di cui all'art. 166 a pena di decadenza, nel senso che restano precluse al convenuto in ipotesi di sua costituzione tardiva, pur ammessa dall'art. 171 quanto l'attore abbia invece rispettato il termine ex art. 165. Esse sono, in particolare, le domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. Il comma 3 dell'art. 167 vi aggiunge l'istanza di chiamata in causa di un terzo (art. 269, comma 2). La sanzione della decadenza, che l'art. 167, comma 2, contempla per l'inosservanza dell'onere di proporre la domanda riconvenzionale e le eccezioni in senso stretto con la comparsa di costituzione, è ispirato alla ratio di garantire la celerità e la concentrazione dei procedimenti civili, e perciò la relativa violazione viene considerata pregiudizievole non di un mero interesse privato, ma dell'interesse pubblico a scongiurare il protrarsi dei tempi del procedimento, essendo le preclusioni ispirate ad esigenza di ordine pubblico processuale, e come tale è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in sede di impugnazione, a meno che sulla tempestività della proposizione della domanda non si sia formato un giudicato sia pure implicito (Cass. II, n. 4901/2007; Cass. II, n. 19453/2005; Cass. II, n. 25598/2011). Domande riconvenzionali I limiti oggettivi del giudizio possono estendersi oltre la causa petendi ed il petitum della domanda originaria sia quando la domanda riconvenzionale o l'eccezione del convenuto amplii l'oggetto del giudizio, sia quando una situazione giuridica sia comune a più cause tra le medesime parti, sicché la soluzione delle questioni di fatto o di diritto ad essa relative in una delle cause faccia stato nelle altre in cui quella rilevi (Cass. III, n. 5245/2014). La domanda riconvenzionale consiste in un'istanza del convenuto con la quale venga richiesto non soltanto il rigetto della domanda avversaria (per il che basterebbe una semplice eccezione, la quale comunque deduce fatti modificativi, estintivi o impeditivi, che potrebbero costituire oggetto di autonoma domanda in un separato giudizio), ma anche un'ulteriore declaratoria volta al mutamento della situazione precedente, ovvero una controdomanda, legata da rapporto di occasionalità con la pretesa principale attorea, con cui si aspira all'ottenimento di un provvedimento positivo per il convenuto (Cass. III, n. 4233/2012). In particolare, con l'eccezione riconvenzionale sono introdotte richieste che, restando nell'ambito della difesa, ampliano il tema della controversia, ma al solo fine di conseguire la reiezione della domanda, dato che al diritto fatto valere dall'attore viene opposto un diritto idoneo a paralizzarlo, mentre con la vera e propria domanda riconvenzionale il convenuto, traendo occasione da quella avanzata nei suoi confronti, chiede un provvedimento giudiziale a sé favorevole, che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale (Cass. III, n. 14852/2013; Cass. III, n. 64/2012; Cass. III, n. 16314/2007). Per la proposizione di un'eccezione sostanziale riconvenzionale, qual è quella di usucapione, non si richiede che la parte impieghi formule sacramentali, ma è sufficiente qualsiasi deduzione, anche implicita, che riveli l'intento del deducente di paralizzare la domanda avversaria, dimostrando, nella specie, il possesso ultraventennale del bene controverso (ad esempio Cass. II, n. 8225/2004; Cass. II, n. 6400/1984). Ove però si tratti di un condividente convenuto in un giudizio di scioglimento di comunione, per ravvisare l'opposizione in via di eccezione dell'usucapione di un bene, sia pur rivolta al limitato fine di far valere un evento estintivo del diritto di divisione, e, quindi, di ottenere il rigetto della domanda avversa, occorre quanto meno che sia rinvenibile una pretesa di esclusione di quel bene dalla massa da dividere per esserne divenuto il medesimo convenuto esclusivo proprietario per effetto della possessio ad usucapionem (Cass. II, n. 254/1983; Cass. II, n. 4001/1974; Cass. II, n. 2951/2018). Peraltro, la decadenza dalla proposizione di domanda riconvenzionale, per inosservanza del termine stabilito dall'art. 166, non impedisce al giudice di attribuire a l fatto integratore della stessa il valore di semplice eccezione, quale fatto impeditivo, estintivo o modificativo del