Codice di Procedura Civile art. 629 - Rinuncia.Rinuncia. [I]. Il processo si estingue se, prima dell'aggiudicazione [503, 537 1, 574, 581 3] o dell'assegnazione [505, 530 2, 590 2], il creditore pignorante e quelli intervenuti [499] muniti di titolo esecutivo [474] rinunciano agli atti. [II]. Dopo la vendita il processo si estingue se rinunciano agli atti tutti i creditori concorrenti. [III]. In quanto possibile, si applicano le disposizioni dell'articolo 306. InquadramentoIl sistema dell'estinzione dell'esecuzione per cause tipiche è molto simile a quello del processo di cognizione, essendo in entrambi i casi la fattispecie estintiva fondata sul presupposto della rinuncia agli atti ovvero dell'inattività delle parti. Prima dell'aggiudicazione, devono rinunciare il creditore procedente ed i creditori intervenuti muniti di titolo, anche se tardivamente intervenuti (Cass. n. 18227/2014). Dopo la vendita la rinuncia deve pervenire da tutti i creditori concorrenti. Il richiamo all'art. 306, implica che la rinuncia sia atto formale, consistente in una dichiarazione verbale resa in udienza o in un atto sottoscritto e notificato alle parti (Sassani, 1988, 558 ss.). Non è invece necessaria l'accettazione del debitore, il quale non ha alcun interesse giuridicamente rilevante alla prosecuzione della procedura (Vaccarella, 983). Affinché si produca l'effetto estintivo dovrà essere emanata un'ordinanza del giudice dell'esecuzione (Cass. n. 6885/2008), con statuizione sulle spese da porre, salvo diverso accordo, ex art. 306, a carico del rinunciante (Cass. n. 25439/2010). PremessaL'estinzione del processo esecutivo per le cause “tipiche” previste dalla disposizione in esame e dall'art. 631 delinea un sistema analogo a quello del processo di cognizione, nel quale anche l'estinzione del processo si verifica per effetto della rinuncia agli atti (art. 306) o per inattività delle parti (art. 307). Soggetti tenuti a rinunciare per pervenire all'estinzioneIl comma 1 della norma prevede che, prima dell'aggiudicazione, la rinuncia, affinché sia idonea a determinare l'estinzione dell'esecuzione (valendo, in mancanza, per il solo creditore che effettua validamente la stessa), deve pervenire dal creditore procedente e dai creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo. L'esistenza, a favore del creditore intervenuto, di un titolo esecutivo, che lo abiliti a provocare gli atti dell'esecuzione, va valutata non già al momento dell'intervento, ma con riferimento a quello in cui, verificatasi la rinunzia del creditore pignorante, diviene concreto ed attuale l'interesse del medesimo creditore intervenuto a far proseguire il processo esecutivo (Cass. n. 12762/2000). Sulla questione la S.C. ha chiarito che la rinuncia potrà pervenire anche dai creditori titolati intervenuti tardivamente (Cass. n. 18227/2014). Con riguardo al provvedimento dichiarativo dell'estinzione del processo esecutivo per rinuncia, l'eventuale illegittimità, derivante dalla mancata partecipazione alla rinuncia di alcuni creditori muniti di titolo esecutivo, può essere dedotta da tali creditori, non anche dal creditore che sia privo di titolo esecutivo, stante la non configurabilità di un suo interesse a rimuovere la suddetta declaratoria d'estinzione, in un procedimento cui non è in grado di dare impulso a causa dell'indicata carenza di titolo (Cass., n. 4889/2006). Dopo la vendita, invece, la rinuncia deve pervenire da tutti i creditori concorrenti, i.e. anche da coloro i quali non siano muniti di titolo esecutivo. Modalità della rinunciaA riguardo, il comma 3 della disposizione in esame rinvia, con la riserva della compatibilità, al disposto dell'art. 306. Ne deriva che l'atto abdicativo deve consistere in una dichiarazione verbale resa in udienza o in un atto sottoscritto e notificato alle parti (Sassani, 1988, 558 ss.). Peraltro, non sarà necessaria l'accettazione del debitore che non ha alcun interesse giuridicamente rilevante alla prosecuzione della procedura (Vaccarella, 983). La rinunzia agli atti del processo esecutivo, abbia essa carattere processuale o extraprocessuale, è inefficace ove sottoposta a condizione (Cass. n. 2050/1997, la quale ha precisato che non rileva che la condizione si riferisca al rimborso delle spese, che le stesse costituiscano o meno accessorio del credito azionato). Secondo l’orientamento tradizionale, l'estinzione del processo esecutivo a seguito di rinuncia si verifica, al pari di quella prevista dall'art. 306, richiamato dall'art. 629, solo