Codice di Procedura Civile art. 409 - Controversie individuali di lavoro 1 2 3 .[I]. Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a: 1) rapporti di lavoro subordinato privato [2094 ss. c.c.], anche se non inerenti all'esercizio di una impresa [2239 ss. c.c.]; 2) rapporti di mezzadria [2141 c.c.], di colonia parziaria [2164 1 c.c.], di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto [1647 c.c.], nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie; 3) rapporti di agenzia [1742 ss. c.c.], di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalita' di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attivita' lavorativa4; 4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica [2093 c.c.]; 5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice.
[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 141 agosto 1973, n. 533. [2] Ai sensi dell'art. 30, comma 1, l. 4 novembre 2010, n. 183, in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui al presente articolo e all'art. 63, comma 1, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente: l'inosservanza delle suddette disposizioni, in materia di limiti al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto. V. inoltre i commi 2 e 3 del medesimo art. 30, che così dispongono: « 2. Nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. – 3. Nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, il giudice tiene egualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento». Ai sensi dell'art. 31, comma 10, l. n. 183, cit., in relazione alle materie di cui al presente articolo, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui all'art. 808, che rinviano alle modalità di espletamento dell'arbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater, solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La clausola compromissoria, a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII d.lg. 10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione di cui all'articolo 76 d.lg. n. 276, cit. [3] In riferimento all'ambito di applicazione del rito del lavoro, v., oltre agli artt. artt. 442 e 447-bis: a) artt. 6 - 13 d.lg. 1° settembre 2011 n. 150 , e in particolare l'art. 6 sull'opposizione a ordinanza-ingiunzione (per la precedente disciplina, v.: art. 22 bis l. 24 novembre 1981, n. 689, ora abrogato dall'art. 34, comma 1, d.lg. n. 150, cit., con le disposizioni transitorie di cui all'art. 36 del medesimo d.lg.) e l'art. 11 in tema di controversie agrarie (la precedente disciplina contenuta nell'art. 47 l. 3 maggio 1982, n. 203 e nell'art. 9 l. 14 febbraio 1990, n. 29 è stata abrogata dall'art. 34, commi 12 e 13, d.lg. n. 150, cit., con le disposizioni transitorie di cui al successivo art. 36); b) l'art. 1 l. 8 novembre 1977, n. 847, in quanto applicabile, alle controversie sulla repressione della condotta antisindacale di cui all'art. 28 l. 20 maggio 1970, n. 300; c) l'art. 3 l. 21 febbraio 2006, n. 102, per il quale alle cause aventi ad oggetto il risarcimento dei danni per morte o lesioni derivanti da sinistri stradali si applicano le disposizioni di cui al libro II, titolo IV, capo I c.p.c.; tuttavia il citato art. 3 l. n. 102, cit., è stato ora abrogato dall'art. 53, comma 1, l. 18 giugno 2009, n. 69, con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009. Per la disciplina transitoria v. il comma 2 del suddetto art. 53, che così dispone: « 2. Alle controversie disciplinate dall'articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile. La disposizione di cui al presente comma non si applica ai giudizi introdotti con il rito ordinario e per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge non è stata ancora disposta la modifica del rito ai sensi dell'articolo 426 del codice di procedura civile ». [4] Numero modificato dall'articolo 15, comma 1, lettera a), della legge 22 maggio 2017, n. 81, che ha aggiunto dopo le parole: «anche se non a carattere subordinato» le seguenti: «. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalita' di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attivita' lavorativa». InquadramentoLa disposizione in commento è volta ad individuare, attraverso la menzione di determinati rapporti negoziali, le controversie alle quali si applica il rito del lavoro. Essa, cioè, definisce anzitutto l'ambito di applicazione delle disposizioni del relativo capo. La norma, tuttavia, contiene per un verso precetti ulteriori rispetto alla determinazione dell'ambito di applicazione del rito del lavoro; per altro verso non esaurisce tale ambito. Quanto al primo aspetto, occorre infatti dire che l'art. 409 opera altresì nel campo della giurisdizione e della competenza: della giurisdizione laddove, ai nn. 4 e 5, concorre a determinare il riparto di essa tra giudice ordinario e giudice amministrativo, riparto sul quale ha in seguito massicciamente inciso il d.lgs. n. 80/1998 (di cui si parlerà più avanti), con le disposizioni ad esso collegate; della competenza laddove devolve la cognizione delle controversie, entro l'ambito indicato, per il tramite dell'art. 413, al tribunale in composizione monocratica. Quanto al secondo aspetto, va poi rimarcato che il rito del lavoro trova applicazione ben al di là della materia lavoristica e manifesta una significativa attitudine espansiva. Esso si applica infatti anche alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, ai sensi dell'art. 442, e, con alcuni adattamenti, a quelle in materia di locazione, ai sensi dell'art. 447-bis. Anche le controversie agrarie sono regolate dal rito del lavoro ai sensi dell'art. 47 l. n. 203/1982, nonché dell'art. 9 l. n. 29/1992. La l. n. 102/2006, ha inoltre esteso l'applicazione del rito del lavoro «alle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti ad incidenti stradali». In materia, tuttavia, è successivamente sopraggiunto il contrordine dato dall'art. 53 l. n. 69/2009, il quale ha però stabilito che le controversie pendenti al 4 luglio 2009, rimangono soggette al rito del lavoro, a meno che il giudizio non sia stato intrapreso nelle forme del rito ordinario e, alla data indicata, non sia stato ancora disposto il mutamento del rito ai sensi dell'art. 426: in altre parole, le cause erroneamente introdotte col rito ordinario, nella vigenza della l. n. 102/2006, rimangono assoggettate a quel rito, tornato nel frattempo ad essere quello da applicarsi. Il d.lgs. n. 150/2011 (c.d. semplificazione dei riti) ha disposto la sottoposizione al rito del lavoro: i) delle opposizioni a ordinanza-ingiunzione previste dall'art. 22 l. n. 689/1981 (art. 6); ii) le controversie in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada di cui all'art. 204-bis d.lgs. n. 285/1992 (art. 7); iii) le opposizioni a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti previste dall'art. 75, comma 9, d.P.R. n. 309/1990 (art. 8); iv) le controversie in materia di recupero degli aiuti di Stato previste dall'art. 1 d.l. n. 59/2008, conv., con modif., in l. n. 101/2008 (art. 9); v) le controversie previste dall'art. 152 d.lgs. n. 196/2003 (v. anche Reg. (UE) 27 aprile 2016 n. 679), in materia di protezione dei dati personali (art. 10); vi) le controversie in materia di contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto (art. 11); vii) le controversie in materia di registro dei protesti aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze previste dall'art. 4 l. l. n. 77/1955, e quelle avverso la mancata decisione sulle medesime istanze; viii) le controversie aventi ad oggetto l'opposizione al provvedimento di diniego di riabilitazione di cui all'art. 17, comma 3, l. n. 108/1996, ovvero al decreto di riabilitazione ai sensi del comma 4 del medesimo. Non tutte le norme del rito del lavoro si applicano però alle controversie appena menzionate. Ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 150/2011, infatti, è esclusa l'applicazione degli artt. 413, 415, comma 7, 417, 417-bis, 420-bis, 421, comma 3, 425, 426, 427, 429, comma 3, 431, dal comma 1 al comma 4 e comma 6, 433, 438 comma 2, e 439. L'interpretazione espansiva della normaLa formulazione dell'art. 409 viene costantemente letta in una prospettiva tendenzialmente onnicomprensiva, tale da ricondurre al suo ambito di applicazione ogni controversia che tragga la sua ragion d'essere, nel senso più ampio, da un rapporto di lavoro. Nulla così rileva, anzitutto, che l'azione intrapresa miri ad una pronuncia di condanna, costitutiva o di mero accertamento (Ferroni, 248; Sassani, 626). È parimenti indifferente che la controversia abbia ad oggetto pretese avanzate dal lavoratore oppure dal datore di lavoro (il punto è pacifico; v. per tutti Luiso, 1992, 12). Pertanto, è ad esempio sottoposta al rito del lavoro la domanda di risarcimento dei danni subiti dal datore di lavoro per la violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, quantunque spiegata in via riconvenzionale (Cass. n. 8927/1995; Cass. n. 6757/1996), nonché quella di risarcimento dei danni prodotti dalla violazione del patto di non concorrenza (Cass. n. 19001/2008; Cass. n. 5901/2001) e, più in generale, ogni domanda concernente illeciti posti in essere dal lavoratore nel corso del rapporto (Cass. n. 3428/1990; Cass. n. 3916/1983). Da ultimo può rammentarsi che i rapporti di collaborazione di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015, norma di disciplina e non di fattispecie, non costituiscono un tertium genus intermedio tra autonomia e subordinazione sicché, al verificarsi delle condizioni ivi previste, consegue l'applicazione della disciplina della subordinazione, senza che sia necessario selezionare quali parti di questa disciplina siano ad essi applicabili (Cass. n. 1663/2020). Non rileva, ancora, che il rapporto di lavoro, o ad esso equiparato, sia o no in atto. Si applica il rito del lavoro, dunque, non soltanto ai rapporti estinti (così per la controversia sull'applicazione della transazione stipulata in relazione ad un pregresso rapporto lavoro, su cui v. Cass. n. 4634/1990, ovvero su quella in tema di restituzione del libretto di lavoro, su cui v. Cass. n. 6060/1986), ma anche a quelli ancora non costituiti (tra gli altri Proto Pisani, 1993, 35; Verde e Olivieri, 207). Ed anzi, la soggezione al rito del lavoro sussiste quantunque il rapporto di lavoro o equiparato costituisca solo mediatamente (non però soltanto occasionalmente) causa petendi della domanda spiegata. Sono perciò controversie di lavoro quelle volta al ristoro del pregiudizio determinato dalla mancata denunzia all'assicuratore, da parte del datore di lavoro, dell'infortunio del lavoratore assicurato (Cass. n. 294/1992) oppure causato al prestatore dal comportamento ingiurioso del datore di lavoro e del superiore gerarchico (Cass. n. 9539/1999; Cass. n. 308/1998). Ed è stata riconosciuta la soggezione al rito del lavoro finanche della domanda risarcitoria proposta dalla vittima di atti di libidine violenta e violenza carnale commessi nell'ambito del rapporto di lavoro (Trib. Milano, 9 maggio 2003). Non rileva, poi, per i fini dell'applicazione del rito del lavoro, che le parti in causa — almeno dal versante della parte convenuta — non coincidano con le parti del rapporto di lavoro o ad esso equiparato, sempre che la controversia si sia generata in dipendenza del rapporto medesimo (per tutti Luiso, 2009, 12; Tarzia, 5). Nello stesso senso la giurisprudenza (Cass. n. 4129/2002). Così, il rito del lavoro è stato ritenuto applicabile in caso di reddito da lavoro fatto valere nei confronti del fideiussore del datore (Cass. n. 6547/1986). Ricade allo stesso modo sotto la disciplina del rito del lavoro la domanda ex art. 1676 c.c. proposta dall'ausiliare dell'appaltatore verso il committente per conseguire nei limiti di quanto dovuto dal committente all'appaltatore il soddisfacimento del suo credito retributivo (Cass. n. 4007/1998; Cass. n. 17848/2009). Riassumendo un indirizzo più volte ribadito si può dire che la domanda di risarcimento del danno conseguente ad infortunio sul lavoro, proposta dai congiunti del dipendente deceduto a seguito dell'infortunio, a tutela non dei diritti del dipendente derivanti dal contratto di lavoro, bensì di un diritto proprio sulla base della responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro ex art. 2043 c.c., non rientra nella competenza per materia del giudice del lavoro, trattandosi di controversia relativa a domanda la cui causa petendi non risiede nel rapporto di lavoro che costituisce mera occasione per l'insorgenza della responsabilità oggetto di accertamento (Cass. n. 11434/1996; Cass. n. 9359/1999; Cass. n. 20355/2005; Cass. n. 3650/2006). Controversie individuali e controversie collettiveUn evidente manifestazione dell'attitudine espansiva del rito del lavoro si riscontra con riguardo alla sua applicazione alle controversie collettive. Nonostante il Capo I del Titolo IV del secondo libro del codice di procedura civile sia intitolato alle controversie individuali di lavoro, è difatti pacifico, in dottrina come in giurisprudenza, che il rito del lavoro si applica anche alle controversie collettive: quelle, cioè, delle quali è parte un'associazione sindacale. Con riguardo al giudizio di opposizione al decreto emesso all'esito del procedimento di repressione della condotta antisindacale la questione è stata risolta dal legislatore con l'art. 1 l. n. 847/1977. In seguito è stato ritenuto che l'art. 409 si applichi all'intera gamma delle azioni poste a tutela dell'attività sindacale (Cass. n. 9503/1995). Allo stesso modo sono sottoposte al rito del lavoro le controversie concernenti il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a ricevere le informative loro dovute per contratto (Cass. n. 3263/1982). Anche la tutela del diritto delle associazioni sindacali a percepire i contributi loro dovuti dai lavoratori, contributi riscossi dal datore di lavoro mediante ritenute sul salario e successivo versamento a dette associazioni si inalvea nel rito del lavoro (Cass. n. 4075/1991). Ricade sotto l'applicazione del rito del lavoro, dall'altro versante, la causa in cui il datore di lavoro chieda accertarsi l'illegittimità delle modalità di attuazione del diritto di sciopero, con la condanna degli autori di questo al risarcimento dei danni (Cass. n. 1217/1984; Cass. n. 9280/1995; Cass. n. 10080/1993). I rapporti di lavoro subordinato privatoL'art. 409 menziona anzitutto, tra