Codice di Procedura Civile art. 560 - Modo della custodia. 1

Rosaria Giordano

Modo della custodia.1

[I]. Il debitore e il terzo nominato custode debbono rendere il conto a norma dell'articolo 593.

[II]. Ad essi è fatto divieto di dare in locazione l'immobile pignorato se non autorizzati dal giudice dell'esecuzione.

[III]. Il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino alla pronuncia del decreto di trasferimento, salvo quanto previsto dal nono comma.

[IV]. Nell'ipotesi di cui al terzo comma, il custode giudiziario ha il dovere di vigilare affinché il debitore e il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l'integrità.

[V]. Il custode giudiziario provvede altresì, previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione, alla amministrazione e alla gestione dell'immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità.

[VI]. Il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l'immobile sia visitato da potenziali acquirenti, secondo le modalità stabilite con ordinanza del giudice dell'esecuzione.

[VII]. Il giudice dell'esecuzione, con provvedimento opponibile ai sensi dell'articolo 617, ordina la liberazione dell'immobile non abitato dall'esecutato e dal suo nucleo familiare oppure occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura non oltre la pronuncia dell'ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni.

[VIII]. Salvo quanto previsto dal nono comma, il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile occupato dal debitore e dal suo nucleo familiare con provvedimento emesso contestualmente al decreto di trasferimento.

 

[IX]. Il giudice dell'esecuzione, sentite le parti ed il custode, ordina la liberazione dell'immobile pignorato quando è ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti o comunque impedito lo svolgimento delle attività degli ausiliari del giudice, quando l'immobile non è adeguatamente tutelato o mantenuto in uno stato di buona conservazione, quando l'esecutato viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico.

[X]. L'ordine di liberazione è attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell'esecuzione, senza l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti, anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento, nell'interesse e senza spese a carico dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, salvo espresso esonero del custode ad opera di questi ultimi. Per l'attuazione dell'ordine di liberazione il giudice può autorizzare il custode ad avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari ai sensi dell'articolo 68. Quando nell'immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, il custode intima al soggetto tenuto al rilascio di asportarli, assegnandogli un termine non inferiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza. Dell'intimazione si dà atto a verbale ovvero, se il soggetto intimato non è presente, mediante atto notificato a cura del custode. Se l'asporto non è eseguito entro il termine assegnato, i beni mobili sono considerati abbandonati e il custode, salva diversa disposizione del giudice dell'esecuzione, ne cura lo smaltimento o la distruzione».

 

[1] [1] Articolo così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 4, comma 2, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, conv., con modif., in l. 11 febbraio 2019, n. 12 e, da ultimo, dall'art. 3, comma 38, lett. b), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale)  di cui si riporta il testo prima della sostituzione: «[I]. Il debitore e il terzo nominato custode debbono rendere il conto a norma dell'articolo 593. [II]. Il custode nominato ha il dovere di vigilare affinché il debitore e il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l'integrità. [II].Il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento, salvo quanto previsto dal sesto comma. [IV].Il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l'immobile sia visitato da potenziali acquirenti. [V].Le modalità del diritto di visita sono contemplate e stabilite nell'ordinanza di cui all'articolo 569. [VII] Il giudice ordina, sentiti il custode e il debitore, la liberazione dell'immobile pignorato per lui ed il suo nucleo familiare, qualora sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti, quando l'immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare, quando il debitore viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico, o quando l'immobile non e' abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare. A richiesta dell'aggiudicatario, l'ordine di liberazione puo' essere attuato dal custode senza l'osservanza delle formalita' di cui agli articoli 605 e seguenti; il giudice puo' autorizzarlo ad avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari ai sensi dell'articolo 68. Quando nell'immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, il custode intima alla parte tenuta al rilascio di asportarli, assegnando ad essa un termine non inferiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza da provarsi con giustificati motivi. Quando vi sono beni mobili di provata o evidente titolarita' di terzi, l'intimazione e' rivolta anche a questi ultimi con le stesse modalita' di cui al periodo precedente. Dell'intimazione e' dato atto nel verbale. Se uno dei soggetti intimati non e' presente, l'intimazione gli e' notificata dal custode. Se l'asporto non e' eseguito entro il termine assegnato, i beni mobili sono considerati abbandonati e il custode, salva diversa disposizione del giudice dell'esecuzione, ne dispone lo smaltimento o la distruzione.  Dopo la notifica o la comunicazione del decreto di trasferimento, il custode, su istanza dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, provvede all'attuazione del provvedimento di cui all'articolo 586, secondo comma, decorsi sessanta giorni e non oltre centoventi giorni dalla predetta istanza, con le modalita' definite nei periodi dal secondo al settimo del presente comma. [VIII].Fermo quanto previsto dal sesto comma, quando l'immobile pignorato e' abitato dal debitore e dai suoi familiari il giudice non può mai disporre il rilascio dell'immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento ai sensi dell'articolo 586.». Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

La disposizione in esame – cruciale ai fini dell’equilibrio che il legislatore processuale vuole prevedere nell’espropriazione immobiliare nella tutela, rispettivamente, del creditore e debitore – è stata oggetto di plurimi interventi normativi, sino al recentissimo d.lgs. n. 149 del 2022, emanato in base alla delega di cui alla legge n. 206 del 2021, che sarà in vigore per le procedure promosse dalla data del 28 febbraio 2023.

La norma, tanto nella formulazione attuale che in quella destinata ad operare a partire dai prossimi mesi, individua espressamente nella pronuncia del decreto di trasferimento il momento dopo il quale può essere disposta dal giudice dell’esecuzione, almeno di regola, la liberazione dell’immobile pignorato che sia abitato dal debitore e dalla sua famiglia.

