Codice di Procedura Civile art. 340 - Riserva facoltativa d'appello contro sentenze non definitive (1).

Mauro Di Marzio

Riserva facoltativa d'appello contro sentenze non definitive (1).

[I]. Contro le sentenze previste dall'articolo 278 e dal numero 4 del secondo comma dell'articolo 279, l'appello può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza dinanzi al giudice istruttore successiva alla comunicazione della sentenza stessa [361, 709-bis; 129 att.].

[II]. Quando sia stata fatta la riserva di cui al precedente comma, l'appello deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio o con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro altra sentenza successiva che non definisca il giudizio [279 2 n. 4].

[III]. La riserva non può più farsi, e se già fatta rimane priva di effetto, quando contro la stessa sentenza da alcuna delle altre parti sia proposto immediatamente appello.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 35 l. 14 luglio 1950, n. 581.

Inquadramento

La disposizione in commento, nell'attuale versione derivante dalla riforma del 1950, dà al soccombente la facoltà di scelta (in precedenza la riserva era necessaria) tra l'impugnazione immediata (entro il consueto termine breve o lungo ex artt. 325 e 327) e l'impugnazione differita, in questo secondo caso previa riserva, delle sentenze non definitive.

In particolare, se è fatta riserva d'appello, esso può essere proposto: i) assieme all'appello contro la sentenza definitiva del giudizio; ii) assieme all'appello proposto contro una successiva sentenza non definitiva (Bove, 1998, 423; Cerino Canova, 1985, 811).

Il carattere meramente facoltativo della riserva, cui corrisponde la facoltà speculare di impugnazione delle sentenze non definitive mediante appello, ha fatto venir meno il principio di integrità oggettiva del processo di impugnazione: l'esercizio della facoltà di appello immediato contro la sentenza non definitiva determina infatti la simultanea pendenza dinanzi al giudice di primo e secondo grado concernenti la stessa domanda giudiziale. Il processo di primo grado, in particolare, prosegue in vista della definizione di tutto quanto rimanga ancora da decidere; il processo di appello si svolge sulla sentenza non definitiva impugnata, sicché il giudice di appello non può pronunciare sulle questioni che il primo giudice non abbia deciso con la sentenza non definitiva, ma abbia riservato di decidere (Cass. n. 7666/1994; Cass. n. 11748/2003).

L'istituto della riserva di impugnazione, disciplinato per l'appello dalla norma in commento e per il ricorso per cassazione dall'art. 361, non trova invece applicazione per gli altri mezzi di impugnazione (Cass. n. 1989/1970; Cass. n. 4049/1993). Detto istituto, che si applica anche nel rito del lavoro (Cass. n. 19036/2006), è invece incompatibile con la disciplina dell'impugnazione del lodo arbitrale, sicché il lodo arbitrale non definitivo va necessariamente impugnato unitamente al lodo definitivo (Cass. n. 5311/1983; Cass. n. 2444/2006). La materia è oggi regolata dall’art. 827, al cui commento si rinvia, secondo cui il lodo che decide parzialmente il merito della controversia è immediatamente impugnabile, ma il lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo.).

La nozione di «sentenza non definitiva»

Sono sentenze non definitive, secondo la previsione espressa della norma in commento, quelle contemplate: i) dall'art. 278, comma 1, ossia le sentenze di condanna generica, con le quali il giudice si limita all'accertamento dell'esistenza del diritto, e cioè alla pronuncia sull'an, impartendo con separata ordinanza le disposizioni necessarie alla prosecuzione del giudizio per i fini della determinazione del quantum; naturalmente non ricorre un'ipotesi di sentenza non definitiva nel caso che essa chiuda il giudizio in atto, rimettendo la determinazione del quantum ad un successivo separato giudizio; ii) dall'art. 278, comma 2, ossia le sentenze con cui il giudice, oltre a pronunciare sull'an, condanna altresì ad una provvisionale la parte tenuta, impartendo, come nel caso precedente, le disposizioni per la prosecuzione del giudizio; iii) dall'art. 279, comma 2, n. 4, ossia le sentenze con cui il giudice, senza definire il giudizio, decide questioni di giurisdizione o di competenza, ovvero questioni pregiudiziali o preliminari di merito, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.