le controversie soggette al rito di lavoro, quelle concernenti rapporti di lavoro subordinato. Il carattere della subordinazione, quale elemento distintivo di tali rapporti, che ha il suo referente normativo nell'art. 2094 c.c., si riassume nello svolgimento della prestazione lavorativa, in modo personale, in conformità alle direttive impartite dal datore di lavoro (che non necessariamente è un imprenditore, secondo l'espresso dettato della norma), quale titolare di poteri organizzativi e, altresì, disciplinari (di recente, secondo un indirizzo ampiamente condiviso, Luiso, 2009, 5). La subordinazione, che costituisce il tratto distintivo fondamentale del rapporto di lavoro dipendente rispetto a quello di lavoro autonomo, consiste — sottolinea dunque la S.C. — in un vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore d'opera al potere direttivo (e, quindi, anche organizzativo e disciplinare) del datore di lavoro, con conseguente limitazione della libertà del primo, e che postula, per la sua concreta sussistenza, non già semplici direttive programmatiche e prescrizioni predeterminate ovvero un controllo estrinseco dell'attività del prestatore, attinente al risultato della medesima — essendo, tanto le une quanto le altre, compatibili con la prestazione d'opera autonoma —, bensì la necessità che la prestazione d'opera sia regolata nel suo svolgimento e che, quindi, il potere direttivo del datore di lavoro inerisca all'intrinseca esecuzione della prestazione medesima (Cass. n. 2680/1990). A fronte dell'elemento caratterizzante della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro (Cass. n. 11711/1998; Cass. n. 5960/1999; Cass. n. 3674/2000; Cass. n. 1218/2004; Cass. n. 4500/2007; Cass. n. 5645/2009), indipendentemente dal nomen iuris adottato dalle parti (Cass. n. 10829/1994; Cass. n. 4500/2007), assumono rilievo meramente complementare, di per sé considerati, altri aspetti, in definitiva sintomatici della subordinazione stessa, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un preciso orario, l'entità della retribuzione. Così, nel caso di un maestro di tennis non sottoposto al potere disciplinare del beneficiario della prestazione, con il quale egli concordava su un piano di parità i programmi di lavoro, sono state prese in considerazione, ai fini dell'esclusione della subordinazione, la mancanza di un preciso orario di lavoro e la retribuzione commisurata al numero degli iscritti (Cass. n. 28525/2008). Peri fini dello scrutinio del carattere della subordinazione, non assume rilievo decisivo, inoltre, la permanenza nel tempo dell'obbligo del lavoratore di tenersi a disposizione del datore di lavoro. Per questo, la scarsità e saltuarietà delle prestazioni rese da un lavoratore come cameriere ai tavoli di un ristorante, così come il fatto che sia lo stesso ad offrire la propria opera (della quale il titolare del ristorante può o meno avvalersi), non costituiscono elementi idonei a qualificare come autonomo il rapporto (Cass. n. 58/2009). Rilievo più sfumato assume l'aspetto subordinazione nello svolgimento di talune attività di contenuto squisitamente intellettuale, com'è per il lavoro giornalistico (Cass. n. 13945/2000). Ciò non vuol dire, tuttavia, che il rilievo della subordinazione venga integralmente meno. Al contrario, i caratteri distintivi del rapporto di lavoro subordinato sono sempre costituiti dall'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi e disciplinari del datore di lavoro (con conseguente limitazione di autonomia) e tali caratteri sono i medesimi per qualunque tipo di lavoro, pur potendo essi assumere aspetti e intensità diversi in relazione alla maggiore o minore elevatezza delle mansioni esercitate o al contenuto (più o meno intellettuale e/o creativo) della prestazione pattuita; con riguardo al lavoro giornalistico, ed in ragione delle caratteristiche di esso e delle connesse difficoltà di cogliere in maniera diretta e immediata i suddetti caratteri distintivi, può farsi ricorso ad alcuni indici rivelatori della natura subordinata del rapporto, rilevando a tal fine la circostanza che il giornalista si tenga stabilmente a disposizione dell'editore, per eseguirne le istruzioni, anche negli intervalli tra una prestazione e l'altra, e rilevando invece in senso contrario la circostanza che le prestazioni siano singolarmente convenute in base ad una successione di incarichi con retribuzione commisurata alla singola prestazione (Cass. n. 16997/2002). Cosicché anche il direttore di una testata giornalistica può essere un lavoratore subordinato (Cass. n. 4558/1999). Anche nelle attività lavorative di contenuto intellettuale, dunque, può ricorrere l'elemento della subordinazione, pur atteggiandosi diversamente rispetto alle attività meramente esecutive. Anche l'attività lavorativa di un avvocato, perciò, può rivestire il carattere della subordinazione (Cass. n. 6326/2003; Cass. n. 7731/2007). Considerazioni analoghe possono svolgersi con riguardo al contratto di scrittura artistica. Questo può dar luogo ad un rapporto di lavoro autonomo, ma anche ad un rapporto, secondo i casi, subordinato o parasubordinato: il quale ultimo è configurabile qualora la prestazione lavorativa debba svolgersi per un periodo di tempo abbastanza lungo in connessione funzionale con l'organizzazione del preponente e per il perseguimento delle finalità del medesimo (Cass. n. 1897/1998). In tale prospettiva, è stata ritenuta la sussistenza della collaborazione parasubordinata con riguardo al rapporto fra una società discografica ed una cantante lirica, obbligatasi, per un periodo minimo di cinque anni, alla registrazione di opere (Cass. n. 3272/1992; ma v. Cass. S.U., n. 2696/1989 per il caso di collaborazione limitata a determinati spettacoli); con riguardo all'attività di alcuni mesi per la realizzazione di uno spettacolo televisivo (Cass. n. 2538/1991); con riguardo a prestazioni di piano-bar (Cass. n. 5358/1988). Per il rapporto fra una società di produzione cinematografica ed uno scenografo v. Cass. n. 10889/1991). Parimenti, è tendenzialmente da inquadrare nell'ambito del lavoro autonomo l'attività del regista cinematografico, sempre che si sia svolta in piena autonomia e sia inserita solo episodicamente nell'attività produttiva del datore di lavoro (Cass. n. 6648/1984; Cass. n. 20/1982). È ben possibile, d'altro canto, che il vincolo di subordinazione sia escluso per attività a prevalente contenuto manuale, quale quella del pony express (Cass. n. 7608/1991; Cass. n. 811/1993; Cass. n. 1238/2011). Talune peculiarità si ravvisano nel caso di attività lavorative svolte in ambito familiare. Si trova in proposito ribadito che, per negare che le prestazioni lavorative svolte nell'ambito di un gruppo parentale diano luogo ad un rapporto di lavoro subordinato o di parasubordinazione, occorre accertare l'esistenza di una partecipazione costante dei vari membri alla vita e agli interessi del gruppo, ossia uno stato di mutua solidarietà e assistenza, dovendo in difetto di ciò, specie quando le prestazioni lavorative siano svolte al di fuori della comunità familiare, escludersi l'ipotesi del lavoro gratuito, la cui presunzione, peraltro, non opera