È specificato, poi, che il debitore e i familiari conviventi non perdono il possesso dell’immobile nel quale vivono sino all’emanazione del decreto di trasferimento medesimo.

Nelle ipotesi in cui, invece, il bene non sia occupato dal debitore o dai suoi familiari ovvero sia occupato da soggetti terzi che non vantino alcun titolo, la norma, nella formulazione sostituita dal d.lgs. n. 149/2022, precisa espressamente che l’ordine di liberazione va emesso entro l’autorizzazione delle operazioni di vendita o la delega delle relative operazioni.

L’attuazione dell’ordine di liberazione, anche dopo l’emissione del decreto di trasferimento, salvo che l’aggiudicatario preferisca provvedervi autonomamente, è realizzata dal custode, secondo le direttive impartite dal giudice dell’esecuzione, senza l’osservanza delle più puntuali disposizioni dettate dagli artt. 605 e ss. c.p.c. per l’esecuzione forzata in forma specifica per rilascio.

Locazione dell'immobile

Il comma 7 della norma precisa che l'immobile pignorato non può essere concesso in locazione dal debitore in difetto dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione,  disposizione riprodotta dal comma 2 dell'art. 560, come sostituito dal d.lgs. n. 149 del 2022 . Parimenti il custode terzo è tenuto a richiedere al giudice dell'esecuzione l'autorizzazione ai provvedimenti volti alla gestione del bene pignorato, tra i quali rientra quello della stipula anche del contratto di locazione.

Sul punto, è stato in generale più volte ribadito che il contratto di locazione di un bene sottoposto a pignoramento, sottoscritto senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione in violazione della disposizione in esame non è invalido ma è inopponibile ai creditori e all'assegnatario (Cass. n. 13216/2016, la quale ha precisato che detto contratto non pertiene al locatore proprietario esecutato, ma al locatore custode e le azioni che da esso scaturiscono devono essere esercitate, anche in caso di locazione non autorizzata, dal custode).

In ogni caso, la locazione stipulata dal custode giudiziario, a tal fine autorizzato dal giudice, di un immobile sottoposto ad esecuzione forzata, è contratto la cui durata risulta  naturaliter  contenuta nei limiti della procedura concorsuale, non potendo essere opposta a colui che abbia acquistato il bene a seguito di vendita forzata (Cass. n. 20341/2010).

Sotto altro profilo, risolvendo il pregresso contrasto nella giurisprudenza di legittimità sulla questione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ormai da tempo chiarito che poiché la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione, ai sensi degli artt. 28 e 29 l. n. 392/1978, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale, nell'ipotesi di pignoramento dell'immobile, tale rinnovazione non necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, prevista dal comma e della disposizione in esame (Cass.  S.U. , n. 11830/2013).

Resta fermo che, diversamente, la rinnovazione tacita del contratto alla seconda scadenza contrattuale, a seguito del mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di disdetta (non motivata) del rapporto ai sensi dell'art. 28, comma 1, l. n. 392/1978, costituisce una libera manifestazione di volontà negoziale, di talché in caso di pignoramento dell'immobile locato eseguito in data antecedente alla scadenza del termine per l'esercizio della menzionata facoltà da parte del locatore, la rinnovazione della locazione necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione (Cass. n. 11168/2015).

Occorre considerare, sulla questione, che, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, nel caso in cui, intervenuto il pignoramento del bene prima della seconda scadenza contrattuale, il contratto venga a cessare per la mancata autorizzazione del giudice dell'esecuzione alla relativa rinnovazione, al conduttore spetta l'indennità di avviamento ex art. 34 della l. n. 392 del 1978, la cui corresponsione, da parte dell'acquirente in forza del decreto di trasferimento, si pone quale condizione per il rilascio, con la conseguenza che, fino a tale momento, il conduttore è tenuto a versare soltanto la somma convenuta a titolo di canone, restando escluso il maggior danno ex art. 1591 c.c. (Cass. n. 22166/2023).

Il contratto di locazione dell'immobile pignorato, stipulato invece dal debitore esecutato senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, è nullo per violazione di norma imperativa, con la conseguenza che la somma versata dal (preteso) conduttore al locatore deve intendersi corrisposta per un'occupazione "sine titulo", e che la procedura esecutiva può chiederne conto al debitore-locatore e non già al conduttore che abbia pagato in buona fede e sulla base di un ragionevole affidamento nella legittimazione del ricevente, essendo costui liberato ai sensi dell'art. 1189 c.c. (Cass. n. 25368/2023).

Per altro verso, la S.C. ha più volte precisato che, dopo il pignoramento di un immobile già concesso in locazione, il locatore-proprietario perde la legittimazione sostanziale sia a richiedere al conduttore il pagamento dei canoni sia ad accettarli, spettando tale legittimazione in via esclusiva al custode, con la conseguenza che, una volta nominato custode, il proprietario-locatore, mutando il titolo del possesso del bene, può richiedere il pagamento dei canoni (Cass. n. 19323/2005Cass. n. 7748/2018).

Ne consegue che gli atti di gestione del rapporto locativo ad uso diverso - come la registrazione tardiva del contratto o il diniego di rinnovo alla prima scadenza ex art. 29 l. n. 392 del 1978 - compiuti durante la procedura esecutiva dall'esecutato non nella sua qualità di custode (o in tale qualità, ma in mancanza della autorizzazione del giudice dell'esecuzione) sono radicalmente improduttivi di effetti nei confronti della procedura e dello stesso conduttore, anche in caso di estinzione della procedura esecutiva per causa diversa dalla vendita forzata dell'immobile anteriore alla prima scadenza del rapporto (Cass. n. 15678/2024).

