Codice di Procedura Civile art. 667 - Mutamento del rito (1).Mutamento del rito (1). [I]. Pronunciati i provvedimenti previsti dagli articoli 665 e 666, il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell'articolo 426. (1) Articolo così sostituito dall'art. 73 l. 26 novembre 1990, n. 353. InquadramentoA fronte dell'opposizione dell'intimato comparso, non può essere pronunciata l'ordinanza di convalida ed il giudizio prosegue, previa eventuale emanazione dell'ordinanza provvisoria di rilascio, a seguito della pronuncia dell'ordinanza di mutamento del rito, nelle forme del processo c.d. locatizio ai sensi dell'art. 447-bis. L'ordinanza di mutamento del rito deve essere notificata personalmente all'intimato non costituito in quanto la trasformazione del procedimento ne comporta la trasformazione della posizione processuale (Cass. n. 2144/2006). I rapporti tra il giudizio provocato dall'opposizione dell'intimato e la fase sommaria iniziale sono oggetto di una tradizionale e vivace discussione con importanti effetti pratici in ordine al problema delle preclusioni all'esercizio dei poteri processuali delle parti: sussiste invero un contrasto, in giurisprudenza come in dottrina, circa il carattere unitario o meno dell'azione speciale di convalida e di quella ordinaria che segue alla proposizione dell'opposizione, con non trascurabili conseguenze di rilevanza pratica ai fini dell'esercizio dei poteri processuali delle parti in causa dopo la trasformazione del rito (cfr. Proto Pisani, 1372). In particolare, se si assume che dopo il mutamento del rito il procedimento “prosegue” l'intimante non potrà proporre nuove domande (ferma la relativa facoltà dell'intimato cui non si applicano né le preclusioni ex art. 167, né il dovere di costituzione e difesa tecnica nella fase sommaria). A riguardo, non può trascurarsi che, in generale, la novità della domanda deve essere valutata in relazione agli elementi costitutivi della domanda giudiziale, ossia i soggetti, il petitum e la causa petendi, sicché si ha domanda nuova quando gli elementi dedotti nel corso del giudizio comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, quindi, della causa petendi, modificando, attraverso l'introduzione di una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere con l'atto introduttivo, l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia (v., tra le molte, Cass. n. 11960/2010, secondo cui, pertanto, proposta domanda di convalida della licenza per finita locazione, non costituisce domanda nuova quella avente ad oggetto la risoluzione del rapporto di locazione per intervenuta sua scadenza, formulata all'esito della conversione del rito da sommario in ordinario, ai sensi dell'art. 667, trattandosi in tal caso di mera specificazione dell'originaria richiesta; Cass. n. 674/2005). Se viene proposta opposizione da parte dell'intimato, il giudice, previa decisione sull'eventuale istanza di cui all'art. 665, concede termine per la proposizione del tentativo obbligatorio di mediazione, disponendo, mutato il rito, la comparizione delle parti dinanzi a sé in un'udienza successiva allo spirare del termine di tre mesi necessario per l'espletamento di detto tentativo. Mutamento del rito a seguito dell'opposizione dell'intimatoA fronte dell'opposizione dell'intimato comparso, non può essere pronunciata l'ordinanza di convalida ed il giudizio prosegue, previa eventuale emanazione dell'ordinanza provvisoria di rilascio, a seguito della pronuncia dell'ordinanza di mutamento del rito, nelle forme del processo c.d. locatizio ai sensi dell'art. 447-bis. Peraltro, sebbene la disposizione in commento preveda che debba essere mutato il rito a fronte della pronuncia da parte dell'autorità giudiziaria dei provvedimenti di cui agli artt. 665 e 666, e quindi sembri postulare a tal fine la proposizione dell'opposizione da parte dell'intimato comparso, si ritiene comunemente che il medesimo provvedimento di mutamento del rito possa essere reso nelle ipotesi nelle quali il giudice adito denega nella fase sommaria, anche in difetto di comparizione e/o opposizione del convenuto, la richiesta ordinanza di convalida dello sfratto per carenza di uno dei presupposti speciali di operatività del procedimento di cui agli artt. 657 e ss. ovvero per la sussistenza di una questione processuale c.d. impediente. È stato invero più volte enunciato il condivisibile principio per il quale, a prescindere dalla comparizione e/o proposizione dell'opposizione da parte dell'intimato, l'ordinanza di convalida di sfratto può essere emessa esclusivamente entro i limiti oggettivi segnati dagli artt. 657 e 658, in presenza dei presupposti specificamente indicati dall'art. 663, e necessita altresì della ricorrenza delle condizioni generali dell'azione (cfr., tra le altre, Cass. n. 11298/2004; conf., in sede di merito, Trib. Salerno I, 17 ottobre 2008, in Giur. mer., 2009, n. 5, 1244, con nota di Masoni). L'ordinanza, in conformità all'articolazione “successiva” delle difese delle parti nell'ambito del processo c.d. locatizio in virtù del richiamo agli artt. 415 e 416, deve contenere termini differenziati per il deposito delle memorie integrative e dei documenti da parte, rispettivamente, del ricorrente e del resistente nonché l'indicazione dell'udienza di discussione ex art. 420 (Trisorio Liuzzi, 2005, 815). Il provvedimento di trasformazione del rito, ai sensi degli artt. 667 e 426, ha effetto imperativo per tutto l'ulteriore corso del procedimento e non è suscettibile di revoca implicita (Cass. n. 9014/2009). L'ordinanza di mutamento del rito deve essere notificata personalmente all'intimato non costituito in quanto la trasformazione del procedimento ne comporta la trasformazione della posizione processuale (Cass. n. 2144/2006). L'ordinanza pronunciata ai sensi della disposizione in esame è un provvedimento che, sebbene irrevocabile, ha valenza meramente ordinatoria, incidendo soltanto sulle modalità di trattazione della controversia, sicché avverso la stessa non è esperibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., né altro mezzo di reclamo (Cass. n. 15754/2001). Rapporti tra fase sommaria e successivo giudizio a cognizione piena e preclusioni a carico delle partiNell'assetto attuale, pertanto, a seguito dell'opposizione del convenuto comparso, il procedimento sommario di convalida si trasforma in un giudizio di cognizione