L'istituto della riserva di appello, nell'elaborazione giurisprudenziale, ha trovato tuttavia applicazione, nonostante la formulazione della norma, anche al di fuori dello stretto campo di applicazione cui l'art. 340 si riferisce. La S.C. ha qualificato come non definitive, a determinate condizioni, le sentenze rese in una pluralità di situazioni in cui, a fronte del cumularsi più domande, sotto forma di cumulo soggettivo od oggettivo, ab origine o per effetto di eventi sopravvenuti nel corso del processo, solo una o alcune di esse vengono decise, con conseguente prosecuzione del processo avente ad oggetto le domande non ancora decise. Occorre in particolare richiamare:

a) la previsione dell'art. 277, comma 2, il quale consente al giudice di limitare la decisione ad alcune delle domande proposte, sulla considerazione che per esse soltanto non è necessaria un'ulteriore istruzione, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio;

b) la previsione dell'art. 279, comma 2, n. 5, in forza del quale il giudice, avvalendosi della facoltà prevista negli artt. 103 e  art. 104 decide con sentenza solo alcune della cause riunite, disponendo con separata ordinanza la separazione delle altre e la loro ulteriore istruzione.

Il problema nasce dalla novella del 1950 che, pur non essendo intervenuta sull'art. 277, ha modificato il testo degli artt. 103, 104, 279, 340 e 361, introducendo (a fronte del principio precedentemente accolto di concentrazione dell'impugnazione) la facoltà di scelta fra impugnazione immediata e impugnazione differita tramite riserva per le sentenze non definitive.

In tal modo la novella ha dato luogo ad un difetto di coordinamento dal quale è scaturita una «querelle interminabile» (Cea, 1993, 480).

Difatti, mentre il comma 1 dell'art. 277 afferma il principio dell'unicità della decisione, in forza del quale il giudice, investito della causa, deve decidere totalmente il merito, il comma 2 della stessa disposizione pone un'eccezione al principio, così da renderlo non assoluto ma soltanto tendenziale: tale comma 2, infatti, consente al giudice di decidere solo una o alcune di una pluralità di domande cumulate, se ritiene che per esse non sia necessaria un'ulteriore istruzione e se riconosce che ciò corrisponde ad un apprezzabile interesse della parte istante.

Ebbene, all'esito della novella del 1950 è sorto il dubbio se le pronunce su alcune tra le altre domande cumulate ai sensi dell'art. 277, comma 2, appena ricordato, siano da considerare sempre definitive, e così da ricondurre all'art. 279, comma 2, n. 5, o se invece siano da considerare sentenze non definitive e quindi da inquadrare nella previsione dell'art. 279, comma 2, n. 4. Vale infatti osservare che l'art. 279, comma 2, n. 5, disciplina le sentenze definitive (come tali suscettibili della sola impugnazione immediata) su alcune delle più cause riunite, con simultaneo provvedimento di separazione e conseguente proseguimento dell'istruzione per le altre cause; viceversa il n. 4 dello stesso art. 279, comma 2, contempla il caso delle sentenze non definitive che non definiscono il giudizio, ma decidono alcune delle questioni di cui ai nn. 1, 2 e 3 (questioni di giurisdizione o di competenza, questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, altre questioni di merito). Tali sentenze, proprio perché non definitive, sono impugnabili non soltanto in via immediata, ma, dopo la novella dell'art. 340, risalente come si è detto al radicale intervento riformatore del 1950, anche in via differita, previa riserva di appello.