Sennonché, nell'ipotesi di espropriazione forzata di un bene locato, il pagamento di canoni locativi eseguito dal locatario all'esecutato-locatore, nel corso del processo esecutivo ma prima della designazione del custode professionale o della conoscenza della surroga nella custodia, ha efficacia liberatoria nei confronti della procedura a condizione che sussistano i requisiti della fattispecie di cui all'art. 1189 c.c., ovvero che il conduttore provi, oltre alla sua buona fede, l'esecuzione del pagamento in favore del creditore apparente, il quale deve risultare da una prova documentale munita di data certa ex art. 2704 c.c., non potendosi attribuire valore confessorio, nei confronti del custode giudiziario, a quietanze o dichiarazioni giudiziali rilasciate dall'esecutato (Cass. n. 25584/2024).

Per altro verso, nella recente giurisprudenza di legittimità è stato puntualizzato che, in assenza di un'espressa previsione normativa ad hoc, il custode giudiziario di un immobile sottoposto a pignoramento non può partecipare alle assemblee condominiali, salvo che il giudice dell'esecuzione abbia fornito sul punto specifiche istruzioni operative, contenute nel provvedimento di nomina del custode o in altro successivo (Cass. n. 29070/2023).

Avendo riguardo all'art. 560 c.p.c., nella formulazione modificata dallal. n. 12/2019,  e conservata dal d.lgs. n. 149 del 2022  la circostanza che il legislatore utilizzi espressamente il termine “possesso” per definire, pur a pignoramento effettuato, il rapporto tra il debitore e l'immobile ove adibito ad abitazione dello stesso e della sua famiglia potrebbe far ritenere prima facie che ciò integri una deroga rispetto alla prescrizione generale di cui  all'art. 2912 c.c., con la conseguenza che  nell'ipotesi di locazione del bene pignorato i canoni, quali frutti civili, dovrebbero essere acquisiti dal debitore.

Come evidenziato in altre sede, questa interpretazione sarebbe disfunzionale agli interessi dei creditori (muniti di un titolo esecutivo che giustifica l'espropriazione forzata) ed ultronea rispetto alla finalità della disciplina novellata che appare quella di garantire non un guadagno al debitore esecutato bensì il cd. diritto all'abitazione. Potrebbe pervenirsi, mediante la lettura del comma 1 dell'odierno art. 560 c.p.c., laddove preveda che il debitore ed il custode debbano effettuare il rendiconto ex art. 593 c.p.c., alla diversa interpretazione per la quale il debitore su autorizzazione del giudice può locare l'immobile dovendo tuttavia, in ossequio alle disposizioni della stessa autorità giudiziaria, vincolare i canoni percepiti in favore della procedura, in un ruolo mutato del debitore dopo il pignoramento assimilabile a quello del custode, stante l'interesse pubblico sotteso al corretto svolgimento della procedura esecutiva (cfr. Giordano, § 3).

Legittimazione processuale

È sinora incontroverso che il custode, in virtù dei poteri di gestione e amministrazione a lui attribuiti e della relazione qualificata con il bene pignorato derivante dall'investitura del giudice, avesse la legittimazione processuale all'esercizio delle azioni relative (Cass. n. 8695/2015).

Tale previsione è stata espressamente ribadita dall'art. 560, come novellato dal d.lgs. n. 149/2022, anche in relazione all'esercizio delle azioni per il “recupero” del bene (ove, ad esempio, occupato in forza di titolo inopponibile alla procedura da un soggetto terzo.

Si tratta, tuttavia, di una legittimazione solo processuale e non anche sostanziale, con la conseguenza che nel corso del giudizio se si “chiude” la procedura esecutiva il debitore esecutato recupera anche la legittimazione processuale in quanto titolare del diritto controverso (cfr. Cass. n. 11219/2024).

Presupposti e modalità di esecuzione/attuazione dell'ordinanza di liberazione del bene pignorato

Il comma 3 della disposizione in esame, nella formulazione previgente, stabiliva che il giudice dell'esecuzione dispone, con provvedimento non impugnabile, la liberazione dell'immobile pignorato, quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, ovvero quando revoca la detta autorizzazione, se concessa in precedenza, ovvero, in ogni caso, quando provvede all'aggiudicazione o all'assegnazione dell'immobile.

Una circolare del Consiglio Superiore della Magistratura aveva peraltro “anticipato”, seguendo la prassi di alcuni uffici giudiziari, al momento dell'autorizzazione alla vendita la liberazione dell'immobile pignorato, al fine di accelerare la procedura di vendita resa più difficoltosa dal timore dell'offerente di acquistare un immobile da liberare.

Andando di diverso avviso solo in relazione a talune ipotesi, nella formulazione originaria, l'art. 4, comma 2, d.l. n. 135/2018, aveva previsto una deroga esclusivamente in favore del debitore che vantasse crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione per importi pari a quelli azionati, anche mediante intervento, nel corso della procedura che poteva chiedere, documentando tale situazione, al giudice dell'esecuzione di disporre, in sede di autorizzazione delle operazioni di vendita,  il rilascio dell'immobile pignorato per una data compresa tra il sessantesimo e novantesimo giorno successivo a quello della pronuncia del medesimo decreto.

Denunciata in sede di primo commento la potenziale illegittimità costituzionale di tale disciplina normativa perché discriminante i debitori sul piano soggettivo (cfr. Farina), in sede di conversione dello stesso d.l. n. 135/2018 in l. n. 12/2019, la norma è stata sostituita da quella che prevede, con una ratio peraltro assolutamente diversa, che il giudice dell'esecuzione, se l'immobile pignorato è abitato dal debitore, può disporne la liberazione solo al momento della pronuncia del decreto di trasferimento.