fatto costitutivo della pretesa dell'attore, ai fini della decisione sulla domanda principale, sempre che la costituzione sia comunque avvenuta nel termine utile per proporre le eccezioni (Cass. II, n. 10206/2015; Cass. III, n. 21472/2016; Cass. III, n. 11679/2014). Nel caso in cui l'attore abbia ottenuto in primo grado il rigetto nel merito dell'avversa domanda riconvenzionale, sulla cui inammissibilità per tardività, pure eccepita, il giudice non si sia pronunciato, la questione oggetto dell'eccezione pregiudiziale di rito può essere devoluta alla cognizione del giudice di secondo grado solo con le forme e i modi dell'appello incidentale, non essendo all'uopo sufficiente la mera riproposizione dell'eccezione in appello (Cass. II, n. 26850/2022). E' invece inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l'omessa pronuncia del giudice di primo grado su una domanda riconvenzionale avanzata dalla controparte e non riproposta in appello, sotto il profilo che l'eventuale rigetto di essa avrebbe potuto portare ad un possibile diverso e più favorevole regolamento delle spese giudiziali, in quanto tale omessa pronuncia, che non depone per un implicito rigetto, comunque non incide sulla soccombenza dell'attore e non gli arreca alcun concreto pregiudizio, né l'acquiescenza prestata dal convenuto alla sentenza di primo grado può qualificarsi come espressa rinuncia agli effetti di cui all'art. 306, comma 4 (Cass. VI-2, n. 33751/2022). In ipotesi di proposizione di domanda riconvenzionale di un convenuto nei confronti di altro convenuto, non è necessaria la notificazione di un atto di citazione, né si impone lo spostamento della prima udienza previsto per la chiamata in causa di un terzo, , ma è sufficiente che proponga la suddetta domanda nei termini e con le forme stabilite per la domanda riconvenzionale (Cass. III, n. 5073/1999 ; Cass. II, n. 6846/2017; ; Cass. VI-3, n. 9441/2022). Ciò significa che, al pari dell’attore ed a differenza del terzo chiamato, il « convenuto principale », a sua volta « convenuto in riconvenzionale trasversale », ha soli trenta giorni (quelli che intercorrono tra il termine ex artt. 166 e 167 per la proposizione della riconvenzionale, e la scadenza del primo termine ex art. 171-ter) per domandare ed eccepire conseguentemente. A questa lettura si oppone altra, secondo cui la riconvenzionale trasversale rivolta da un convenuto verso altro postula l’istanza di differimento della prima udienza avanzata nella comparsa di risposta tempestivamente depositata e la successiva notifica della citazione nell’osservanza dei termini di rito (Cass. I, n. 12662/2021). La nullità della domanda riconvenzionale (che può attenere unicamente alla editio actionis, essendo essa priva della vocatio in ius), può essere sanata mediante memoria integrativa, che contenga gli elementi carenti, operando tale sanatoria, come per la citazione, con efficacia ex nunc (Luiso, 2015, 22). Eccezioni non rilevabili d'ufficio La distinzione tra le eccezioni in senso stretto (o in senso proprio) e le eccezioni in senso lato, come tali rilevabili anche di ufficio, si è consolidata in giurisprudenza (a far tempo da Cass. S.U., n. 1099/1998), la quale ha oramai abbandonato il criterio dirimente fondato sulla meccanica contrapposizione tra eccezione, intesa come fatto idoneo ad impedire gli effetti tipici di quello costitutivo, e mera difesa, consistente, piuttosto, nella negazione del diritto azionato, ovvero nella contestazione del fatto costitutivo della domanda, o dell'esistenza della norma, o della sua applicabilità al caso concreto. Si ritengono, allora, eccezioni in senso stretto, in quanto tali sottratte al rilievo officioso, quelle poste da fattispecie in cui la manifestazione della volontà della parte sia elevata ad elemento integrativo dell'eccezione (corrispondenti, perciò, alla titolarità di un'azione costitutiva), ovvero discendenti da specifiche disposizioni che prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte: solo con riguardo a tali ipotesi il potere di rilevazione spetta esclusivamente alla parte e soggiace, quindi alla preclusione di cui al comma 2 dell'art. 167. In questi casi, il legislatore costruisce la vicenda normativa in modo tale che la presenza di determinati fatti