Codice di Procedura Civile art. 664 - Pagamento dei canoni.Pagamento dei canoni. [I]. Nel caso previsto nell'articolo 658, il giudice adito pronuncia separato decreto d'ingiunzione [641 1] per l'ammontare dei canoni scaduti e da scadere fino all'esecuzione dello sfratto, e per le spese relative all'intimazione. [II]. Il decreto è conservato nel fascicolo d'ufficio unitamente a una copia dell'atto di intimazione1. [III]. Il decreto è immediatamente esecutivo [474 2 n. 1], ma contro di esso può essere proposta opposizione a norma del capo precedente [645]. L'opposizione non toglie efficacia all'avvenuta risoluzione del contratto. [1] Comma sostituito dall'art. 3, comma 8, lett. h), d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Il testo precedente era il seguente: « Il decreto è esteso in calce ad una copia dell'atto di intimazione presentata dall'istante, da conservarsi in cancelleria». Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. InquadramentoPuò essere pronunciato decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, per il pagamento dei canoni, scaduti ed a scadere sino all'esecuzione dello sfratto, ove l'intimante abbia fatto la relativa istanza e lo sfratto sia stato convalidato (Bucci - Crescenzi, 273). La provvisoria esecutività del decreto si correla alla circostanza che, in questo caso, il provvedimento non viene emanato inaudita altera parte, ma nei confronti di un soggetto che è stato provocato a contraddire e non ha ritenuto di farlo (Garbagnati, 179), con la conseguenza che, in mancanza della contestazione, appare logico che si conceda l'esecuzione immediata, essendo il credito assistito da un rilevante grado di certezza (Lazzaro - Preden - Varrone, 179). Con l'emanazione del decreto il giudice deve provvedere sulle spese dello stesso, assoggettato ad un diverso regime impugnatorio rispetto all'ordinanza di convalida (Porreca (-D'Ascola - Giordano), 685 ss.). Presupposti per la pronuncia del decretoLa pronuncia del decreto ingiuntivo ai sensi della disposizione in esame, avente ad oggetto i canoni scaduti e da scadere fino all'esecuzione dello sfratto (parte nella quale costituisce altra eccezionale forma di condanna in futuro) è soggetta ad una duplice condizione: 1) la relativa istanza deve essere contenuta nell'atto di citazione per intimazione e non può essere effettuata direttamente all'udienza, per la necessità di incardinare il contraddittorio con il conduttore su tutte le richieste formulate (Bucci - Crescenzi, 273); 2) l'intimazione di sfratto deve essere stata convalidata, ai sensi dell'art. 663, ovvero, ex art. 666, oppure, infine, ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978 (Porreca (-D'Ascola - Giordano) 685 ss.). Invero, è dominante anche in giurisprudenza la tesi per la quale presupposto essenziale per la concessione del decreto ingiuntivo sia la pronunzia dell'ordinanza di convalida, sicché nei casi in cui ciò non avvenga o per opposizione dell'intimato o perché il giudice ravvisi, anche d'ufficio, la carenza delle condizioni di ammissibilità del procedimento di convalida, il decreto non può essere concesso ed il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie (Trib. Monza 11 febbraio 2003, Giur. mil., 2003, 344; Pret. Salerno 27 maggio 1993, in Arch. loc., 1993, 807). Questa tesi è argomentata, in primo luogo, sulla considerazione che la disposizione in esame chiarisce che l'opposizione all'ingiunzione non toglie efficacia all'avvenuta risoluzione del contratto, facendo supporre che il decreto ingiuntivo sia posteriore o almeno coevo alla convalida che, per l'appunto, ha risolto il contratto (Andrioli IV, 136). Sempre in dottrina si è a riguardo evidenziato, inoltre, che induce ad avallare l’interpretazione proposta la formulazione letterale del comma 2 dell’art. 666 in forza del quale il decreto ingiuntivo viene pronunziato dopo la convalida dell'intimazione, qualora il conduttore non abbia pagato la somma non contestata (Bucci-Crescenzi, 273). Introdotta mediante l’intimazione la richiesta di condanna del conduttore al pagamento dei canoni scaduti ed a scadere sino all'esecuzione dello sfratto, la circostanza che, a seguito dell’opposizione proposta dall'intimato, non possa essere concesso il decreto, con la conseguenza che il Giudice adito provvederà sulla richiesta di pagamento con la sentenza che definisce il giudizio anche in ordine all'avvenuta risoluzione del rapporto negoziale, non consente al locatore di proporre, al fine di ottenere una più celere tutela, la relativa domanda separatamente, essendo la facoltà prevista dall'art. 669 normativamente subordinata alla mancata richiesta dei medesimi canoni unitamente all'intimazione (Trib. Salerno