con l'ordinanza del giudice (Cass. n. 6885/2008, la quale ha precisato che, di conseguenza, fino a quando non è emesso tale provvedimento, i creditori possono intervenire). Il provvedimento può tuttavia essere emesso dal giudice, verificata la regolarità della rinuncia, senza la necessaria convocazione delle parti (Cass. n. 1826/1993). Si è discostata da questa posizione, peraltro, una recentissima decisione della S.C., la quale ha affermato che l’estinzione del processo esecutivo si verifica per effetto della sola rinuncia dell'unico creditore, avendo il provvedimento di estinzione del giudice dell'esecuzione natura meramente dichiarativa, con la conseguenza che, dopo il deposito dell'atto di rinuncia, non è più ammesso l'intervento di altri creditori (Cass. n. 27545/2017). SpeseIn ordine alle spese, la Corte di legittimità ha più volte ribadito il principio per il quale la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 306, a norma della quale, se non vi è un diverso accordo, la parte che ha rinunciato agli atti del processo deve rimborsare le spese alle altre parti, è applicabile, in virtù dell'espresso richiamo dell'art. 629, anche nel processo esecutivo (Cass. n. 25439/2010). Ne deriva che l'ordinanza con cui, a seguito della rinunzia agli atti ed alla conseguente estinzione del processo esecutivo, il giudice dell'esecuzione, nel liquidare le spese ai sensi del combinato disposto degli artt. 306 e 629, si limiti, in mancanza di diverso accordo tra le parti, a porre le stesse a carico del creditore rinunciante, non incorre nel vizio del difetto di assoluto di motivazione, trattandosi di determinazione rispetto alla quale non sussiste alcun potere discrezionale del giudice (Cass. n. 4849/2009). La disposizione dell'ultimo comma dell'art. 306, a norma della quale, se non vi è un diverso accordo, la parte che ha rinunciato agli atti del processo deve rimborsare le spese alle altre parti, è applicabile, in virtù dell'espresso richiamo da parte della disposizione in esame, anche nel processo esecutivo, per le spese sostenute dal debitore, la cui attività non è esclusa in questo processo ma è anzi espressamente prevista e può manifestarsi sia con la comparizione dinnanzi al giudice, nei casi in cui è prescritta l'audizione delle parti, sia con istanze, eccezioni ed osservazioni (Cass. n. 18514/2006). L'ordinanza con cui, il giudice, nel dichiarare la estinzione del processo, pronuncia anche sul diritto al rimborso delle spese processuali, costituisce titolo esecutivo (Cass. n. 9495/2007). L'orientamento per il quale l’ordinanza con cui, a seguito della rinunzia agli atti, o della inattività delle parti, il giudice, nel dichiarare la estinzione del processo esecutivo, pronuncia anche sul diritto al rimborso delle spese processuali, è impugnabile con ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost. , ove la parte intenda impugnare solo la statuizione sulle spese, trattandosi di decisione su diritti, per la cui impugnazione la legge non prevede altro rimedio, è stato ormai superato dovendosi esperire, anche in detta ipotesi, il rimedio del reclamo al collegio ex art. 630. EffettiLa pronuncia di estinzione dell’esecuzione non fa venir meno il diritto di credito, sicché potrà essere iniziata una nuova azione esecutiva sul patrimonio del debitore esecutato ed anche sugli stessi beni che erano stati già aggrediti nella prima procedura. E’ stato chiarito che nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi proposto quando il processo esecutivo sia ormai estinto per rinuncia ed avente ad oggetto i provvedimenti del giudice dell'esecuzione conseguenti all'estinzione, volti a regolare esclusivamente i rapporti tra il debitore esecutato e l'aggiudicatario, non sono passivamente legittimati i creditori, procedente ed intervenuti, che abbiano rinunciato agli atti (Cass. n. 8747/2011). La chiusura anticipata dell'esecuzione forzata per infruttuositàL'art. 19, comma 2, d.l. n. 132/2014, convertito nella l. 10 novembre 2014, n. 162, prevede una nuova forma di chiusura anticipata del processo esecutivo correlata all'impossibilità dello stesso di far conseguire ai creditori un risultato utile. Si stabilisce, infatti, che tale chiusura anticipata è disposta quando risulta che «non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo ». La norma ha la finalità di evitare la prosecuzione di dispendiose procedure di esecuzione forzata, specie immobiliare, che per il succedersi di incanti deserti rischiano di procrastinarsi