non abbia ex se efficacia modificativa, impeditiva o estintiva, ma la consegua per il tramite, appunto di una dichiarazione di volontà dell'interessato, in via automatica oppure a seguito di apposito accertamento giudiziale. In ogni altro caso, vige il principio generale della rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. III, n. 13335/2015; Cass. III, n. 18602/2013; Cass. III, n. 24680/2009). Si dice, al riguardo, che la rilevabilità d'ufficio delle eccezioni in senso lato è posta in funzione di una concezione del processo orientata dal valore della giustizia della decisione; e che, rispetto a questo valore, le preclusioni operano su altro piano, in quanto essenzialmente criterio d'ordine, tecnica per regolare il procedimento, ovvero meccanismo per disciplinare l'attività delle parti. Se, così, non si mantenesse il distinguo circa i tempi e le modalità del rilievo, poco senso avrebbe ancora distinguere tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato, sicché queste ultime non possono essere sottoposte ai limiti del regime delle preclusioni istruttorie (Cass. S.U., n. 10531/2013). Il potere-dovere del rilievo d'ufficio delle eccezioni in senso lato non può dirsi, pertanto, subordinato alla posizione difensiva assunta dal convenuto rispetto alla domanda, ovvero alla verifica della proposizione, ad opera della parte legittimata a contraddire, di contestazioni specifiche, rimanendo altrimenti vanificata, pur in difetto di un esclusivo diritto potestativo dei contendenti in ordine alla definizione del tema di lite, la finalità primaria del processo costituita dalla giustizia della decisione (così di recente, in tema di eccezione di inopponibilità di un atto per mancata trascrizione, Cass. II, n. 6769/2018). Si osserva come la giurisprudenza abbia dovuto adottare una regola “semplificante” nel tracciare una distinzione netta tra eccezioni in senso stretto e eccezioni in senso lato soltanto dopo che, con la Riforma del processo di cognizione del 1990, è stato notevolmente differenziato il rispettivo meccanismo di rilevabilità delle une e delle altre: tale regola conclude che, mancando un criterio che possa far leva sulla diversità contenutistica delle due specie, l'eccezione, in assenza di espressa previsione di legge, va ritenuta sempre rilevabile d'ufficio, dovendosi intendere l'art. 112, nella parte in cui allude ad eccezioni riservate alla parte, quale norma di rinvio alle disposizioni che prevedono caso per caso l'indispensabile iniziativa della parte (Merlin, Eccezioni rilevabili d'ufficio e sistema delle preclusioni in appello, in Riv. dir. proc. 2015, 2, 299 ss.). Giova osservare che la rilevabilità d'ufficio delle eccezioni in senso lato (ad esclusione di quelle che coinvolgono un interesse pubblico processuale, per questo rilevabili addirittura in ogni stato e grado del processo, come l'eccezione di giudicato) rimane condizionata al rispetto del principio dispositivo e del contraddittorio, sicché esse possono esser poste dal giudice a base della sua decisione unicamente se attengono a fatti tempestivamente allegati dalle parti (e dunque dedotti al massimo entro il termine ultimo entro cui si definisce il thema decidendum ed il thema probandum, coincidente al più con le memorie di cui al comma 6, nn. 1 e 2, dell'art. 183). Esemplificativamente, costituiscono quindi eccezioni rilevabili d'ufficio: l'eccezione di giudicato esterno; l'eccezione di avvenuto pagamento; l'eccezione di interruzione o di sospensione della prescrizione; la risoluzione consensuale del contratto; il concorso del fatto colposo del creditore o del danneggiato; l'eccezione di novazione; l'eccezione di compensazione; la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento; la cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione; l'intervenuta riconciliazione dei coniugi nel giudizio di separazione. Costituiscono, per contro, eccezioni in senso stretto (soggette alla decadenza di cui all'art. 167, comma 2): l'eccezione di prescrizione; l'eccezione di decadenza; l'eccezione di inadempimento; l'eccezione di annullabilità del contratto; l'eccezione di presupposizione ; l ' eccezione di risoluzione del contratto per avveramento della condizione. Le decadenze processuali eventualmente verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l'introduzione di un secondo giudizio che sia volto a superare le stesse decadenze; sicché, operata la riunione delle due cause, ai sensi degli artt. 273 e 274 , il giudice - in osservanza del principio del ne bis in idem e allo scopo di non favorire l'abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni - deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base alle domande ed eccezioni ivi tempestivamente formulate e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l'eventualità che, ove tale causa non conduca ad una pronuncia sul merito che faccia giudicato sul dedotto e deducibile, venga poi meno l'impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata (Cass. II, n. 22342/2019; Cass. II, n. 23648/2018; Cass. I, n. 567/2015; Cass. III, n. 5894/2006). La tardività di un'eccezione ex art. 167 c.p.c. sollevata in primo grado non può essere rilevata d'ufficio in sede di gravame (Cass. III, n. 6762/2021). L'eventuale tempestività di un'eccezione non rilevabile d'ufficio, formulata nell'ambito di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, non ha effetto nel giudizio di merito poi instaurato, non costituendo, quest'ultimo, una riassunzione del primo; ne consegue che il termine decadenziale prescritto dall'art. 166 opera comunque, ancorché la medesima eccezione sia stata proposta nella fase cautelare preventiva (Cass. II, n. 24490/2022) Chiamata in causa di un terzo Il convenuto per poter legittimamente formulare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 167, comma 3, e 269, l'istanza di chiamata in causa di un terzo, deve necessariamente costituirsi tempestivamente, ovvero nel rispetto del termine fissato dall'art. 166; in caso di tardività della costituzione, ne consegue la declaratoria di inammissibilità della richiesta (Cass. II, n. 12490/2007). Proprio dall'art. 269, comma 2, si ricava che il convenuto, il quale intenda chiamare in giudizio un terzo, ha l'onere di inserire nella comparsa di risposta, depositata a norma dell'art. 166, sia la formulazione della chiamata che l'istanza di spostamento della prima udienza, sicché incorre nella decadenza prevista dalla medesima di disposizione anche quando provveda solo al primo di tali adempimenti, ma non al secondo (Cass. III, n. 3692/2020; Cass. VI, n. 10579/2013). Peraltro, il terzo chiamato in causa su istanza di parte non può eccepire l'irritualità della chiamata per mancata osservanza delle prescrizioni stabilite dall'art. 269, comma 2, atteso che il suo interesse a far valere questioni relative al rapporto processuale originario è correlato esclusivamente alla correttezza della decisione in merito o in rito su di esso e non anche alla ritualità della chiamata in giudizio (Cass. II, n. 10382/2018; Cass. VI, n. 10579/2013 ). La giurisprudenza, a seguito diCass. S.U., n. 4309/2010, a proposito dell'applicazione dell'art. 269 comma 2, come riformulato dalla l. n. 353/1990, ha affermato che, al di fuori delle situazioni di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 (ipotesi in cui, ben vero, è il giudice stesso a dover ordinare d'ufficio entro un termine perentorio la chiamata del litisconsorte pretermesso), è discrezionale il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova prima udienza per la chiamata del terzo, come già affermato in rapporto all'art. 420 comma 9. Ad avviso delle Sezioni Unite, il novellato art. 269 è stato introdotto per porre un termine perentorio di ammissibilità alla richiesta di chiamata del terzo da parte del convenuto, restando ferma la natura di regola facoltativa del litisconsorzio nelle obbligazioni solidali e mancando l'esigenza di trattare unitariamente le domande di condanna introduttive della causa con quelle di manleva dei convenuti, con conseguente separabilità dei due processi. Così, il giudice cui sia tempestivamente richiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo, intrinseci ad ogni sua scelta (cfr. più di recente Cass. III, n. 9570/2015). La soluzione adottata da Cass. S.U., n. 4309/2010, in ordine alla chiamata del terzo su istanza del convenuto, andrebbe rimeditata applicativamente, considerando come la decisione di denegare lo spostamento della prima udienza per consentire la citazione