I, 14 gennaio 2011). Il decreto ingiuntivo è sempre munito della provvisoria esecutività a differenza di quello pronunciato ex artt. 633 e ss. Tale differenza si giustifica perché in questo caso il provvedimento non viene emanato inaudita altera parte, ma nei confronti di un soggetto che è stato provocato a contraddire e non ha ritenuto di farlo (Garbagnati, 179), con la conseguenza che, in mancanza della contestazione, appare logico che si conceda l'esecuzione immediata, essendo il credito assistito da un rilevante grado di certezza (Lazzaro - Preden - Varrone, 179). Il decreto contiene poi una condanna in futuro, da considerarsi eccezionale (Cass. n. 8405/2014), anche al pagamento dei canoni non ancora scaduti al momento dello sfratto. Invero, in tema di locazione di immobili urbani, la condanna del conduttore al pagamento dei canoni da scadere sino alla riconsegna dell'immobile locato, dal medesimo comunque dovuti a seguito della risoluzione della locazione a titolo di danni per la protratta occupazione dell'immobile, costituisce ampliamento della domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, che trova fondamento nella particolare disposizione dell'art. 664, comma 1 secondo cui, in caso di convalida definitiva dello sfratto intimato per la morosità del conduttore, è ammissibile l'emissione dell'ingiunzione al pagamento non solo dei canoni scaduti alla data di notificazione dell'intimazione ma, ove l'intimante ne abbia fatto contestuale richiesta, anche di quelli "da scadere fino all'esecuzione dello sfratto", quale ipotesi specifica di condanna c.d. in futuro, di carattere tipico e di natura eccezionale, con la quale l'ordinamento tutela l'interesse del creditore all'ottenimento di un provvedimento nei confronti del debitore prima ancora che si verifichi l'inadempimento (Cass. n. 11603/2005). Prova del credito Secondo una prima tesi, l'accoglimento del ricorso per decreto ingiuntivo, contestuale all'intimazione, resta soggetto, in ogni caso, alle norme del codice dettate dagli artt. 633 e ss. c.p.c.: pertanto ai fini probatori il decreto ingiuntivo non potrà essere concesso se del credito vantato non sia offerta prova scritta ai sensi dell'art. 633, n. 1 (Preden, 448). Secondo altra impostazione, pure diffusa in dottrina, opererebbe, invece, anche ai fini dell'emissione del provvedimento monitorio in esame il principio dell'ammissione legale desunta dalla mancata comparizione dell'intimato (Di Marzio (-Di Mauro), 1021; Frasca, 559, Trisorio Liuzzi, 420). Secondo la dottrina tradizionale tuttavia, rispetto ai canoni richiesti con l'atto di intimazione, la prova deve essere fornita almeno mediante il deposito del contratto di locazione con il quale il conduttore ha assunto l'obbligo di pagare una somma determinata quale corrispettivo per il godimento dell'immobile (Andrioli IV, 136; Lazzaro-Varrone-Preden, 178). Tuttavia, qualora la richiesta di ingiunzione di pagamento attenga anche ad aggiornamenti o adeguamenti e/o aumenti del canone fissato contrattualmente, la prova del canone diverso da quello contrattuale dovrà essere fornita mediante elementi certi, incontestabili e documentati, quali il contratto, la richiesta di aggiornamento, indici ISTAT pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale (Tallaro (-Giordano) 226 ss.). Considerata la natura degli interessi dovuti dal conduttore, deve ritenersi che con il decreto possano essere liquidati anche gli interessi maturati sui singoli canoni a decorrere dalle rispettive scadenze (Tallaro (-Giordano) 226 ss.). E' invero pacifico nella giurisprudenza della S.C. l'assunto per il quale l'obbligazione pecuniaria rappresentata dal pagamento dei canoni di locazione configura un caso di obbligazione a termine ex art. 1183, comma, 1 c.c. (termine specificamente indicato nel contratto di locazione) e portable ex art. 1182, comma 3, c.c. (da eseguire nel domicilio del creditore – locatore), di talché, ai sensi dell'art. 1219, comma 2, n. 3, c.c., ai fini della maturazione degli interessi per il ritardo, non è necessaria la costituzione in mora, trattandosi di un caso espressamente regolato di mora ex re, con la conseguenza che gli interessi saranno dovuti dalla scadenza di ciascun canone non corrisposto e saranno calcolati sull'importo di ognuno di essi, sino al soddisfo della pretesa (Cass. n. 5836/2007). La parte della dottrina per la quale il decreto ingiuntivo ex art. 664 può contenere anche la condanna al pagamento degli oneri accessori, evidenziano, poi, che ai fini della relativa richiesta l'onere probatorio a carico dell'intimante è assolto con la produzione dei documenti che ne attestino il pagamento da parte dello stesso ai sensi dell'art. 9 l. n. 