ben oltre il termine di ragionevole durata del processo, senza che comunque vi sia la possibilità per il creditore di ottenere una soddisfazione della propria pretesa, con il rischio che aumentino significativamente i costi per l'espletamento della procedura e permanendo, peraltro, a carico del debitore esecutato un vincolo sul bene pignorato che potrebbe perdurare sine die. E’ stato a riguardo osservato che l'art. 164-bis disp. att. laddove attribuisce al giudice il potere di disporre d'ufficio la chiusura anticipata della procedura per infruttuosità, non tutela l'interesse del debitore alla vendita del bene ad un determinato prezzo, trattandosi di norma posta, da un lato, a garanzia dell'interesse pubblicistico alla ragionevole durata del processo e, dall'altro, alla protezione dell'interesse privatistico all'economicità della procedura (Trib. Trapani, ord. 23 ottobre 2015, in Ilprocessocivile.it, con nota di Giordano). La questione in realtà non è nuova, essendosi posto da tempo nella prassi processuale il problema delle vendite immobiliari cc.dd. antieconomiche per il medesimo creditore, situazione che si verifica quando i prevedibili costi della procedura esecutiva superano il valore del compendio pignorato ed a fortiori laddove lo stesso non abbia alcun valore apprezzabile di mercato. Ad esempio, in sede applicativa già Trib. S. Maria Capua Vetere 24 gennaio 1984, Giur. it., 1985, I, 2, con nota di Pasquariello, aveva affermato che la prassi di rinnovare all'infinito gli incanti non solo costringe il procedimento esecutivo a non avere fine, ma in alcuni casi perviene a vendite a prezzi iniqui ed irrisori, realizzando così una scarsa tutela sia degli interessi del creditore che di quelli del debitore, sicché nel procedimento di espropriazione immobiliare nell'ipotesi di ripetuta infruttuosità degli esperimenti d'asta si realizza una fattispecie di estinzione d'ufficio, sebbene non espressamente prevista dalla legge (conforme Pret. Siracusa 9 novembre 1994, ivi, 1995, I, 1), In particolare, ci si chiede se la ripetizione all'infinito delle vendite sia compatibile, da un lato, con il principio di ragionevole durata del processo e, dall'altro, con i canoni di adeguatezza, proporzionalità ed economicità del processo, anch'essi corollari del principio del giusto processo, che pongono l'interrogativo sull'ammissibilità di un'esecuzione che si protragga troppo a lungo, vincolando il patrimonio del debitore, senza alcuna concreta speranza di soddisfazione per il creditore. In considerazione di tali esigenze, alcune pronunce di merito avevano quindi ritenuto che qualora il giudice dell'esecuzione riscontri l'impossibilità, per il processo, di conseguire alcun utile risultato, conseguente o alla valutazione della condotta della parte creditrice o alla constatazione dell'obiettiva invendibilità del compendio staggito, può pronunciare ordinanza con la quale dichiara l'estinzione del processo, pur al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore (cfr. Trib. Salerno 6 giugno 2002, n. 1799, Giur. mer., 2004, 1373, con nota di Petrella, con riferimento ad una fattispecie nella quale il giudice dell'esecuzione aveva invitato i creditori a dare corso alla pubblicità indispensabile per far proseguire il processo esecutivo senza che seguisse alcun adempimento. Tale decisione si segnala per aver cercato di fornire indicazioni generali sull'istituto dell'estinzione atipica, avente quale fondamento l'esigenza di rispettare il principio di ragionevole durata del processo, individuando due categorie di ipotesi nelle quali il giudice dell'esecuzione è tenuto a dichiararla, ovvero quando ciò si correli a condotte inerti o dilatorie dei creditori o per evitare un'indeterminata esposizione del compendio al vincolo del pignoramento qualora non vi siano possibilità di vendita dello stesso). La dottrina più autorevole si era mostrata critica rispetto a tali orientamenti, ipotizzando casi di chiusura anticipata dell'esecuzione soltanto nelle fattispecie-limite nelle quali il pignoramento abbia ad oggetto beni risultati avere, sin dall'origine o dopo ripetuti incanti rimasti infruttuosi, valore irrisorio ed insufficiente per il pagamento delle spese dell'esecuzione (Tarzia, Il giusto processo di esecuzione, in Riv. esecuz. forzata, 2002, 343). In modo ancora più radicale si era evidenziato, sempre in dottrina, che l'unico reale limite rispetto alla necessità di reiterare gli incanti con ribassi progressivi nel rispetto del diritto del