In particolare, non si dubita della natura non definitiva delle sentenze su questioni di giurisdizione o di competenza (art. 279, comma 2, n. 1) e su altre questioni pregiudiziali di rito o su questioni preliminari di merito (art. 279, comma 2, n. 2). Si discute, invece, del rinvio del n. 4 dell'art. 279 («quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa ») al n. 3 dello stesso art. 279 («quando definisce il giudizio, decidendo totalmente il merito»). Detto rinvio, infatti, lascia supporre che il n. 4 intenda riferirsi a quelle questioni di merito che possono costituire oggetto di autonomo giudizio: sicché sorge il quesito se il menzionato rinvio abbia il senso di ricomprendere tra le sentenze non definitive anche le sentenze su domande, così da ricondurre la fattispecie dell'art. 277, comma 2, al citato n. 4, oppure se le sentenze su domande debbano essere sempre considerate definitive, così inquadrando l'art. 277, comma 2, entro il n. 5 dell'art. 279.

Sull'argomento si fronteggiano due orientamenti, spesso qualificati l'uno come sostanziale» o «sostanzialista», l'altro come «formale» o «formalista» (Cea, 1993, 480; Cea, 1987, 145; Carbone, 1990, 705; Fabiani, 1997, 2147; Montesano, 1985, 3132; Montesano, 1986, 2371; Cerino Canova, 1971, 426; per l'orientamento «sostanziale» v. Denti, 1970, 560).

Secondo l'orientamento «sostanzialista» la definitività della sentenza discende dal suo contenuto, sicché è definitiva la sentenza che, accogliendo o respingendo la domanda, decide in modo autosufficiente e completo una tra più domande cumulate, senza che abbia rilievo la formale pronuncia di un provvedimento di separazione o di una pronuncia sulle spese. Secondo l'orientamento «formalista», invece, la sentenza, indipendentemente dal suo contenuto, è nel caso considerato definitiva se il giudice ha disposto la separazione di una causa dalle altre ed ha provveduto sulle spese.

Nella materia sono intervenute una prima volta le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 1577/1990) le quali, rilevata la contrapposizione tra le due concezioni, l'una «sostanziale» e l'altra «formale», hanno evidenziato come l'orientamento sostanziale trovasse appoggio sul rilievo che l'art. 279, comma 2, n. 4, non avrebbe potuto essere applicato alla definizione di una o alcune delle domande cumulate, in modo da ricollegarsi all'art. 277, comma 2, giacché si riferisce a «questioni» e non a domande. Ciò con l'ulteriore conseguenza che, quando il giudice decide solo una parte delle domande cumulate, egli avrebbe esercitato (implicitamente, se non esplicitamente) la potestà di separazione delle cause contemplate dagli artt. 103 e 104. In detta prospettiva l'omessa pronuncia sulle spese sarebbe stata da qualificare come omissione di pronuncia, come tale immediatamente impugnabile.

Inquadrando il problema, le Sezioni Unite, hanno viceversa accolto la tesi «formale» ponendo l'accento sul rilievo che l'uso del termine «questioni» si giustifica con ragioni di armonizzazione con i nn. 1, 2 e 3, cui si riferisce il n. 4, e non si presta a circoscrivere la nozione di «sentenza non definitiva», giacché «la funzione dell'art. 279 è consistita esclusivamente nel sancire le forme dei provvedimento del collegio: ordinanze, sentenza non definitiva e sentenza definitiva». Ma, al di là del dato meramente letterale, è da credere che la ragione che ha fatto preferire l'orientamento «formale» a quello «sostanziale» consiste in ciò, che il primo ha l'effetto di rendere palese alla parte interessata si debba o meno proporre la riserva d'appello, mentre l'orientamento «sostanziale» determina, o può determinare, incertezza sul regime di impugnazione applicabile.