392/1978 (Lazzaro-Preden-Varrone, 178). Tuttavia, ove venga proposta dal conduttore opposizione avverso il decreto ingiuntivo dovrà essere fornita dal locatore/creditore più puntuale prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, essendo stato invero chiarito che qualora il conduttore, convenuto in giudizio per il mancato pagamento di oneri condominiali, contesti che il locatore abbia effettivamente sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuato una corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell'art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell'avere indirizzato la richiesta prevista dall'art. 9 l. n. 392/1978, necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l'esistenza, l'ammontare e i criteri di ripartizione del rimborso richiesto (v., tra le altre, Cass. n. 20348/2010; Cass. n. 6403/2004; conf., in sede di merito, Trib. Roma IV, 4 febbraio 2010, n. 2914, in Arch. loc., 2010, n. 5, 517). Secondo una prima tesi, l'accoglimento del ricorso per decreto ingiuntivo, contestuale all'intimazione, resta soggetto, in ogni caso, alle norme del codice dettate dagli artt. 633 e ss. c.p.c.: pertanto ai fini probatori il decreto ingiuntivo non potrà essere concesso se del credito vantato non sia offerta prova scritta ai sensi dell'art. 633, n. 1 (Preden, 448). Secondo altra impostazione, pure diffusa in dottrina, opererebbe, invece, anche ai fini dell'emissione del provvedimento monitorio in esame il principio dell'ammissione legale desunta dalla mancata comparizione dell'intimato (Di Marzio (-Di Mauro), 1021; Frasca, 559, Trisorio Liuzzi, 420). Secondo la dottrina tradizionale tuttavia, rispetto ai canoni richiesti con l'atto di intimazione, la prova deve essere fornita almeno mediante il deposito del contratto di locazione con il quale il conduttore ha assunto l'obbligo di pagare una somma determinata quale corrispettivo per il godimento dell'immobile (Andrioli IV, 136; Lazzaro-Varrone-Preden, 178). Tuttavia, qualora la richiesta di ingiunzione di pagamento attenga anche ad aggiornamenti o adeguamenti e/o aumenti del canone fissato contrattualmente, la prova del canone diverso da quello contrattuale dovrà essere fornita mediante elementi certi, incontestabili e documentati, quali il contratto, la richiesta di aggiornamento, indici ISTAT pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale (Tallaro (-Giordano) 226 ss.). Considerata la natura degli interessi dovuti dal conduttore, deve ritenersi che con il decreto possano essere liquidati anche gli interessi maturati sui singoli canoni a decorrere dalle rispettive scadenze (Tallaro (-Giordano) 226 ss.). E' invero pacifico nella giurisprudenza della S.C. l'assunto per il quale l'obbligazione pecuniaria rappresentata dal pagamento dei canoni di locazione configura un caso di obbligazione a termine ex art. 1183, comma 1, c.c. (termine specificamente indicato nel contratto di locazione) e portable ex art. 1182, comma 3, c.c. (da eseguire nel domicilio del creditore–locatore), di talché, ai sensi dell'art. 1219, comma 2, n. 3, c.c., ai fini della maturazione degli interessi per il ritardo, non è necessaria la costituzione in mora, trattandosi di un caso espressamente regolato di mora ex re, con la conseguenza che gli interessi saranno dovuti dalla scadenza di ciascun canone non corrisposto e saranno calcolati sull'importo di ognuno di essi, sino al soddisfo della pretesa (Cass. n. 5836/2007). La parte della dottrina per la quale il decreto ingiuntivo ex art. 664 può contenere anche la condanna al pagamento degli oneri accessori, evidenziano, poi, che ai fini della relativa richiesta l'onere probatorio a carico dell'intimante è assolto con la produzione dei documenti che ne attestino il pagamento da parte dello stesso ai sensi dell'art. 9 l. n. 392/1978 (Lazzaro-Preden-Varrone, 178). Tuttavia, ove venga proposta dal conduttore opposizione avverso il decreto ingiuntivo dovrà essere fornita dal locatore/creditore più puntuale prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, essendo stato invero chiarito che qualora il conduttore, convenuto in giudizio per il mancato pagamento di oneri condominiali, contesti che il locatore abbia effettivamente sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuato una corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell'art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell'avere indirizzato la richiesta prevista dall'art. 9 l. n. 392/1978, necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l'esistenza, l'ammontare e i criteri di ripartizione del rimborso richiesto (v., tra le altre, Cass. n. 20348/2010; Cass. n. 6403/2004; conf., in sede di merito, Trib. Roma IV, 4 febbraio 