Questo implica, in buona sostanza, che viga un doppio-regime a seconda della circostanza che il debitore abiti o meno nell'immobile oggetto di esecuzione, poiché nel primo caso il debitore potrà di regola continuare a vivere nel bene pignorato anche dopo l'aggiudicazione del bene alla vendita forzata e l'integrale versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario, potendo essere solo successivamente emesso il decreto ex art. 586 c.p.c.

 

La S.C. ha di recente sottolineato che il provvedimento ordinatorio con cui il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile pignorato costituisce regola generale nelle espropriazioni immobiliari, come attestato dall'esistenza di un'espressa disciplina dei casi e dei tempi in cui è esclusa la sua emissione nei confronti del debitore e del suo nucleo familiare abitanti nel cespite staggito. In vero, l'ordine di liberazione è funzionale agli scopi del processo di espropriazione forzata e, in particolare, all'esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene pignorato alle migliori condizioni possibili, notoriamente connesse, sul mercato dei potenziali acquirenti, allo stato di immediata, piena ed incondizionata disponibilità dell'immobile (Cass. III, n. 9877/2022).

E' stato osservato che appaiono evidenti le difficoltà per il professionista delegato di vendere l'immobile in condizioni siffatte ad un prezzo congruo, col risultato che le vendite forzate rischieranno di tornare ad essere fertile terreno di lucro per gli speculatori e che ciò non andrà solo a svantaggio del ceto creditorio, come pure potrebbe apparire, ma dello stesso debitore che rischia di rimanere tale anche dopo la vendita del bene ad un prezzo inferiore rispetto al credito azionato in sede esecutiva (Giordano, § 4).

Tuttavia rimane fermo il potere del giudice dell'esecuzione nella fissazione, con l'ordinanza di vendita, delle modalità del diritto di visita dei potenziali offerenti e delle ulteriori condizioni cui il debitore occupante è tenuto ad adeguarsi, al fine di poter liberare anticipatamente l'immobile tutte le volte che le stesse siano state violate, essendo espressamente fatto salvo dal comma 8 il precedente comma 6. Ciò implica, come evidenziato in dottrina (Fanticini, Il nuovo ordine di liberazione, in inexecutivis.it), pertanto,  che per gli immobili abitati dall'esecutato viene a mutare la stessa ratio della liberazione che si trasforma da strumento volto ad agevolare l'aggiudicatario e a favorire la liquidazione del bene a misura sanzionatoria nei confronti dell'esecutato che non presti la dovuta collaborazione alla vendita della propria abitazione.

Questo assetto è stato conservato, per le procedure che saranno incardinate dal 28 febbraio 2023, dal d.lgs. n. 149/2022.

Tuttavia sono state meglio precisate le fattispecie nelle quali il giudice dell'esecuzione può emanare l'ordine di liberazione ante tempus a fronte di determinate condotte dell'esecutato che viva nell'immobile individuate nelle seguenti fattispecie: 1) impedimento alle attività degli ausiliari del giudice; 2) ostacolo del diritto di visita di potenziali

acquirenti; 3) omessa manutenzione del cespite in uno stato di buona conservazione; 4) violazione degli altri obblighi che la legge pone a carico dell'esecutato o degli occupanti.

Sebbene la norma, anche nell'ultima formulazione riveniente dal d.lgs. n. 149 del 2022, riservi la possibilità per il giudice di emettere l'ordine di liberazione dopo la pronuncia del decreto di trasferimento solo ove l'esecutato viva nell'immobile con la sua famiglia, la norma deve essere oggetto di un'interpretazione costituzionalmente orientata, stante la natura inviolabile del diritto all'abitazione (Corte cost. n. 213/2021, n. 128/2021, n. 44/2020), e dunque ritenuta operante anche ove il debitore viva nel bene da solo (cfr. Farina (-GiordanoMetafora), 74).

Nelle ipotesi in cui, invece, il bene non sia occupato dal debitore o dai suoi familiari ovvero sia occupato da soggetti terzi che non vantino alcun titolo, la norma, nella formulazione sostituita dal d.lgs. n. 149/2022, precisa espressamente che l'ordine di liberazione va emesso entro l'autorizzazione delle operazioni di vendita o la delega delle relative operazioni.

Quanto alle ipotesi nelle quali un terzo detiene l'immobile pignorato sine titulo, la Corte di cassazione ha di recente precisato che la locazione "a canone vile" stipulata in data anteriore al pignoramento non è opponibile all'aggiudicatario ai sensi dell'art. 2923, comma 3, c.c. ed è inopponibile anche alla procedura o ai creditori che ad essa danno impulso, stante l'interesse pubblicistico al rituale sviluppo del processo esecutivo e, quindi, per un motivo di ordine pubblico processuale, il quale impone l'anticipazione degli effetti favorevoli dell'aggiudicazione e del decreto di trasferimento, col peculiare regime di efficacia "ultra partes" di quest'ultimo, sicché è pienamente legittima l'emanazione diretta, da parte del giudice dell'esecuzione, dell'ordine di liberazione - con la successiva attuazione da parte del custode e senza che sia necessario munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva - avvalendosi delle stesse inopponibilità previste per l'aggiudicatario, potendo i vari soggetti coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento trovare tutela delle loro ragioni nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. III, n. 9822/2022).

Sino alla novella normativa di cui al d.l. 3 maggio 2016, n. 59, l'art.  560 c.p.c. stabiliva espressamente che l'ordine di liberazione costituiva titolo esecutivo per il rilascio, da eseguirsi a cura del custode anche successivamente all'emanazione del decreto di trasferimento nell'interesse dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, salvo che gli stessi esentassero il custode. Fermi questi ultimi aspetti, la norma in esame, dopo la novella di cui al d.l. n. 59/2016, non faceva più riferimento alla natura di titolo esecutivo del provvedimento di liberazione, stabilendo, invece, che lo stesso è “attuato” dal custode secondo le disposizioni dettate dal giudice dell'esecuzione immobiliare. L'utilizzo della terminologia e la circostanza che detta attuazione deve avvenire senza l'osservanza delle formalità previste dagli artt. 605 e ss. c.p.c., rendeva ragione della tesi per la quale il provvedimento in questione, pur se emanato dal giudice dell'esecuzione, trovava la propria concreta realizzazione nelle forme dell'attuazione cautelare (pur essendo privo della relativa natura, con ogni evidenza).