creditore procedente alla tutela esecutiva sarebbe costituito dalla persistenza di un valore economico del bene pignorato, potendosi giustificare la chiusura della procedura soltanto qualora il bene, in base ad elementi oggettivi e concreti, non abbia più alcun valore e, quindi, sia un non-bene (Vaccarella, Infruttuosa reiterazione dell'incanto ed estinzione “atipica” del processo esecutivo, in Riv. esecuz. forz., 2007, 158). Indicazioni non sempre univoche sono invece pervenute sul delicato problema che ne occupa da parte della Corte di Cassazione. Per vero, in alcune pronunce più risalenti, la S.C. aveva evidenziato che la procedura esecutiva può arrestarsi prima del raggiungimento dello scopo ultimo della stessa, i.e. il soddisfacimento dei creditori con il ricavato della vendita dei beni pignorati, anche in ipotesi differenti da quelle “codificate” dagli artt. 629, 630 e 631 di estinzione dell'esecuzione forzata. In particolare, in un interessante precedente la S.C., nel ritenere legittima l'estinzione della procedura esecutiva per l'omessa tempestiva introduzione da parte del creditore procedente del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, ha sottolineato che l'elencazione delle ipotesi di estinzione della procedura contenuta nelle predette disposizioni normative non è tassativa, potendo dirsi in via più generale che il processo esecutivo si estingue quando non può più proseguire in via definitiva (ad esempio per il venir meno del titolo esecutivo, per distruzione o sottrazione del bene pignorato, o, come nel caso di specie, in caso di omessa richiesta di accertamento dell'obbligo del terzo da parte del creditore procedente, a norma dell'art. 548) (Cass. n. 7762/2003). La possibilità di un'estinzione atipica del processo esecutivo è stata invece decisamente esclusa da una successiva decisione della stessa Corte di Cassazione concernente proprio una fattispecie nella quale il provvedimento di rito con il quale è stata definita la procedura esecutiva dipendeva dalla difficoltà di collocare il bene pignorato sul mercato dopo ripetuti tentativi di vendita. Invero, la S.C. ha affermato il principio secondo cui nell'attuale disciplina normativa dell'esecuzione forzata vige il principio della tassatività delle ipotesi di estinzione del processo esecutivo e, conseguentemente, non è legittimo un provvedimento di c.d. estinzione atipica fondato sulla improseguibilità per “stallo” della procedura di vendita forzata e, quindi, sulla inutilità o non economicità sopravvenuta del processo esecutivo, precisando che l'amministrazione giudiziaria dell'immobile è prevista dall'art. 591 proprio come alternativa rispetto ad un incanto successivo al ribasso e costituisce una fase incidentale del procedimento di espropriazione, meramente eventuale e sussidiaria, che ha la funzione di sospenderlo in presenza di una contingenza negativa in attesa di tempi in cui il mercato sia più favorevole, avente lo scopo di mantenere il valore stimato dei beni e di evitare la diminuzione che ne comporterebbe il ricorso ad un nuovo incanto (Cass., n. 27148/2006, Riv. esecuz. forz., 2006, 898, con nota di Vaccarella). Peraltro, nella prassi pretoria successiva, non erano mancate altre decisioni di merito che avevano ribadito l'assunto per il quale laddove vi siano elementi concreti che depongano per una prognosi negativa circa la possibilità di vendere il bene e non vi siano alternative praticabili che siano concretamente funzionali allo scopo del processo esecutivo che è quello di realizzare la pretesa dei creditori, la mera conservazione statica del giudizio appare in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo dovendosi, piuttosto, dichiarare l'estinzione del processo esecutivo immobiliare. Ad esempio, Trib. Venezia 6 novembre 2009, Giur. mer., 2010, n. 5, 1336, con nota di Cosentino, ha dichiarato estinta la procedura per infruttosità, con riguardo ad una fattispecie nella quale erano stati esperiti sei tentativi infruttuosi di vendita ed era stata constatata l'impossibilità di dar corso all'amministrazione giudiziaria dell'immobile pignorato. Analogamente, Trib. Belluno 3 giugno 2013, ha ritenuto che, laddove dopo diversi tentativi di vendita con esito negativo risulti evidente l'inutilità della prosecuzione del processo esecutivo, lo stesso potrà essere dichiarato estinto in omaggio al principio costituzionale di ragionevole durata del processo e di “necessaria utilità” del processo esecutivo, principi che consentono di ammettere una