quando i soggetti non sono conviventi sotto il medesimo tetto ma in unità abitative autonome e distinte (Cass. n. 14579/1999; Cass. n. 10664/1994; Cass. n. 7185/1990). Specifiche disposizioni sono dettate per il lavoro sportivo all'art. 3 l. n. 91/1981. In materia di lavoro carcerario si sono succedute regole diverse. Tali controversie sono state in un primo tempo devolute al giudice del lavoro, secondo le regole generali, poi al giudice di sorveglianza (Cass. n. 7711/2004). La norma applicata a tal fine è stata però dichiarata costituzionalmente illegittima (Corte cost. 341/2006), sicché le controversie concernenti l'attribuzione della qualifica lavorativa, le questioni concernenti la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali dei detenuti sono di competenza del giudice del lavoro (Cass. n. 21573/2007). L'art. 603 c. nav. devolveva alcune controversie in materia di lavoro nautico al comandante di porto. La norma, secondo quanto ritenuta dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 29/1976; in seguito Corte cost. n. 164/1976; Corte cost. n. 66/1977) è da ritenersi tacitamente abrogata dalla l. n. 533/1973. Anche a tali controversie, dunque, si applica il rito del lavoro, con la precisazione, però, che il dettato del citato art. 603 sopravvive ai fini dell'individuazione del giudice del lavoro territorialmente competente (v. sub art. 413). In presenza del tratto della subordinazione, l'applicazione del rito del lavoro rimane indifferente tanto alla qualifica del lavoratore, operaio, impiegato, dirigente od altro (Proto Pisani, 1993, 34; Tarzia, 3), quanto alla soggezione del rapporto alla contrattazione collettiva. Ancora, non rileva il luogo in cui la prestazione lavorativa viene svolta, sia esso la sede dell'impresa, la sua dipendenza ovvero un luogo diverso; quindi è incluso nell'ambito dell'art. 409 anche il lavoro a domicilio (Tesoriere, 72; Tarzia, 3). Anche le controversie relative alle prestazioni lavorative di fatto in virtù di contratto nullo o annullabile (art. 2126 c.c.) sono soggette alla competenza del giudice del lavoro (Tarzia, 3). Nello stesso senso in giurisprudenza possono consultarsi Cass. n. 12604/1997, nonché, con riguardo all'azione di arricchimento senza causa (Cass. n. 9893/1996; Cass. n. 5606/1999). Rapporti societariL'art. 144-ter disp. att., introdotto dall'art. 130, d.lgs. n. 51/1998 (la legge istitutiva del giudice unico) ha stabilito che tra le controversie previste dall'art. 409 non si considerano in ogni caso comprese quelle di cui all'art. 50-bis, comma 1, n. 5, seconda parte, del codice. Dunque, le cause riguardanti la responsabilità degli organi amministrativi e di controllo, dei direttori generali e dei direttori delle società, delle mutue assicuratrici, delle società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi — che altrimenti ricadrebbero sotto l'applicazione dell'art. 409 — sono devolute alla competenza al tribunale collegiale secondo il rito ordinario. In seguito l'art. 1, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 5/2003, ha sottoposto al c.d. «rito societario» tutti i rapporti societari, comprese le società di fatto, l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati. Secondo tale disposizione — che come subito si dirà è stata poi abrogata — qualunque giudizio concernente rapporti societari era devoluto al tribunale collegiale secondo il c.d. «rito societario», con prevalenza, in caso di connessione di cause, di tale rito. Perciò, secondo l'opinione prevalente, nel caso di cumulo di cause «societarie», con cause riconducibili all'art. 409, si applicava a tutte il rito societario, in deroga dell'art. 40 (per tutti Arieta e De Santis, 61; Carratta, 79; Costantino, 399). Nel 2008, tuttavia, il citato art. 1, comma 1, laddove prevedeva la prevalenza del rito societario, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega (Corte cost. n. 71/2008), con conseguente ripristino della prevalenza del rito del lavoro, ex art. 40. Ma, come si è accennato, il «rito societario» è stato abrogato dall'art. 54, comma 5, l. n. 69/2009. Il successivo comma 6 dispone tuttavia che le disposizioni abrogate continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore, ossia al 4 luglio 2009. Allo stato, dunque, le cause introdotte dopo il 4 luglio 2009, riguardanti la responsabilità degli organi amministrativi e di controllo, dei direttori generali e dei direttori delle società, delle mutue assicuratrici, delle società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi sono attribuite al tribunale in composizione collegiale e sono sottoposte all'applicazione del rito ordinario, ai sensi dell'art. 144-ter disp. att., poc'anzi ricordato. Con riguardo a talune di queste ultime controversie occorrono ulteriori precisazioni. Il legislatore ha in un primo tempo stabilito che le controversie tra soci lavoratori e cooperative di produzione e lavoro fossero attribuite al giudice del lavoro (e sottoposte alle procedure di conciliazione e arbitrato irrituale previste per le controversie di lavoro) se relative al rapporto di lavoro, e che fossero invece attribuite al giudice ordinario le controversie relative al rapporto associativo (art. 2 comma 2, l. n. 142/2001, recante «Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore»). Questa disposizione è stata successivamente novellata con l'attribuzione delle controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica alla competenza del tribunale ordinario (art. 5, comma 2, l. n. 142/2001, come modif. dall'art. 9 l. n. 30/2003). Tale disposizione (la cui questione di legittimità costituzionale è stata dichiarata manifestamente inammissibile da Corte cost. n. 460/2006) ha fatto dunque venir meno la distinzione precedentemente posta. In epoca antecedente all'entrata in vigore della l. n. 142/2001, la S.C. ha ritenuto l'applicabilità dell'art. 409 alla controversia fra socio e cooperativa di produzione e lavoro, concernente prestazioni lavorative a carico dei soci in virtù del patto sociale, con esclusione di quelle riguardanti il rapporto associativo (Cass. n. 12309/2003). Dopo la novella della l. n. 142/2001 ad opera dell'art. 9 l. n. 30/2003, si è affermato che essa, laddove prevede la competenza del giudice ordinario, non può che operare unicamente in relazione alle «prestazioni mutualistiche», intese in senso restrittivo e non estensibili alle controversie riguardanti i diritti sostanziali e previdenziali del lavoratore, come quelle relative alla cessazione del rapporto associativo e del rapporto lavorativo, per le quali la competenza non è quella del tribunale ordinario, ma quella del giudice del lavoro (Cass. n. 850/2005). Con riguardo al periodo di operatività del rito societario il responso è stato però successivamente ribaltato (Cass. n. 24692/2010). Passando alla casistica, è stata qualificata come controversia di lavoro quella introdotta dal socio accomandatario nei confronti della società in accomandita semplice al fine di ottenere il compenso per l'attività svolta (Cass. n. 18285/2003). Eguali conclusioni sono state raggiunte con riguardo alla domanda dell'amministratore di una società di capitali (Cass. n. 4662/2001). In seguito