piena ed esauriente, disciplinato nelle forme del rito speciale locatizio, finalizzato ad accertare la fondatezza della domanda di rilascio (cfr., tra le molte, Cass. n. 15593/2007; Cass. n. 12119/2006; v., inoltre, in sede di merito, Trib. Salerno 19 maggio 2006). Ne deriva che per le controversie in materia di locazione, la deroga alla sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale opera solo per la fase sommaria del procedimento di convalida di licenza per finita locazione o di sfratto, la quale si conclude, nel caso di opposizione dell'intimato, con la pronuncia o il diniego dell'ordinanza di rilascio e che presenta per sua natura carattere di urgenza, mentre trova applicazione per la successiva fase a rito ordinario, salvo che l'urgenza sia dichiarata con apposito provvedimento (Cass. n. 1423/2011, in Giust. Civ., 2011, n. 4, 895). Peraltro, vi sono ipotesi nelle quali la controversia, che pure può essere introdotta nelle forme del procedimento di convalida di sfratto, non rientra nell'ambito di applicazione del rito speciale ovvero di quello ordinario. Fattispecie ricorrente nella prassi è quella dell'erronea proposizione mediante atto di citazione ex art. 657 c.p.c. di domanda di rilascio dell'immobile per occupazione sine titulo, essendo tale controversia assoggettata al rito ordinario di cognizione. Invero, nulla muta nell'ipotesi di apparente incompetenza del giudice adito per la sussistenza, ad esempio, della competenza delle sezioni specializzate agrarie, questione sulla quale, difatti, il Tribunale si pronuncerà, con un'eventuale decisione declinatoria della competenza, a seguito del mutamento nel rito speciale (Frasca, 345 ss.). Per altri, deve intendersi che, nonostante la formulazione letterale della disposizione in esame, che fa riferimento alla prosecuzione del procedimento nelle forme del “rito speciale”, alludendo al rito speciale previsto per le controversie locatizie dall'art. 447-bis, laddove la causa esuli dal novero delle stesse, con l'ordinanza di mutamento del rito debba essere fissata l'udienza exart. 183 (Giordano, 281 ss.). Nella vigenza dell'art. 667 nella formulazione originaria, i.e. non si dubitava che il giudizio successivo al mutamento del rito fosse autonomo rispetto a quello incardinato davanti al pretore nella fase sommaria. Costituiva in tale assetto jus receptum il principio per il quale l'opposizione dell'intimato determina la conclusione del procedimento di convalida a carattere sommario e l'instaurazione di un procedimento nuovo ed autonomo, nell'ambito del quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle loro rispettive posizioni, compresa per il locatore la possibilità di proporre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domande riconvenzionali (Cass. n. 4830/1987; Trib. Napoli 24 giugno 1985, Arch. loc., 1985, 730). Dopo la riforma realizzata dalla l. n. 353/1990, invece, i rapporti tra il giudizio provocato dall'opposizione dell'intimato e la fase sommaria iniziale sono oggetto di una tradizionale e vivace discussione con importanti effetti pratici in ordine al problema delle preclusioni all'esercizio dei poteri processuali delle parti: sussiste invero un contrasto, in giurisprudenza come in dottrina, circa il carattere unitario o meno dell'azione speciale di convalida e di quella ordinaria che segue alla proposizione dell'opposizione, con non trascurabili conseguenze di rilevanza pratica ai fini dell'esercizio dei poteri processuali delle parti in causa dopo la trasformazione del rito (cfr. Proto Pisani, 1372). La problematica attiene, in particolare, alla proponibilità di domande nuove rispetto a quelle formulate nel procedimento sommario di convalida. Sulla questione è opportuno premettere nel valutare la novità di una domanda, occorre effettuare una distinzione tra diritti autodeterminati e diritti eterodeterminati. Più in particolare, i diritti autodeterminati sono i diritti di carattere assoluto ed i diritti reali, il cui contenuto non può mutare in ragione dei fatti posti a fondamento degli stessi, mentre i diritti etero determinati sono i diritti relativi e di credito per i quali i fatti costitutivi allegati dall'attore sono essenziali ai fini dell'identificazione della domanda. (cfr. Satta, 823 ss). In altri termini, poiché per i diritti autodeterminati la fattispecie costitutiva è irrilevante per l'individuazione degli stessi, afferendo esclusivamente alla pretesa di merito ed alla dimostrazione della medesima, sicché il rigetto della domanda determina l'improponibilità della stessa in un nuovo giudizio, pur se fondata su un differente fatto costitutivo, è deducibile per la prima volta in appello o nel corso del giudizio dopo il mutamento del rito, almeno secondo l'opinione dominante, senza violare i principi in tema di ius novorum, una diversa fattispecie acquisitiva dello stesso diritto assoluto. Sotto quest'ultimo profilo va evidenziato che il novero di domande radicalmente nuove per le quali opera tale preclusione è quindi limitato a quelle c.d. eterodeterminate, tra cui non rientra anche la domanda di rilascio di un immobile che presuppone invero un diritto autodeterminato, ovvero un diritto di credito ad una prestazione specifica consistente nel diritto alla restituzione della cosa (Cass. n. 15021/2004; analogamente, nel senso che è possibile la modificazione delle domande autodeterminate mediante allegazione di fatti secondari costitutivi del diritto, Pret. Trento 26 luglio 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 900, con nota di D'Ascola). I diritti autodeterminati sono quelli che si individuano sulla base della sola indicazione del loro contenuto e non dei fatti costitutivi, in concreto, del diritto sostanziale fatto valere (Proto Pisani, 665): in altre parole il diritto è sempre lo stesso, a prescindere dalla fattispecie costitutiva per la quale è sorto talché, ad es., costituisce mera emendatio libelli rispetto alla domanda di rivendica fondata su un acquisto per usucapione dedurre che il diritto è stato acquistato, invece, per effetto di una compravendita. Ne deriva che risulta possibile allegare mediante la memoria integrativa vicende diverse relative a quella locazione, come, ad esempio, la cessazione del rapporto per scadenza convenzionale o di legge o per il recesso del conduttore, né muta il diritto oggetto di tutela se si invoca, in luogo del