2010, n. 2914, in Arch. loc. 2010, n. 5, 517). Pronuncia “separata” dall'ordinanza di convalidaIl comma 1 della disposizione in esame stabilisce che nel caso di convalida di sfratto per morosità, il giudice adito pronuncia separato decreto d'ingiunzione per l'ammontare dei canoni scaduti e da scadere fino all'esecuzione dello sfratto. Si discute in dottrina in ordine al significato da attribuire alla locuzione pronuncia “separata”. È stato osservato, a riguardo, che la stessa si spiega atteso che, quando è proposta con l'intimazione ex artt. 657 e ss., anche domanda di pagamento dei canoni, si registra un cumulo di domande che vengono ex lege separate con le due distinte pronunce (Porreca (-D'Ascola - Giordano), 685 ss.). Statuizione sulle speseLa norma in esame stabilisce che mediante il decreto ingiuntivo emesso, il giudice provvederà anche sulle spese dell'intimazione (Lazzaro - Preden - Varrone, 176). Secondo una prima tesi, tale previsione si correla all'impossibilità per il giudice di discernere le spese relative alla richiesta di ingiunzione ed a quella di convalida in quanto formulate mediante l'unico atto di intimazione (Frasca, 556). In accordo con una diversa impostazione, invece, la formulazione letterale della disposizione in commento dovrebbe essere superata tenendo conto del cumulo di domande che restano distinte e che, a seguito della convalida dello sfratto e della pronuncia del separato decreto di ingiunzione di pagamento dei canoni, saranno destinate a seguire un diverso regime impugnatorio e così cercando di tenere separate le statuizioni in ordine alle spese dell'intimazione concernenti la domanda di convalida e quella ex art. 664 (Porreca (-D'Ascola - Giordano), 685 ss.). Idoneità al giudicatoSolo quando nel giudizio di convalida di sfratto per morosità sia stato proposto ricorso per l'ingiunzione di pagamento di canoni scaduti, il provvedimento destinato a concluderlo può assumere l'efficacia di cosa giudicata, non soltanto circa l'esistenza e validità del rapporto corrente inter partes e sulla misura del canone preteso, ma anche circa l'inesistenza di tutti i fatti impeditivi o estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio d'opposizione, come l'insussistenza, totale o parziale, del credito azionato in sede monitoria dal locatore, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte a titolo di maggiorazioni contra legem del canone (Cass. n. 12994/2013). Sotto altro profilo, è stato precisato che, in difetto della relativa opposizione da parte del conduttore intimato il decreto ingiuntivo per i canoni scaduti e da scadere pronunciato nei suoi confronti in seguito alla istanza del locatore contenuta nell'atto di intimazione di sfratto per morosità, ai sensi degli artt. 658 e 664, passa in giudicato, con effetti preclusivi uguali a quelli di qualsiasi provvedimento di condanna, anche quando il detto intimato si sia opposto alla convalida dello sfratto, perché l'art. 664, disponendo che il giudice adito pronuncia "separato decreto di ingiunzione" immediatamente esecutivo, contro il quale può essere proposta "opposizione a norma del capo precedente", rende evidente che il procedimento relativo al decreto ingiuntivo viene ad essere separato da quello sulla convalida per seguire il suo corso secondo norme proprie (Cass. n. 7815/1991). Regime impugnatorioIl decreto ingiuntivo pronunciato ai sensi della disposizione in esame è opponibile ai sensi dell'art. 645: il termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto per la proposizione dell'opposizione deve peraltro essere computato avendo riguardo, come dies ad quem, al deposito del ricorso, trovando applicazione il rito locatizio. Il decreto ingiuntivo emesso ai sensi della disposizione in esame e l'ordinanza di convalida conservano la loro autonomia. Ciò comporta non trascurabili conseguenze quanto al regime impugnatorio di tali provvedimenti, poiché, mentre l'ordinanza di convalida è normalmente inoppugnabile, salva l'opposizione tardiva ex art. 668, il decreto ingiuntivo è soggetto al comune rimedio dell'opposizione ex art. 645. L'autonomia tra il provvedimento di convalida ed il “separato” decreto di ingiunzione implica, poi, che l'ambito del giudizio di opposizione sia limitato alle contestazioni circa l'esistenza e la quantità del debito per canoni, non potendo incidere la proposta opposizione sulle questioni afferenti la risoluzione del rapporto (Garbagnati, 324, nt. 118). Invero, in difetto della relativa opposizione da parte del conduttore intimato, il decreto ingiuntivo per i canoni scaduti e da scadere pronunciato nei suoi confronti in seguito alla istanza del locatore contenuta nell'atto di intimazione di sfratto per