si è invece affermato che il rapporto tra l'amministratore di una società di capitali e la società medesima va ricondotto — in ragione della natura continuativa, coordinata e prevalentemente personale della prestazione resa — nell'ambito del rapporto di lavoro parasubordinato (Cass. n. 4261/2009). In senso diverso, poi, si trova affermata l'esclusione del rapporto intercorrente tra l'amministrazione e la società dal novero delle ipotesi contemplate dall'art. 409 (Cass. n. 7961/2009). E' da ultimo è chiarito che il rapporto che lega l'amministratore alla società è di immedesimazione organica, non riconducibile al rapporto di lavoro subordinato, né a quello di collaborazione coordinata e continuativa, dovendo essere, piuttosto, ascritto all'area del lavoro professionale autonomo ovvero qualificato come rapporto societario tout court, sicché le controversie tra amministratori e società, anche se specificamente attinenti al profilo «interno» dell'attività gestoria ed ai diritti che ne derivano agli amministratori (quale, nella specie, quello al compenso), sono compromettibili in arbitri, ove tale possibilità sia prevista dagli statuti societari, e sono altrimenti devolute alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa (Cass. n. 2759/2016; v. di recente Cass. n. 285/2019). Rientra nella competenza del tribunale come giudice ordinario l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (Cass. n. 9090/2003; Cass. n. 23630/2015). Controversie agrarieQuanto ai rapporti ai rapporti agrari cui si riferisce il n. 2 dell'art. 409, che fa salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie, occorre rammentare che la disposizione va letta alla luce dell'art. 9 l. n. 29/1990, secondo cui tutte le controversie in materia di contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto sono di competenza delle sezioni specializzate agrarie, con applicazione del rito del lavoro. Si è già fatto cenno, inoltre, al d.lg. n. 150/2011, che ha ribadito la sottoposizione al rito del lavoro, tra l'altro, delle controversie in materia di contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto (art. 11). Ne deriva che, in materia agraria, non è mai competente il tribunale in composizione monocratica, ma la sezione specializzata, mentre il rito è sempre quello del lavoro. La S.C. ripete in proposito che, ove sia prospettata la sussistenza di un rapporto agrario controverso, la competenza della sezione specializzata agraria non ricorre solo qualora la natura agraria del rapporto appaia prima facie da escludersi, sulla base delle stesse allegazioni delle parti (Cass. n. 4969/2001). In tale prospettiva è stata ad esempio cassata la sentenza con cui il tribunale aveva dichiarato la propria incompetenza, in favore della sezione specializzata, sulla base del rilievo, emerso solo in sede di libero interrogatorio, che oggetto di un contratto di locazione non fosse soltanto un capannone ad uso zootecnico, ma anche i terreni circostanti (Cass. n. 250/2006). La competenza delle sezioni specializzate agrarie è stata esclusa per i procedimenti possessori (Cass. n. 13399/2001; Cass. n. 8132/1993). Parimenti, la transazione con la quale le parti, nel rispetto delle leggi in vigore, abbiano validamente pattuito la cessazione di un rapporto agrario, regolando la riconsegna del fondo ed ogni altra reciproca obbligazione, estingue il rapporto agrario e lo sostituisce con altro di diversa natura. Ne consegue che la controversia relativa all'adempimento di quegli obblighi esula dalla competenza del giudice specializzato e resta devoluta alla cognizione del giudice in sede ordinaria (Cass. n. 6397/1986; Cass. n. 6686/1991; Cass. n. 3255/1996; Cass. n. 3425/1997; Cass. n. 15076/2000). Con riguardo alla soggezione al rito del lavoro ed alla devoluzione alla sezione specializzata agraria del procedimento per convalida di licenza e sfratto, cui si riferisce l'art. 657, occorre dire che tale norma è modellata su disposizioni sostanziali che, dopo l'introduzione del vigente codice di procedura civile, sono state oggetto di interventi legislativi complessi, numerosi e profondi ai quali si è già accennato. Già nel vigore dell'art. 26 l. n. 11/1971 è sorto il problema della perdurante esperibilità del procedimento per convalida in relazione ai contratti agrari. Esso appartiene inderogabilmente alla competenza funzionale del giudice — ieri il pretore, oggi il tribunale — del luogo in cui si trova la cosa, ai sensi dell'art. 661, mentre la pretesa di vedere sanzionata la cessazione di un rapporto agrario per scadenza del termine finale implica (ma il punto, come subito si vedrà, è discusso) l'insorgenza di una controversia agraria, funzionalmente devoluta alla cognizione del giudice specializzato: le due discipline, dunque, appaiono ad un primo impatto divaricate ed inconciliabili. La dottrina, tuttavia, ha in passato sostenuto che la disciplina attributiva delle controversie agrarie al giudice specializzato non avesse fatto venir meno la competenza prevista dall'art. 657. Anche la giurisprudenza ha talora fatto proprio l'indirizzo dottrinale menzionato, delineando un meccanismo di ripartizione della competenza tra giudice ordinario, titolare della fase speciale del procedimento per convalida, e giudice specializzato agrario, titolare della fase ordinaria (Cass. n. 2073/1977). Un diverso orientamento giurisprudenziale ha radicalmente escluso la sopravvivenza del procedimento per convalida in materia di contratti agrari, sostenendo che, a seguito dell'attribuzione della competenza in materia di controversie agrarie al giudice specializzato « il giudice ordinario non può essere adito neppure con il procedimento sommario di licenza o sfratto » (Cass. n. 13376/1991; Cass. n. 5003/1977; Cass. n. 994/1973). In un'altra decisione, vertente su un caso in cui il pretore, pur investito di un'azione per convalida concernente un rapporto agrario, aveva pronunciato l'ordinanza di convalida richiesta, la S.C. ha osservato: Successivamente, come già ricordato, il legislatore ha stabilito che: «Tutte le controversie in materia di contratti agrari [...] sono di competenza delle sezioni specializzate agrarie» (art. 9 l. n. 29/1990). Allo stato, dunque, tale norma ha attribuito alle sezioni specializzate «tutte le controversie agrarie [...] relative sia alla genesi, che alla cessazione dei rapporti agrari, eccezion fatta solo per quelle attribuite alla competenza del pretore dalla l. n. 607/1966 in tema di affrancazione da enfiteusi e da prestazioni fondiarie perpetue» (Cass. n. 8972/1995). Inoltre l'art. 3 l. n. 353/1990, ha riformulato l'art. 8, comma 2, n. 3, che attribuiva al pretore la competenza funzionale in materia di sfratto per finita mezzadria e affitto a coltivatore diretto rimettendo, invece, alla sua cognizione — poi sostituita da quella del tribunale, oggi prevista dall'art. 21 — le cause relative a rapporti di locazione, comodato di immobili urbani ed affitto di azienda, in quanto non di competenza delle sezioni specializzate agrarie. Ebbene, la modificazione del quadro normativo di riferimento — con l'accentuazione della competenza del giudice specializzato agrario e la sottrazione al pretore, e poi