Come osservato in dottrina, nell'assetto anteriore alla novella, “l'esecuzione dell'ordine di liberazione mediante la procedura prevista dagli artt. 605 ss. comportava l'insorgenza di un procedimento esecutivo per rilascio, scaturito “per gemmazione” da una espropriazione immobiliare; il raddoppio delle procedure esecutive (e dei costi delle medesime) e l'affidamento dell'esecuzione del provvedimento di rilascio a un soggetto (l'ufficiale giudiziario) diverso da quello incaricato della liquidazione immobiliare e non direttamente subordinato al giudice dell'espropriazione immobiliare impedivano un controllo giurisdizionale sui tempi della liberazione e sul suo svolgimento; peraltro, si rilevavano (purtroppo, non infrequentemente) situazioni in cui alcuni ufficiali giudiziari adducevano ostacoli all'esecuzione dell'ordine giudiziale ergendosi ad arbitri della sua attuazione, così fraintendendo il proprio ruolo nell'ordinamento e i poteri loro affidati (i quali sono volti ad eseguire coattivamente i provvedimenti dell'autorità giudiziaria e non a evitare che ciò accada)” (Fanticini, 2016).

E' opportuno ricordare che per l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi eseguibili in forma specifica, conformemente ad alcune prassi già invalse nell'assetto antecedente all'emanazione dell'art. 669-duodecies con l. 26 novembre 1990, n. 353, il legislatore ha optato per l'esecuzione c.d. in via breve, i.e. in favore della determinazione delle modalità di attuazione da parte del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare. In coerenza con il principio di unicità del procedimento cautelare,  sono dunque semplificati al massimo i meccanismi dell'esecuzione in quanto, non occorrendo attività giuridiche complesse per la trasformazione dei beni del destinatario passivo della misura in denaro, è il medesimo giudice della cautela che sovrintende all'attuazione, risolvendo le difficoltà impreviste che possono insorgere nel corso della stessa. Invero, come è stato ormai chiarito anche in sede di legittimità, l'attuazione di misure cautelari, aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, non avvia un separato procedimento di esecuzione ma costituisce una fase del procedimento cautelare in cui il giudice (da intendersi come ufficio), che ha emanato il provvedimento cautelare, ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le difficoltà e le contestazioni sorte (Cass. n. 15761/2014). Proprio in ragione del principio di unicità del procedimento cautelare — che esclude una diversità di essenza tra la cognizione propria del momento concessorio e quella propria del momento attuativo, rendendo normale la compenetrazione tra concessione e attuazione — deve ritenersi in linea di principio ammissibile il reclamo avverso provvedimenti emessi in sede di attuazione del procedimento cautelare, salvo che si tratti di provvedimenti di carattere meramente ordinatorio (Trib. Reggio Calabria L, 11 aprile 2011, in Giur. Merito, 2012, 599; conf., tra le altre, Trib. Trani 23 gennaio 2007, in giurisprudenzabarese.it). In senso opposto è stato ritenuto che, poiché l'art. 669-terdecies consente il reclamo esclusivamente contro l'ordinanza con la quale sia stato concesso o negato un provvedimento cautelare, non sono reclamabili le decisioni emesse ai sensi dell'art. 669-duodecies, trattandosi di pronunce prive di qualsivoglia contenuto decisorio, volte esclusivamente a precisare le modalità di esecuzione di un provvedimento cautelare già emesso (Trib. Torino IX, 2 dicembre 2005, in Giur. Merito, 2006, 2636, con nota di Barberio; conformi, tra le altre, Trib. Modena II, 21 settembre 2011; Trib. Camerino 12 marzo 2009, ibidem). Seguendo la medesima impostazione, si è anche osservato che i provvedimenti di attuazione non hanno natura cautelare, bensì natura esecutiva, evidenziando che, proprio perché la cautela è una sola, e il provvedimento ex art. 669-duodecies c.p.c. ne è soltanto l'appendice esecutiva, deve escludersi che anche il relativo provvedimento «accessorio» sia reclamabile (Trib. Bologna II, 20 novembre 2007, in Foro padano, 2009, n. 3-4, 678, con nota di Mesiti).

Questo modello era stato pertanto esteso all'attuazione dell'ordine di liberazione che avverrà, a cura del custode, dinanzi al giudice dell'esecuzione immobile (ossia al medesimo giudice che ha emesso l'ordine in questione).

La riforma prevedeva, inoltre, che, ai fini dell'attuazione dell'ordine di liberazione, il custode possa avvalersi della forza pubblica (e, quindi, non del solo ufficiale giudiziario cui erano demandati in precedenza i relativi compiti) e nominare ausiliari ex art. 68 c.p.c.  Quest'ultima esigenza ricorre sovente, quando si tratti di liberare beni immobili, e venga, ad esempio, dedotta dall'occupante del bene una malattia o altro impedimento fisico che non gli consentirebbe di lasciare il bene senza un grave pregiudizio per il proprio stato di salute.

Ci si è interrogati nell'attuale silenzio, dopo la novella di cui alla l. n. 12/2019, in ordine alla natura dell'ordine di liberazione sulle modalità di esecuzione/attuazione dello stesso (a seconda dell'opzione qualificatoria prescelta), ossia se l'eliminazione delle previsioni introdotte dalla l. n. 119/2016 vada intesa quale “ripristino” del pregresso regime, anche se implicito, come pure possibile, stante la natura di atto esecutivo del provvedimento ovvero se detta eliminazione, non essendo definito titolo esecutivo l'ordine di liberazione, sia “neutra” ai fini della qualificazione e quindi delle modalità di attuazione del provvedimento.