morosità, ai sensi degli art. 658 e 664, passa in giudicato, con effetti preclusivi equivalenti a quelli di qualsiasi provvedimento di condanna, anche quando il detto intimato si sia opposto alla convalida dello sfratto, perché l'art. 664, disponendo che il giudice adito pronuncia "separato decreto di ingiunzione" immediatamente esecutivo, contro il quale può essere proposta "opposizione a norma del capo precedente", rende evidente che il procedimento relativo al decreto ingiuntivo viene ad essere separato da quello sulla convalida per seguire il suo corso secondo norme proprie (Cass. n. 7815/1991). Peraltro, la controversia sull'opposizione alla convalida dello sfratto per morosità è pregiudiziale a quella in tema di opposizione al decreto ingiuntivo pronunciato per il pagamento dei canoni, nel senso che, accolta l'impugnazione alla convalida, il provvedimento monitorio dovrà essere revocato (Frasca, 564). In ogni caso, resta fermo l'onere del conduttore di proporre opposizione al decreto ingiuntivo emesso per il pagamento dei canoni, in difetto della quale il provvedimento monitorio non potrebbe essere travolto dall'accoglimento dell'impugnazione proposta alla convalida (Tallaro (-Giordano), 226 ss.) Come evidenziato, poiché l'opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo pronunciato ai sensi della disposizione in commento integra una “controversia locatizia”, quindi disciplinata ex art. 447-bis dal rito speciale locatizio, modellato in gran parte sulle disposizioni dettate dagli artt. 409 e ss. per il processo del lavoro, ne deriva che il rispetto del termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto per la proposizione dell'opposizione deve essere verificato avendo riguardo al momento del deposito del ricorso in opposizione e non a quello di notifica dello stesso. A riguardo, non si può trascurare che, secondo l'impostazione più risalente, la sanzione per l'introduzione mediante atto di citazione in luogo del ricorso dell'opposizione a decreto ingiuntivo doveva addirittura essere individuata in quella, assolutamente radicale, dell'inammissibilità dell'opposizione proposta. Prevale ormai la diversa tesi per la quale, fermo che di regola l'opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso per un credito nascente da un rapporto locatizio deve proporsi, a norma degli artt. 447-bis e 414-415, nelle forme del ricorso da depositare in cancelleria entro il termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica dell'ingiunzione, laddove invece, risulti erroneamente spiegata con atto di citazione, questo può - in ossequio ad un principio di conservazione degli atti processuali - convertirsi in ricorso e produrne gli effetti alla sola condizione di essere depositato in cancelleria nel predetto termine, a pena di inammissibilità dell'opposizione, non essendo sufficiente che entro tale data sia stato comunque notificato alla controparte (cfr., tra le molte, Trib. Bari III, 7 marzo 2012, n. 842; Trib. Modena II, 30 gennaio 2012, n. 239; Trib. Salerno I, 19 novembre 2010, in Giur. mer. 2011, n. 4, 1048, con nota di Masoni; in senso analogo con riguardo ad un'ipotesi di pretesa azionata in sede monitoria avente ad oggetto il pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale cfr. Trib. Macerata 18 dicembre 2007, n. 766, in Guida dir., 2008, n. 15, 75); (appare in effetti rimasta minoritaria in sede applicativa la diversa impostazione condivisa, ad esempio, da Trib. Napoli 26 gennaio 2005, in Giur. Merito, 2006, n. 3, 647, secondo la quale la notifica dell'atto di citazione è idonea ad impedire la decorrenza del termine per proporre opposizione avverso provvedimenti monitori relativi a crediti locatizi, benché questi siano assoggettati al rito differenziato delineato, per relationem, dall'art. 447-bis, poiché l'art. 645 individua proprio nell'atto di citazione l'unica modalità di introduzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, fermo restando, tuttavia, che, trattandosi di crediti locatizi, per il successivo svolgimento del giudizio sarà necessario provvedere al mutamento di rito ex art. 426). In dottrina, nell'affrontare ampiamente la problematica, si è osservato che dovrebbe ritenersi processualmente indifferente la forma attraverso la quale sia stata proposta l'opposizione a decreto ingiuntivo, purché il ricorso sia depositato o l'atto di citazione notificato entro il termine di cui all'art. 641 e l'opponente faccia seguire al primo gli ulteriori atti che connotano, secondo il rito prescelto, l'introduzione del giudizio (cfr. Ronco, 433 ss.). Conseguenza dell'inammissibilità dell'opposizione tardivamente proposta è il formarsi del giudicato sulla pretesa azionata con il ricorso