fattispecie seppure atipica di estinzione al fine di evitare che lo scopo prefissato dal legislatore sia palesemente frustrato dalla prosecuzione di un'esecuzione che ha già dato dimostrazione di essere infruttuosa, vanamente costosa e totalmente antieconomica. Presupposti L'odierno art. 164-bis disp. att. norma di immediata applicazione anche alle procedure pendenti sin dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d.l. n. 132/2014 — dispone invero in tal senso l'art. 19, comma 6-bis, d.l. 132/2014 dopo la conversione nella l. n. 162/2014 — stabilisce che quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo. Dalla formulazione letterale della norma si evince chiaramente che, ricorrendo i presupposti enucleati dalla stessa, la chiusura anticipata del processo esecutivo è disposta d'ufficio dal giudice dell'Esecuzione, senza che sia necessario acquisire il consenso del creditore procedente e dei creditori intervenuti. In effetti, il problema interpretativo di maggiore rilevanza risiede proprio nell'eccessiva latitudine del potere discrezionale rimesso al Giudice dell'Esecuzione nella valutazione delle ipotesi nelle quali non si più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori. Secondo una prima e più rigorosa prospettazione interpretativa, alla luce della disposizione in commento, il giudice dell'esecuzione dovrebbe effettuare una valutazione ponderata dell'insieme dei previsti parametri e decidere per la chiusura anticipata della procedura stessa anche laddove, autorizzato il nuovo tentativo di vendita, il credito potrebbe essere soddisfatto soltanto in misura estremamente ridotta, ad esempio del 15-20% (Francola Misure per l'efficienza e la semplificazione del processo esecutivo, in La nuova riforma del processo civile a cura di Santangeli, Roma, 2014, 333). Questa interpretazione si fonda, come già alcuni precedenti di merito prima della riforma in esame, sull'assunto che deve darsi prevalenza, in buona sostanza, al principio della ragionevole durata del processo esecutivo, onde evitare la responsabilità dello Stato ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89, per la c.d. legge Pinto, e ciò anche ove il rispetto di tale principio comporti un sacrificio dei diritti del creditore. Altra tesi, per converso, è quella secondo cui il giudice dell'esecuzione non potrebbe fare applicazione della norma in esame tutte le volte che una parte del credito azionato, anche minima, sarebbe ricavabile, non potendosi il giudice sostituire alla valutazione del creditore circa la convenienza della procedura esecutiva. Qualora si acceda a quest'ultima, occorre domandarsi, inoltre, se nell'ipotesi in cui, avendo riguardo ai costi necessari per la prosecuzione della procedura e quindi per l'espletamento di nuovi incanti (ad esempio, costi di pubblicità su periodici e quotidiani e compenso spettante al delegato alle vendite), alla probabilità di liquidazione del bene ed al presumibile valore di realizzo, si accerti che almeno le spese sostenute dal creditore procedente possano essere recuperate se sia legittima la chiusura anticipata della procedura esecutiva. All'obiezione per la quale aderendo a siffatta tesi si avrebbe una prosecuzione della procedura volta soltanto a ripagarne i costi, è stato replicato che la valutazione demandata al giudice dalla norma in esame è ampiamente discrezionale ma ha ad oggetto la considerazione delle complessive ragioni di credito, comprese le spese processuali sostenute e maturate, ed il probabile valore di realizzo del bene e, quindi, la ragionevolezza sotto il profilo economico del soddisfacimento della pretesa tenuto conto del complesso di siffatti elementi. Peraltro si segnala, in sede applicativa, Trib. Pavia 7 luglio 2016, per la quale il termine ragionevole soddisfacimento di cui all'art. 164-bis disp. att. deve intendersi riferito ai crediti azionati nell'esecuzione, escludendosi, conseguentemente, che possa essere proseguita una procedura finalizzata al solo recupero delle spese già sostenute e sostenende nell'esecuzione forzata, ciò in quanto lo scopo tipico dell'esecuzione forzata è la soddisfazione del credito incardinato nel titolo esecutivo e non il recupero delle spese sostenute per l'attuazione coattiva del credito. In giurisprudenza cfr. Trib. Como, ord. 16 febbraio 2015, la quale ha ritenuto, osservato che costituisce serio indizio di infruttuosità dell'espropriazione forzata la circostanza per la quale, anche a seguito di molteplici esperimenti di vendita, il bene non ha suscitato interesse sul mercato, e ciò nonostante l'ampia pubblicità attuata ed il fatto che sia stato posto in vendita ad un prezzo estremamente esiguo in valori assoluti, la sussistenza di elementi per disporre la chiusura anticipata della procedura esecutiva in quanto il bene era stato posto inizialmente in vendita al prezzo di euro 63.000,00 e vi erano stati sei tentativi di vendita, con successivi ribassi ciascuno di un quarto di talché un ulteriore tentativo di vendita non avrebbe consentito neppure in minima parte il soddisfacimento della pretesa esecutiva. Analogamente, evidenzia Trib. Alessandria 28 gennaio 2015, che costituisce un serio indizio di infruttuosità dell'espropriazione forzata la circostanza per cui, anche a seguito di numerosi esperimenti di vendita, il bene non abbia suscitato interesse nel mercato e ciò nonostante la pubblicità attuata ed il fatto che sia stato posto in vendita ad un prezzo esiguo in valori assoluti. Su un piano più generale, Trib. Roma 1° ottobre 2015, in Foro it., 2016, I, 1872, con nota di Desiato, ha ritenuto che, ai fini della pronuncia di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità, la valutazione in ordine alla sproporzione tra il giusto prezzo ed il prezzo offerto nella vendita non può in alcun modo essere connessa all'originario prezzo di stima fissato dal perito, ma deve essere parametrata al prezzo di vendita in assenza di illecite interferenze o violazioni delle disposizioni codicistiche sull'andamento del processo esecutivo. In dottrina si è osservato che il giudice dell'esecuzione è chiamato ad effettuare una specifica valutazione evitando che proseguano, con probabili pregiudizi erariali a seguito di azioni risarcitorie fondate sulla legge c.d. Pinto, procedure di esecuzione forzata pregiudizievoli per il debitore ma inidonei a soddisfare i creditori perché generatori di costi processuali più elevati rispetto al concreto valore di realizzo dei beni pignorati (De Stefano, 794). Profili processuali L'art. 164-bis disp. att. resta silente sul procedimento che dovrà seguire il giudice dell'esecuzione per disporre la chiusura anticipata della procedura esecutiva così come sui rimedi esperibili avverso il provvedimento in questione. Sotto il primo profilo, se le forme processuali possono essere quelle duttili e destrutturate proprie della procedura esecutiva, nondimeno il giudice dovrà sentire le parti ed, in particolare, il creditore procedente che ha verosimilmente sostenuto i maggiori costi della procedura svoltasi sino a quel momento. Questo orientamento è stato già seguito da alcune decisioni che hanno avuto occasione di applicare la nuova disciplina: in genere è stata fissata l'udienza per sentire le parti onde procedere altresì alla cancellazione della trascrizione del pignoramento prevista dall'art. 172 disp. att. (Trib. Como, ord. 16 febbraio 2015). Anche in dottrina, si è osservato che la fissazione dell'udienza in questione è peraltro necessaria nelle procedure di esecuzione forzata immobiliare poiché, come si è evidenziato, il provvedimento di chiusura anticipata della procedura esecutiva dovrà contenere i conseguenti ordini di cancellazione della trascrizione del pignoramento immobiliare, la liquidazione delle spese dei creditori, se richiesta, nonché il compenso del custode e del delegato alla vendita, avendo riguardo al disposto dell'art. 632 (cfr. Tedoldi, § 10). Quando il giudice dell'esecuzione, in seguito ad un'opposizione ex art. 615 c.p.c., rileva, anche d'ufficio, i presupposti per una chiusura anticipata del processo esecutivo, deve - sentite le parti - dichiarare improseguibile l'esecuzione forzata e disporre la liberazione dei beni (a meno che non sia già intervenuta l'aggiudicazione o l'assegnazione) e, nell'espropriazione immobiliare, ordinare la cancellazione della trascrizione del pignoramento, nonché provvedere, ex art. 632 c.p.c., sulle spese dell'esecuzione in favore del debitore (se assistito con difesa tecnica), mentre i costi del processo esecutivo restano automaticamente a carico del creditore ex art. 95 c.p.c. (Cass. III, n. 11241/2022). Particolarmente problematica è apparsa ai commentatori la questione concernente i rimedi esperibili avverso il provvedimento di chiusura anticipata del processo esecutivo reso ex art. 164-bis disp. att. essendo la stessa correlata alla qualificazione dello stesso. Potrebbe in primo luogo ritenersi che siffatto provvedimento costituisca una forma di estinzione, peraltro ormai