In ogni caso le riferite problematiche sono state espressamente risolte dall'art. 560, nella formulazione oggi novellata dal d.lgs. n. 149 del 2022 nel senso, in sostanza, di un totale “ripristino” dell'assetto delineato per l'attuazione dell'ordine di liberazione dalla riforma del 2016 (cfr. Farina(- GiordanoMetafora), 74).

E, dunque, il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile pignorato non costituisce autonomo titolo esecutivo idoneo a fondare una separata esecuzione per rilascio, bensì atto del processo di espropriazione immobiliare suscettibile di attuazione deformalizzata direttamente da parte degli ausiliari del giudice che lo ha emesso (Cass. n. 9670/2024)

Regime dell'ordinanza di liberazione

La novella realizzata dal d.l. n. 59/2016, era intervenuta, sotto altro profilo, anche sul regime dell'ordinanza di liberazione.

E' opportuno ricordare che, sebbene la stessa fosse definita dall'art. 560 c.p.c., nella pregressa formulazione “non impugnabile”, tuttavia nella giurisprudenza di legittimità era stata affermata la possibilità di contestare la stessa con opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 25654/2010).

Con un emendamento approvato al Senato in corso di conversione del d.l. in questione nella l. n. 118/2016, era stato espressamente previsto che, di norma, il provvedimento di liberazione dell'immobile pignorato è soggetto ad opposizione ex art. 617 c.p.c.

Detto regime, peraltro, era stato espressamente esteso, con l'unica (ovvia) precisazione che in detta ipotesi il termine per interporre opposizione decorre dalla notificazione del provvedimento al terzo anche all'ipotesi nella quale a contestare l'ordinanza di liberazione sia un terzo detentore che deduca un titolo autonomo alla procedura, fattispecie nella quale la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto, più correttamente, esperibile l'opposizione all'esecuzione (Cass. n. 15623/2010).

Il provvedimento di liberazione ha efficacia anche verso il terzo detentore, come si evince dalla norma, secondo quanto da sempre affermato in giurisprudenza nell'assetto precedente, attesa la qualificazione del titolo esecutivo per rilascio in termini di titolo con efficacia erga omnes.

Invero, è stato più volte ribadito il principio in virtù del quale l'ordine di rilascio contenuto in una sentenza di condanna al rilascio di un immobile spiega efficacia nei confronti non solo del destinatario della relativa statuizione, ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene nel momento in cui la sentenza stessa venga coattivamente eseguita, non potendo l'ordine de quo venir contrastato in forza di un eventuale titolo giustificativo della disponibilità del bene in contestazione diverso da quello preso in esame dalla pronuncia giurisdizionale (e potendo, se del caso, il detentore provvedere, per converso, alla tutela dei propri diritti lesi dal provvedimento proponendo opposizione di terzo ex art.404 ovvero autonoma azione di accertamento). Ne consegue che il comportamento del detentore del fondo il quale, reso edotto dall'ufficiale giudiziario, in sede di accesso esecutivo, dell'ordine di rilascio (rivolto, peraltro, a soggetto diverso), continui ciononostante ad occupare il fondo stesso rifiutando di allontanarsene integra gli estremi dello spoglio, essendo sufficiente ad integrare il trasferimento del possesso in capo all'esecutante anche la sola intimazione ad allontanarsene rivolta all'attuale occupante.

Appariva quindi problematico il riferimento al rimedio dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. essendo, di regola, le contestazioni del terzo detentore “di merito”, ossia afferenti la sussistenza di un diritto autonomo rispetto a quello del debitore esecutato, sicché un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 560 c.p.c. dovrebbe porsi nel senso di consentire anche siffatte contestazioni al terzo detentore.

Nella formulazione attuale, successiva all'ulteriore novellazione di cui alla l. n. 12/2019, nulla si dice circa il regime dell'ordine di liberazione.

Ciò potrebbe interpretarsi, considerata la problematicità della norma nella versione introdotta dalla riforma del 2016, nel senso di un “ripristino” dell'assetto tradizionale, con un'impugnabilità del provvedimento ex art. 617 c.p.c. da parte del debitore e con la possibilità del terzo detentore che vanti un diritto autonomo rispetto a quello del creditore di esperire l'opposizione all'esecuzione.

Diversamente, la norma, come ulteriormente sostituita, per le procedure promosse dal 28 febbraio 2023, dal d.lgs. n. 149 del 2022, assoggetta in ogni caso – quindi anche ove sia pronunciato nei confronti del terzo detentore – l'ordine di liberazione ad opposizione agli atti esecutivi. Dovrà ritenersi, a nostro sommesso parere, tuttavia che in questa ipotesi siano veicolabili a prescindere dal nomen juris del rimedio anche motivi di merito proponibili in sede di opposizione all'esecuzione almeno da parte del terzo detentore, ossia che lo stesso possa far valere la sussistenza di un proprio diritto autonomo rispetto a quello dell'esecutato sull'immobile (ad esempio, di esserne proprietario per effetto di un acquisto a titolo originario).

Visita dell’immobile da parte dei soggetti interessati

La riforma di cui alla l. n. 119/2016, intervenendo sulla norma in esame, aveva individuato le modalità con le quali deve essere consentita ai potenziali offerenti la visita dell'immobile pignorato.

Più in particolare, era stato sancito un vero e proprio diritto dei soggetti interessati a visitare l'immobile entro quindici giorni dalla richiesta, che dovrà essere effettuata per il tramite del portale delle vendite pubbliche.

