Codice di Procedura Civile art. 668 - Opposizione dopo la convalida.Opposizione dopo la convalida. [I]. Se l'intimazione di licenza o di sfratto è stata convalidata in assenza dell'intimato [663], questi può farvi opposizione provando di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore (1). [II]. Se sono decorsi dieci giorni dall'esecuzione [6081], l'opposizione non è più ammessa, e la cauzione, prestata a norma dell'articolo 663, secondo comma (2), è liberata. [III]. L'opposizione si propone davanti al tribunale (3) nelle forme prescritte per l'opposizione al decreto di ingiunzione in quanto applicabili (4). [IV]. L'opposizione non sospende il processo esecutivo [623 ss.], ma il giudice, con ordinanza non impugnabile [1773 n. 2], può disporne la sospensione per gravi motivi, imponendo, quando lo ritiene opportuno, una cauzione all'opponente [119; 86 att.]. (1) La Corte cost., con sentenza 18 maggio 1972, n. 89, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non consente la tardiva opposizione all'intimato che, pur avendo avuto conoscenza della citazione, non sia potuto comparire all'udienza per caso fortuito o forza maggiore. (2) Comma terzo a seguito dell'inserimento del comma 2 ex art. 5 l. 22 dicembre 1973, n. 841. (3) La parola « tribunale » è stata sostituita alla parola « pretore » dall'art. 106 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. (4) Comma già sostituito dall'art. 10 l. 18 ottobre 1977, n. 793 e poi di nuovo così sostituito dall'art. 6 l. 30 luglio 1984, n. 399. InquadramentoRatio dell'opposizione tardiva alla convalida è consentire all'intimato di porre rimedio alla convalida nelle ipotesi in cui l'assenza dello stesso all'udienza fissata nell'atto di citazione non sia stata determinata da un comportamento volontario del conduttore dal quale poter desumere il significato di ficta confessio dei fatti dedotti dall'intimante nell'atto introduttivo (Bucci - Crescenzi, 153; Di Marzio (-Di Mauro), 911). La S.C., prendendo posizione tra le opposte tesi affermate in dottrina, ha chiarito che il giudizio di opposizione tardiva alla convalida di sfratto ha natura di mezzo di impugnazione speciale, che si articola in una duplice fase, l'una rescindente, nella quale è valutata la sussistenza dei presupposti di ammissibilità dell'opposizione, e l'altra rescissoria, avente ad oggetto il diritto azionato con l'originaria intimazione di licenza o di sfratto dal locatore (Cass. n. 13419/2001, in Giust. civ., 2002, I, 2539, con nota di Giorgetti). L'opposizione va proposta nel termine di dieci giorni dall'esecuzione, ossia entro dieci giorni dalla notifica del preavviso di rilascio nell'esecuzione ex artt. 605 e ss. dinanzi al Tribunale nelle forme dell'opposizione a decreto ingiuntivo. Trattandosi di una controversia rientrante nella materia locatizia, alla stessa sarà peraltro applicabile, stante l'art. 447-bis, il modello processuale del rito del c.d. locatizio, in gran parte regolato dalle previsioni sul processo del lavoro, con la conseguenza che l'opposizione va proposta con ricorso, rispetto al momento di deposito del quale deve essere quindi verificata la tempestività della stessa (Cass. n. 13419/2001). Quanto all'oggetto dell'opposizione tardiva alla convalida, operano i medesimi principi valenti per l'opposizione a decreto ingiuntivo poiché, ammissibile l'opposizione tardiva, la stessa verterà sul merito della controversia (Bucci - Crescenzi, 159). PremessaIn dottrina come in giurisprudenza è dominante l'orientamento che riconosce all'ordinanza di convalida autorità di cosa giudicata materiale poiché il controllo operato dal giudice circa la mancata comparizione ed opposizione dell'intimato costituisce un accertamento idoneo a conseguire gli effetti di cui all'art. 2909 c.c. sull'esistenza di un locatore, sulla qualifica di locatario dell'intimato e sull'esistenza di una causa di cessazione o di risoluzione del rapporto locatizio (cfr. Fazzalari, Cosa giudicata e convalida di sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, 1304, il quale, pur negando che il giudice ai fini dell'emanazione dell'ordinanza di convalida compia un accertamento, ritiene che a fronte di una ricognizione pur sommaria dei presupposti normativi cui è ancorata la pronuncia del provvedimento di convalida, viene emanato un provvedimento di merito che produce i medesimi effetti che svolgerebbe la corrispondente sentenza). L'equiparazione dell'ordinanza di convalida ad una sentenza passata in cosa giudicata rende ragione delle posizioni emerse nella prassi circa i limitati mezzi di impugnazione esperibili avverso la stessa. E' invero consolidata la tesi secondo cui l'ordinanza di convalida non è di regola impugnabile né con l'appello né con il ricorso straordinario in cassazione di cui all'art. 111 Cost., potendo essere esperito avverso la stessa, ricorrendo i presupposti enucleati dall'art. 668, esclusivamente il rimedio straordinario dell'opposizione tardiva (Cass. n. 22825/2006). La disposizione in esame prevede che, se l'intimazione di licenza o sfratto è stata convalidata in assenza dell'intimato, quest'ultimo può proporre opposizione dimostrando di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione ovvero per caso fortuito o di forza maggiore. In forza di una pronuncia additiva della Corte Costituzionale, l'opposizione tardiva alla convalida è esperibile, inoltre, dall'intimato il quale, pur avendo avuto conoscenza della citazione per la convalida, non sia potuto comparire all'udienza per caso fortuito o di forza maggiore (Corte cost. n. 89/1972). Ratio dell'istituto è consentire all'intimato di porre rimedio alla convalida nelle ipotesi in cui l'assenza dello stesso all'udienza fissata nell'atto di citazione non sia stata determinata da un comportamento volontario del conduttore dal quale poter desumere il significato di ficta confessio dei fatti dedotti dall'intimante nell'atto introduttivo (Bucci - Crescenzi, 153; Di Marzio (-Di Mauro), 911). In particolare, la possibilità di proporre opposizione tardiva alla convalida di sfratto è subordinata dall'art. 668 al concorso di un duplice ordine di circostanze, ovvero all'esistenza di una irregolarità della notificazione dell'atto di citazione, o di un caso fortuito o di una forza maggiore, e ad un nesso di causalità fra questi eventi e la mancata, tempestiva, conoscenza dell'intimazione (v., tra le altre, Trib. Salerno 3 dicembre 2007; Trib. Modena 18 gennaio 2003, in Rass. locaz. cond., 2003, 460). La S.C. ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del comma 1 della norma in esame, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non ammette una incondizionata proponibilità della opposizione tardiva alla convalida di licenza o di sfratto per finita locazione, ma la limita ai soli casi in cui l'intimato provi di non aver avuto tempestiva conoscenza dell'atto per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore, poiché esistono all'interno della disciplina del procedimento per convalida di sfratto una serie di previsioni idonee a garantire un rilevante grado di certezza della conoscenza da parte dell'intimato dell'atto notificatogli (Cass. n. 8582/2002). Natura dell'opposizione tardiva alla convalidaE' controverso, sotto un primo profilo, se l'opposizione tardiva alla convalida di sfratto costituisca un'impugnazione ordinaria o straordinaria. Secondo parte della dottrina, l'opposizione in esame deve essere annoverata tra i mezzi ordinari di impugnazione, in considerazione della preclusione temporale dell'esperibilità del rimedio decorsi dieci giorni dall'esecuzione dell'ordinanza di convalida (cfr. Cavallini, nota 11). Premessa del ragionamento è il dubbio circa la pretesa attribuzione di autorità di cosa giudicata materiale ex art. 2909 c.c. all'ordinanza di convalida ove pronunciata in assenza dell'intimato. Se, infatti, secondo tale prospettazione, non si può dubitare che consegua alla mancata opposizione dell'intimato comparso la definitiva mancata contestazione dei fatti costitutivi del diritto del locatore con conseguente possibilità di attribuire in detta situazione all'ordinanza effetto di giudicato materiale, diverse devono essere le conclusioni nell'ipotesi di mancata comparizione dell'intimato a fronte della quale è invero attribuito al giudice il potere, tuttavia, di carattere discrezionale, di disporre il rinnovo della notifica dell'atto di intimazione laddove risulti o appaia probabile che il conduttore non ne abbia avuto conoscenza, ossia nelle medesime circostanze che il conduttore potrebbe dedurre in sede di opposizione tardiva. In accordo con tale prospettazione, il provvedimento di convalida, almeno in tale ipotesi, non avrebbe effetti equiparabili all'intangibilità del giudicato ma soltanto efficacia esecutiva. Per altri, invece, diverse ragioni inducono a propendere, per converso, per la tesi che qualifica l'opposizione tardiva in termini di impugnazione straordinaria. In particolare è stato a riguardo evidenziato che può farsi riferimento, almeno per eadem ratio, al criterio discretivo posto dall'art. 324, che l'ordinanza di convalida di sfratto è provvedimento avente effetti di cosa giudicata in relazione almeno alla qualità di locatore e conduttore delle parti ed all'esistenza del contratto di locazione. Pertanto, in linea di principio, non potranno essere ammessi avverso un provvedimento siffatto gravami di carattere ordinario e, peraltro, proprio l'incerta decorrenza del dies a quo per la proposizione dell'opposizione induce in realtà ad avallare ulteriormente la tesi in ordine alla natura straordinaria dell'impugnazione (Consolo, La revocazione delle decisioni della Corte di Cassazione e la formazione del giudicato, Padova 1989, 215). Sotto un distinto profilo, è controverso l'oggetto dell'opposizione tardiva alla convalida. Secondo un primo orientamento l'opposizione sarebbe rivolta direttamente contro l'intimazione e non avverso la convalida, rimettendo in termini l'intimato per lo svolgimento dei propri poteri processuali: ciò potrebbe desumersi, invero, dalla possibilità per il giudice adito con l'opposizione di sospendere l'efficacia esecutiva dell'ordinanza di convalida per gravi motivi, potere da considerarsi parallelo e speculare rispetto a quello che consente ex art. 665 di emanare l'ordinanza provvisoria di rilascio, sicché il rigetto dell'istanza di sospensione convertirebbe comunque l'ordinanza di convalida in un provvedimento di carattere provvisorio equiparabile a quello di rilascio (Giudiceandrea, 380; Bucci - Crescenzi, 153; Lazzaro- Preden - Varrone, 293 ss.). Per altri Autori, invece, l'opposizione tardiva di cui all'art. 668 costituisce un mezzo di impugnazione rescindente, volto all'annullamento del provvedimento di convalida per la sostituzione dello stesso con una decisione favorevole all'opponente, posto che la proposizione dell'opposizione non sospende automaticamente l'efficacia dell'ordinanza di convalida (Garbagnati, 339; Proto Pisani, 1379). Questa impostazione sembra essere stata avallata anche dalla Corte Costituzionale la quale, nel ritenere manifestamente infondata, con riferimento agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 668, dedotta rilevando che al conduttore che non abbia avuto conoscenza della notifica dell'intimazione per caso fortuito o forza maggiore, è riservato un trattamento deteriore rispetto a colui che, tempestivamente presentatosi all'udienza, ha facoltà di chiedere di poter sanare la morosità, ha sottolineato che l'opposizione dopo la convalida, di cui all'art. 668, è rimedio dato a tutela di chi, per irregolarità della notifica, caso fortuito o forza maggiore non abbia avuto conoscenza dell'intimazione, ovvero di chi, per gli ultimi due motivi, non sia potuto comparire all'udienza di convalida pur avendo avuto conoscenza dell'intimazione stessa ed, una volta accertati i presupposti di ammissibilità dell'opposizione tardiva e venuta meno l'ordinanza di convalida, si dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione nel quale il conduttore ben può in limine litis avvalersi della facoltà di sanare la morosità (Corte cost. 18 dicembre 1987, n. 572, in Foro it., 1988, I, 1008). Sulla questione, accedendo alla medesima tesi, è intervenuta la S.C. la quale ha chiarito che il giudizio di opposizione tardiva alla convalida di sfratto ha natura di mezzo di impugnazione speciale, che si articola in una duplice fase, l'una rescindente, nella quale è valutata la sussistenza dei presupposti di ammissibilità dell'opposizione, e l'altra rescissoria, avente ad oggetto il diritto azionato con l'originaria intimazione di licenza o di sfratto dal locatore (Cass. n. 13419/2001, in Giust. civ., 2002, I, 2539, con nota di Giorgetti). In realtà, non può trascurarsi che, specie nell'assetto previgente, ossia quando era attribuita al Pretore la competenza relativa alla fase sommaria del procedimento di convalida spettando invece al Tribunale la competenza per la fase successiva, era dibattuta la questione concernente la spettanza della competenza per la decisione sull'ammissibilità dell'opposizione tardiva alla convalida di sfratto (tuttavia in giurisprudenza, sulla scorta delle ricostruzione dell'opposizione tardiva in termini di gravame rescindente, era già consolidato il principio per il quale era attribuita al giudice del merito la competenza a decidere sull'ammissibilità dell'opposizione tardiva: v., tra le altre, Cass. n. 4002/1992, in Rass. Equo Canone, 1992, 952; Cass. n. 2024/1984; Cass. n. 4641/1983 in Giust. civ., 1984, I, 218; conf., in sede di merito, Trib. Napoli 20 gennaio 1986, in Arch. loc., 1987, 151; Trib. Roma 23 gennaio 1984, in Temi rom., 1985, 142). Parte della dottrina, tuttavia, non condivide la ricostruzione, prevalente anche in giurisprudenza, dell'opposizione tardiva alla convalida in termini di impugnazione rescindente, che postula la distinzione tra una fase nella quale il giudice adito valuta la fondatezza di una domanda di annullamento della decisione viziata ed una fase, successiva ed eventuale, in cui lo stesso giudice decide il merito della causa originaria, facendo leva soprattutto sul disposto del quarto comma della disposizione in esame che attribuisce al giudice adito il potere di sospendere per gravi motivi l'esecutorietà dell'ordinanza di convalida, potere che, accedendo invece all'impostazione dominante, non potrebbe sussistere se non nella fase rescissoria e, quindi, dopo un sostanziale annullamento della decisione viziata. Pertanto, poiché in realtà all'accertamento dei presupposti di ammissibilità del gravame non consegue nell'opposizione tardiva alla convalida la caducazione della decisione viziata quanto soltanto la sospensione dell'esecutorietà della stessa, il gravame dovrebbe qualificarsi come impugnazione “sostitutiva” ossia funzionalmente volta a prendere il posto della sentenza impugnata per il tramite della deduzione in giudizio del rapporto dedotto con la domanda originaria del processo (Cavallini, 1121). Presupposti per la proposizione dell'opposizione tardivaL'intimato può opporsi tardivamente alla convalida facendo valere, in primo luogo, l'irregolarità della notifica della citazione per l'udienza di convalida. L'espresso riferimento normativo all'irregolarità piuttosto che alla nullità della notificazione implica che l'opposizione tardiva debba considerarsi ammissibile anche qualora il vizio della notifica non sia tale da determinare la nullità della stessa ai sensi dell'art. 160, purché il vizio della notificazione abbia dato causa alla mancata comparizione dell'intimato all'udienza (v. gli esempi di Frasca, 2001, 466 ss.; per Bucci-Crescenzi, 149, negli altri casi queste irregolarità potrebbero essere fatte valere mediante appello).Questa eccezione ai principi generali trova fondamento nelle gravi conseguenze che derivano per il conduttore dalla convalida e rientra tra gli strumenti volti a ricondurre il relativo procedimento, di carattere sommario ma a contraddittorio rafforzato, nell'alveo della costituzionalità. E' quindi consentito proporre l'opposizione tardiva alla convalida ogni qual volta sussista un dubbio circa la regolare instaurazione del contraddittorio, sebbene ciò si riconnetta ad una mera irregolarità e non ad un vizio di nullità della notifica. E' quindi consentito proporre l'opposizione tardiva alla convalida ogni qual volta sussista un dubbio circa la regolare instaurazione del contraddittorio, sebbene ciò si riconnetta ad una mera irregolarità e non ad un vizio di nullità della notifica (Pret. Udine 29 novembre 1989, in Giur. mer., 1990, 471). Tale sistema appare peraltro coerente con il potere/dovere del Giudice di disporre ai sensi dell'art. 663, comma 1, secondo periodo, in caso di mancata comparizione dell'intimato all'udienza di convalida, la rinnovazione della citazione, se risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o di forza maggiore (in sede di merito si è tuttavia osservato che con il rimedio dell'opposizione tardiva non può lamentarsi l'omessa rinnovazione della citazione ai sensi dell'art. 663 c.p.c., poiché in tal modo si deduce non un oggettivo impedimento della parte a comparire ma un errore del giudice nell'emanazione dell'ordinanza di convalida, in quanto tale da farsi valere attraverso l'appello (Pret. Torre Annunziata, 13 febbraio 1995, in Foro it., 1995, I,2313). La S.C. ha chiarito, con riguardo ai motivi integranti un'irregolarità della notificazione tale da giustificare la proposizione di un'opposizione tardiva alla convalida, che l'ammissibilità della stessa è subordinata alla prova, a carico dell'opponente, del collegamento causale tra la mancata, tempestiva conoscenza dell'intimazione ed il vizio della sua notificazione, ma solo qualora quest'ultimo concerna la persona alla quale deve essere consegnata la copia dell'atto, mentre nell'ipotesi di nullità della notificazione per inosservanza delle disposizioni sui luoghi in cui deve essere eseguita, il fatto stesso della consegna della copia in un luogo diverso da quello in cui si sa che il destinatario si trova implica, di per sé solo, la dimostrazione di detto collegamento (Cass. n. 13755/2002). Più in generale, con riguardo al vizio di “irregolarità” degli atti processuali civili, è utile ricordare che essa si colloca all'interno del sistema proprio all'estremo opposto rispetto all'inesistenza, poiché si ritiene comunemente che si sia in presenza della medesima quando la difformità dell'atto dal modello legale non è talmente grave da poter incidere sull'ulteriore corso del procedimento (v., ampiamente, Mandrioli, 509 ss.). In materia di notificazione, ad esempio, la giurisprudenza afferma che la mancanza nella copia della sentenza notificata della certificazione del cancelliere attestante la conformità di una tale copia all'originale, alla luce dell'art. 160 che individua i casi di nullità della notificazione non incide sulla validità di essa - che sarà, di conseguenza, meramente irregolare e pertanto idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione (cfr. Cass., n. 16317/2014). Inoltre, la Suprema Corte ha chiarito che l'omessa indicazione nella relata di notifica del luogo di consegna dell'atto non ne determina la nullità, qualora lo stesso sia desumibile dal contesto complessivo dell'atto da portare a conoscenza del destinatario (così, ex ceteris, Cass. n. 6923/2002, in Giur. it., 2003, 600; Cass. n. 3263/1996, in Fisco, 1996, 6332, con nota di Lambert, in Riv. giur. trib., 1996, 823, con nota di Bruzzone). In linea con queste indicazioni, si pone anche la giurisprudenza di legittimità, all'interno della quale si è affermato che l'ordinanza di convalida pronunciata nella mancata comparizione dell'intimato, in assenza di prova dell'avvenuta ricezione da parte di quest'ultimo dell' avviso di ricevimento della raccomandata ex art. 140, non costituisce di per sé ipotesi di ammissibilità dell'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 668, occorrendo, a tal fine, la prova che il procedimento notificatorio si sia svolto in modo nullo o che si sia perfezionato, con il ricevimento dell'avviso di cui all'art. 140 ovvero con il decorso dei dieci giorni dalla spedizione, in un momento tale da non consentire il rispetto del termine libero di cui al quarto comma dell'art. 668 (Cass. n. 122/2016). In secondo luogo l'intimato può proporre opposizione tardiva alla convalida laddove dimostri che per caso fortuito o forza maggiore: a ) non ha avuto notizia dell'intimazione; b ) pur avendo avuto notizia della citazione per l'udienza di convalida, per cause esterne alla propria volontà non è potuto comparire alla stessa. Il caso fortuito e la forza maggiore devono essere inquadrati tra quelle circostanze obiettive che escludono l'imputabilità all'intimato, a titolo di colpa, della mancata comparizione (Pret. Salerno 4 febbraio 1994, Arch. loc., 1994, 626). Il caso fortuito e la forza maggiore sono stati definiti in termini di eventi imprevedibili o irresistibili che impediscono la conoscenza dell'intimazione (Bucci - Crescenzi, 155). La disposizione in esame, come emendata a seguito dell'intervento additivo della Corte Costituzionale, nel senso di ammettere l'opposizione non soltanto nei casi di mancata tempestiva conoscenza dell'intimazione di sfratto (o di licenza), ma anche nell'ipotesi in cui l'intimato, benché a conoscenza della citazione, non sia potuto comparire all'udienza per caso fortuito o forza maggiore, risultando altrimenti violato il diritto di difesa del conduttore che, per cause indipendenti dalla sua volontà, si trovi impossibilitato a comparire all'udienza di convalida,comporta che il giudice adito debba compiere una valutazione che investe una condizione legittimante a carattere complesso, costituita sia dalla sussistenza di un obiettivo, imprevedibile e inevitabile evento impediente, sia dal collegamento eziologico tra questo evento e la precondizione della mancata comparizione dell'intimato all'udienza di convalida (Trib. Palermo II, 13 marzo 2013, n. 1131, Guida dir., 2013, n. 25, 57). Casistica L'intimato, come evidenziato, può opporsi tardivamente alla convalida facendo valere, in primo luogo, l'irregolarità della notifica della citazione per l'udienza di convalida. L'espresso riferimento normativo all'irregolarità piuttosto che alla nullità della notificazione implica che l'opposizione tardiva debba considerarsi ammissibile anche qualora il vizio della notifica non sia tale da determinare la nullità della stessa ai sensi dell'art. 160, purché la stessa abbia dato causa alla mancata comparizione dell'intimato all'udienza (cfr. Frasca, 466 ss.). L'ammissibilità dell'opposizione tardiva è subordinata alla prova, a carico dell'opponente, del collegamento causale tra la mancata, tempestiva conoscenza dell'intimazione ed il vizio della sua notificazione, ma solo qualora quest'ultimo concerna la persona alla quale deve essere consegnata la copia dell'atto, mentre nell'ipotesi di nullità della notificazione per inosservanza delle disposizioni sui luoghi in cui deve essere eseguita, il fatto stesso della consegna della copia in luogo diverso da quello in cui si sa che il destinatario si trova implica, di per sé solo, la dimostrazione di detto collegamento (Cass. n. 13755/2002). La S.C. ha chiarito, ad esempio che l'adempimento previsto nell'ultimo comma dell'art. 660, secondo il quale, se l'intimazione non è stata notificata a mani proprie, l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso all'intimato dell'avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata ed allegare all'originale dell'atto la ricevuta di spedizione, mira ad assicurare, nella misura maggiore possibile, che il conduttore abbia effettiva conoscenza dell'intimazione rivoltagli, in considerazione degli effetti che nel procedimento per convalida derivano dalla mancata comparizione dell'intimato e la mancanza dello stesso consente la proposizione dell'opposizione in esame (Cass. n. 11289/2004). Diversamente, non integra gli estremi di legge ai fini dell'ammissibilità dell'opposizione, l'impedimento addotto dall'intimato a ritirare il plico raccomandato giacente presso l'ufficio postale nel caso di notifica avvenuta a mezzo del servizio postale (Pret. Catania 13 aprile 1992, Arch. loc., 1992, 390). Tra le ipotesi che giustificano la proposizione dell'opposizione tardiva alla convalida rientra naturalmente anche la radicale inesistenza della notifica dell'atto di intimazione (Cass. n. 13879/2023). La disciplina speciale in materia di notifica dell'atto di citazione per convalida configura il rinnovo della notifica per ordine del giudice quando appaia probabile che l'atto non sia stato conosciuto dal destinatario, come condizione per la regolarità della stessa, sicché in mancanza si rende ammissibile l'opposizione tardiva alla convalida (Pret. Firenze 16 ottobre 1990, Arch. loc., 1990, 774; contra Pret. Torre Annunziata 13 febbraio 1995, Foro it., 1995, I, 2313, in quanto in una ipotesi siffatta l'ordinanza di convalida è stata emanata in assenza dei presupposti di legge e quindi avverso la stessa deve essere proposto appello). In secondo luogo l'intimato può proporre opposizione tardiva alla convalida laddove dimostri che per caso fortuito o forza maggiore: a ) non ha avuto notizia dell'intimazione; b ) pur avendo avuto notizia della citazione per l'udienza di convalida, per cause esterne alla propria volontà non è potuto comparire alla stessa. La S.C. ha affermato che con riguardo all'opposizione proposta dopo la convalida di licenza o di sfratto ai sensi dell'art. 668, l'impossibilità a comparire dell'intimato (o, se questo si sia costituito, del suo difensore) per forza maggiore può anche dipendere da un malore, purché il giudice di merito — mediante una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivata — accerti, anche avvalendosi delle nozioni di comune esperienza, adeguate per valutare la gravità e gli effetti delle malattie comuni, che tale malore sia stato improvviso ed imprevedibile e che sussista un effettivo nesso di causalità tra lo stato di malattia e la mancata comparizione della parte (Cass. n. 3629/2018; Cass. n. 10594/2008; Cass. n. 16252/2005). La giurisprudenza di merito ha, inoltre, ritenuto fattispecie di caso fortuito idonee a giustificare un'opposizione tardiva alla convalida: l'ipotesi in cui l'intimato rilevi dal ruolo d'udienza, redatto in modo da indurre obiettivamente in errore, che la propria causa sarà chiamata in un orario successivo a quello effettivo, e di conseguenza si allontani dal tribunale (Trib. Roma 23 agosto 2000, Giur. rom., 2000, 402); lo spostamento dell'udienza di comparizione, rispetto a quella indicata nell'intimazione, avvenuta d'ufficio, perché ciò non può non aver determinato una incertezza a carico dell'intimato, che non trova alcuna giustificazione nelle norme di rito e costituisce un pregiudizio per la difesa (Trib. Roma 22 novembre 1991, in Giur. it., 1993, I, 2, 467, con nota di Butò). La giurisprudenza ha invece escluso, ad esempio, la ricorrenza delle circostanze di caso fortuito o forza maggiore idonee a giustificare una mancata, tempestiva, opposizione alla convalida: nell'ipotesi in cui emerga un'assenza di circa un mese dalla propria residenza da parte del debitore, senza la cautela di predisporre modalità per essere informati della notificazione di atti, con presunzione legale di conoscenza degli atti stessi, tanto più che il locatore aveva già dato regolare disdetta (Trib. Salerno 3 dicembre 2007, cit.); nel caso di mancata conoscenza dell'intimazione dovuta ad assenza dell'intimato per ferie, senza la predisposizione di cautele per essere informato di eventuali notifiche che lo riguardino, non può considerarsi derivante da caso fortuito ai fini della ammissibilità della tardiva opposizione alla convalida (Cass. n. 3357/1997); qualora l'udienza sia stata rinviata a causa di uno sciopero degli avvocati e procuratori, essendo onere della parte, in caso di rinvio d'ufficio dell'udienza, individuare l'udienza immediatamente successiva in cui sarà chiamata la causa (Pret. Torre Annunziata 13 febbraio 1995, Foro it., 1995, I, 2313); laddove l'intimato, pure avendo avuto conoscenza dell'atto di intimazione, non sia comparso né alla prima né alle successive udienze del procedimento di sfratto, fidandosi delle assicurazioni ricevute circa il comportamento processuale che l'intimante avrebbe tenuto in prima udienza, giacché siffatte assicurazioni di controparte non possono esimere l'intimato dal comparire o costituirsi nel giudizio per far valere le proprie ragioni, e quindi la sua assenza deve ritenersi imputabile a negligenza e leggerezza, e non già a caso fortuito (Pret. Milano 12 febbraio 1991, Arch. loc., 1991, 820 ). La disposizione in esame, come emendata a seguito dell'intervento additivo della Corte Costituzionale, nel senso di ammettere l'opposizione non soltanto nei casi di mancata tempestiva conoscenza dell'intimazione di sfratto (o di licenza), ma anche nell'ipotesi in cui l'intimato, benché a conoscenza della citazione, non sia potuto comparire all'udienza per caso fortuito o forza maggiore, risultando altrimenti violato il diritto di difesa del conduttore che, per cause indipendenti dalla sua volontà, si trovi impossibilitato a comparire all'udienza di convalida,comporta che il giudice adito debba compiere una valutazione che investe una condizione legittimante a carattere complesso, costituita sia dalla sussistenza di un obiettivo, imprevedibile e inevitabile evento impediente, sia dal collegamento eziologico tra questo evento e la precondizione della mancata comparizione dell'intimato all'udienza di convalida (cfr.Trib. Palermo II, 13 marzo 2013, n. 1131, Guida dir., 2013, n. 25, 57, che ha individuato in tal senso un malore improvviso come uno dei casi di ricorrenza di forza maggiore o caso fortuito). Termine per la proposizioneL'opposizione tardiva alla convalida di intimazione di licenza o sfratto deve essere proposta, ai sensi dell'art. 668, comma 2, nel termine di dieci giorni dall'esecuzione, ossia entro dieci giorni dalla notifica del preavviso di rilascio nell'esecuzione ex artt. 605 e ss. (v., tuttavia, in sede applicativa, Pret. Bologna 19 gennaio 1995, in Foro it., 1995, I, 3615, per la quale ove la causa di forza maggiore che abbia impedito all'intimato la conoscenza del procedimento di sfratto si protragga oltre l'inizio dell'esecuzione dell'ordinanza di convalida, il termine utile di dieci giorni per la proposizione dell'opposizione tardiva decorre dal momento in cui l'intimato abbia acquistato piena conoscenza della procedura esecutiva in atto nei propri confronti). La ratio di tale norma è consentire alla parte esecutata di usufruire di un congruo termine per valutare se formulare tale opposizione, decorrente dal momento in cui essa viene ad effettiva conoscenza del provvedimento pregiudizievole, che va individuato in quello dell'accesso dell'ufficiale giudiziario sul luogo dell'esecuzione, munito del titolo esecutivo di rilascio (Cass. n. 12880/2009). L'individuazione del dies a quo ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell'opposizione tardiva è stata, soprattutto in passato, oggetto di dibattito sotto diversi profili. Invero alcuni Autori, facendo leva sulla lettera dell'art. 668, che fa riferimento a “dieci giorni dall'esecuzione”, diversamente dall'art. 650 che per la proponibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo richiede una decorrenza dal “primo atto dell'esecuzione”, avevano sostenuto che il termine di dieci giorni comincia a decorrere soltanto da quando l'esecuzione si è conclusa con il rilascio dell'immobile (Garbagnati, 343; Lazzaro - Preden - Varrone, 306). Questa tesi non ha ricevuto l'avallo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali hanno chiarito che il termine di dieci giorni dall'esecuzione, che l'art. 668, comma 2, fissa per l'opposizione tardiva del locatario dopo la convalida dell'intimazione di licenza o di sfratto, decorre dall'accesso dell'ufficiale giudiziario, che determina la piena conoscenza del provvedimento pregiudizievole, senza che rilevi l'eventuale differimento dell'effettiva immissione dell'esecutante nella disponibilità materiale del bene (Cass. S.U., n. 1610/1989, in Giust. civ., 1989, I, 2428, con nota di Lascaro). Ormai, tuttavia, anche la posizione di tale giurisprudenza è stata superata. Invero, nel silenzio del legislatore sul punto, era oggetto di vivace discussione il momento nel quale ha inizio l'esecuzione forzata per rilascio. In particolare, l'art. 608, così come modificato dalla l. 14 maggio 2005 n. 80, chiarisce che l'esecuzione forzata per rilascio inizia proprio con la notifica all'esecutato dell'avviso di rilascio, mentre nel pregresso silenzio normativo sul punto si erano, tuttavia, formati diversi orientamenti, in dottrina ed in giurisprudenza, circa il momento iniziale dell'esecuzione per rilascio. Difatti, secondo la dottrina dominante, la soluzione preferibile era quella di individuare nel c.d. avviso di rilascio il momento iniziale dell'esecuzione ex artt. 605 ss, anche in armonia con la successione precetto/pignoramento dell'espropriazione forzata, mentre in giurisprudenza si riteneva che l'esecuzione in esame avesse inizio soltanto con il primo accesso dell'ufficiale giudiziario, in quanto il preavviso di rilascio costituiva semplicemente un atto preliminare ed estrinseco al procedimento esecutivo, funzionale a consentire al debitore di essere presente alle operazioni effettuate dall'ufficiale giudiziario in sede esecutiva (cfr., ex plurimis, Cass., n. 15268/2006). Su un piano generale, occorre ricordare che costituisce principio incontroverso in giurisprudenza quello secondo cui l'opposizione tardiva alla convalida p, che introduce un procedimento con carattere ibrido al quale, ricorrendo i presupposti di legge, è assegnata la funzione di rimessione in termini nell'opposizione all'intimazione con l'insorgenza di una situazione processuale analoga a quella conseguente alla proposizione dell'opposizione tempestiva nel corso del procedimento per convalida, deve essere inclusa a pieno titolo nell'ambito dei "procedimenti di sfratto" di cui all'art. 92 r.d. n. 12/1941 (come richiamato dall'art. 3 l. n. 742/1969), con la conseguenza che fa eccezione, al pari dell'opposizione tempestiva, al principio generale della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, sia pure solo con riguardo alla prima fase, finalizzata alla sospensione dell'esecuzione della convalida e caratterizzata da peculiari ragioni di urgenza (Cass. n. 12880/2009). Competenza e procedimentoIl comma 3 della disposizione in esame prevede che l'opposizione si propone dinanzi al Tribunale nelle forme dell'opposizione a decreto ingiuntivo. Trattandosi di una controversia rientrante nella materia locatizia, alla stessa sarà peraltro applicabile, stante l'art. 447-bis , il modello processuale del rito del c.d. locatizio, in gran parte regolato dalle previsioni sul processo del lavoro, con la conseguenza che l'opposizione va proposta con ricorso, rispetto al momento di deposito del quale deve essere quindi verificata la tempestività della stessa (Cass. n. 13419/2001). Una parte della dottrina ritiene che il richiamo alle forme di cui agli artt. 645 ss. dovrebbe indurre a ritenere, piuttosto, che l'opposizione va proposta con atto di citazione (Bucci - Crescenzi, 157). L'opposizione tardiva è nondimeno validamente instaurata anche se proposta con atto di citazione laddove lo stesso, nel termine indicato dall'art. 668 sia stato non soltanto notificato all'altra parte, ma anche depositato in cancelleria (Di Marzio (- Di Mauro), 949). La competenza spetta inderogabilmente al tribunale che ha pronunciato l'ordinanza di convalida, a tal fine munito di competenza funzionale (Di Marzio (-Di Mauro), 943). Il giudizio si svolge in due fasi, l'una necessaria, di carattere rescindente, avente ad oggetto le condizioni di ammissibilità dell'opposizione tardiva, e l'altra, soltanto eventuale, di natura rescissoria, avente propriamente ad oggetto l'esame nel merito della domanda proposta con l'instaurazione del procedimento di convalida (Proto Pisani, 1379). Poiché il giudizio di opposizione tardiva alla convalida di sfratto, ex art. 668, ha natura di mezzo di impugnazione speciale, che si articola necessariamente in una duplice fase, rescindente e rescissoria, nella seconda delle quali oggetto del giudizio di merito è il diritto azionato con l'originaria intimazione di licenza o di sfratto dal locatore, l'atto di opposizione non può esaurirsi in una denuncia di irregolarità della notificazione della intimazione, in quanto una siffatta denuncia, se non sia accompagnata da contestazioni sulla fondatezza della domanda di risoluzione del contratto contenuta nella intimazione proposta dal locatore, non è idonea ad aprire la fase rescissoria dell'opposizione e non produce quindi alcun risultato utile per l'opponente (Trib. Salerno I, 19 marzo 2010, Foro it., 2010, n. 7-8, 2049). La decisione sull'ammissibilità del gravame è quindi pregiudiziale rispetto a quella relativa al merito della controversia (Garbagnati, 345). La S.C. ha chiarito che qualora il giudice di appello, contrariamente al giudice di primo grado, ritenga ammissibile l'opposizione tardiva ad una convalida di sfratto e la reputi fondata, dopo aver dichiarato la nullità dell'ordinanza di convalida, deve pronunciarsi nel merito e non rimettere la causa dinanzi al primo giudice, in quanto tale ipotesi non rientra tra i casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 di rimessione della causa, non ricorrendo l'esigenza di assicurare il doppio grado di giurisdizione ed atteso che la nullità rilevata dal giudice di appello, concernendo un procedimento pregresso, esterno al giudizio di opposizione, non rientra nella nullità della notifica della citazione introduttiva di cui all'art. 354, che si riferisce solo alla nullità della notificazione dell'atto introduttivo dello stesso giudizio pervenuto al grado di appello (Cass. n. 1222/2006). La proposizione dell'opposizione tardiva alla convalida non comporta un'automatica sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza: tuttavia il giudice può emanare un provvedimento di inibitoria degli stessi in presenza di gravi motivi, imponendo, se del caso, il pagamento di una cauzione per il pagamento dei canoni (Garbagnati, 339, il quale rileva, a riguardo, che il potere del giudice deve intendersi quale quello di sospendere meramente l'efficacia esecutiva del provvedimento di convalida e non già il processo esecutivo deve intendersi la pur infelice locuzione normativa del quarto comma della disposizione in esame laddove prevede che “l'opposizione non sospende il processo esecutivo, ma il giudice, con ordinanza non impugnabile, può disporne la sospensione per gravi motivi, imponendo, quando lo ritiene opportuno, una cauzione all'opponente”). Occorre ricordare, infatti, che il potere di disporre la sospensione del processo esecutivo ex art. 623 spetta esclusivamente al giudice dell'esecuzione, pur dovendo lo stesso prendere atto del provvedimento di inibitoria dell'efficacia esecutiva del titolo pronunciato dal giudice dell'impugnazione. In tal senso, l'analoga situazione della sospensione dell'esecutorietà del decreto ingiuntivo, disposta dal giudice dell'opposizione, determina la sospensione della esecuzione forzata promossa in base a quel titolo, concretando l'ipotesi di sospensione della esecuzione ordinata dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo di cui all'art. 623, ed impedisce, quindi, che atti esecutivi anteriormente compiuti, dei quali resta impregiudicata la validità ed efficacia, possano essere assunti a presupposto di altri atti, in vista della prosecuzione del processo di esecuzione. Tale effetto del provvedimento di sospensione può essere rappresentato al giudice della esecuzione nelle forme previste dall'art. 486 e senza necessità di opposizione alla esecuzione da parte del debitore, il quale ha peraltro la facoltà di contestare la validità degli atti di esecuzione compiuti dopo (e nonostante) la sospensione del processo esecutivo con il rimedio della opposizione agli atti esecutivi (art. 617), tendente ad una pronuncia che rimuova l'atto in ragione del tempo in cui è stato adottato (Cass. n. 709/2006). In giurisprudenza si è osservato che i «gravi motivi», alla cui ricorrenza il codice di procedura civile subordina la possibilità di sospendere l'efficacia esecutiva del provvedimento di convalida vanno identificati nell'esito positivo, ancorché fondato su una delibazione sommaria, di una valutazione complessiva delle ragioni addotte da entrambe le parti (Trib. Patti 22 febbraio 2007, Giust. civ., 2007, I, n. 12, 2966). Anche in dottrina si è osservato che tale valutazione deve essere intesa, prima, a verificare l'ammissibilità dell'opposizione e, poi, a verificarne la verosimile fondatezza delle doglianze di merito formulate dall'opponente in rapporto alla domanda principale insita nell'intimazione (Frasca, 498 ss.). La norma in esame definisce espressamente “non impugnabile” l'ordinanza con la quale il giudice dell'opposizione tardiva provvede sull'istanza di sospensione del provvedimento di convalida. Potrebbe peraltro predicarsi l'esperibilità del reclamo cautelare avverso lo stesso, specie laddove si attribuisse alla misura di inibitoria natura cautelare. La dottrina dominante, pur non negando la natura cautelare dei provvedimenti di inibitoria dell'efficacia di titoli esecutivi giudiziali, è incline a ritenere inammissibile la proposizione del rimedio del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. in quanto la misura di inibitoria interviene in un momento nel quale è stato già emanato un provvedimento frutto di un accertamento giurisdizionale pieno sulla pretesa sostanziale dedotta in causa (Di Marzio (-Di Mauro), 953). La stessa tesi è stata confermata da varie decisioni di merito edite (v., ad esempio, Trib. Reggio Emilia 30 giugno 2006; App. Catania 10 novembre 2003, in Giur. Merito, 2004, 213). Per altri, invece, la soluzione al problema in esame dovrebbe prendere le mosse dalla natura latamente cautelare delle misure di inibitoria dell'efficacia esecutiva delle sentenze o di altri provvedimenti giudiziali dotati di provvisoria esecutività, natura confermata anche dalla giurisprudenza di legittimità, dovendosi riconoscere, per l'effetto, la proponibilità del rimedio del reclamo cautelare avverso gli stessi. In particolare, si è osservato che, a fronte della natura cautelare dei provvedimenti di inibitoria resti soddisfatto anche il secondo presupposto enucleato dall'art. 669-quaterdecies c.p.c. ai fini dell'applicabilità del rito cautelare uniforme, cioè a dire la compatibilità tra l'istituto del reclamo cautelare e siffatti provvedimenti (Giordano). A riguardo è stato inoltre evidenziato che l'obiezione giuridicamente più significativa rispetto alla reclamabilità delle misure rese a seguito della richiesta di inibitoria si fonda sulla considerazione che sebbene la valutazione demandata al giudice dell'inibitoria si avvicini non poco a quelle proprie del giudizio cautelare, i relativi provvedimenti sono comunque pronunciati in una fase nella quale il giudizio di merito si è già svolto ed il provvedimento da assumere mira a sollevare chi è già apparso debitore dal peso dell'immediata efficacia del suo esito decisorio, talché il provvedimento appare strumentale rispetto al grado di riesame della decisione: in altri termini, alla funzione cautelare di tali misure si accompagna una struttura del nesso di strumentalità molto diversa rispetto a quella dei provvedimenti cautelari (Consolo (-Luiso–Sassani), 737). Tuttavia, la non totale assimilabilità, anche sotto il profilo strutturale, delle misure in esame ai provvedimenti cautelari non esclude de plano la proponibilità del reclamo cautelare avverso le stesse, perché non avendo il legislatore previsto nessun altro strumento di riesame avverso tali misure, non trascurabili ragioni di opportunità e garantismo inducono a ritenere che il reclamo possa essere uno strumento a tal fine particolarmente adatto (Giordano). Quanto all'oggetto dell'opposizione tardiva alla convalida, operano i medesimi principi valenti per l'opposizione a decreto ingiuntivo poiché, ammissibile l'opposizione tardiva, la stessa verterà sul merito della controversia (Bucci - Crescenzi, 159). La S.C. ha confermato, in particolare, che nel giudizio di opposizione tardiva del procedimento di convalida di sfratto vi è un'inversione formale delle posizioni delle parti, talché l'opposto è attore in senso sostanziale e le sue deduzioni non hanno natura di domanda riconvenzionale, ma costituiscono reiterazione o, eventualmente, modifica — ai sensi e nei limiti dell'art. 420 — della domanda originariamente proposta con l'atto di intimazione, mentre va esclusa l'ammissibilità di una domanda nuova rispetto a quella enunciata nell'atto di intimazione (Cass. n. 13419/2001). Il giudizio si conclude con una sentenza impugnabile nei modi ordinari, anche nell'ipotesi in cui la decisione riguardi esclusivamente il profilo dell'ammissibilità dell'opposizione (Di Marzio (-Di Mauro) 958). Altri strumenti impugnatori esperibili avverso l’ordinanza di convalidaL'ordinanza di convalida di licenza o sfratto è un provvedimento idoneo a costituire giudicato sostanziale tra le parti in ordine alla qualità delle stesse nel rapporto locatizio ed all'esistenza del contratto, con la conseguenza che, in linea di principio, la stessa può essere impugnata soltanto con il rimedio straordinario dell'opposizione tardiva disciplinato dalla norma in commento. Peraltro, costituisce jus receptum in giurisprudenza l'orientamento per il quale l'ordinanza di convalida, laddove sia stata emanata in difetto dei presupposti di legge, ha valore sostanziale di sentenza, suscettibile di impugnazione attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione e, quindi, con appello, trattandosi di provvedimento pronunciato in primo grado (così, tra le molte, Cass. n. 10146/2001; Cass. n. 3889/2000; Cass. n. 9465/1997; conf., ex ceteris, in sede di merito, App. Reggio Calabria 4 marzo 2004, in In iure praesentiae, 2004, n. 2, 14; Trib. Grosseto 15 marzo 1995, in Arch. loc., 1995, 664). In particolare, l'ordinanza di convalida della licenza o dello sfratto è soggetta al rimedio dell'appello: a) se emanata nel difetto dei presupposti prescritti dalla legge, costituiti dalla presenza del locatore all'udienza fissata in citazione e dalla mancanza di eccezioni o difese del conduttore ovvero dalla sua assenza; b) se emessa in violazione del principio del contraddittorio o mediante erronea attestazione circa la persistenza della morosità e, quindi, al di fuori dello schema processuale ad essa relativo; c) se pronunciata in carenza di un presupposto processuale generale ovvero al di fuori dei limiti oggettivi del procedimento speciale di cui agli artt. 657 e 658. Si è quindi ritenuta appellabile l'ordinanza di convalida qualora il convenuto tempestivamente costituitosi non abbia contestato la sola morosità nel pagamento dei canoni ma la stessa esistenza di un rapporto locativo (Cass. n. 560/2000): in tale ipotesi il provvedimento illegittimamente emesso assume, invero, la natura di una sentenza di rigetto delle eccezioni del convenuto, e come tale, logicamente soggetta ai normali mezzi di impugnazione (Trib. Verona, ord. 18 novembre 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 328). E' poi appellabile l'ordinanza di convalida emanata nonostante l'opposizione dell'intimato (Cass. n. 15353/2006; Cass. n. 11494/2000) ovvero del terzo intervenuto (Cass. n. 538/1996). L'ordinanza di convalida è, poi, emanata in difetto del contraddittorio nei confronti dell'intimato anche qualora all'udienza di comparizione sia presente per l'intimato un suo incaricato che offra di sanare la morosità ed il pretore - al fine di tentare una conciliazione delle parti - rinvii la causa ad una successiva udienza senza che ne sia dato rituale avviso all'intimato: pertanto l'ordinanza di convalida, che vi sia pronunciata ex art. 663, nell'assenza dell'intimato, si pone al di fuori dello schema procedimentale previsto dalla richiamata norma configurandosi un vizio incidente sulla regolarità del contradditorio, e va considerata come sentenza, conseguentemente soggetta ad appello (Cass. n. 5634/1986). Inoltre, si è affermato in sede applicativa che è impugnabile non con l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 ma solo con l'appello, l'ordinanza di convalida di sfratto pronunziata, in assenza dell'intimato, all'udienza tenuta dal magistrato designato in giorno successivo a quello fissato per la comparizione, nel quale l'udienza era tenuta da un magistrato diverso e dinanzi al quale non ha avuto luogo la costituzione delle parti ed il rinvio di ufficio alla prima udienza del magistrato designato (Pret. Aversa, 26 maggio 1984, in Foro it., 1985, I, 1248). Nella prassi, l'appello proposto avverso l'ordinanza di convalida è stato ritenuto ammissibile nell'ipotesi di emanazione del provvedimento di convalida di sfratto per morosità nonostante il conduttore si fosse costituito in giudizio contestando la morosità ed offrendo il pagamento dei canoni richiesti (Trib. Verona 18 novembre 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 328; Trib. Pisa 25 novembre 1989, in Foro it., 1990, I, 3279). L'appello è stato inoltre ritenuto ammissibile dalla S.C. in alcune ipotesi nelle quali risultavano violate norme sostanziali, come in quella di erronea indicazione dell'immobile oggetto della domanda che costituisce presupposto dell'azione e non semplice particolare precisabile in sede di esecuzione (Cass. n. 33/1991), nonché laddove l'ordinanza sia stata pronunciata in violazione delle norme poste in tema di astensione e ricusazione del giudice (Cass. n. 11565/1993). Tutti gli altri vizi potranno, invece, essere eventualmente dedotti nel corso dell'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 668 (Cass. n. 11380/2006). A questo riguardo si è affermato - premesso che l'ordinanza di convalida della licenza o dello sfratto ex art. 663, pur impugnabile, in linea di principio, soltanto con l'opposizione tardiva ex art. 668, è soggetta al normale rimedio dell'appello solo se emanata nel difetto dei presupposti prescritti dalla legge, costituiti dalla presenza del locatore all'udienza fissata in citazione e dalla mancanza di eccezioni o difese del conduttore ovvero dalla sua assenza, e, quindi, al di fuori dello schema processuale ad essa relativo, essendo, in tal caso, equiparabile, nella sostanza, ad una sentenza anche ai fini dell'impugnazione - che la circostanza che il giudice non abbia esaminato questioni di merito rilevabili d'ufficio (quale quella relativa all'eventuale nullità del contratto) non ne comporta l'appellabilità (Cass. n. 15230/2014). In dottrina il sistema così delineato da una giurisprudenza consolidata quanto ai limiti entro i quali è consentito proporre appello avverso un'ordinanza di convalida ex art. 663 è stato criticato poiché l'appello ivi ammesso non potrebbe essere assimilato al mezzo di impugnazione disciplinato dagli artt. 339 ss. esperibile per motivi illimitati, ovvero ad uno strumento di gravame di natura integralmente devolutiva e sostitutiva, di talché sussisterebbe un'ulteriore situazione di privilegio normativo per l'intimante/proprietario (Proto Pisani, 1988, 1375). Il giudizio di appello avverso l'ordinanza di convalida non ha ad oggetto esclusivamente le irregolarità formali della fase sommaria ma il rapporto sostanziale dedotto in causa, con la conseguenza che, verificata l'emissione del provvedimento in difetto dei presupposti previsti, il giudice sarà tenuto ad esaminare compiutamente la fattispecie concreta pronunciando anche nel merito della stessa (Bucci–Crescenzi 1990, 151). Quanto alle forme processuali dell'appello proposto avverso l'ordinanza di convalida, ove venga dedotta la ricorrenza dei relativi presupposti, le stesse seguono l'operatività del rito c.d. locatizio ex art. 447-bis, venendo in rilievo una controversia in materia di locazione. L'appello deve quindi essere introdotto con ricorso, dovendo essere verificato dal momento del deposito dello stesso il rispetto del termine per impugnare, sicché, ove il gravame sia erroneamente proposto mediante atto di citazione occorrerà avere a tal fine riguardo al momento dell'iscrizione a ruolo dello stesso. Sul punto in sede applicativa si è evidenziato, invero, che qualora l'appello sia stato proposto con atto di citazione ai fini della prosecuzione del processo, il collegio, nel caso in cui non abbia provveduto direttamente il presidente del tribunale, deve provvedere non al cambiamento del rito ai sensi dell'art. 439, ma alla fissazione di udienza ex art. 437, ai sensi dell'art. 435, comma 1 (Trib. Milano 19 marzo 1996, in Foro it., 1997, I, 613). Depositato il ricorso presso la cancelleria della Corte di Appello competente ai sensi dell'art. 341, a seguito dell'emanazione del decreto di fissazione dell'udienza, quest'ultimo dovrà essere notificato, nel rispetto del termine previsto dal comma 2 dell'art. 435, alla parte resistente almeno venticinque giorni prima della data della fissata udienza di discussione (cfr., in sede pretoria, App. Roma III, 8 marzo 2011, n. 781). In accordo con l'impostazione tradizionale, nelle controversie soggette al rito del lavoro la proposizione dell'appello si perfeziona, ai sensi dell'art. 435, con il deposito, nei termini previsti dalla legge, del ricorso nella cancelleria del giudice ad quem, atteso che tale deposito impedisce ogni decadenza dall'impugnazione, con la conseguenza che qualsivoglia eventuale vizio o inesistenza - giuridica o di fatto - della notificazione del ricorso o del decreto di fissazione dell'udienza di discussione non si comunica all'impugnazione ormai perfezionatasi, ma impone al giudice che rilevi il vizio di indicarlo all'appellante ex art. 421 e di assegnare allo stesso, previa fissazione di un'altra udienza di discussione, un termine - necessariamente perentorio - per provvedere a notificare il ricorso ed il decreto (Cass. S.U., n. 9331/1996, in Mass. giur. lav., 1997, 116, con nota di Centofanti, in Lav. giur., 1997, 123, nt. Guarneri; cfr., nella giurisprudenza successiva, tra le altre, Cass. n. 7032/2003; Cass. n. 12388/1999, in Foro it., 2000, I, 798; Cass. n. 10295/1998. Secondo Cass. n. 13105/2003, nel rito del lavoro, qualora il giudice d'appello rilevi un vizio della notificazione del ricorso e lo indichi all'appellante, ex art. 421, fissando una nuova udienza di discussione, ma omettendo di indicare il termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, il termine per la rinnovazione della notificazione è implicitamente stabilito in misura tale da garantire, con riguardo all'udienza fissata, il rispetto del termine di comparizione, talché deve ritenersi tempestiva la rinnovazione della notificazione effettuata, pur in mancanza di un termine perentorio, con anticipo superiore al termine a comparire). Tale assetto, peraltro, è stato posto in discussione negli anni più recenti, in considerazione dei canoni generali del giusto processo civile e, tra essi, soprattutto dei principi della ragionevole durata del processo e della parità delle armi tra le parti in causa, a partire da un'ordinanza interlocutoria della sezione lavoro della Corte di Cassazione la quale aveva invero evidenziato l'opportunità di una rimeditazione, alla luce della rilevanza costituzionale del principio della ragionevole durata del processo, dell'assunto in base al quale, nei processi assoggettati al rito speciale del lavoro, la proposizione dell'appello si perfeziona con il deposito del ricorso, talché i vizi della notificazione dello stesso al resistente non si comunicano all'atto di impugnazione, dovendo il giudice assegnare al ricorrente un nuovo termine, necessariamente perentorio, entro il quale rinnovare la notifica ai sensi dell'art. 291 (Cass. n. 20721/2007, in Giust. Civ., 2007, I, 2397). Accogliendo tale rinnovata prospettazione interpretativa, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che nel rito del lavoro il principio secondo il quale l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine, è improcedibile qualora la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, è applicabile al procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro - per identità di ratio di regolamentazione ed ancorché detto procedimento debba considerarsi un ordinario processo di cognizione anziché un mezzo di impugnazione - sicché, anche in tale procedimento, la mancata notifica del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione dell'udienza determina l'improcedibilità dell'opposizione e con essa l'esecutività del decreto ingiuntivo opposto (Cass. S.U., n. 20604/2008). Sul punto è stato affermato, inoltre, che nel rito del lavoro, l'improcedibilità dell'appello per la mancata notifica del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza è rilevabile dal giudice d'ufficio, non essendo la procedibilità del ricorso disponibile dalle parti, di talché, qualora il giudice di appello non vi abbia provveduto, essa può essere dichiarata in sede di legittimità, a prescindere dalla deduzione del vizio nel giudizio di appello da parte dell'appellato rimasto contumace in tale sede (Cass. n. 8752/2010). Sotto un distinto profilo, è stato precisato che nelle controversie soggette al rito del lavoro il giudice di appello che rilevi la nullità dell'introduzione del giudizio, determinata dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione stabilito dall'art. 415, comma 5, non può limitarsi a dichiarare la nullità e a rimettere la causa al giudice di primo grado (non ricorrendo in detta ipotesi né la nullità della notificazione dell'atto introduttivo, né alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354, comma 1), ma deve trattenere la causa e, previa ammissione dell'appellante ad esercitare in appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere se il processo si fosse ritualmente instaurato, decidere nel merito. La predetta decisione, criticata dalla dottrina prevalente, era stata invece avallata da larga parte della giurisprudenza di merito, all'interno della quale è stato infatti osservato che nel giudizio di appello, che si svolge secondo le forme del rito del lavoro, la notifica del ricorso tempestivamente depositato e del decreto di fissazione d'udienza, allorché sia già decorso il termine di dieci giorni dalla sua emissione, determina l'improcedibilità dell'impugnazione (v., tra le altre, App. Roma IV, 16 giugno 2010, n. 1867, in Giur. mer. 2010, 2413; App. Genova 13 novembre 2008, in Foro it., 2009, n. 4, 1131, con nota di De Santis, Opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro e conseguenze della violazione del termine per la notifica del ricorso e del decreto e anche del ricorso in appello). Peraltro, la Corte Costituzionale, investita della problematica, ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento agli art. 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 435, comma 2, nella parte in cui impone all'appellante il termine di dieci giorni per provvedere alla notifica all'appellato del ricorso e del decreto di nomina del relatore e di fissazione dell'udienza di discussione, sottolineando che la stessa era stata sollevata sulla base di un presupposto interpretativo - quello secondo cui l'inosservanza del termine di cui all'art. 435, comma 2, determinerebbe l'improcedibilità dell'appello - erroneo, in quanto una simile conseguenza deriva dalla inosservanza del comma terzo del medesimo art. 435, il quale stabilisce che tra la data di notificazione all'appellato e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni, che nella specie risulta essere stato osservato (Corte cost. n. 60/2010, in Riv. crit. dir. lav., 2010, n. 1, 87, con nota di Maffuccini). A fronte dell'interpretazione resa dalla Corte Costituzionale, la stessa Corte di Cassazione nelle decisioni più recenti, cercando di comporre il contrasto almeno apparente con i principi espressi dalle Sezioni Unite nel 2008, hanno evidenziato che tale orientamento può operare soltanto rispetto alla fattispecie-limite dell'inesistenza della notificazione e che, per converso, di regola nei processi regolati secondo le forme del rito del lavoro, il termine di dieci giorni assegnato all'appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, purché resti garantito all'appellato uno spatium deliberandi non inferiore a venticinque giorni prima dell'udienza di discussione, affinché egli possa apprestare le proprie difese (v., tra le altre, Cass. n. 23424/2013; Cass. n. 21358/2010; Cass. n. 15419/2011). La proposizione dell'appello non fa venir meno l'esecutività del provvedimento di convalida di licenza o sfratto che, peraltro, è suscettibile di inibitoria, in accordo con le regole generali (cfr., tra le altre,Trib. Verona 18 novembre 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 328; Trib. Pisa 25 novembre 1989, in Foro it., 1990, I, 3279). In parte distinto da quello proprio del processo ordinario di cognizione è, poi, il regime stabilito dall'ultimo periodo dell'art. 447-bis in tema di inibitoria dell'efficacia esecutiva della decisione ovvero di sospensione dell'esecuzione: è in particolare previsto, mediante una disposizione assolutamente analoga a quella dettata per il processo del lavoro rispetto alle decisioni di condanna favorevoli al lavoratore dal terzo comma dell'art. 431, che il Giudice d'appello può pronunciare siffatti provvedimenti qualora possa derivare da tale efficacia esecutiva del titolo o dall'esecuzione dello stesso un gravissimo danno all'altra parte. In sostanza, nel processo locatizio il regime di esecutività della decisione correlato anche alla mera lettura del dispositivo in udienza e quello dell'inibitoria della pronuncia stessa sono disciplinati alla medesima stregua di quanto previsto nel rito del lavoro per le sentenze in favore del lavoratore. La ratio di tale regolamentazione deve essere individuata nella volontà normativa di assicurare una maggiore celerità processuale per tali controversie senza che sia necessaria, come nel processo del lavoro, una differenziazione della tutela in favore di una parte ritenuta strutturalmente debole rispetto all'altra. Nel processo ordinario di cognizione è invece stabilito dall'art. 283 che il Giudice dell'appello, su istanza di parte, proposta con l'impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione. La differenza di maggiore rilevanza è quindi costituita dai presupposti per l'accoglimento dell'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della decisione o dell'esecuzione stessa. Nell'ambito dell'art. 283, come modificato dalla l. n. 263/2005, l'espresso riferimento ai fondati motivi dell'impugnazione consente quindi, rispetto al fumus boni juris, di attribuire sicura rilevanza, ai fini della decisione positiva sull'istanza, alla plausibile fondatezza dell'impugnazione (circa la necessità di valutare, all'interno della formula “gravi motivi” contenuta nel testo previgente dell'art. 283, anche la plausibile fondatezza dell'impugnazione v., in sede di merito, Trib. Roma, 31 ottobre 2000, in Riv. giur. lav., 2001, II, 670; App. Venezia, 26 aprile 1996, in Arch. circ. 1998, 461, nt. Agrizzi. Nel senso, invece, che i "gravi motivi", per sospendere la provvisoria esecutorietà della sentenza appellata, di cui all'art. 283 c.p.c., non attengono al probabile esito positivo dell'appello, né attengono all'effetto conseguente ex lege alla provvisoria esecuzione della sentenza, ma devono consistere in un ulteriore effetto pregiudizievole che derivi dall'attesa della pronuncia sull'appello cfr. la singolare posizione suffragata da App. Firenze, 23 aprile 1997, in Giur. it., 1998, 1408. Con riferimento ai gravi motivi richiesti anche dall'art. 830 c.p.c. per la sospensione dell'esecutorietà del lodo arbitrale v., invece, Trib. Roma, 4 febbraio 2000, in Nuova giur. civ. comm. 2001, I, 53, con nota di Negrini), mentre i gravi motivi che devono sussistere per l'accoglimento della stessa richiesta attengono al periculum in mora, con specifico riguardo ai pregiudizi patrimonialmente irreparabili, sino all'ipotesi-limite dell'insolvenza, che potrebbe subire ciascuna delle parti a seconda della decisione in un senso o nell'altro (nel senso che, ai fini della ricorrenza dei presupposti per la concessione dell'inibitoria ex art. 351 c.p.c., è legittimo precedere, quanto alla valutazione del periculum, alla comparazione dei contrapposti interessi delle parti, sicché integra il presupposto del periculum la circostanza di essere la parte istante esposta al pagamento di una somma rilevantissima, di difficile recupero in caso di esito vittorioso dell'impugnazione, a fronte del diritto della parte inibita di poter comunque perseguire il pagamento di quanto sarà riconosciuto, maggiorato di interessi e rivalutazione: App. Salerno, 18 febbraio 2003, in Corti Salernitane, 2004, 207, con nota di De Santis). Sempre in sede di merito è stato affermato che integra i giusti motivi che consentono di sospendere la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado in procedimento per la convalida di un sfratto, l'estrema difficoltà del conduttore di reperire altro alloggio, dato l'alto costo di un appartamento e la penuria degli alloggi offerti in locazione: App. Bari, 31 gennaio 2003, in Giur. mer. 2003, 2441). Peraltro, anche prima della modificazione del testo dell'art. 283 nel senso dell'espresso riferimento alla fondatezza dei motivi alla base della richiesta di inibitoria, la S.C. aveva chiarito, in una prospettiva del tutto analoga, che la sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado che il giudice d'appello, ai sensi dell'art. 283, può disporre in presenza di "gravi motivi" è rimessa ad una valutazione globale d'opportunità, poiché tali motivi consistono, per un verso, nella delibazione sommaria della fondatezza dell'impugnazione e, per un altro, nella valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire, anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato, dall'esecuzione della sentenza, che può essere inibita anche parzialmente se i capi della sentenza sono separati (Cass.n. 4060/2005). L'art. 447-bis richiede, invece, come rilevato, qualcosa di più per la concessione da parte del Giudice d'appello del provvedimento di inibitoria dell'efficacia esecutiva della decisione ovvero di sospensione dell'esecuzione, essendo a tal fine necessario il ricorrere di un “gravissimo danno”. Quanto alla ricostruzione di tale nozione, in sede applicativa si è evidenziato che il gravissimo danno richiesto dall'art. 431 per la sospensione da parte del giudice di appello della esecutività della sentenza di primo grado deve rilevare sia sotto il profilo oggettivo, nel senso di pregiudizio economico che esponga l'appellante al rischio grave di veder seriamente compromesso lo svolgimento della sua attività economica, sia sotto il profilo soggettivo, nel senso di gravissima difficoltà di recuperare le somme medio tempore versate in caso di accoglimento dell'appello (Trib. Palmi 29 gennaio 1991, in Dir. lav., 1993, II, 485, con nota di Ioele. Peraltro, è stato anche precisato che un danno di media entità può diventare anch'esso gravissimo qualora sussistano seri indizi tali da far ritenere sussistente un pericolo di pregiudizio irreparabile : cf. Trib. Chieti 6 luglio 1978, in Orient. giur. lav., 1981, 220). Sotto il profilo più squisitamente processuale, come già per il processo del lavoro, in mancanza di una specifica disciplina troveranno applicazione analogica gli artt. 351 e art 373, comma 2 c.p.c., dettati per il processo ordinario di cognizione. Il giudice investito dell'appello avverso l'ordinanza di convalida è tenuto a decidere la controversia nel merito, poiché l'omissione del mutamento di rito, di cui all'art. 667 c.p.c., non integra alcuna delle ipotesi tassativamente previste dagli artt. 343 e 354 per la rimessione della causa al primo giudice (Cass., n. 14625/2017). La giurisprudenza di legittimità, nel ritenere ammissibile il rimedio dell'appello avverso l'ordinanza di convalida emessa in difetto dei presupposti prescritti per l'emanazione della stessa, ha costantemente ribadito, al contempo, che è invece sempre inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. proposto avverso l'ordinanza di convalida resa ai sensi dell'art. 663, ponendo in evidenza che qualora la stessa sia stata emanata in presenza dei relativi presupposti normativi potrà essere impugnata esclusivamente con il rimedio straordinario dell'opposizione tardiva mentre, laddove sia stata resa in difetto di tali presupposti, avrà valore sostanziale di sentenza impugnabile in appello (v., tra le molte, Cass. n. 12979/2010; Cass. n. 560/2000; Cass. n. 9375/1995). Parte della dottrina ha espresso riserve circa tale orientamento della Corte di Cassazione, ponendo in evidenza, in particolare, che l'ammissibilità dell'appello avverso l'ordinanza di convalida esclusivamente nelle ipotesi in cui la stessa sia viziata per errores in procedendo comporta che non sussista nessun rimedio ordinario esperibile laddove l'ordinanza sia frutto di una violazione e/o falsa applicazione di una norma di diritto sostanziale, con la conseguenza che almeno in tale situazione dovrebbe riconoscersi all'intimato la facoltà di proporre ricorso straordinario per cassazione (Garbagnati 331; Bucci – Crescenzi, 145). Inoltre, secondo autorevole dottrina, la questione dovrebbe essere esaminata in una differente prospettiva, ossia non facendo leva sul principio di prevalenza della sostanza sulla forma per predicare, di conseguenza, l'appellabilità dell'ordinanza di convalida quanto, piuttosto, assimilando la stessa ad una c.d. sentenza in senso sostanziale ai fini della ricorribilità, anche per la violazione di disposizioni processuali, per Cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (Mandrioli, 1977, 1354 ss.). Tuttavia, l'adesione a tale ricostruzione finirebbe con l'attribuire all'intimato una tutela limitata rispetto a quella derivante dalla predicata appellabilità dell'ordinanza di convalida emessa in difetto dei presupposti a tal fine necessari, atteso che soltanto nell'ambito del giudizio di gravame potrà aversi un esame nel merito e relativo ai “fatti” controversi necessario per la decisione sulla risoluzione contrattuale (e pure perdendosi comunque, anche avallando detta tesi, un grado di giudizio: Giordano, 314 ss.). La stessa Corte Costituzionale, più volte investita di questioni di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., relative all'ordinanza di convalida ha osservato che l'infondatezza delle stesse si correla proprio all'impugnabilità con l'appello derivante dalla natura di sentenza acquisita dal provvedimento (Corte cost. n. 94/1979). Distinta questione rispetto a quelle sinora esaminate è quella che attiene all'ammissibilità del regolamento di competenza avverso l'ordinanza di convalida. Sul punto si registra una difformità di opinioni tra la dottrina e la giurisprudenza. Secondo la maggior parte degli Autori, infatti, la competenza del giudice della convalida, individuata dall'art. 661 c.p.c. nel tribunale del luogo nel quale si trova la cosa locata, costituisce uno dei presupposti per il corretto svolgimento del procedimento, con la conseguente possibilità di impugnare con regolamento di competenza l'ordinanza di convalida emanata in difetto di tale presupposto processuale (Frasca, 551; Preden, 450). La giurisprudenza di legittimità ha invece sempre affermato il diverso orientamento per il quale non è ammissibile l'istanza di regolamento di competenza proposta avverso un'ordinanza di convalida di sfratto emessa a seguito della mancata comparizione dell'intimato, in quanto l'assenza di quest'ultimo riduce l'attività funzionale del giudice adito all'accertamento delle condizioni cui è subordinata l'emanazione del provvedimento ex art. 663, e, pertanto, non può ritenersi implicita, in tale provvedimento, una pronuncia positiva di competenza da parte del giudice adito per la detta convalida (Cass. n. 9276/2002). Nell'assetto originariamente delineato dal codice di procedura civile del 1942, avverso l'ordinanza di convalida non si riteneva esperibile il rimedio della revocazione di cui all'art. 395 sull'assunto per il quale lo stesso è previsto soltanto per le sentenze nei casi ed alle condizioni previste dalla predetta disposizione normative e non anche avverso un provvedimento come quello di convalida di licenza o di sfratto che, ove ritualmente emesso, ha le caratteristiche estrinseche ed intrinseche dell'ordinanza (Cass. n. 4617/1987; Cass. n. 525/1987, in Foro it., 1987, I, 2168). In dottrina era stato evidenziato che tale sistema risultava peraltro del tutto irragionevole poiché, nonostante l'affermata natura decisoria dell'ordinanza di convalida, la stessa era sottratta, a differenza degli altri provvedimenti partecipi della medesima natura, al rimedio della revocazione (Proto Pisani 1988, 1376). La questione è stata successivamente almeno in parte risolta da alcuni interventi additivi della Corte Costituzionale a seguito dei quali è stato progressivamente esteso il novero dei motivi di revocazione deducibili avverso il provvedimento di convalida. In particolare, una prima pronuncia ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 395, prima parte, n. 4, nella parte in cui non prevede la revocazione per errore di fatto avverso i provvedimenti di convalida di sfratto e di licenza per finita locazione nonché di convalida di sfratto per morosità emessi in assenza o per mancata opposizione dell'intimato (Corte cost. n. 558/1989, in Giur. it., 1991, I, 1, 268, con nota di D'Ascola). In seguito, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo lo stesso art. 395, parte prima, n. 1, per violazione dell'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevede la revocazione dell'ordinanza di convalida di sfratto per morosità che sia stato l'effetto del dolo dell'intimante, il quale abbia falsamente attestato la persistenza dello stato di morosità del conduttore (Corte cost. n. 51/1995, in Foro it., 1995, I, 2414, con nota di Monnini). Tale pronuncia additiva della Corte Costituzionale è venuta incontro agli auspici già espressi dalla dottrina più autorevole, la quale non aveva mancato di osservare le gravi conseguenze che potevano ricollegarsi, nell'assetto previgente, alla pronuncia di un'ordinanza di convalida di sfratto sulla base di una falsa dichiarazione di persistenza della morosità, anche alla luce della giurisprudenza che non ritiene esperibile in questo caso l'appello avverso il provvedimento di convalida in quanto la falsità della documentazione non rientrerebbe tra le condizioni per l'emanazione del provvedimento (Proto Pisani, 1376). La Corte Costituzionale ha motivato l'accoglimento delle richiamate pronunce di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 395 sulla scorta della natura decisoria, con attitudine al giudicato materiale, dell'ordinanza di convalida, la quale, avendo anche valenza esecutiva, comporta il rischio che “la sostanziale ingiustizia del provvedimento decisorio è da temere nell'ordinanza di convalida di sfratto in assai maggiore misura di quel che possa lamentarsi in sentenza passata in giudicato”, con la conseguenza che finisce con il porsi in contrasto anche con l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'ineguale trattamento rimediale di provvedimenti decisori dal contenuto equivalente, un sistema nel quale non è possibile far valere in sede di revocazione la circostanza che l'ordinanza è stata emanata per effetto del dolo di una parte nei confronti dell'altra (Consolo, in nota a Corte cost. n. 51/1995, cit., 459). In particolare, è costante nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione del principio per il quale l 'errore di fatto che può dare luogo a revocazione di una sentenza consiste nell'erronea percezione dei fatti di causa sostanziantesi nell'affermazione o supposizione dell'esistenza di un fatto la cui verità risulta incontestabilmente esclusa dagli atti, o nell'esistenza di un fatto la cui verità è inconfutabilmente accertata, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito e purché l'errore abbia i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche e sia, altresì, essere essenziale e decisivo (Cass. n. 20917/2007; Cass. n. 14267/2007; Cass. n. 10637/2007). Con peculiare all'errore di fatto dei provvedimenti di convalida di licenza e sfratto, la S.C. ha osservato che la mancata valutazione, per falsa percezione della realtà, dell'offerta reale notificata, peraltro, in data successiva alla notifica dell'intimazione di sfratto per morosità e per canoni in misura comunque inferiore a quelli pretesi dall'intimante, configura un errore di fatto deducibile con l'impugnazione per revocazione ex art. 395 (Cass. n. 21242/2006). In dottrina si è osservato, che tra le ipotetiche fattispecie di dolo revocatorio nella convalida di sfratto, oltre alla situazione tipica di falsa attestazione di persistenza della morosità, rientra la menzognera rassicurazione del conduttore circa l'intenzione di far cessare gli effetti dell'intimazione per intervenuta sanatoria della morosità o ricognizione sulla diversa e successiva scadenza della locazione (D'Ascola, 270). Sotto un profilo più generale, la S.C. ha chiarito che, per integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ai sensi dell'art. 395 n. 1, non è sufficiente la sola violazione dell'obbligo di lealtà e probità previsto dall'art. 88, né, in linea di massima, sono di per sé sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma si richiede un'attività - c.d. "macchinazione" - intenzionalmente fraudolenta che si concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l'accertamento della verità, pregiudicando l'esito del procedimento (Cass. n. 5329/2005; conf., in sede applicativa, Trib. Salerno, I, 7 gennaio 2011,che in una fattispecie relativa a convalida di sfratto per morosità, si è escluso che integrasse dolo revocatorio la condotta del difensore della locatrice, il quale aveva correttamente attestato la persistenza della morosità del conduttore, sussistendo, al momento della udienza fissata per la convalida, il presupposto del mancato pagamento dei canoni scaduti specificatamente indicati nell'atto di intimazione, e piuttosto lamentando il conduttore l'esistenza di un pactum de non petendo, ovvero di un fatto impeditivo o modificativo dell'obbligo di pagamento non utilmente però dedotto nel procedimento di convalida). Secondo una parte della dottrina, tuttavia, la revocazione straordinaria ex art. 395 n. 1, dovrebbe ammettersi anche laddove non sia integrato il c.d. dolo revocatorio qualora le false allegazioni o reticenze dell'altra parte abbiano costituito elementi essenziali di un'attività volta a trarre in inganno la controparte su fatti decisivi della causa sviandone o pregiudicandone la difesa (cfr. Monnini, 2417; Tombari Fabbrini, 484). La Corte Costituzionale ha invece dichiarato manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 395, prima parte, n. 5, c.p.c., nella parte in cui non prevede la revocazione avverso l'ordinanza di convalida di sfratto per morosità, qualora da altra ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione sia stata già sancita la cessazione del contratto, peraltro non entrando nel merito della stessa ma in quanto nella fattispecie concreta doveva escludersi la rilevanza di una questione siffatta nel giudizio in corso (Corte cost. n. 96/1990, in Foro it., 1990, I, 1801, con nota di Piombo, in Giur. it., 1991, I, 269, con nota critica di D'Ascola ed in Giust. Civ., 1990, I, 1163, con nota di Izzo). La revocazione dell'ordinanza di convalida di sfratto non è condizionata nella sua ammissibilità al decorso del termine per la proposizione dell'opposizione tardiva, poiché tale opposizione e la revocazione ex art. 395 n. 1 sono istituti distinti e autonomi basati su presupposti diversi, la mancanza di tempestiva conoscenza (per irregolarità della notifica o per caso fortuito o forza maggiore) dell'intimazione di licenza o di sfratto nel primo caso e il dolo revocatorio nel secondo (Cass. n. 9093/2001). Nel giudizio di revocazione, anche nell'ipotesi in cui lo stesso abbia ad oggetto le ordinanze rese ai sensi dell'art. 663, trovano applicazione quanto alle forme procedimentali gli artt. 398 ss. (Di Marzio (-Di Mauro), 992 ss.). Tuttavia, trattandosi di controversia in materia locatizia, trova applicazione il rito speciale c.d. locatizio di cui all'art. 447-bis (Trib. Salerno I, 7 gennaio 2011). La sentenza emessa nel giudizio di revocazione, ex art. 395, avverso l'ordinanza di convalida di sfratto è ricorribile per cassazione, ai sensi dell'art. 111 comma 2, Cost., essendo sottratta ai normali mezzi d'impugnazione. (Cass. n. 10136/1996). Per altro verso, la giurisprudenza di legittimità considerava inapplicabile nel sistema originariamente previsto dal codice di procedura civile del 1942 il rimedio dell'opposizione di terzo all'ordinanza di convalida di sfratto: anche in questo caso la situazione si è evoluta in una prospettiva maggiormente garantista in forza di alcuni opportuni interventi di carattere additivo della Corte Costituzionale. In particolare, l'art. 404 è stato, una prima volta, dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non ammette l'opposizione di terzo avverso l'ordinanza di sfratto per finita locazione emanata per la mancata comparizione dell'intimato o la mancata opposizione dell'intimato comparso (Corte cost. n. 167/1984, in Foro it., 1984, I, 1441) e, successivamente, nella parte in cui non ammette l'opposizione avverso l'ordinanza di sfratto per morosità (Corte cost. n. 237/1985, in Foro it., 1985, I, 3051), nonché nella parte in cui non è proponibile avverso l'ordinanza di convalida per finita locazione (Corte cost. n. 192/1995). Le richiamate pronunce sono state giustificate dalla Corte Costituzionale sempre in ragione della natura decisoria dell'ordinanza di convalida, a fronte della quale è iniquo un apparato rimediale differente rispetto a quello previsto per le sentenze. Nel giudizio di opposizione di terzo alla convalida, introdotto con ricorso nelle forme del rito locatizio, trovano applicazione gli artt. 403 ss. BibliografiaAnselmi Blaas, Il procedimento per convalida di licenza o di sfratto, Milano, 1966; Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della l. 18 giugno 2009, n. 69), in udicium.it; Bove (a cura di), La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Milano, 2011; Bucci - Crescenzi, Il procedimento per convalida di sfratto, Padova, 1990; Cavallini, In tema di “decisione” sull’ammissibilità dell’opposizione tardiva alla convalida di sfratto, in Giur. it., 1995, I, 1, 1121; Consolo – Luiso – Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano 1996; Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Milano, 2011; D’Ascola - Giordano - