Codice di Procedura Civile art. 280 - Contenuto e disciplina dell'ordinanza del collegio 1.Contenuto e disciplina dell'ordinanza del collegio 1. [I]. Con la sua ordinanza [279 1] il collegio fissa l'udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice istruttore o davanti a sé nel caso previsto nell'articolo seguente. [II]. Il cancelliere inserisce l'ordinanza nel fascicolo di ufficio e ne dà tempestiva comunicazione alle parti a norma dell'articolo 176, secondo comma. [III]. Per effetto dell'ordinanza il giudice istruttore è investito di tutti i poteri per l'ulteriore trattazione della causa [175 ss., 356 2].
[1] Articolo così sostituito dall'art. 24 l. 14 luglio 1950, n. 581. Inquadramento.L’art. 280 dispone in ordine ai provvedimenti consequenziali che devono essere inseriti nell’ordinanza che rimette la causa in istruzione per la prosecuzione del giudizio. Rimessione in istruttoria: poteri del giudice e poteri delle partiL’ordinanza collegiale che, per qualsiasi ragione, rimetta la causa dinnanzi all’istruttore provoca la riapertura della fase di trattazione, nella quale alle parti sono fatte salve, senza limitazioni, tutte le facoltà di cui esse possono normalmente avvalersi in tale fase, ai sensi dell’art. 183 (Cass. II, n. 13630/2010). Allo stesso tempo, l’ordinanza di rimessione della causa dal collegio ha l’effetto di far tornare il procedimento nel pieno dominio del giudice istruttore, il quale non rimane limitato dalle indicazioni contenute nell’ordinanza stessa, ed esercita anzi tutti i poteri per l’ulteriore trattazione della causa. Peraltro, a norma del combinato disposto dell’art. 280 e dell’art. 281, quando il collegio dispone la riassunzione davanti a sé di uno o più mezzi di prova, fissa la relativa udienza per la comparizione delle parti; in ogni altro caso in cui l’istruzione della causa debba proseguire, il collegio fissa l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice istruttore. Allorché l’ordinanza pronunciata dal collegio non contenga la fissazione dell’udienza successiva, a tale omissione dovrebbe porsi rimedio mediante infrazione a norma dell’art. 289. In giurisprudenza si è peraltro sostenuto che qualora il giudice, pronunciando sentenza non definitiva, trascuri del tutto di emanare separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio, non troverebbe applicazione l’art. 289, sicché il prosieguo del processo resta rimesso all’adempimento da parte del giudice dei suoi doveri istituzionali, mentre la parte interessata può comunque sperimentare un atto di riassunzione per riattivare il contraddittorio e ottenere l’emissione del provvedimento istruttorio omesso. Va infine qui ricordato l’art. 187, comma 4, secondo cui, qualora il collegio provveda a norma dell’art. 279, comma 2, numero 4), i termini di cui all’art. 183, comma 6, non concessi prima della rimessione al collegio, sono assegnati dal giudice istruttore, su istanza di parte, nella prima udienza dinanzi a lui. Il medesimo art. 187 dispone invero che il giudice istruttore, se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno dell’assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio; analogamente provvede se sceglie che sia immediatamente decisa una questione preliminare di merito o una questione pregiudiziale di rito, che possa definire il giudizio. Ciò può avvenire anche già nell’udienza destinata alla prima comparizione delle parti (art. 80-bis disp. att.), senza che questo configuri automaticamente una lesione del diritto di difesa. La rimessione immediata al collegio non comporta in ogni caso per le parti la perdita del diritto a precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni già formulate, né del diritto ad indicare mezzi di prova o ad effettuare produzioni documentali, proprio perché il ricordato art. 187, comma 4, prevede che, qualora risulti necessario procedere all’ulteriore trattazione ed istruzione della causa, siano poi concessi i termini perentori di maturazione delle preclusioni assertive e probatorie in precedenza vanamente richiesti. Se, così, la prospettata assorbente questione preliminare o pregiudiziale risulti infondata, il giudice dispone l’ulteriore corso della causa, concedendo i richiesti termini per l’appendice scritta della trattazione. È quindi consigliabile ai difensori di richiedere comunque la concessione dei termini di cui all’art. 183, comma 6, anche quando il giudice proceda immediatamente alla prima udienza a far precisare le conclusioni, in maniera da scongiurare, in ipotesi di rimessione sul ruolo della causa, una dichiarazione di decadenza dalla corrispondente facoltà processuale. BibliografiaBiavati, Appunti sulla struttura della decisione e l'ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 2009, 1301; Bove, Sentenze non definitive e riserva d'impugnazione, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 1998, 415; Califano, Le Sezioni unite civili ripropongono l'indirizzo formale in tema di sentenze non definitive su una fra più domande cumulate nel medesimo processo, in Giust. CIV. 2000, 1, 63; Damiani, La precisazione delle conclusioni e il “collo di bottiglia” nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 2005, 1313; Menichelli, La sospensione del giudizio di primo grado a seguito d'appello immediato avverso sentenza non definitive, in Giust. CIV. 2005, 1, 230; Merlin, Condanna generica e opposizione del convenuto alla liquidazione del quantum in separato giudizio, in Riv. dir. proc. 1987, 207; Prendini, Osservazioni in tema di condanna generica e poteri del giudice, in Resp. CIV. prev. 2000, 968; Proto Pisani, In tema di condanna generica e precisazioni delle conclusioni, in Foro it. 1986, I, 1533; Scarselli, Considerazioni sulla condanna generica (nella evoluzione giurisprudenziale e dopo la riforma), in Corr. giur. 1998, 714; Vitale, Condanna generica e separazione dei giudizi, in Giust. CIV. 1999, 4, 1095. |