tipizzata, della procedura esecutiva, con conseguente reclamabilità dello stesso ai sensi dell'art. 630. Tale tesi è stata pure affermata da una parte della giurisprudenza di legittimità la quale, sull'assunto del carattere unitario delle forme di estinzione, anche atipiche, del processo esecutivo, in quanto connotate dalla comune circostanza che lo stesso non può proseguire verso il proprio scopo, ha ritenuto che avverso tale provvedimento debba essere in ogni caso esperito il rimedio, altrettanto generale del reclamo, nell'ambito di un sistema organico volto a soddisfare evidenti ragioni di economia processuale, consentendo cioè di verificare, con uno strumento agile e rapido, la sussistenza o meno delle condizioni di estinzione, ferma restando la più ampia tutela degli interessati attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione contro la sentenza emessa a seguito del reclamo (Cass., n. 7762/2003). Peraltro, questa tesi potrebbe scontrarsi con la constatazione che l'estinzione tipica della procedura esecutiva segue, analogamente a quanto avviene del resto nel processo ordinario di cognizione ex artt. 306 e 307, ad una condotta volontaria della parte, ossia alla rinuncia al processo esecutivo ovvero a determinate forme di inattività processuale. In tale ipotesi, in effetti, è il giudice dell'esecuzione a valutare che la procedura non può proseguire in quanto la stessa non potrà conseguire alcun risultato utile per la soddisfazione dei creditori, sicché ciò che viene piuttosto in rilievo, come in altre fattispecie di improcedibilità dell'azione esecutiva, è l'impossibilità per il processo esecutivo di conseguire il proprio scopo. Peraltro, la S.C. sin da un risalente precedente a Sezioni Unite, la stessa Corte di Cassazione abbia costantemente ritenuto che il provvedimento, con il quale il giudice dell'esecuzione dichiari la “estinzione” del procedimento esecutivo, a seguito dell'accertamento del sopravvenuto soddisfacimento del creditore istante e dei creditori intervenuti, con il conseguente venir meno del loro diritto di agire esecutivamente, ha natura sostanziale di declaratoria di improseguibilità del processo stesso, esulando dalle ipotesi di estinzione in senso stretto previste dall'art. 630 comma 1, e, pertanto, è impugnabile mediante l'opposizione a norma dell'art. 617 e non con il reclamo a norma del comma terzo dell'art. 630 (Cass. S.U., n. 413/1983). Il rimedio esperibile sarà, accedendo a quest'ultima impostazione, l'opposizione agli atti esecutivi. Tale tesi è stata avallata dalla Corte di cassazione sulla specifica questione in esame, rispetto alla quale ha espresso il principio secondo cui il provvedimento di chiusura anticipata del processo esecutivo ai sensi dell'art. 164-bis disp. att., per infruttuosità dell'espropriazione, non è suscettibile di impugnazione con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. essendo soggetto all'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 7754/2018). La S.C. ha argomentato la soluzione alla quale è pervenuta – pur riconoscendo che in relazione al provvedimento di estinzione della procedura esecutiva, i rimedi astrattamente invocabili sono il reclamo, ai sensi dell'art. 630, ovvero l'opposizione agli atti esecutivi, a seconda che si ritenga il provvedimento del giudice dell'esecuzione adottato sul presupposto di una delle ipotesi tipiche di estinzione del processo esecutivo, ovvero al fine di pervenire alla cosiddetta estinzione atipica del processo esecutivo – sottolineando che la chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità dell'espropriazione esula dall'estinzione del processo per inattività delle parti che soggiace al reclamo previsto dall'ultimo comma dell'art. 630, trattandosi di ipotesi estranea all'inattività delle parti e per la quale non vi è espressa previsione di reclamo sulla base della clausola iniziale dell'art. 630, comma 1 ("oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge"). Pertanto, la chiusura anticipata del processo ai sensi dell'art. 164-bis disp. att. resta quindi impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 quale rimedio impugnatorio generale avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione (Cass. n. 7754/2018). E' pertanto inammissibile il reclamo ex art. 630 c.p.c. per impugnare il provvedimento di chiusura anticipata (cd. "estinzione atipica") del processo esecutivo, il quale è assoggettato esclusivamente al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (cfr. Cass. III, n. 