al tribunale, della competenza per materia in ordine alle cause di sfratto per finita mezzadria e affitto a coltivatore diretto — hanno indotto taluni a valorizzare la tesi secondo cui il procedimento speciale non trova più applicazione in materia di rapporti agrari. La giurisprudenza della S.C. non mostra attualmente alcun dubbio o incrinatura nel ritenere che il procedimento per convalida concernente rapporti agrari sia inammissibile dinanzi al tribunale ordinario il quale, senza poter emettere l'ordinanza provvisoria rilascio ex art. 665, deve limitarsi a rimettere la causa dinanzi alla sezione specializzata agraria (Cass. n. 4957/1999; Cass. n. 17/2000). Il lavoro parasubordinatoIl n. 3 della disposizione in commento enumera i rapporti di agenzia (in generale disciplinati agli artt. 1742 ss. c.c.), di rappresentanza commerciale e gli altri rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato: rapporti tutti ricondotti ad unità attraverso la nozione di parasubordinazione, la quale opera sul piano strettamente processuale, in quanto assoggetta al rito del lavoro controversie concernenti rapporti sottoposti di volta in volta alla pertinente disciplina sostanziale (Cass. n. 9614/2000), si articola dunque in tre aspetti: i) il carattere continuativo della prestazione; ii) il carattere coordinato della prestazione; iii) il carattere personale della prestazione. Essi devono essere simultaneamente presenti (Cass. n. 5698/2002; Cass. n. 3485/2001; Cass. n. 7785/1997). Quanto in particolare alla continuità delle prestazioni, che si traduce in protrazione nel tempo caratterizzata da non mera occasionalità (Luiso, 2009, 8; Tarzia, 11), non occorre che essa sia stata convenzionalmente stabilita, ben potendo tale requisito essere accertato a posteriori, in base alla reiterazione di fatto delle prestazioni (Cass. n. 23897/2004). La predeterminata limitazione nel tempo dell'attività non esclude la sussistenza del requisito della continuità, la quale va posta invece in relazione con la causa dell'incarico (così Cass. n. 2120/2001). La continuità, secondo l'opinione prevalente, non è neppure esclusa dalla circostanza che l'attività abbia ad oggetto la realizzazione di una singola specifica opera (Cass. n. 7288/1998; Cass. n. 9135/1990; Cass. n. 14722/1999). Né la parasubordinazione può essere negata in ragione della natura dell'incarico, volto al raggiungimento di un determinato risultato (Cass. n. 7374/1990). Altre volte, però, è stato affermato che la parasubordinazione non sussiste di regola quando l'attività abbia ad oggetto un solo incarico (Cass. n. 3298/1996) e, più in generale, nel caso di affidamento di un opus unico, sia pure ad esecuzione non istantanea ed ancorché articolato in una serie di atti esecutivi dell'unico incarico (Cass. n. 3064/1990; Cass. n. 2787/1996). Il requisito della coordinazione ricorre, in breve, quando l'attività, pur non essendo svolta in regime di subordinazione, viene espletata secondo le direttive impartite dal beneficiario della prestazione (Luiso, 2009, 8). Sulla materia è intervenuto l'art. 15, lett. a), l. n. 81/2017, recante «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato», la quale ha aggiunto al n. 3 della norma in commento il periodo: «La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa». Sussiste dunque un vero rapporto parasubordinato laddove il collaboratore possa autonomamente organizzare la propria attività senza subire le ingerenze del committente, il quale imponga tempo e luogo della prestazione. Ferma dunque la necessità di autonomia del collaboratore, perché sussista il rapporto parasubordinato le modalità del coordinamento possono essere oggetto di accordi tra le parti, sicché, laddove le modalità del coordinamento fossero imposte unilateralmente dal committente, il rapporto di lavoro dovrebbe considerarsi subordinato. Così, con riguardo alla posizione di un avvocato che prestava la sua opera professionale in favore di un condominio, la sussistenza della parasubordinazione è stata esclusa considerando che il requisito del coordinamento fra la prestazione d'opera continuativa e personale, o prevalentemente personale, del collaboratore e il preponente postula che la medesima attività si svolga in connessione o collegamento con il preponente stesso, per contribuire alle finalità cui esso mira (Cass. n. 8598/2004). Allo stesso modo, non può discorrersi di parasubordinazione, in mancanza del requisito della coordinazione, quando l'attività sia stata prestata in favore di una pluralità di preponenti (v. Cass. n. 12368/1997) Per espressa previsione normativa il carattere personale della prestazione deve essere soltanto prevalente ma non necessariamente esclusivo. Il requisito della personalità della prestazione è stabilmente escluso nell'ipotesi che l'attività sia affidata ad una società (anche se di persone o irregolare ovvero di fatto, chiariscono tra le tante Cass. n. 9273/2011; Cass. n. 6351/2006; Cass. n. 9547/2001), senza che possa rilevare la circostanza che, in concreto, tale attività venga posta in essere dai componenti della compagine sociale (Cass. n. 10184/2022; Cass. n. 15535/2011; Cass. n. 8412/1995). Si collocava in controtendenza, rispetto a tale orientamento, che può dirsi consolidato, la risalente affermazione secondo cui è configurabile un rapporto di parasubordinazione anche nel caso di attività fornita nell'ambito di una gestione societaria, a mezzo di società di fatto o di persone, anche irregolari, ove risulti che la suddetta attività venga in concreto prestata con modalità tali che sussista quello stato di dipendenza socio-economica che costituisce l'elemento essenziale della parasubordinazione e di cui l'attività prevalentemente personale è l'indice rivelatore tipico (Cass. n. 4928/1997). Ricorre il carattere della personalità della prestazione, viceversa, anche se il prestatore si serve del lavoro altrui, sempre che rimanga ferma la preminenza dell'attività lavorativa propria rispetto al capitale eventualmente investito (Cass. n. 11581/1995) e che, in definitiva, l'impiego del lavoro altrui non si traduca in un'organizzazione imprenditoriale. Con riguardo al riparto dell'onere della prova, se il carattere della parasubordinazione si attaglia di regola all'attività svolta (si pensi al rapporto fra società produttrice o distributrice del carburante e la persona incaricata della gestione del singolo impianto), spetta al convenuto che intenda contestare la competenza per materia del giudice del lavoro provare le circostanze di fatto su cui si fonda la proposta eccezione di incompetenza (Cass. n. 12573/2003; Cass. n. 4634/1992; Cass. n. 5375/1998). Quanto alle fattispecie, la sussistenza della parasubordinazione, per gli effetti dell'applicazione dell'art. 409, n. 3, è stata riconosciuta, tra gli altri casi, nei riguardi: a) del procacciatore d'affari (Cass. n. 8214/2009; Cass. n. 7799/1998); b) dei medici convenzionati nei confronti delle Asl (Cass. n. 8457/2011; Cass. S.U., n. 15847/2009; Cass. S.U., n. 20344/2005; Cass. n. 14810/2002; Cass. S.U., n. 10960/2001); c) dei trasportatori (Cass. n. 16582/2002); d) del giornalista che svolga attività di promozione dell'immagine e del prodotto della società committente (Cass. n. 3485/2001); e) dell'amministratore di una società di capitali nei confronti della società medesima (Cass. n. 4261/2009 ma v. retro. § 5). In tema d'impresa familiare, la cognizione del giudice del lavoro, ex art. 409, non è circoscritta all'accertamento del diritto alla remunerazione dei soggetti indicati dall'art. 230-bis c.c., ma comprende la domanda con la quale un coniuge, previo accertamento della partecipazione all'impresa familiare con l'altro coniuge, chieda, ai sensi della disposizione citata, l'attribuzione di beni o di quote di beni, che assuma acquistati con i proventi dell'impresa stessa, posto che tali pretese trovano titolo nel rapporto di collaborazione personale, continuativa e coordinata, riconducibile nella previsione dell'art. 409 n. 3, il quale non diversifica le controversie in ragione del fatto che sia stata proposta una domanda di accertamento ovvero di condanna (Cass. n. 7007/2015). La stipula di un formale contratto di appalto con un'impresa artigiana, nella vigenza degli artt. 61 e ss. del d.lgs. n. 276/2003, impone la riqualificazione dello stesso quale rapporto di lavoro c.d. parasubordinato in presenza dei requisiti di continuazione, coordinazione e svolgimento di attività prevalentemente personale, senza che possa assumere rilievo assorbente il nomen iuris utilizzato a fronte di un accertamento fattuale che escluda anche la sussistenza di un'organizzazione di impresa; pertanto, in carenza del progetto, opererà l'automatica conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato ai sensi dell'art. 69 del predetto decreto, con conseguente applicazione di tutte le garanzie del lavoro dipendente anche sotto il profilo assicurativo e contributivo (Cass. n. 9783/2020, in fattispecie in cui era stato accertato che l'attività era stata prestata da artigiani piastrellisti, senza avvalersi di alcun collaboratore ed utilizzando attrezzature minime, lavorando con continuità esclusivamente in favore della società ricorrente, unica loro committente per l'intero periodo di causa e soltanto a carico della quale essi avevano emesso fatture). Si è detto in apertura che l'art. 409, n. 3, opera sul piano processuale dell'assoggettamento al rito del lavoro delle controversie concernenti rapporti di lavoro parasubordinato. Talora, tuttavia, vengono riconosciute anche ricadute di natura sostanziale. Così, si trova affermato che gli elementi della continuazione e del coordinamento, che caratterizzano il rapporto di lavoro cosiddetto parasubordinato quale rapporto di durata, comportano uno svolgimento di prestazioni lavorative idoneo ad incrementare scienza ed esperienza del prestatore (ossia le sue capacità professionali), con la conseguenza che anche questi, al pari del lavoratore subordinato, in forza della disciplina, specifica del regime di subordinazione, di cui all'art. 2103 c.c., può vantare, nei confronti del committente ed in base al titolo costitutivo del rapporto (legge, atto amministrativo o contratto), un diritto soggettivo alla effettiva esecuzione delle prestazioni, nonché, in caso di lesione, il diritto al risarcimento del danno da perdita o da mancato incremento di capacità di lavoro oppure da deterioramento dell'immagine professionale (Cass. n. 23744/2008). Dipendenti di enti pubblici economiciLa previsione del n. 4 della disposizione in commento, che sottopone al rito del lavoro le controversie sui rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica, ha dato luogo nel passato ad ampia discussione, volta a delimitare la distinzione tra tali enti ed altri enti pubblici non economici. Con l'attribuzione al giudice ordinario della quasi totalità delle controversie in materia di pubblico impiego, in forza del d.lgs. n. 80/1998 il rilievo della distinzione è venuto meno e, anzi, tale ultima previsione ha in sostanza finito per assorbire quella concernente le controversie di cui siano parti dipendenti di enti pubblici economici. Le più recenti pronunce in proposito, dunque, risalgono per lo più a molti anni addietro ed attengono all'inquadramento nella categoria delle aziende municipalizzate, incluse quelle esercenti il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Cass. S.U., n. 14852/2006), delle autorità portuali (Cass. n. 12232/2004), dei consorzi tra Comuni (Cass. S.U., n. 18015/2002), le aziende di pubblici servizi di trasporto locale (Cass. S.U., n. 1176/2002). Da ultimo si è detto che le controversie inerenti alla spettanza ed alla liquidazione del trattamento pensionistico in favore dei dipendenti del Banco di Sicilia sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario a seguito della sentenza della C. cost. n. 26 del 23 gennaio 1986, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 2 dell'allegato T all'art. 39 della l. 8 agosto 1895 n. 486, nella parte in cui prevedeva la giurisdizione della Corte dei conti (Cass. S.U., n. 3298/2024). Il pubblico impiegoL'art. 63 d.lgs. n. 165/2001, recante «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», nel recepire l'art. 68 d.lgs. n. 29/1993, come sostituito prima dall'art. 33 d.lgs. n. 546/1993 e poi dall'art. 29 d.lgs. n. 80/1998 e successivamente modificato dall'art. 18 d.lgs. n. 387/1998, ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, nei limiti indicati dalla norma. Talune categorie sono escluse dall'applicazione della disciplina in esame. Ai sensi dell'art. 3 d.lgs. n. 165/2001, rientrano, in particolare, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai rapporti di lavoro tuttora soggetti ad un regime pubblicistico, ossia quelli concernenti: i) i magistrati ordinari, amministrativi e contabili; ii) gli avvocati e procuratori dello Stato; iii) il personale militare e delle Forze di polizia di Stato; iv) il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia; v) i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'art. 1 d.lgs.C.p.S. n. 691/1947 (p. es. dipendenti della Banca d'Italia), e dalle l. n. 281/1985, e successive modificazioni ed integrazioni (p. es. dipendenti della Consob), e l. n. 287/1990 (dipendenti dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato); vi) il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario previsto dal regolamento di cui al d.P.R. n. 362/2000, e il personale volontario di leva; vii) il personale della carriera dirigenziale penitenziaria; viii) i professori e i ricercatori universitari. In definitiva, seppure il testo dell'art. 409, n. 5, è rimasto fermo, il suo significato (su cui v., nella vasta letteratura sul tema, Borghesi; Noviello, Sordi, Apicella e Tenore) è radicalmente cambiato, assoggettando al giudice del lavoro la stragrande maggioranza in materia di controversie del pubblico impiego, eccezion fatta per quelle da ultimo indicate. Vale ancora rammentare che l'art. 69, comma 7, d.lgs. n. 165/2001, ha attribuito al giudice del lavoro le controversie su vicende successive al 30 giugno 1998, mentre quelle concernenti vicende antecedenti rimangono devolute al giudice amministrativo purché introdotte entro il 15 settembre 2000. La questione di costituzionalità della disposizione è stata dichiarata manifestamente infondata (Corte cost. n. 213/2005). Con particolare riguardo alle controversie relative a procedure concorsuali per l'assunzione di pubblici dipendenti, la S.C. ha chiarito che la giurisdizione deve essere attribuita al giudice ordinario od a quello amministrativo a seconda che ricorra una delle diverse ipotesi di cui al seguente quadro complessivo: a) giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie relative a concorsi per soli candidati esterni; b) identica giurisdizione nelle controversie relative a concorsi misti, restando irrilevante che il posto da coprire sia compreso o meno nell'ambito della medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la posizione di lavoro di interni ammessi alla procedura selettiva, poiché, in tal caso, la circostanza che non si tratti di passaggio ad area diversa viene vanificata dalla presenza di possibili vincitori esterni; c) ancora giurisdizione amministrativa quando si tratti di concorsi per soli interni che comportino passaggio da un'area funzionale ad un'altra, spettando, poi, al giudice del merito la verifica di legittimità delle norme che escludono l'apertura del concorso all'esterno; d) residuale giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che comportino passaggio da una qualifica ad un'altra, ma nell'ambito della medesima area funzionale. Peraltro, la riserva di giurisdizione amministrativa nella materia de qua è da intendere riferita alla giurisdizione generale di legittimità, a una siffatta conclusione inducendo il non equivoco tenore letterale della norma dell'art. 63, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, nonché la considerazione di sistema per cui è da interpretare in tali termini qualsivoglia disposizione che, disciplinando la giurisdizione in determinate materie, non contenga un'espressa attribuzione di queste alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass. S.U., n. 6217/2005; Cass. S.U., n. 3717/2007). L'azione risarcitoria proposta nei confronti della pubblica amministrazione in relazione al danno prodotto dalla cancellazione dalle liste di collocamento non rientra fra le controversie previste dall'art. 409, n. 5 (Cass. n. 7640/2022). Rapporti di lavoro con Stati esteri ed enti extraterritorialiCon riguardo alle controversie inerenti al rapporto di lavoro di personale dipendente di Stati stranieri in Italia, sussiste il difetto di giurisdizione del giudice italiano quando la pronuncia richiesta comporti una valutazione del comportamento datoriale nell'organizzazione dell'ufficio, interferendo sugli atti o comportamenti dell'ente attraverso il quale lo Stato estero persegue, anche se in via indiretta, le sue finalità istituzionali, espressione dei poteri sovrani di autorganizzazione (Cass. S.U., n. 880/2007; per le controversie dei dipendenti vaticani v. Cass. S.U., n. 2291/1990). In breve, ai fini dell'esenzione dalla giurisdizione del giudice italiano, in applicazione del principio consuetudinario di diritto internazionale dell'immunità ristretta, è necessario che l'esame della fondatezza della domanda del prestatore di lavoro non comporti apprezzamenti, indagini o statuizioni che possano incidere o interferire sugli atti o comportamenti dello Stato estero che siano espressione dei suoi poteri sovrani di autorganizzazione (Cass. S.U., n. 1981/2012). Agli stati stranieri sono equiparati taluni enti extraterritoriali quali, tra gli altri, il Sovrano Militare Ordine di Malta (Cass. S.U., n. 5/2007), l'Istituto Studi di Bari (Cass. S.U., n. 5565/1994), il Liceo Chateaubriand (Cass. S.U., n. 9322/1988), l'Academie de France a Rome (Cass. S.U., n. 5126/1994), il British Institute of Florence (Cass. S.U., n. 12704/1998). Viceversa, sono sottoposte alla giurisdizione italiana le controversie concernenti il rapporto di lavoro con la Pontificia Università Gregoriana (Cass. S.U., n. 1133/2007; Cass. S.U., n. 6143/1991) e con il Pontificio Collegio Americano del Nord (Cass. S.U., n. 16847/2011). BibliografiaAndrioli, Barone, Pezzano e Proto Pisani, Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987; Arieta e De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2004, Asprella, La nuova modalità di pronuncia della sentenza nel rito del lavoro, in Giust. civ. 2010, 133; Balena, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994; Borghesi, La giurisdizione nel pubblico impiego privatizzato, Padova, 2002; Carratta, Art. 1, in Chiarloni (a cura di), Il nuovo processo societario, Bologna, 2004; Cecchella, La risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro, dopo la riforma del 2010: la conciliazione, in Riv. arb. 2011, 373; Cinelli, Dal «collegato 2010» alle «manovre» dell’estate 2011: quali scenari per la giustizia del lavoro?, in Riv. it. dir. lav. 2011, 559; Costantino, Il nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria di primo grado, in Riv. dir. proc. 2003, 387; De Cristofaro, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (Adr) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, in Lav. giur. 2011, 57; Fabbrini, Diritto processuale del lavoro, Milano, 1974; Ferroni, Ancora sull’interesse ad agire in mero accertamento nel rapporto di lavoro, in Giust. civ. 1986, I, 248; Lambertucci, La nuova disciplina della conciliazione delle controversie di lavoro nella legge 4 novembre 2010, n. 183 (cd. collegato lavoro): prime riflessioni, in Riv. it. dir. lav 2011, 581; Luiso, Il processo del lavoro, Torino, 1992; Menchini, Considerazioni sugli orientamenti giurisprudenziali in tema di art. 409, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1983, 505, Montesano e Arieta, Trattato di diritto processuale civile, II, 1, Padova, 2002; Montesano e Vaccarella, Diritto processuale del lavoro, Napoli, 1996; Noviello, Sordi, Apicella, Tenore, Le nuove controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, 2ª ed., Milano, 2001; Proto Pisani, In tema di contraddittorietà tra dispositivo letto in udienza e dispositivo contenuto nella sentenza depositata nel processo del lavoro, in Foro it. 1981, I, 737; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991; Proto Pisani, Controversie individuali di lavoro, Torino, 1993; Proto Pisani, Appunti sull’appello civile (alla stregua della l. 353/1990), in Foro it. 1994, V, 193; Rizzardo, Accertamento pregiudiziale ai sensi dell’art. 420-bis: la Suprema Corte detta le regole per le istruzioni per l’uso, in Corr. giur. 2008, 1253; Santagada e Sassani, Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, Roma, 2010; Sassani, Mero accertamento del rapporto di lavoro, interesse ad agire ed art. 34, in Giust. civ. 1984, I, 626; Tarzia, Manuale del processo del lavoro, 5ª ed., Milano, 2008; Tesoriere, Diritto processuale del lavoro, 4ª ed., Padova, 2004; Tizi, Osservazioni in tema di mutamento di rito ex art. 426, inGiust. civ. 2001, I, 2134; Tombari Fabbrini, Correzione di errori materiali e processo del lavoro, in Foro it. 2004, I, 1230; Trisorio Liuzzi, Tutela giurisdizionale delle locazioni, Napoli, 2005; Vaccarella, Capponi e Cecchella, Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992; Verde e Olivieri, Processo del lavoro e della previdenza, in Enc. dir. 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