rapporto locatizio inizialmente allegato, la proprietà del bene in quanto la causa continuerà ad incentrarsi sul rilascio di quel bene (Frasca, 371 e ss.). Secondo una dottrina autorevole ma minoritaria il dibattito in tema di diritti autodeterminati deve essere affrontato avendo riguardo, più in generale, alla struttura per preclusioni del giudizio ordinario e nel rispetto dei precetti costituzionali vigenti in materia, con la conseguente rilevanza del fatto costitutivo anche nei diritti autodeterminati, fermo restando che a questa diversa identificazione del contenuto della domanda giudiziale seguirà una differente ricostruzione del giudicato, ossia che il giudicato sul diritto autodeterminato non preclude le deduzioni, in successivi processi, di fatti costitutivi diversi non dedotti nel primo giudizio (cfr. Montesano-Arieta I, 489 ss.). La qualificazione della domanda avente ad oggetto il rilascio dell'immobile locato in termini di domanda c.d. autodeterminata non è tuttavia pacifica in dottrina: per alcuni, il mutamento della causa petendi comporta quindi la proposizione di una domanda nuova, di talché, ad esempio, richiesto lo sfratto per morosità per il pagamento di alcune mensilità di canone, non sarà possibile invocare nella fase di merito il mancato pagamento di altri canoni o ulteriori inadempimenti (Trisorio Liuzzi, 2005, 817 ss.). Tornando alla questione più specifica, in particolare, in accordo con un primo orientamento, ormai dominante, la proposizione dell'opposizione da parte dell'intimato determina la conclusione del procedimento sommario di convalida e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo processo di cognizione ordinario nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, compresa, per il locatore, quella di proporre una domanda nuova ovvero di dedurre una nuova causa petendi, per il conduttore, quella di proporre nuove eccezioni e/o domande riconvenzionali (Cass. n. 17955/2021 ; Cass. n. 21242/2006, in Giust. civ., 2007, n. 10, 2151, con nota di Masoni). Si realizza, in accordo con detta impostazione, una netta cesura tra la prima fase necessaria di carattere sommario e quella soltanto eventuale, a cognizione piena, provocata dall'opposizione dell'intimato. Si è quindi evidenziato che nel procedimento per convalida di (licenza o) sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis con la conseguenza che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426, potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese svolte dalla controparte (Cass. n. 12247/2013). Ne deriva, ad esempio, che a seguito del mutamento del rito l'intimante potrà chiedere la risoluzione per inadempimento del conduttore in relazione al mancato pagamento di canoni od oneri condominiali non considerati nel ricorso per convalida di sfratto (Cass. n. 5356/2009). Nell'ambito di tale ricostruzione interpretativa, va collocata anche quella giurisprudenza per la quale nel procedimento per convalida di sfratto, allorché la controversia prosegua oltre la fase sommaria a seguito dell'opposizione dell'intimato, la memoria integrativa ex art. 426 costituisce l'atto in cui si cristallizzano le posizioni delle parti, sicché non può ritenersi integrata, prima del deposito dell'anzidetta memoria, una non contestazione di un fatto idonea ad esonerare la controparte dalla relativa prova (Cass. n. 4771/2019; Cass. n. 26356/2014). Opina in senso contrario un'altra posizione, affermata soprattutto in dottrina e nella giurisprudenza di merito, per la quale a seguito dell'opposizione dell'intimato si realizzerebbe, invece, la prosecuzione con rito e cognizione ordinaria dell'unico procedimento iniziato con l'esercizio da parte del locatore dell'azione iniziata con la citazione per convalida (Garbagnati, 351; Preden, 454). In dottrina è stato osservato che nell'assetto attuale, la configurazione in termini unitari del giudizio iniziato con la citazione per convalida è da avallare in quanto: a) l'art. 667, dopo la riforma realizzata dalla l. n. 353/1990, dispone espressamente che, a seguito della comparizione ed opposizione dell'intimato il giudizio “prosegue”, previa ordinanza di mutamento del rito ex art. 426; b) nelle ipotesi in cui il legislatore vuole rendere, con riguardo alle preclusioni relative all'esercizio dei poteri processuali delle parti, autonome la prima fase sommaria del giudizio da quella ordinaria e successiva lo esplicita così come è avvenuto, ad esempio, con riguardo ai procedimenti di separazione e divorzio (Giordano, 281 ss.). La natura prosecutoria del giudizio instaurato con l'ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 è stata affermata, inoltre, pressoché senza incertezze, dalla giurisprudenza di merito che si è pronunciata sul punto dopo la riforma del 1990 (così, tra le altre, Trib. Latina II, 2 aprile 2013; Trib. Roma 23 giugno 2006, Giust. civ., 2006, 2412; App. Napoli 14 maggio 2004, Giur. nap., 2004, 3; Trib. Roma 16 aprile 2004, in Giur. mer., 2005, 536, con nota di Meozzi; Trib. Napoli 27 gennaio 2004, Immobili e diritto, 2005, n. 9, 84; Trib. Monza 19 marzo 2003, Giur. mer., 2003, 1971; Trib. Palermo 27 dicembre 2002, Giur. mer., 2003, 1161; Trib. Foggia 22 aprile 2002, Giur. mer., 2003, 5). Nella stessa giurisprudenza di legittimità è stato talora affermato, peraltro, che in tema di controversie in materia di locazione, come disciplinata dalla l. n. 353/1990, in base al combinato disposto di cui agli artt. 667 e 426, dopo che il giudice ha disposto il mutamento del rito, è alle parti consentito solamente il deposito di memorie integrative, che non possono contenere domande nuove, a pena di inammissibilità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, non sanata neppure dall'accettazione del contraddittorio sul punto, con il solo limite della formazione del giudicato (Cass. n. 11596/2005). Consegue a tale orientamento che i poteri e le deduzioni delle parti restano disciplinati dall'art. 426, proseguendo il giudizio nelle forme del rito del lavoro, talché non potranno essere proposte nuove domande ma soltanto modificate quelle già proposte nelle forme e nei termini previsti dall'art. 420, comma 1, ovvero per gravi motivi e previa autorizzazione del giudice (Proto Pisani, 1372). Nella recente giurisprudenza di legittimità si è fatto nuovamente riferimento ad una pretesa natura unitaria della fase sommaria e di quella