monitorio: il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l'esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l'opposizione, mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum ovvero della causa petendi in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo. Sotto un distinto profilo, non può trascurarsi che, anche nell'ipotesi di opposizione avverso il decreto ingiuntivo pronunciato ex art. 664, opera il generale principio per il quale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dall'opposto, poiché quest'ultimo, mantenendo la veste di attore sostanziale, non può estendere l'ambito del giudizio oltre i limiti da lui stesso prefissati mediante il ricorso alla procedura monitoria. In sostanza, nell'ambito del giudizio ordinario di cognizione introdotto dall'opposizione a decreto ingiuntivo, solo l'opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, e non anche l'opposto, che, quale attore in senso sostanziale, incorrerebbe nel divieto di proporre domande nuove. L'inosservanza del divieto, correlata all'obbligo del giudice di non esaminare nel merito tale domanda,è rilevabile anche d'ufficio in sede di legittimità, poiché costituisce una preclusione all'esercizio della giurisdizione, che può essere verificata nel giudizio di cassazione anche d'ufficio, ove sulla questione non si sia formato, pur implicitamente, il giudicato interno. Tuttavia, qualora l'opponente non si sia limitato ad una mera difesa, volta unicamente a contestare i fatti posti a fondamento della domanda azionata con il ricorso, ma abbia ampliato il tema di indagine, chiedendo al giudice l'accertamento di fatti e rapporti nuovi fondanti una domanda riconvenzionale o un'eccezione, deve ritenersi conseguentemente ammissibile la domanda riconvenzionale dell'opposto, che si atteggi in termini, quindi, di c.d. reconventio reconventionis. La proposizione dell'opposizione avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nell'ambito del procedimento di convalida di sfratto per morosità non incide sull'esecutività del decreto: deve tuttavia condividersi, attesa l'esigenza di tutela della posizione dell'intimato, l'assunto per il quale il giudice adito può disporre la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, in applicazione dell'art. 649, ossia in presenza di gravi motivi (v., tra gli altri, Bucci–Crescenzi, 277). I gravi motivi in presenza dei quali può essere disposta la sospensione della esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto si concretano, di regola, nel pericolo che l'esecuzione forzata del decreto possa arrecare un grave danno senza che vi sia una garanzia di risarcimento nell'ipotesi di fondatezza dell'opposizione, nell'inesistenza o irregolarità di uno dei titoli che giustificano la provvisoria esecuzione a norma dell'art. 642, nella sopravvenienza di un fatto modificativo o estintivo del credito e, più in generale, nella circostanza che l'opposizione proposta sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione (cfr. Garbagnati, 239). Poiché il decreto in esame è sempre provvisoriamente esecutivo sin dalla sua pronuncia, ne deriva che, a differenza di quanto avviene per quello emesso all'esito del procedimento ex artt. 633 e ss., non rileva, ai fini della sospensione dell'esecuzione provvisoria, la mancata ricorrenza delle condizioni per la concessione della stessa sin dalla fase monitoria che, invero, non si svolge, come rilevato, inaudita altera parte, bensì a contraddittorio “rafforzato”. Sotto altro profilo, in accordo con la tesi assolutamente prevalente in giurisprudenza l'ordinanza che sospende l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto ex art. 649 costituisce, tenuto conto della formulazione della norma, provvedimento non impugnabile né tanto meno modificabile o revocabile, poiché gli effetti dello stesso sono destinati ad esaurirsi con la sentenza che pronuncia sull'opposizione e con la quale il giudice può provvedere alla revoca o meno della stessa (Trib. Torino III, 2 aprile 2010). Quanto all'oggetto dell'opposizione, è stato da lungo tempo chiarito che, in sede di opposizione, proposta a norma dell'art. 664 ultimo comma avverso l'ingiunzione di pagamento dei canoni, successivamente alla convalida dello sfratto, la cui ordinanza, in difetto di opposizione, sia passata in cosa giudicata, non è consentito contestare l'esistenza della locazione ne quanto attiene alla risoluzione del rapporto locatizio ed ai presupposti formali e sostanziali della risoluzione stessa, coperti appunto dal giudicato. L'ambito del giudizio di opposizione,che venga introdotto dall'intimato a norma dell'art. 664 è, quindi, limitato alle contestazioni relative all'esistenza ed alla