Al contempo erano state previste, specie a tutela del debitore, magari ancora nella disponibilità dell'immobile, alcune cautele, nel senso che la richiesta di visita del bene poteva essere resa nota al solo custode e la visita dello stesso deve svolgersi con modalità tali da assicurare la riservatezza dell'identità degli interessati, evitando ogni contatto tra loro.

Attualmente, a seguito della riforma realizzata dalla l. n. 12/2019, il legislatore ha “rinunciato” a disciplinare in concreto le modalità di visita dell'immobile pignorato stabilendo, pur ferma al comma 4 la regola per la quale “il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l'immobile sia visitato da potenziali acquirenti”, che le modalità del diritto di visita sono contemplate e stabilite nell'ordinanza di cui all'art. 569 c.p.c. In questo modo, dovrebbe essere possibile un più agevole “adattamento” delle modalità di visita alle condizioni del singolo immobile ed allo stato di occupazione dello stesso.

In senso analogo disporrà l'art. 560, come modificato nel 2022, per le procedure promosse dal 28 febbraio 2023, nell'ambito delle quali le modalità del diritto di visita dell'immobile occupato dal debitore da parte di terzi interessati dovranno seguire i criteri indicati dal giudice dell'esecuzione.

I beni mobili estranei all’esecuzione

Sotto altro profilo, sempre in sede di conversione del d.l. 3 maggio 2016, n. 59, erano state introdotte opportune precisazioni – nel momento in cui l'ordinanza di liberazione non è più titolo esecutivo che segue la disciplina dell'esecuzione in forma specifica ai sensi degli artt. 605 e ss. c.p.c. – in ordine alla “sorte” dei beni mobili estranei all'esecuzione rinvenuti in loco.

In sostanza, con i dovuti adattamenti, era stata riprodotta la disciplina dettata a tal fine nell'esecuzione per rilascio dall'art. 609 c.p.c.

Sulla questione, non è superfluo ricordare che, in accordo con il sistema previgente alla riformulazione dell'art. 609 c.p.c., era molto complicato liberare l'immobile dai beni mobili estranei all'esecuzione.

Rispetto ai beni mobili estranei all'esecuzione rinvenuti sul posto ed appartenenti alla parte tenuta al rilascio, erano essenzialmente tre le alternative che potevano prospettarsi secondo quanto previsto dall'art. 609 c.p.c. nella precedente formulazione.

Invero, il problema poteva non sorgere in concreto se l'esecutato asportava i propri beni mobili immediatamente.

In mancanza di ciò, l'ufficiale giudiziario poteva disporne la custodia in loco anche a cura della parte istante il rilascio: in tale ipotesi, la parte esecutante diventava depositaria delle cose mobili e ne avrebbe risposto, nei confronti del proprietario, con la diligenza media richiesta dal comma 1 dell'art. 1768 c.c. (Cass., n. 21734/2010).

Peraltro, come è stato chiarito dalla S.C., non era necessario, se la parte istante il rilascio consentiva che i beni mobili appartenenti all'esecutato rimangano sul posto, che la custodia fosse affidata alla stessa essendo possibile, infatti, che l'ufficiale giudiziario disponesse  la custodia in loco anche affidata ad un terzo, con la conseguenza che quest'ultimo sarebbe stato tenuto, nei confronti dell'esecutato, alla restituzione dei mobili affidatigli con la correlativa responsabilità in caso di inadempimento, salvo l'obbligo dell'esecutato stesso di apprestare la necessaria collaborazione anticipandone le spese (Cass. n. 4755/1985).

Se, invece, l'esecutante non consentiva alla custodia sul posto dei beni mobili estranei all'esecuzione, l'ufficiale giudiziario poteva disporne il trasporto in altro luogo.

L'evidente limite delle norme dettate dall'art. 609 nella formulazione previgente era costituito dall'impossibilità per il creditore istante il rilascio, in difetto di collaborazione attiva dell'esecutato, di “liberarsi” dei beni mobili estranei alla procedura rinvenuti in loco al momento dell'accesso dell'ufficiale giudiziario, con il rischio di sostenere, a tal fine, come evidenziato, costi ingenti.

In accordo con la nuova disciplina stabilita dall'art. 609, quando nell'immobile oggetto della procedura esecutiva per rilascio l'ufficiale giudiziario rinviene beni che non devono essere consegnati al procedente, intima alla parte tenuta al rilascio ovvero al soggetto in ipotesi diverso cui i beni appartengono, di asportarli entro un determinato termine.

Se, decorso il termine, il soggetto tenuto all'asporto non vi provvede, sono previste oggi diverse facoltà alternative per il creditore istante.

In primo luogo, potrà richiedere di procedere alla vendita dei beni mobili presenti nell'immobile oggetto di rilascio ai sensi dell'art. 609, comma 5.

In tale ipotesi la parte istante dovrà anticipare le spese necessarie per la vendita e per effetto di tale richiesta, alla medesima stregua di quanto avveniva nella disciplina previgente, assumerà la custodia dei beni quale depositario.

Il custode provvederà quindi alla vendita senza incanto secondo le forme proprie della vendita dei beni mobili pignorati, talché trovano applicazione gli artt. 530 e ss., in quanto compatibili. Le modalità della vendita saranno peraltro disposte dal Giudice dell'esecuzione per rilascio.

Il ricavato dalla vendita sarà utilizzato, innanzitutto, per il pagamento delle spese e dei compensi per la custodia, per l'asporto e per la vendita, liquidate dal giudice dell'esecuzione per rilascio. Se i beni mobili oggetto di vendita appartengono all'esecutato, l'eventuale eccedenza servirà per il pagamento delle spese di esecuzione liquidate ai sensi dell'art. 611.