a cognizione piena ai fini della liquidazione delle spese forensi (che vanno correlate, per evitare duplicazioni, alle specifiche attività svolte a prescindere dalla fase: Cass. II, n. 34713/2023). Peraltro è pacifico, anche per coloro i quali accedono a quest'ultima tesi in ordine alla prosecuzione del procedimento originario a fronte dell'ordinanza di mutamento del rito, che debba distinguersi dalla posizione dell'intimante quella dell'intimato. In particolare, la S.C. ha più volte evidenziato che poiché la citazione per la convalida di sfratto non deve contenere l' invito al convenuto a costituirsi nel termine previsto dal precedente art. 163, n. 7, né l' avvertimento sulla comminatoria delle decadenze previste dall' art. 167 c.p.c., l' intimato, come non deve osservare i termini previsti dall'art. 166 c.p.c. nel costituirsi a norma dell'art. 660, comma 5, c.p.c. così non è soggetto alle prescrizioni ed alle decadenze previste nel successivo art. 167 c.p.c. , con la conseguenza che la domanda riconvenzionale non deve essere necessariamente proposta con la (eventuale) comparsa di risposta prevista dall'art. 660, comma 5, ma può essere formulata anche nella memoria presentata nel termine perentorio fissato con l'ordinanza ex art. 426 c.p.c. richiamato dall'art. 667 c.p.c. (Cass. n. 13963/2005, in Giust. civ., 2006, n. 2, 327, con nota di Izzo). A sostegno di tale posizione, è stata inoltre posta in rilievo la circostanza per la quale nel procedimento per convalida di sfratto o finita locazione l'intimato non ha l'onere di costituirsi in cancelleria, potendosi presentare all'udienza fissata per la convalida anche personalmente ( Cass. n. 3696/2012) Casistica Si ha domanda nuova quando gli elementi dedotti nel corso del giudizio comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, quindi, della causa petendi, modificando, attraverso l'introduzione di una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere con l'atto introduttivo, l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia, sicché, proposta domanda di convalida della licenza per finita locazione, non costituisce domanda nuova quella avente ad oggetto la risoluzione del rapporto di locazione per intervenuta sua scadenza, formulata all'esito della conversione del rito da sommario in ordinario, ai sensi dell'art. 667, trattandosi in tal caso di mera specificazione dell'originaria richiesta (Cass. n. 11960/2010). Qualora venga intimata licenza per finita locazione ad una certa data e l'intimato si opponga deducendo l'esistenza di altro contratto con scadenza posteriore, il locatore può proporre con la memoria integrativa, successiva all'ordinanza ex art. 426 c.p.c. domanda di risoluzione alla stregua del secondo contratto, trattandosi di emendatio libelli, cioè di mera specificazione dell'originaria domanda di risoluzione avanzata in sede sommaria (Cass. n. 16635/2008). In tema di procedimento per convalida di sfratto per morosità, se all'esito dell'opposizione dell'intimato il giudizio di convalida prosegue con la conversione del rito ex art. 667 il locatore può chiedere, trattandosi di domanda fondata sul medesimo contratto di locazione posto a fondamento della pretesa originariamente azionata con il procedimento sommario, il pagamento anche della penale pattuita per la risoluzione del contratto, non ostandovi l'art. 664, la cui applicazione rimane esclusa in conseguenza della detta conversione in procedimento ordinario, così come risulta d'altro canto superata l'inammissibilità della relativa domanda formulata nell'atto d'intimazione, ove successivamente alla medesima rinnovata (Cass. n. 676/2005). Appare opportuno ricordare che nel giudizio speciale di cui all'art. 447-bis, atteso l'espresso richiamo, sotto tale profilo, alla disciplina dettata per le controversie in materia di lavoro ed in particolare, all'art. 418, comma 1, stabilisce il convenuto che abbia proposto una domanda in via riconvenzionale a norma del secondo comma dell'art. 416 c.p.c. deve, con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza dalla riconvenzionale medesima, chiedere al giudice che, a modifica del decreto di cui al comma 2 dell'art. 415, pronunci, non oltre cinque giorni, un nuovo decreto per la fissazione dell'udienza. La richiesta da parte del resistente il quale proponga domanda riconvenzionale di spostamento della prima udienza di comparizione costituisce adempimento previsto a pena di inammissibilità della domanda stessa e ciò a prescindere dall'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte su tale domanda attraverso una difesa esclusivamente sul merito (v., tra le altre, Trib. Trani 24 febbraio 2004, in Giur. Merito, 2004, 1999; Trib. Monza 15 gennaio 2003, ivi, 2003, 908 ed in Rass. loc. cond., 2003, 449, nt. Carrato). Tale richiesta deve essere formulata, a pena di inammissibilità, dall'intimato anche ove proponga, iniziato il procedimento nelle forme sommarie di cui agli artt. 657 e ss., la domanda riconvenzionale nella memoria integrativa. Sul punto, la S.C. ha peraltro precisato che la necessità per il conduttore convenuto che agisce in riconvenzionale di chiedere, a pena di decadenza come espressamente sancisce l'art. 418, la fissazione di una nuova udienza di discussione, non sussiste nel caso in cui il giudizio sia iniziato con il rito ordinario ed in esso sia stata proposta la domanda riconvenzionale, mentre solo successivamente sia stata disposta la trasformazione del rito a norma dell'art. 426, poiché l'udienza di discussione fissata ai sensi di quest'ultimo articolo consente di realizzare le esigenze, sottese alla richiesta del convenuto, volte ad assicurare la regolarità del contraddittorio e la possibilità per l'attore di svolgere le proprie difese (Cass. n. 2777/2003). Istruttoria e decisione nel rito cd. locatizioNel corso dell’udienza, ove almeno una delle parti abbia effettuato richieste istruttorie nelle memorie integrative, il Giudice provvederà sulle stesse, eventualmente all'esito dell’assunzione di una riserva, fissando, ai sensi dell’art. 81-bis disp. att. il c.d. calendario delle attività processuali, da espletarsi sino all'udienza di discussione in senso stretto al termine della quale sarà pronunciata, mediante lettura alle parti presenti, la decisione. Occorre considerare che, con riguardo all'istruttoria nel processo c.d. locatizio, che l’art. 447-bis non richiama, tra