del terzo, e dunque di comprimere l'aspirazione del convenuto a realizzare nello stesso processo il litisconsorzio facoltativo con il soggetto da cui intende essere garantito, possa collidere con l'obiettivo della armonizzazione delle decisioni, nonché con la medesima ratio (invocata dalle Sezioni Unite a sostegno della propria tesi) di economia processuale, impedendo la trattazione unitaria della causa principale e della causa di garanzia e generando una duplicazione di procedure, di istruzioni e di pronunce su un fatto storico pressoché identico. Soprattutto, sarebbe da considerare quale ricaduta abbia l'interpretazione del comma 2 dell'art. 269 offerta da Cass. S.U., n. 4309/2010 sul principio, di pari rango costituzionale, della parità di condizioni fra le parti del processo. Tale principio si sostanzia nella garanzia che ogni parte possa fruire di poteri aventi funzione e contenuti equivalenti a quelli attribuiti all'altra parte; si insegna che il canone della parità delle armi rappresenta l'ipostatizzazione sul piano processuale del principio di eguaglianza formale ex art. 3 Cost., sicché esso è identicamente esposto soltanto a quelle stesse limitazioni tollerate da quest'ultimo. La tutela della parità delle armi deve significare eguale possibilità per le parti di disporre simmetricamente dei medesimi mezzi di difesa che la legge mette a loro disposizione nel corso dell'intero processo. Occorre richiamare l'insegnamento reso da Corte cost., 3 aprile 1997, n. 80, che aveva dichiarato infondata la q.l.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 269 comma 2, proprio nella parte in cui esso non prevede che la chiamata in causa di un terzo ad opera del convenuto sia autorizzata dal giudice istruttore. Secondo la Corte costituzionale, la forma stessa di decreto, che caratterizza il provvedimento con cui il giudice istruttore, senza necessità di contraddittorio con l'attore, fissa la data della nuova udienza per la citazione del terzo richiesta dal convenuto, dimostrerebbe appunto che in questo momento non potrebbe essere esercitato alcun potere valutativo intorno all'esistenza dei presupposti della chiamata in causa. Tuttavia, per la Corte Costituzionale, la previsione dell'insindacabile facoltà per il convenuto, all'atto della sua prima difesa, di estendere l'ambito soggettivo del processo, non sarebbe affatto priva di ragionevolezza, «ove si consideri che l'attore per primo ha facoltà di convenire in giudizio qualunque soggetto, senza limitazioni di sorta e senza necessità, ovviamente, di autorizzazione alcuna. Per verificare che sia garantita alle parti un'identità di trattamento, la comparazione dei poteri ad esse attribuiti deve essere eseguita con riferimento ad uno stesso momento processuale, il quale, nella fattispecie, è da individuarsi nell'atto in cui ciascuna parte espone introduttivamente le proprie ragioni: in questo momento le parti devono essere poste in grado di compiere le medesime attività con eguali poteri. Ed in effetti, nell'indicato momento, la posizione dell'attore, che può liberamente scegliere i soggetti da convenire in giudizio, è del tutto corrispondente a quella del convenuto, cui è esattamente e correlativamente riconosciuta la facoltà di chiamare in causa qualsivoglia terzo, al quale ritenga comune la causa o dal quale pretenda essere garantito». In tal senso, soltanto l'assunto dell'obbligatorietà del differimento della prima udienza, sottintesa nel comma 2 dell'art. 269, varrebbe a porre le parti in una situazione di effettiva perfetta parità, attribuendo loro le medesime facoltà in relazione al medesimo momento processuale, come vieppiù postula il canone costituzionalizzato nel comma 2 dell'art. 111 Cost. In ogni caso, ammesso ormai dalla giurisprudenza un controllo preventivo del giudice sull'istanza di chiamata in causa avanzata dal convenuto (per escludere, ad esempio, quelle chiamate aventi evidenti finalità ostruzionistiche, dilatorie o, peggio ancora, sleali, quale potrebbe essere l'evocazione in lite come terzo di un potenziale testimone indispensabile per l'attore, allo scopo di rendere lo stesso incapace a testimoniare), esso dovrebbe comunque avvenire nel contraddittorio delle parti, e dunque nell'udienza di prima comparizione e trattazione, all'esito della quale potrebbe essere quindi pronunciato il provvedimento autorizzativo della chiamata, con conseguente eventuale rinvio dell'udienza medesima ove sia consentita la citazione del terzo: soluzione questa che darebbe anche un senso ai commi 1 e 2 dell'art. 183, ove è prevista la pronuncia di un provvedimento di fissazione di una nuova udienza di trattazione altresì nel caso, appunto, di cui al comma 3 dell'art. 167, norma la quale di per sé non contempla alcun provvedimento del giudice. Qualora, peraltro, sia stata proposta dal convenuto, ai fini della chiamata in causa di un terzo, tempestiva richiesta di differimento della prima udienza di trattazione, l'eventuale provvedimento di rigetto può essere revocato (anche implicitamente) dallo stesso giudice, sempreché ciò avvenga anteriormente all'esaurimento della fase della prima udienza di trattazione (Cass. III, n. 21462/2016). Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente che intenda chiamare in causa un terzo non può direttamente citarlo per la prima udienza, ma deve chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato, perché in tale giudizio non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti e l'opponente conserva la veste di convenuto anche per quanto riguarda i poteri e le preclusioni processuali, fermo restando che, qualora quest'ultimo, pur avendo citato direttamente il terzo, abbia in via gradata tempestivamente richiesto l'autorizzazione di cui all'art. 269 c.p.c., rimane impedita la decadenza dalla chiamata, la quale deve, anzi, ritenersi implicitamente autorizzata, ove il giudice pronunci nel merito anche nei confronti del terzo (Cass. VI, n. 16336/2020). Eccezione di incompetenza In base all'art. 38, comma 1, secondo il testo sostituito dalla l. n. 69/2009, pure l'eccezione di incompetenza per materia, valore o territorio va proposta nella comparsa di risposta depositata nel termine di cui all'art. 166 (e non più, quindi, direttamente all'udienza di prima comparizione). Il decreto legislativo (d.lgs. n. 164/2024) concernente disposizioni integrative e correttive al d.lgs. n. 149/2022, recante attuazione della l. n. 206/2021, ha invece stabilito che il potere di rilevazione ufficioso della incompetenza per materia, valore o territoriale inderogabile dev'essere esercitato necessariamente dal giudice con il decreto previsto dall’art. 171-bis o, nei procedimenti ai quali non si applica l’art. 171-bis, non oltre la prima udienza, restando, in mancanza, la competenza radicata avanti al giudice adito (Cass. VI, n. 3537/2014; Cass. VI-3, n. 6734/2018). In particolare, ove si faccia questione di competenza territoriale derogabile, l'eccezione si ha per non proposta, se non se non accompagnata dall'indicazione completa, a pena di decadenza, sempre all'interno della comparsa di risposta tempestiva, di tutti i fori concorrenti, con specifica individuazione, in relazione ai diversi criteri di collegamento, di quale sia il giudice che il convenuto ritenga competente (Cass. VI, n. 17020/2011). BibliografiaBiavati, La riforma del processo civile: motivazioni e limiti, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2022, 45 ss.; B. Capponi, Note sulla fase introduttiva del nuovo rito ordinario di cognizione, in Giustiziacivile.com, 5 gennaio 2023; De Santis, La redazione degli atti difensivi ai tempi del processo civile telematico: sinteticità e chiarezza, in Giusto proc. civ., 2017, 749 ss.; Dondi, Obiettivi e risultati della recente riforma del processo civile. La disciplina della cognizione a una prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 927 ss.; Panzarola, Sul (presunto) principio di sinteticità nella redazione degli atti processuali civili, in Giusto proc. civ., 2018, 69 ss.; Punzi, Sul processo civile telematico, in Riv. dir. proc., 2022, 1, 1 ss.; Raiti, Il principio di sinteticità e di chiarezza del ricorso per cassazione secondo la legge delega sulla Riforma del processo, in Riv. dir. proc., 2022, 3, 1027 ss.; Tedoldi, Il processo civile telematico tra logos e techne, in Riv. dir. proc., 2021, 3, 843 ss.; Tombolini, Note «a caldo» sulla nuova legge delega di riforma della giustizia civile: le modifiche al giudizio di primo grado, in Judicium, 15 dicembre 2021. |