L'orientamento delle Sezioni Unite non ha però sopito i contrasti. È stato osservato (Cass. n. 7225/1992) che l'adesione all'orientamento finisce per l'avallare il possibile errore del giudice e perfino il suo arbitrio: «una sentenza deve essere considerata definitiva o non definitiva in ragione del suo effettivo contenuto e delle statuizioni adottate in relazione alla prospettazione delle domande e delle eccezioni dibattute nel giudizio». Numerose altre pronunce, in seguito, si sono più o meno consapevolmente discostate dall'insegnamento delle Sezioni Unite.

Ciò ha condotto ad un nuovo intervento delle Sezioni Unite, le quali, ribadendo ed ampliando il precedente indirizzo, hanno affermato il principio secondo cui, in tema di impugnazioni, nella ipotesi di cumulo di domande tra gli stessi soggetti, è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) di dette domande con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ex art. 279, comma 2, n. 5, e senza provvedere sulle spese in ordine alla domanda (o alle domande) così decise, rinviandone la relativa liquidazione all'ulteriore corso del giudizio (Cass. S.U., n. 711/1999). La giurisprudenza successiva risulta essersi uniformata (Cass. n. 16216/2008; Cass. n. 22440/2010; Cass. S.U., n. 9441/2011).

Vale dunque la regola secondo cui è da considerarsi definitiva la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) delle domande o su capi autonomi della domanda, mentre è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza resa su questioni preliminari alla decisione finale e che non contenga quegli elementi formali sulla base dei quali va operata la distinzione, cioè la pronuncia sulle spese o un provvedimento relativo alla separazione dei giudizi (Cass. n. 16289/2019).

Da ultimo si è precisato che, ai fini dell'individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte dalle parti stesse, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa. Qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, in ragione dell'ambiguità derivante dall'irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l'appello in concreto proposto mediante riserva (Cass. S.U., n. 10242/2021).

Resta da precisare che la soluzione adottata concerne il cumulo di domande tra gli stessi soggetti, giacché, in caso di cumulo di domande fra soggetti diversi, le sentenze sono sempre definitive, salvo non ricorra un'ipotesi di «litisconsorzio unitario», ossia di più azioni connesse per identità di petitum e di causa petendi e come tali inseparabili.

Forma della riserva di appello

Legittimato ad appellare, come si è visto nel commento all'art. 339, è il soccombente. Questi è dunque titolare della facoltà di riservare l'appello, differendo in tal modo l'impugnazione. Viceversa, non è configurabile una riserva di appello proveniente da chi, all'esito della sentenza non definitiva, sia risultato integralmente vincitore.

In caso di pluralità di soccombenti la riserva d'appello formulata da uno solo di essi non giova agli altri (Cass. n. 20892/2008).

La parte, la quale abbia formulato la riserva di impugnazione differita di una sentenza non definitiva, non ha l'onere, quando sia sopravvenuta la sentenza definitiva, di impugnare ambedue le sentenze, e ciò sia in ragione della finalità dell'istituto della riserva e dell'impugnazione differita, che è quella di impedire la vanificazione del principio dell'unicità del processo di impugnazione, sia perché gli artt. 340, comma 1, e  361, comma 1, non prevedono alcun criterio di collegamento - formale o sostanziale - tra le diverse impugnazioni, sia, infine, perché risulta dall'art. 129 disp. att. che la caducazione degli effetti procrastinatori della riserva ed il determinarsi del dies a quo per l'impugnazione della sentenza non definitiva, non sono ontologicamente connessi alla pronuncia della sentenza definitiva - e a fortiori alla sua impugnazione -, ma rimangono esclusivamente ancorati al prodursi di un evento cui l'ordinamento giuridico riconduce quegli effetti (Cass. n. 14193/2016).

Quanto alla forma, la riserva di impugnazione non richiede particolari requisiti. Essa deve essere espressa, ma, secondo l'opinione giurisprudenziale prevalente, può essere generica: intendendosi con ciò che la dichiarazione di riservare l'appello, senza ulteriori precisazioni, non può che essere riferita alla sentenza non definitiva pronunciata, anche se non contenga l'esplicita menzione di essa. Dal carattere della genericità va invece tenuto distinto quello della equivocità, il quale ricorre quando la dichiarazione di riserva non consenta di ricostruire la volontà del dichiarante.