11241/2022, secondo cui la predetta inammissibilità non è suscettibile di sanatoria, né il reclamo può essere riqualificato in opposizione agli atti esecutivi, sia per l'impossibilità di attribuire alla domanda una qualificazione diversa da quella espressamente voluta dalla parte, sia per la destinazione dell'atto al collegio (anziché al giudice dell'esecuzione), sia per la struttura necessariamente bifasica dell'opposizione ex art. 617 c.p.c.). Effetti sulla prescrizione La questione in ordine alla riconducibilità della chiusura anticipata dell'espropriazione forzata per infruttuosità ad una ipotesi di estinzione del processo esecutivo è suscettibile di spiegare non secondari effetti anche sul problema della prescrizione. Invero, sebbene il provvedimento di chiusura anticipata di per sé considerato, non preclude una nuova azione esecutiva Nondimeno, specie nelle ipotesi nelle quali il procedimento attraverso ripetute aste deserte si sia protratto per lunghi anni, potrebbe esservi il rischio dell'operare dei c.d. stabilizzatori di diritto sostanziale, ossia in particolare la prescrizione del credito fatto valere. Ciò potrebbe avvenire ove trovasse applicazione l'orientamento, consolidato per l'estinzione tipica della procedura esecutiva, in forza del quale opera in detta ipotesi l'art. 2945, comma 2, e quindi la proposizione dell'azione esecutiva comporta il solo effetto interruttivo istantaneo della prescrizione e non anche quello sospensivo lungo tutto il corso della procedura. È pacifico, invero, che il pignoramento o l'intervento nel giudizio di esecuzione, qualora il processo si estingua, abbiano efficacia interruttiva istantanea e non permanente della prescrizione, il cui termine ricomincia perciò a decorrere dalla data del pignoramento o dell'intervento in giudizio (cfr. Cass. n. 10770/1998, la quale ha ritenuto a tal fine irrilevante che l'interveniente, dopo la proposizione della domanda, l'avesse diligentemente coltivata sino al momento della declaratoria di estinzione del giudizio). L'affermazione di questa tesi, per alcuni, sarebbe iniqua per i creditori in fattispecie come quella in considerazione nelle quali la “chiusura” dell'esecuzione non dipende da alcuna forma di inattività processuale o mancanza di diligenza degli stessi (Saletti, Processo esecutivo e prescrizione, Milano 1992, 247 ss.). Invero, la richiamata posizione della S.C. si giustifica poiché l'estinzione tipica della procedura esecutiva segue di regola ad una condotta inerte dei creditori rispetto allo svolgimento di una determinata attività processuale. Nella fattispecie in esame, invece, la chiusura anticipata del processo esecutivo si correla a questioni inerenti la difficoltà di collocare il bene pignorato sul mercato e ad una conseguente valutazione discrezionale del giudice sui costi/benefici della procedura. Il creditore è un soggetto “incolpevole”, in sostanza, della chiusura in rito della procedura sicché sarebbe paradossale che debba rischiare, senza aver assunto una condotta inerte nel corso della stessa, di perdere la possibilità di azionare il titolo esecutivo in altra e magari più efficace procedura nei confronti del medesimo debitore. Riteniamo, in definitiva, che nell'ipotesi in esame, debba operare, sino alla chiusura anticipata della procedura esecutiva anche il c.d. effetto sospensivo, della prescrizione. Questa posizione appare corroborata da quella giurisprudenza, anche di legittimità, la quale ha osservato che in tema di esecuzione forzata, il verificarsi di un fatto “imputabile” ad una delle parti caratterizza le figure tipiche dell’estinzione, mentre la chiusura anticipata prevista dall’art. 164-bis disp. att. sottende una ratio diversa, dal momento che è l’ impossibilità oggettiva di proseguire il processo esecutivo, valutata discrezionalmente dal giudice, a determinarne l’esito anomalo o non fisiologico: ne deriva, sul piano degli effetti sostanziali, che nei casi di estinzione tipica si verifica il solo effetto interruttivo istantaneo della prescrizione del diritto, mentre nell’ipotesi di chiusura anticipata per infruttuosità dell’espropriazione forzata, la prescrizione ha effetto sospensivo permanente (Cass. n. 7754/2018; Trib. Belluno, 12 gennaio 2016). 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D.I., XV, Torino, 1968, 1156; Tedoldi, Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. 132/2014, in Corr. giur. 2015, n. 3, 390; Vaccarella, Rinuncia agli atti, in Enc. dir., XX, Milano, 1989, 960 ss. |