le norme previste per le controversie di lavoro, anche il comma 2 dell’art. 421 per il quale il Giudice “può altresì disporre d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti”. Peraltro, in tema di mezzi istruttori, lo stesso art. 447-bis, comma 3, precisa che il giudice può disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ispezione della cosa e l'ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti. In sostanza, la differenza fondamentale con il processo del lavoro rispetto al novero dei poteri istruttori demandati al Giudice in deroga al principio del dispositivo, è quella attinente alla piena operatività, invece, nel processo locatizio, delle disposizioni sui limiti oggettivi di ammissibilità della prova per testimoni (Giordano (-Tallaro) 77 ss.). Analogamente a quanto previsto dall'art. 421, comma 2 in tema di rito del lavoro, il comma 3 dell’art. 447-bis c.p.c. consente al Giudice, anche nel processo c.d. locatizio, di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, fatta eccezione per il giuramento decisorio. Tali poteri istruttori officiosi, costituiscono espressione del contemperamento tra principio dispositivo e ricerca della verità materiale, sebbene non possano essere esercitati anche per superare carenze probatorie di una parte (Cass. n. 17102/2009). Infatti, come evidenziato dalle stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, poiché è caratteristica precipua del rito del lavoro il contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verità materiale, di guisa che, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l'incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti (Cass. S.U., n. 11353/2004). Inoltre, mediante l’esercizio dei poteri istruttori ex art. 421, comma 1, il giudice può, ad esempio, “superare” errori compiuti dalla parte nella formulazione delle richieste istruttorie. In particolare, qualora la parte abbia, con l'atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l'enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all'esercizio del potere - dovere di cui all'art. 421, comma 1, avente ad oggetto l'indicazione alla parte istante della riscontrata irregolarità e l'assegnazione di un termine perentorio per porvi rimedio, formulando o integrando le indicazioni relative alle persone da interrogare o ai fatti sui quali debbono essere interrogate (v., tra le altre, Cass. n. 17649/2010; Cass. n. 16661/2009; Cass. n. 16529/2004). In relazione al processo locatizio, il terzo comma dell’art. 447-bis, stabilisce espressamente, inoltre, che il giudice, nell'esercizio dei propri poteri istruttori officiosi, può sempre disporre l’ispezione dell’immobile locato. Tale previsione può essere intesa nel senso di consentire un più ampio esercizio di un siffatto potere rispetto a quanto previsto dall’art. 118 c.p.c., secondo cui il giudice può ordinare alle parti ed ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti negli artt. 351 e 352 (Giordano (-Tallaro) 77 ss.). Resta inoltre fermo che le rigide preclusioni istruttorie stabilite nel processo locatizio, modellato su quello del lavoro, preclusioni in virtù delle quali i mezzi di prova, compresi i documenti offerti in comunicazione, devono essere indicati compiutamente dalle parti negli atti introduttivi del giudizio, non possono peraltro trovare applicazione anche per la consulenza tecnica d’ufficio poiché la stessa non è un mezzo di prova nella disponibilità delle parti in causa, quanto un mezzo istruttorio rimesso alla discrezionalità del Giudice. Assolutamente peculiare rispetto al procedimento ordinario di cognizione è, come noto, la fase decisoria nel processo speciale c.d. locatizio, e ciò anche a seguito del mutamento del rito disposto, in ragione dell’opposizione spiegata dall'intimato, nel giudizio di convalida. Invero, il rinvio effettuato dall’art. 447-bis ai primi due commi dell’art. 429 che disciplinano la fase decisoria nel processo del lavoro comporta che, anche per le controversie locatizie, la decisione debba essere letta alle parti all'esito dell’udienza, in omaggio al c.d. principio di oralità e di immediatezza, e non depositata in cancelleria, come nel processo ordinario di cognizione, a seguito dello scambio di comparse conclusionali e memorie di replica. L’art. 429 c.p.c. è stato significativamente riformato ad opera dell’art. 53 d.l. n. 112/2008 che ha modificato l’art. 429, comma 1 nel senso di prevedere che, di regola, a seguito dell’udienza di discussone, il Giudice debba depositare l’intera sentenza, ossia il dispositivo corredato dalle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Più in particolare, infatti, nell'assetto tradizionale, anche nel processo c.d. locatizio, a seguito della discussione orale delle parti in udienza, il Giudice era tenuto esclusivamente alla lettura all'udienza stessa del dispositivo, rinviando ai quindici giorni successivi il deposito della motivazione. La decisione mediante lettura del dispositivo in udienza comporta che il processo venga definito, a prescindere dal deposito soltanto successivo dei motivi posti a fondamento della pronuncia, attraverso un siffatto meccanismo: pertanto, ai fini dell'individuazione della data di decisione del giudizio, rileva il verbale dell'udienza di discussione che attesta la lettura del dispositivo della sentenza, trattandosi di atto pubblico che fa fede fino a querela di falso (v., ex multis, Cass. n. 24573/2011; Cass. n. 19299/2006; Cass. n. 11778/2002). Inoltre, è stato affermato, in coerenza con una siffatta posizione, che nel rito del lavoro, qualora il giudice di primo grado che abbia letto in udienza il dispositivo della sentenza non possa redigerne la motivazione per sopravvenuto impedimento, non si ha inesistenza della sentenza, ma nullità per mancanza di motivazione, vizio che, ai sensi dell'art. 161, comma 1, può essere fatto valere soltanto nei limiti e secondo le regole dei mezzi di impugnazione, di talché il giudice d'appello, ove abbia rilevato dette nullità a seguito di gravame, non può rimettere la causa al primo giudice, non ricorrendo alcuna ipotesi di rimessione fra quelle tassativamente previste dagli artt. 353 e 354, né limitarsi a dichiarare la nullità medesima, ma deve decidere le cause nel merito (Cass. n. 5277/2012). Numerose sono state tuttavia le problematiche derivanti dall'operatività di tale sistema, specie per le ipotesi