La riserva — che non richiede procura speciale apposita e può provenire dal sostituto del difensore — può essere formulata, secondo quanto prescrive l'art. 129 disp. att.: a) all'udienza del giudice istruttore con dichiarazione orale da inserirsi nel processo verbale, o con dichiarazione scritta su foglio a parte da allegarsi al processo verbale; b) con atto notificato ai procuratori della altre parti costituite, a norma dell'art. 170, o personalmente alla parte, in caso di sua contumacia.

Termini della riserva di appello

Il termine per la dichiarazione di riserva di appello sono previsti «a pena di decadenza» e sono come tali da ritenere perentori, perciò soggetti alla disciplina dell'art. 153. Tale termine non può essere dunque in nessun caso prorogato, neppure per accordo delle parti, salvo non ricorrano le condizioni per la dimensione in termini di cui al comma 2 del citato art. 153.

La riserva deve essere fatta nel minor termine, dato il carattere acceleratorio di esso, tra quello per appellare e quello costituito dalla prima udienza (non importa se di trattazione o di mero rinvio) successiva alla comunicazione della sentenza dinanzi al giudice. In altri termini, se la sentenza è notificata in modo da far decorrere il termine breve per l'impugnazione, ex art. 325, e la prima udienza successiva viene a cadere posteriormente allo spirare di tale termine breve, la riserva di appello va fatta entro lo scadere del termine per impugnare, mentre è tardiva, in tal caso, la riserva fatta in udienza. In effetti, la stessa combinazione può in astratto verificarsi anche se la sentenza non è stata notificata, ma in tal caso deve immaginarsi un rinvio ad una prima udienza fissata ad oltre un anno (più la sospensione feriale eventualmente applicabile) dalla pubblicazione della sentenza. Dovrebbe invece normalmente accadere, tanto più tenuto conto della scansione cronologica delle udienze prevista dal codice di rito (v. art. 81 disp. att.) che la prima udienza successiva alla sentenza non definitiva venga tenuta prima dello spirare del termine per l'impugnazione: in tal caso la riserva di appello è tempestiva se effettuata in udienza, è tardiva se effettuata in seguito, sia pure entro il termine per appellare.

Il termine a quo per la formulazione della riserva coincide, nel rito ordinario coincide, con la data di pubblicazione della sentenza. Nell'ipotesi di decisione ai sensi dell'art. 281-sexies occorre aver riguardo alla data in cui la sentenza non definitiva è stata pronunciata. Nel rito del lavoro il termine a quo non è quello della lettura del dispositivo, ma del deposito della sentenza: deposito che, tuttavia, secondo l'attuale previsione dell'art. 429, è di regola contestuale alla lettura.

Effetti della riserva di appello

Una volta formulata alla riserva d'appello, l'appello deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio o a quello proposto contro un'altra successiva sentenza non definitiva. Ciò sta a significare che: i) la parte che ha formulato la riserva non può proporre appello immediato, il quale, se proposto, è inammissibile (Cass. n. 5282/2002; Cass. n. 17233/2010); va tuttavia subito chiarito che tale inammissibilità non consuma il potere di appellare e non impedisce la riproposizione dell'appello differito: e cioè l'impugnazione immediata di una sentenza non definitiva di cui la parte si sia riservata l'impugnazione differita è inammissibile, ma non preclude, dopo la sentenza definitiva, l'esercizio del potere di impugnare anche quella non definitiva (Cass. n. 18498/2015); ii) la parte che ha formulato la riserva, nonostante il decorso dei termini di cui agli artt. 325 e 327, non incorre nella decadenza dalla facoltà di appellare, ma può differire l'appello entro i limiti temporali normativamente previsti.

