Codice di Procedura Civile art. 411 - Processo verbale di conciliazione 1 2 .[I]. Se la conciliazione esperita ai sensi dell’articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto. [II]. Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio. [III]. Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell’articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione e` stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533 e successivamente dall'art. 31, l. 4 novembre 2010, n. 183. V. anche art. 31, comma 9, l. n. 183, cit., sub art. 410. Il testo recitava: «[I]. Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal presidente del collegio che ha esperito il tentativo, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. [II]. Il processo verbale è depositato a cura delle parti o dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto. [III]. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane la autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto». Precedentemente l'articolo era stato anche modificato dall'art. 81 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, , con effetto dalla data indicata sub art. 8. [2] Ai sensi dell'art. 20, comma 1, l. 13 dicembre 2024, n. 203, i procedimenti di conciliazione in materia di lavoro previsti dal presente articolo e dagli articoli 410 e 412-ter del codice di procedura civile possono svolgersi in modalità telematica e mediante collegamenti audiovisivi, fermo restando quanto previsto dall'articolo 12-bis del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120. Per l'applicazione della presente disposizione, v. comma 4 dell'art. 20, l. n. 203, cit. InquadramentoAnche la norma in commento deve la sua attuale formulazione alla novella di cui al comma 3 dell'art. 31 l. n. 183/2010. L'avvenuta conciliazione, che, secondo la disposizione, può avere ad oggetto anche una parte soltanto della domanda, si traduce nella stesura di un separato (rispetto al verbale del procedimento di conciliazione e, cioè, secondo lo stesso modello applicato per la conciliazione giudiziale) verbale di conciliazione. Spetta poi al giudice attribuire al verbale efficacia esecutiva al verbale depositato presso di lui. Non è stabilito alcun termine per il deposito. È da ritenere che competa al giudice il controllo della regolarità formale del verbale. In assenza del deposito, il processo verbale non costituisce titolo esecutivo, ma ha valore di scrittura privata autenticata. Vale qui ricordare che l'art. 2113, ultimo comma, c.c. esclude l'applicabilità alla conciliazione raggiunta ai sensi degli artt. 410-411 delle disposizioni dettate dall'art. 2113, commi 1, 2 e 3, c.c. concernenti l'invalidità delle rinunzie e transazioni avvenute in sede stragiudiziale su diritti del lavoratore derivanti da norme inderogabili. Evidente la ratio della previsione, la quale si riassume in ciò, che le conciliazioni giudiziali e quelle formate a seguito della procedura di cui agli artt. 410 e 411, fatte salve dall'applicabilità dei primi tre commi dell'art. 2113 c.c. — salvezza, peraltro, in piena sintonia con il disposto dell'art. 1966 c.c., in tema di nullità delle transazioni relative a diritti sottratti alla disponibilità delle parti per loro natura o per espressa disposizione legislativa — contengono negozi assoggettati espressamente a un regime giuridico derogatorio del principio generale di impugnabilità nel termine di decadenza di sei mesi proprio per effetto dell'intervento garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale) diretto al superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest'ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro (Cass. n. 11107/2002). In particolare, l'intervento dell'ufficio provinciale del lavoro è in sé idoneo a sottrarre il lavoratore a quella condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro, che rende sospette di prevaricazione da parte di quest'ultimo le transazioni e le rinunce intervenute nel corso del rapporto in ordine a diritti previsti da norme inderogabili, sia allorché detto organismo partecipi attivamente alla composizione delle contrastanti posizioni delle parti, sia quando in un proprio atto si limiti a riconoscere, in una transazione già delineata dagli interessati in trattative dirette, l'espressione di una volontà non coartata dal lavoratore; consegue che anche in tale ultimo caso la transazione si sottrae alla impugnativa suddetta (Cass. n. 17785/2002). Perciò, è da escludere la validità del verbale di conciliazione se non risulta sottoscritto in sede sindacale e se non firmato dal rappresentante sindacale alla presenza ed in contestualità con il lavoratore (Cass. n. 3237/2011). Se si tratta di conciliazione in sede sindacale, il verbale di conciliazione, ai sensi del comma 3, deve essere depositato presso l'ufficio provinciale del lavoro dalle parti o tramite un'associazione sindacale. Quindi il direttore dell'ufficio, o un suo delegato, verificatane dell'autenticità, provvede al deposito del verbale presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione esso è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, dichiara il verbale esecutivo con decreto, previa verifica della regolarità formale. Gli effetti della conciliazione sindacale, dunque, sono i medesimi della conciliazione amministrativa. La conciliazione in sede sindacale «presuppone che l'accordo sia raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale cioè di quella alla quale egli ha ritenuto di affidarsi» (Cass. n. 12858/2003). La conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell'art. 411, comma 3, c.p.c., non potrebbe dunque essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest'ultima essere annoverata tra le sedi protette mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all'assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore (Cass. n. 10065/2024). Per essere qualificata tale, in particolare, la conciliazione deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore (Cass. n. 13910/1999). Occorre altresì valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (Cass. n. 13217/2008; Cass. n. 4730/2002). Il lavoratore può dolersi della mancata o insufficiente assistenza del proprio sindacalista ma non dell'assenza di quello che tutela la controparte datoriale (che, nella specie, non aveva sottoscritto contestualmente l'atto) nel cui esclusivo interesse interviene (Cass. n. 18864/2016). La transazione intervenuta innanzi al giudice straniero può essere qualificata transazione giudiziale, per gli effetti di cui all'art. 410, ove siano assicurate dinanzi all'autorità giudiziaria straniera le garanzie difensive sottese alla richiamata norma, secondo la valutazione, incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivata, operata dal giudice di merito, cui compete anche l'interpretazione di tale transazione (Cass. n. 15806/2010). La conciliazione in sede sindacale non ha natura di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, in quanto il rappresentante sindacale non è un pubblico ufficiale, né ha il potere di autenticare le sottoscrizioni delle parti, ma si limita a garantire con la sua presenza l'assenza di uno stato di soggezione tra datore di lavoro e lavoratore, sicché quest'ultimo può limitarsi a disconoscere la propria sottoscrizione facendo ricadere sulla controparte l'onere di chiederne la verificazione, la cui mancanza determina l'inutilizzabilità dell'atto (Cass. n. 9255/2016). La conciliazione non riuscitaNel caso in cui la conciliazione non riesca, la disposizione in commento reca una previsione solo in parte già contenuta nell'art. art. 66, comma 7, d.lgs. n. 165/2001, in materia di pubblico impiego. È previsto che la commissione di conciliazione formuli una proposta di bonaria definizione della controversia. Tale proposta, ove non accettata, viene verbalizzata con l'indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. In sede di giudizio il giudice tiene conto di tale proposta e della sua mancata accettazione qualora il rifiuto non sia fondato su adeguata motivazione. La previsione si pone, ma sembrerebbe solo in parte, sulla scia dell'art. 66, comma 7, d.lgs. n. 165/2001, nonché nella linea già indicata dall'art. 91, laddove attribuisce rilevanza, ai soli fini delle spese di lite, alla mancata accettazione priva di giustificato motivo. Nel caso in esame il comma 3 dell'art. 411 prevede che il ricorrente, all'atto del deposito di cui all'art. 415, debba anche allegare i verbali e le memorie relative al procedimento di conciliazione, dei quali il giudice sembra poter tenere conto non soltanto ai fini della spese (in proposito Lambertucci, 595). Parrebbe inoltre doversi escludere che la previsione del comma 2 dell'art. 411 trovi applicazione anche nei riguardi del tentativo di conciliazione esperito senza risultato in sede sindacale. Il previgente art. 412, comma 3 stabiliva l'applicazione al tentativo di conciliazione in sede sindacale del primo comma della medesima norma, ove era disposto che, in caso di mancata conciliazione, dovesse formarsi processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo: ciò al fine di consentire al giudice di tener conto delle risultanze del verbale nella liquidazione delle spese (art. 412, comma 4). Oggi, invece, il carattere deformalizzato della conciliazione in sede sindacale, a fronte della procedimentalizzazione della conciliazione amministrativa, porta ad escludere l'applicabilità dell'art. 411, comma 2 al fallito tentativo di conciliazione in sede sindacale. La fase di conciliazione conciliativo svoltosi in sede sindacale non dispiega perciò alcun effetto sullo svolgimento del giudizio, neppure in ordine alle spese. La sede sindacaleLe conciliazioni in sede sindacale, di cui all'art. 411, comma 3, sono comprese fra le «sedi protette» cui si riferisce l'ultimo comma dell'art. 2113 c.c.. La previsione è peraltro laconica, giacché si limita a stabilire che se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, non si applica l'art. 410 c.c. Per «sede sindacale» sembra potersi intendere sia il luogo fisico in cui è ubicata la rappresentanza sindacale, sia qualunque luogo in cui sia presente il sindacalista che coadiuva il lavoratore. Di recente si è affermato che, ferma la necessità del mandato sindacale e dell'effettiva assistenza del rappresentante sindacale, il luogo fisico della sottoscrizione non è un requisito sostanziale, ma funzionale, della conciliazione, e tale funzionalità ricorre sempre se la sottoscrizione avviene presso la sede del sindacato, donde l'onere probatorio dell'eventuale assenza dell'assistenza grava sul lavoratore. Viceversa, qualora la sottoscrizione sia avvenuta in un luogo diverso dalla sede del sindacato, l'onere dell'effettiva assistenza sindacale grava sul datore di lavoro (Cass. n. 1975/2024). Requisito imprescindibile della conciliazione in sede sindacale è dunque la presenza del sindacalista del lavoratore, sicché il lavoratore non può dolersi della mancanza del sindacalista datoriale (Cass. n. 18864/2016). Il sindacalista che cura gli interessi del lavoratore deve essere un appartenente al suo sindacato (Cass. n. 12858/2003, che ha sottolineato la necessità che l'accordo sia raggiunto con l'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti sindacali della propria organizzazione sindacale, cioè di quella alla quale abbia deciso di affidarsi. La presenza del sindacalista al momento della conciliazione lascia presumere un'adeguata assistenza del lavoratore, anche in ragione del conferimento di un mandato implicito (Cass. n. 16154/2021). Non sembra dunque che il principio affermato da Cass. n. 10065/2024, poc'anzi ricordato, possa essere integralmente condiviso. 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