quantità del debito per canoni, ma che non rimettano in discussione il diritto, definitivamente accertato, del locatore alla risoluzione del contratto e la esistenza di quel rapporto che forma oggetto della pronunzia di risoluzione (Cass. n. 3429/1968). L'esperibilità del rimedio dell'opposizione a decreto ingiuntivo, rende inammissibile il ricorso straordinario per cassazione (Cass. n. 1529/1994). Richiesta del decreto ingiuntivo nelle forme ordinarie di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c.La possibilità per il locatore di richiedere, con l'intimazione di sfratto per morosità, oltre al provvedimento di convalida, anche un decreto ingiuntivo di pagamento relativo ai canoni scaduti ed a scadere sino all'esecuzione dello sfratto, non esclude che, ove il locatore abbia deciso di non avvalersi di tale facoltà, possa essere proposta dallo stesso autonoma azione monitoria ex artt. 633 e ss. c.p.c. per ottenere il pagamento dei canoni non corrisposti, ma non anche di quelli non ancora scaduti, essendo la disciplina posta dall'art. 664 che consente l'emanazione di una condanna in futuro previsione di carattere eccezionale (cfr. Cass. n. 374/1971). Dissente da tale corrente opinione, autorevole dottrina per la quale l'ingiunzione per il pagamento dei canoni ha una peculiare natura sui generis, idonea a determinarne una deviazione dalle regole ordinarie dettate dall'art. 633 c.p.c., con la conseguenza che la richiesta separata del pagamento dei canoni, disciplinata dall'art. 669, si potrebbe formulare solo in via ordinaria (Satta, IV, 1, 120). Tale procedimento seguirà le regole canoniche del procedimento per ingiunzione inaudita altera parte, con la conseguenza che il decreto ingiuntivo non sarà di norma, come quello emesso ai sensi della disposizione in esame, munito della clausola di provvisoria esecuzione (contra Porreca (-D'Ascola-Giordano), sulla scorta di un'interpretazione costituzionalmente orientata del sistema che non ammetterebbe soluzioni differenziate tra le due ipotesi e che, tuttavia, sembra trascurare che solo il decreto di ingiunzione ex art. 664 c.p.c. è emesso all'esito del contraddittorio). Pertanto, solo nelle ipotesi indicate dall'art. 642 c.p.c. il decreto ingiuntivo può essere eccezionalmente concesso munito della clausola di esecuzione provvisoria (in arg. Zucconi Galli Fonseca, 175). Azione per il pagamento dei canoni nelle forme ordinarieIn generale, il procedimento monitorio per ingiunzione è alternativo rispetto al processo di cognizione nell'ambito del quale può essere proposta la medesima domanda di condanna del debitore al pagamento di una somma di denaro. Ne deriva, rispetto all'ipotesi in esame, che il locatore può scegliere di agire con ricorso ordinario ex art. 447-bis, al fine di domandare il pagamento dei canoni di locazione e degli oneri accessori scaduti (Cass. n. 2143/2006). E' invece controverso se la stessa domanda di pagamento (ed, in generale, una controversia in materia locatizia) possa essere formulata nell'ambito del procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. Difatti è dibattuta, in dottrina, come in giurisprudenza, la questione relativa alla possibilità che gli artt. 702-bis e ss. trovino applicazione anche per le cause già assoggettate ad un rito speciale, ed, in particolare, a quello c.d. locatizio. Invero, secondo alcuni, dovrebbe essere data risposta positiva a tale quesito, non rinvenendosi nell'art. 702-bis limitazioni di sorta e potendo il riferimento dell'art. 702-ter alla fissazione dell'udienza di cui all'art. 183 a seguito del disposto mutamento del rito nelle forme ordinarie, essere inteso anche con riguardo all'udienza di discussione del processo del lavoro di cui all'art. 420, al fine di non incorrere nel paradosso dell'inammissibilità di un rito avente finalità acceleratorie proprio nelle controversie come quelle in materia di lavoro dove tali esigenze sono particolarmente importanti Olivieri, § 1). Secondo altri deve invece essere esclusa la percorribilità del procedimento sommario nell'ipotesi di giudizi assoggettati dalla legge a riti speciali da ricorso poiché, da un lato, gli stessi sono connotati da peculiarità tali quanto ai poteri officiosi attribuiti al giudice ed alle caratteristiche della fase decisoria che sarebbe di fatto inutile applicare ai medesimi la “destrutturazione” propria del rito sommario e, da un altro, osta ad una differente soluzione la lettera dell'art. 702-ter, laddove contempla, a fronte del mutamento del rito da parte del Giudice ove non sia possibile provvedere mediante un'istruttoria sommaria, quale unica alternativa quella del procedimento ordinario di cognizione, dovendosi invero rinviare all'udienza