di contrasto, anche soltanto parziale, tra dispositivo e motivazione. In proposito, il principio generale applicabile è quello secondo cui, poiché il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma racchiudendo in sé gli elementi del comando giudiziale che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione e non è suscettibile di interpretazione per mezzo della motivazione medesima, le proposizioni contenute in quest'ultima e contrastanti col dispositivo devono considerarsi come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile (Cass. n. 21885/2010). Quando, tuttavia, ricorre un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, lo stesso determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo, che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la disposizione emanata (Cass. n. 8894/2010). Nell'intento di risolvere le richiamate problematiche, pertanto, l’art. 53 d.l. n. 112/2008 cit., ha modificato l’art. 429, comma 1 c.p.c., nel senso di prevedere che, di regola, a seguito dell’udienza di discussone, il giudice debba depositare l’intera sentenza, ossia il dispositivo corredato dalle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Resta nondimeno ferma la possibilità per il Giudice stesso, nelle ipotesi di particolare complessità della decisione da adottare, di riservare, letto il dispositivo in udienza, il deposito della motivazione entro un termine massimo di giorni sessanta. Fatta eccezione per il perdurante potere discrezionale del Giudice di riservare comunque il deposito della motivazione nelle ipotesi di particolare complessità della controversia, il modello decisorio di riferimento per l’operata riforma è costituito dalla sentenza pronunciata a seguito di trattazione orale ex art. 281-sexies. In realtà in giurisprudenza era già riconosciuta la possibilità per il Giudice, anche nel processo del lavoro e nei giudizi modellati sullo stesso come quello c.d. locatizio, di pronunciare sentenza a fronte di trattazione orale. A riguardo, invero, la S.C. ha più volte affermato che è applicabile al processo del lavoro la disposizione dell'art. 281-sexies, c.p.c. che prevede la pronuncia della sentenza al termine della discussione orale, con lettura del dispositivo e concisa esposizione a verbale delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, a condizione del suo adattamento al rito speciale, nel quale non è prevista l'udienza di precisazione delle conclusioni, a differenza di quanto stabilito nella fase decisoria nel giudizio ordinario di cognizione dinanzi al tribunale in composizione monocratica (Cass. n. 13708/2007, in Giust. Civ., 2008, n. 12, 3048; nello stesso senso, in sede di merito, v. già Trib. Pisa 26 ottobre 1999, in Giur. it., 2000, 1853, con nota di Rimmaudo). Invero, nel rito del lavoro - essendo vietate le udienze di mero rinvio e non essendo prevista un'udienza di precisazione delle conclusioni - ogni udienza è destinata alla discussione orale e, quindi, alla pronuncia della sentenza ed alla lettura del dispositivo sulle conclusioni di cui al ricorso, per quanto riguarda l'attore, e su quelle di cui alla memoria difensiva, per quanto concerne il convenuto, con la conseguenza che il giudice del lavoro non è tenuto ad invitare le parti alla precisazione delle conclusioni prima della pronuncia della sentenza al termine dell'udienza, nella quale le stesse parti hanno facoltà di procedere alla discussione orale (Cass. n. 9235/2006). Procedimento di convalida e mediazione obbligatoriaL'art. 5 d.lgs. n. 28/2010 aveva introdotto quale obbligatoria condizione di procedibilità delle controversie in materia civile e commerciale indicate nel comma 1 della stessa previsione normativa, tra le quali erano annoverate anche quelle in materia locatizia, incardinate successivamente alla data del 20 marzo 2011, il previo esperimento del tentativo di mediazione dinanzi ai relativi organismi. Il primo comma dell'art. 5 del predetto decreto è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo soltanto per contrasto con l'art. 76 Cost., ovvero per eccesso di delega (Corte cost. n. 272/2012, in Riv. arb., 2013, n. 1, 67, con nota di Tiscini ed in Giust. civ., 2013, I, 10, con nota di G. Finocchiaro). Pertanto, la disciplina del previo obbligatorio tentativo di mediazione, sostanzialmente per le medesime controversie (escluse quelle in tema di responsabilità per la circolazione dei veicoli) e con alcune lievi differenze procedimentali, è stata reintrodotta con il comma 1-bis dello stesso art. 5 d.lgs. n. 28/2010 dal c.d. decreto del fare, per i giudizi incardinati a decorrere dal 21 settembre 2013. Il comma 4 dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010 esclude, tuttavia, dal previo assoggettamento alla condizione di procedibilità prevista e disciplinata dal comma 1 della medesima previsione normativa i procedimenti per convalida di licenza e sfratto sino al mutamento del rito con la pronuncia sull'istanza di emanazione dell'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665. Ciò comporta che se ovviamente il Giudice adito con la citazione per convalida di licenza o sfratto, in caso di mancata comparizione dell'intimato all'udienza potrà emanare l'ordinanza di convalida ai sensi dell'art. 663, diversamente, a fronte della comparizione ed opposizione dell'intimato, il Giudice, pronunciatosi sull'eventuale richiesta di emanazione dell'ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni di cui all'art. 665, dovrà assegnare alle parti un termine di quindici giorni per proporre domanda di mediazione e contestualmente fissare l'udienza di discussione dinanzi a sé decorso il termine di tre mesi necessario per la conclusione del procedimento nella fase di mediazione. Tale disciplina suscita diversi interrogativi sul piano interpretativo. In primo luogo, occorre chiedersi se il mutamento del rito dovrà essere effettuato già contestualmente alla concessione dei termini affinché le parti propongano la domanda di mediazione ovvero se tale mutamento dovrà essere disposto successivamente all'eventuale fallimento del tentativo di mediazione. La questione ora prospettata non è scevra di implicazioni pratiche poiché, se si accede alla prima soluzione, ne deriverà che per i fautori della tesi dell'unitarietà del procedimento di convalida rispetto alla fase eventuale successiva a cognizione piena assoggettata al rito speciale ex art. 447-bis neppure dinanzi al mediatore almeno l'intimante potrà proporre nuove domande diverse da quelle formulate con la citazione per convalida di sfratto, scattando, invece, le preclusioni, ove si voglia opinare in senso opposto, solo dopo l'eventuale fallimento del tentativo di mediazione. Si segnala in sede applicativa l'adesione a quest'ultima tesi, mediante l'affermazione del principio per il quale, concessa ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto ex art. 665, le parti vanno inviate in mediazione, riservando all'insuccesso del tentativo della media-conciliazione la fissazione della data di esecuzione per rilascio e la concessione del termine per le memorie integrative (Trib. Roma, 27 giugno 2011, in Giur. mer., 2012, n. 5, 1083, con nota di Masoni, Mediazione e processo: rassegna della prima giurisprudenza edita). In senso diverso si è affermato che in materia di convalida di sfratto, il tentativo di mediazione, (art. 5, comma 4, d.lgs. n. 28/2010), è condizione di procedibilità dopo la pronuncia dei provvedimenti adottati nella fase sommaria, dovendosi ritenere esperibile solo dopo il mutamento del rito disposto all'udienza ex art. 667 e, quindi, anche dopo la pronuncia dei provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c. e per il giudizio a cognizione piena derivato dalla opposizione e dal successivo mutamento del rito (App. Firenze, 29 gennaio 2016, n. 103; Trib. Palermo II, 13 aprile 2012). Sotto altro profilo, sempre in sede applicativa, si è ritenuto che, a seguito del mutamento del rito disposto ai sensi dell'art. 667, il convenuto non è tenuto ad eccepire con la memoria integrativa il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione (d.lg. n. 28/2010), potendo farlo quam maxime all'udienza di discussione (Trib. Modena II, 10 marzo 2012). Controverse sono, inoltre, le conseguenze sul procedimento di convalida incardinato dell'omessa o tardiva proposizione della domanda di mediazione nel termine concesso. A riguardo, in dottrina sono state proposte essenzialmente due tesi. Più in particolare, secondo una prima posizione, di carattere più rigoroso, attesa la natura di vera e propria condizione di procedibilità riservata dal legislatore al procedimento dinanzi al mediatore, a fronte della mancata presentazione della domanda di mediazione nel termine indicato, il Giudice adito dovrebbe chiudere in rito il processo, con sentenza di improcedibilità (Minelli, in Bove 2011, 170). Questa tesi è stata affermata anche da una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Busto Arsizio 15 giugno 2012, Arch. loc., 2012, n. 5, 546, la quale ha ritenuto inidoneo l'invio, nel termine previsto, di una raccomandata all'organismo di mediazione, dovendosi invece adire lo stesso, entro detto termine, con il deposito di una domanda di mediazione). In accordo con un altro orientamento, invece, interpretando in via sistematica il disposto dell'art. 5, comma 1, e dell'art. 6 d.lgs. n. 28/2010, anche nell'ipotesi di mancata presentazione della domanda di mediazione, purché sia decorso il termine di tre mesi indicato dall'art. 6 per l'espletamento della relativa procedura, il giudizio potrebbe proseguire normalmente (Cuomo Ulloa, 118). Sono significative le conseguenze dell'adesione all'una o all'altra impostazione nell'ipotesi di procedimento incardinato con citazione per convalida di sfratto e rimesso dinanzi al mediatore dopo la pronuncia dell'ordinanza ex art. 665. Invero, se si ritiene che a fronte dell'omessa tempestiva proposizione ad iniziativa di una delle parti della domanda di mediazione, il giudizio dovrà essere dichiarato improcedibile, ne deriva che rimarrà efficace l'ordinanza provvisoria di rilascio (in questi termini cfr. Trib. Bologna II, 17 novembre 2015, n. 21324) , come avviene invero nell'ipotesi del tutto analoga di estinzione del giudizio di merito (Trib. Busto Arsizio 15 giugno 2012, Arch. loc., 2012, n. 5, 546). Ne consegue che la parte onerata, in sostanza, della tempestiva proposizione della domanda di mediazione, almeno ove sia stata pronunciata ordinanza ex art. 665, è l'intimato, in linea, del resto, con la provocatio rimessa all'iniziativa dello stesso con la proposizione dell'opposizione, in difetto della quale lo sfratto sarebbe stato convalidato con conseguente conclusione del procedimento nella fase sommaria senza alcun obbligo di incardinare il procedimento di mediazione. Tale soluzione potrebbe scontrarsi, tuttavia, con il principio affermato nella giurisprudenza di legittimità per il quale, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione verte sulla parte opponente poiché l'art. 5 d.lgs. n. 28/2010 deve essere interpretato in conformità alla sua ratio e, quindi, al principio della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente il giudizio di merito che l'opponente ha interesse ad introdurre (Cass. III, n. 24629/2015). Sotto un distinto profilo, la circostanza che, come rilevato, anche a voler accedere all'impostazione preferibile per la quale il procedimento di convalida e quello successivo al mutamento del rito sono unitari, l'intimato può nondimeno proporre domande nuove nella seconda fase impone di prendere posizione sull'assoggettabilità a mediazione obbligatoria anche delle domande riconvenzionali. Il problema si pone, in particolare, laddove dinanzi al mediatore l'intimato/convenuto non abbia formulato la domanda riconvenzionale, proponendola soltanto con la memoria integrativa una volta riattivata la fase dinanzi all'autorità giudiziaria. Sull'analoga questione che si pone in materia di tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie agrarie, la S.C. si è espressa nel senso della necessità di esperire detto tentativo in relazione tanto alle domande proposte in via principale che in via riconvenzionale (v., tra le altre, Cass. n. 408/2002; Cass. n. 12196/1998, in Dir. e giur. agr., 2000, 38, con nota di Tortolini; Cass. n. 10447/1995; Cass., n. 7723/1992; Trib. Ascoli Piceno 18 aprile 2003, Dir. e lav. Marche, 2004, 118; Trib. Chieti 19 settembre 2002, PQM, 2002, n. 3, 96; Trib. Bergamo 13 novembre 2000, n. 1820, Giur. agraria, 2007, n. 1, 362; Trib. Pisa 28 agosto 1999, in Riv. giur. agr., 2001, II, 11, con nota di Matteoli; Trib. Messina 19 aprile 1989, Dir. e giur. agr., 1990, 431; Trib. Roma 13 aprile 1987, Riv. dir. agr., 1988, 148; Trib. Taranto 22 dicembre 1984, Riv. dir. agr., 1985, 292). Con riguardo al tentativo obbligatorio di conciliazione previsto sino alla riforma realizzata dalla l. n. 183/2011 nelle controversie in materia di lavoro, invece, in assenza di un intervento della Corte di Cassazione la giurisprudenza di merito aveva affermato orientamenti non univoci. Così, tra le altre, nel senso dell'inapplicabilità del tentativo di conciliazione alle domande riconvenzionali, Trib. Ivrea 22 dicembre 2004, Giur. it., 2005, 1684 e in Nuova giur. civ. comm., 2006, 68, con nota di Demontis; Trib. Taranto ord. 18 aprile 2002, in Giur. it., 2003, 78, con nota di Rascio; Trib. Torino 14 febbraio 2002, Giur. piem., 2003, 181; Trib. Milano 10 febbraio 2001, Lav. giur., 2001, 997; Trib. Forlì ord., 11 maggio 2000, Lav. giur., 2000, 979. In favore dell'applicabilità del tentativo di conciliazione anche a fronte della proposizione di domande riconvenzionali v. invece Trib. Milano 10 marzo 2005, Riv. crit. dir. lav., 2005, 634; Trib. Voghera ord., 21 dicembre 2004, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 315, con nota di Busico; Trib. Pordenone 13 febbraio 2001, in Dir. lav., 2001, 271, con nota di Pamio; Trib. Velletri 7 marzo 2000, Mass. giur. lav., 2000, 875; Pret. Napoli 31 marzo 1999, Guida lav., 1999, fasc. 21, 14; Pret. Milano 9 marzo 1999, Lav. giur., 1999, 575. Anche rispetto alla questione specificamente in esame, non sono state rese soluzioni univoche. Invero, secondo un primo orientamento, che fa leva soprattutto sull'esigenza di assicurare che il giudizio abbia una durata ragionevole in relazione alla domanda riconvenzionale formulata dal convenuto non occorre il previo espletamento del procedimento di mediazione sia che essa ampli solo il petitum ma non anche l'oggetto della controversia, sia che ampli l'ambito della controversia rispetto a quelli che sono stati i confini della stessa in sede di procedimento di mediazione, investendo aspetti nuovi della lite (Trib. Palermo 11 luglio 2011). In senso opposto si è affermato che, poiché le domande riguardanti materie soggette a mediazione obbligatoria sono sottoposte alla disciplina per tale procedimento prevista quale che sia la parte proponente e la fase del giudizio nella quale la domanda viene introdotta, anche le domande riconvenzionali rientranti nelle relative materie devono essere assoggettate al previo tentativo di conciliazione dinanzi agli organismi di mediazione (v., tra le altre, Trib. Roma 15 marzo 2012, Giur. mer. 2012, n. 6, 1317; Trib. Como 2 febbraio 2012, in Giur. mer. 2012, n 5, 1077, con nota di Masoni). BibliografiaAnselmi Blaas, Il procedimento per convalida di licenza o di sfratto, Milano, 1966; Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della l. 18 giugno 2009, n. 69), in udicium.it; Bove (a cura di), La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Milano, 2011; Bucci - Crescenzi, Il procedimento per convalida di sfratto, Padova, 1990; Cavallini, In tema di “decisione” sull’ammissibilità dell’opposizione tardiva alla convalida di sfratto, in Giur. it., 1995, I, 1, 1121; Consolo – Luiso – Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano 1996; Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Milano, 2011; D’Ascola - Giordano - Porreca, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, in La locazione, a cura di Cuffaro, Bologna, 2009, 553 seg.;D’Ascola - Stropparo, Commento all’art. 666, in Commentario del Codice di procedura civile a cura di Comoglio – Consolo – Sassani - Vaccarella, VII, I, Torino 2014, 1020; Di Marzio, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Milano, 1998;Di Marzio, L’impatto della riforma del processo civile sul procedimento per convalida di sfratto, in IUS processocivile.it; Di Marzio - Di Mauro, Il processo locatizio. Dalla formazione all’esecuzione del titolo, Milano, 2007; Duni, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1957; Fornaciari, La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto e l’ordinanza provvisoria del rilascio tra tutela cautelare e tutela giurisdizionale differenziata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 1007 ss.; Frasca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2001; Garbagnati, I procedimenti d’ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano, 1979; Giordano, Procedimento per convalida di sfratto, Bologna, 2015; Giordano - Tallaro, Il processo delle locazioni, Padova, 2014; Giudiceandrea, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino 1956; Grasselli – Masoni, Le locazioni, Padova 2007; Lazzaro - Preden - Varrone, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1978; Mandrioli, Sulla nozione di «irregolarità» nel processo civile, in Riv. dir. civ. 1977, 509 ss.; Mandrioli, Sull’impugnazione dell’ordinanza di licenza o sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1977, n. 3, 1354 ss.; Masoni, I procedimenti locatizi, Padova, 2004; Piombo, Locazione (controversie in materia di locazione), in Enc. giur., XIX, Roma, 2001; Porreca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2006; Preden, Sfratto (procedimento per convalida di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1990, 429; Proto Pisani, Il procedimento per convalida di sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1988, 1354; Proto Pisani, Note in tema di nullità dell’atto di citazione e di effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale, in Riv. dir. civ. 1988, 665; Ronco, Pluralità di riti e fase introduttiva dell’opposizione a decreto ingiuntivo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001, n. 2, 433 ss.; Satta, Domanda giudiziale (diritto processuale civile), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 823 ss.; Sorace, Locazione, II, Controversie in materia di locazione, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, 14; Tedoldi (a cura di), Il procedimento per convalida di sfratto, Bologna, 2009; Tombari Fabbrini, In tema di dolo revocatorio ex art. 395, n. 1, c.p.c., in Foro it., 1991, I, 484; Trifone - Carrato, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 200; Trisorio Liuzzi, Procedimenti speciali di rilascio degli immobili locati, in I procedimenti sommari e speciali, I. Procedimenti sommario (633-669 c.p.c.), a cura di Chiarloni - Consolo, Torino, 2004, 491; Trisorio Liuzzi, Tutela giurisdizionale delle locazioni, Napoli, 2005. |