Nel caso in cui la riserva di appello non venga effettuata nel termine previsto, al contrario, la parte decade dalla facoltà di differire l'appello, ma conserva la facoltà di proporre appello immediato, nel rispetto dei termini degli artt. 325 e 327 (Cass. n. 2188/2016).

Se la sentenza non definitiva non è fatta oggetto né di riserva, né di appello immediato, essa acquista autorità di cosa giudicata che dà luogo così al formarsi del giudicato interno.

Sorte della riserva in caso di appello immediato

Come si è visto, la parte soccombente ha facoltà di differire l'impugnazione in appello attraverso la riserva oppure di proporre appello immediato. In questo secondo caso, si verifica il frazionamento del processo, che prosegue per un segmento in primo grado e per un altro segmento, quello oggetto della sentenza non definitiva, in grado d'appello.

L'appello immediato, oltre a precludere la riserva di appello non ancora formulata, comporta altresì la perdita di efficacia della riserva d'appello già eventualmente proposta. Tale ultima ipotesi si verifica non già nel caso che l'appello immediato provenga dalla stessa parte che abbia proposto riserva di appello: si è già visto che, in tal caso, l'appello immediato successivo alla riserva è inammissibile; detta ipotesi ha invece luogo quando l'appello immediato sia stato proposto da una parte diversa (ma, ovviamente, anch'essa soccombente) da quella che ha formulato la riserva. In questa ipotesi, la parte che abbia formulato la riserva e ne sia poi decaduta per effetto dell'appello immediato spiegato da altra parte, può (e deve, se ritiene) proporre appello incidentale.

In particolare, chi ha fatto la riserva di appello perde la facoltà di impugnazione differita se altre parti propongono appello immediato (Cass. n. 3450/1969; Cass. n. 12160/1990); l'appello incidentale di chi ha fatto la riserva di appello, in caso di appello immediato dell'altra parte, non diviene inammissibile per inammissibilità dell'appello principale (Cass. n. 51/1975; Cass. n. 4392/1976; Cass. n. 4841/1992); la parte che ha fatto la riserva di appello, deve scioglierla, sotto forma di appello incidentale (eventualmente tardivo), se la controparte propone appello principale contro la sentenza definitiva (Cass. n. 779/1987; Cass. n. 1452/1991); anche chi non ha fatto riserva di appello, può spiegare appello incidentale contro l'impugnazione principale differita proposta dalla controparte (Cass. n. 672/1966); anche in caso di appello contro la sola sentenza definitiva, la controparte, pur senza aver fatto riserva, può proporre appello incidentale contro la non definitiva (Cass. n. 2167/1966).

Una volta proposto appello immediato contro la sentenza non definitiva, i poteri del giudice di appello restano confinati entro l'ambito oggettivo determinato dall'impugnazione, sicché egli non può intervenire su questioni o domande sulle quali il primo giudice abbia riservato di decidere con la sentenza definitiva del giudizio.

Se, all'esito dell'impugnazione della sentenza non definitiva, il giudice d'appello conferma la sentenza non definitiva impugnata, nulla quaestio; se invece il giudice d'appello riforma la sentenza non definitiva, la sentenza d'appello non travolge soltanto la sentenza non definitiva ma pur riverberarsi sull'ulteriore corso del giudizio e, infine, sulla decisione definitiva del medesimo. In tale frangente l'art. 279, comma 2, n. 4, stabilisce che il giudice, su istanza concorde delle parti, qualora ritenga che i provvedimenti sull'ulteriore corso del giudizio siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione o la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria sia sospesa sino alla definizione del giudizio di appello. Trova in tal caso applicazione l'art. 125-bis disp. att. secondo cui la riassunzione debba essere fatta entro sei mesi che decorrono dalla comunicazione della sentenza che definisce il giudizio sull'appello immediato. A sua volta l'art. 129-bis disp. att. regola l'ipotesi che sia stato proposto ricorso in cassazione contro la sentenza d'appello che abbia riformato una delle sentenze previste dall'art. 279, comma 2, n. 4.

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