di trattazione di cui all'art. 183 (Balena, 325; Menchini, § 2). Analogo contrasto si registra nella giurisprudenza di merito che si è occupata della questione. Più in particolare, secondo una prima posizione, dovrebbe escludersi la percorribilità del procedimento sommario per i giudizi assoggettati dalla legge a riti speciali che si introducono con ricorso poiché: a) tali riti speciali sono connotati da peculiarità tali, quanto ai poteri officiosi attribuiti al giudice ed alle caratteristiche della fase decisoria, che sarebbe in concreto inutile applicare, in omaggio al generale principio della ragionevole durata del processo, ai medesimi la «destrutturazione» propria del rito sommario con la conseguenza che il ricorso diverrebbe inammissibile (Trib. Modena, 18 gennaio 2010, in Giur. mer., 2010, 2453, con nota di Chesta); b) osta ad una differente soluzione la stessa formulazione letterale dell'art. 702-ter nella parte in cui prevede, a seguito del mutamento del rito da parte del giudice, laddove non sia possibile provvedere mediante un'istruttoria sommaria, quale unica alternativa quella del procedimento ordinario di cognizione, dovendosi rinviare all'udienza di trattazione di cui all'art. 183 (Trib. Catanzaro, 16 novembre 2009, in Giur. mer. 2010, 2455). Una differente imposizione interpretativa giunge, sempre in sede applicativa, all'opposta soluzione (cfr., ex ceteris, Trib. Brindisi, sez. dist. Fasano, ord. 4 luglio 2010, in Arch. loc., 2011, n. 2, 215;Trib. Napoli, 25 maggio 2010, in Foro it., 2011, n. 3, 941 ed in Guida al dir., 2010, n. 29, 44, con nota di Finocchiaro; Trib. Lamezia Terme 12 marzo 2010, in Foro it., 2011, n. 3, 941). In primo luogo, è stato osservato, a riguardo, che qualora l'inoperatività del rito sommario non sia stata espressamente prevista dalla legge, è più razionale ritenere che la valutazione della compatibilità tra rito sommario, rito speciale e materia trattata sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, il quale valuta l'ammissibilità del rito in base ai principi dettati dall'ordinamento giuridico ed alla ratio della riforma legislativa, consistente nel proclamato intento di generalizzare l'applicazione del rito sommario ad ogni controversia monocratica ad istruttoria non complessa, con conseguente ammissibilità del rito ex artt. 702-bis e ss., in quanto la controversia, pur essendo assoggettata ad un rito speciale, non rientra tra le eccezionali ipotesi di esclusione individuate dal codice di rito ed è giustificata dalla non complessità della causa (Trib. Sulmona 6 ottobre 2010, in Giur. mer., 2011, n. 5, 1246, con nota di Tallaro). La medesima tesi è stata sostenuta, sempre in giurisprudenza, rilevando, in primo luogo, che il richiamo operato dall'art. 702-ter all'udienza di trattazione ex art. 183, non appare decisivo per la conclusione nel senso dell'inutilizzabilità del procedimento sommario per i giudizi assoggettati a rito speciale da ricorso potendo il relativo riferimento essere inteso anche all'udienza di discussione di cui all'art. 420, avendo riguardo, sul piano sistematico, alle conseguenze paradossali correlate alla conclusione della non percorribilità di un rito di cognizione con finalità acceleratorie proprio nelle controversie come quelle assoggettate al rito del lavoro nelle quali siffatte esigenze sono particolarmente rilevanti. Sotto il distinto profilo della concreta inutilità del procedimento sommario di cognizione per le controversie assoggettate a riti speciali da ricorso e quindi già connotate da particolare celerità e per le quali è possibile in astratto una decisione nell'unica udienza di discussione, si è osservato che tale argomentazione non può considerarsi risolutiva della questione in esame poiché non tiene conto delle peculiarità dei singoli riti speciali, pur parimenti celeri in astratto rispetto a quello ordinario di cognizione, in ordine agli strumenti di tutela in favore delle parti ed ai conseguenti poteri decisori del giudice (Trib. Latina 3 marzo 2011, in Giust. Civ., 2011, n. 11, 2719, con nota di Porreca). Peraltro, qualunque sia l'impostazione interpretativa condivisa sul punto, appare ragionevole ritenere, che anche ove si assuma l'incompatibilità del procedimento sommario di cognizione con le controversie assoggettate al rito locatizio, ciò non dovrà condurre alla conclusione che l'errore compiuto dal ricorrente comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso prevista dal secondo comma dell'art. 702-ter, per le ipotesi in cui la domanda non rientri tra quelle indicate dall'art. 702-bis potendo adottarsi la distinta soluzione della conversione del rito (Balena,1 ss.). 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