Diversamente, se l'istante non propone l'istanza di vendita o non ha interesse ad anticiparne le spese ovvero nell'ipotesi di infruttuosità della vendita disposta, la norma in commento prevede che, ove non sia evidente l'utilità del tentativo di vendita di cui al quinto comma i beni si considerano abbandonati, e l'ufficiale giudiziario ne disporrà lo smaltimento o la distruzione.

Peraltro, se prima della vendita o dello smaltimento o della distruzione, decorso il termine fissato nell'intimazione, colui al quale i beni appartengono può chiederne la consegna al giudice dell'esecuzione per rilascio che provvede con decreto e, se accoglie l'istanza, dispone la riconsegna previa corresponsione delle spese e dei compensi per la custodia e l'asporto.

Tuttavia, le regole richiamate non trovano applicazione se i beni mobili estranei all'esecuzione presenti nell'immobile siano già oggetto di pignoramento o sequestro: in detta situazione l'ufficiale giudiziario avrà l'obbligo di dare immediatamente notizia dell'avvenuto rilascio al creditore su istanza del quale fu eseguito il pignoramento o il sequestro ed al giudice dell'esecuzione per l'eventuale sostituzione del custode.

Una disciplina specifica viene infine dettata dal terzo comma dell'art. 609 c.p.c. con riguardo ai documenti inerenti allo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale rinvenuti nel bene immobile al momento del rilascio.  In tale ipotesi, previa intimazione nelle forme già indicate del soggetto tenuto al rilascio o dei terzi, i documenti sono conservati, per un periodo di due anni, dalla parte richiedente l'esecuzione per rilascio ovvero, su istanza e previa anticipazione delle spese da parte di quest'ultima, da un custode nominato dall'ufficiale giudiziario. Anche in tal caso, in difetto di istanza di riconsegna e di pagamento anticipato delle spese, i documenti sono considerati abbandonati e l'ufficiale giudiziario, salvo diversa richiesta della parte istante, ne dispone lo smaltimento o la distruzione alla stregua delle res derelictae ed allo stesso modo si procede alla scadenza del termine biennale, a cura della parte richiedente l'esecuzione per rilascio o del custode, ove nominato.

La richiamata disciplina era stata “trasposta” dal d.l. n. 59/2016 con alcuni adattamenti nella norma in esame per l'attuazione dell'ordine di liberazione dei beni pignorati, “adattamenti” aventi la propria ratio nella prospettiva di rendere ancor più celere ed efficiente la fase della liberazione, a cura del custode, dell'immobile pignorato.

Invero, non si prevedeva alcun regime “privilegiato”, come nell'art. 609 c.p.c., per i documenti concernenti lo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale.

Si stabiliva solo che quando nell'immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati il custode intima alla parte tenuta al rilascio ovvero al soggetto al quale gli stessi risultano appartenere di asportarli, assegnandogli il relativo termine, non inferiore a trenta giorni, salvi i casi d'urgenza. Qualora l'asporto non sia eseguito entro il termine assegnato, i beni o documenti sono considerati abbandonati e il custode, salvo diversa disposizione del giudice dell'esecuzione, ne dispone lo smaltimento o la distruzione.

Non è contemplata, come nell'art. 609 c.p.c., poi, la facoltà per il custode di disporre la vendita dei beni ove da considerarsi abbandonati per sostenere le spese dell'esecuzione.

In sostanza, era stato configurato un meccanismo che, sebbene modellato sull'art. 609 c.p.c., lo semplificava sotto alcuni aspetti, eliminando gli adempimenti procedurali che sarebbero incompatibili con le esigenze di ragionevole durata della procedura esecutiva immobiliare.

L'art. 560 c.p.c. nella formulazione attuale resta silente sulla sorte dei beni mobili estranei al procedimento attuativo/esecutivo dell'ordine di liberazione e ciò dovrebbe far ritenere invece applicabili in via analogica, salva la compatibilità, le disposizioni dettate dall'art. 609 c.p.c.

Anche in parte qua il d.lgs. n. 149 del 2022 realizzerà una sorta di ritorno a un peraltro recente passato poiché è oggetto di espressa regolamentazione la liberazione dai beni mobili estranei all'esecuzione situati nell'immobile pignorato. E' in particolare stabilito che il custode intima al soggetto tenuto al rilascio di asportarli, assegnandogli un termine non inferiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza. Dell'intimazione si dà atto a verbale ovvero, se il soggetto intimato non è presente, mediante atto notificato a cura del custode. Se l'asporto non è eseguito entro il termine assegnato, i beni mobili sono considerati abbandonati e il custode, salva diversa disposizione del giudice dell'esecuzione, ne cura lo smaltimento o la distruzione.

Bibliografia

Auletta, Il pignoramento immobiliare, in Il pignoramento nel suo aspetto pratico, a cura di De Stefano - Giordano, Milano 2020; Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2017; De Stefano, Gli interventi in materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 132/2014, in Riv. esecuz. forzata 2014, 787 ss.; Merlin, La vendita forzata immobiliare e la custodia dell’immobile pignorato, in Il processo civile di riforma in riforma, diretto da Carbone, Milano, 2006, 89 ss.; Metafora, È incostituzionale la seconda proroga della sospensione delle espropriazioni aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore esecutato, in Ilprocessocivile.it; Ricci G.F., La connessione nel processo esecutivo, Milano, 1986; S. Rossetti, La espropriazione presso terzi versione 2014: una riforma nel segno dell’efficienza, in Giustiziacivile.com, 2015; Saletti, La custodia dei beni pignorati nell’espropriazione immobiliare, in Riv. esecuz. forzata 2006, 67 ss.; Tarzia, L’oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961; Travi, Espropriazione immobiliare, in Nss. D.I., VI, Torino, 1969; Verde, Pignoramento in generale, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario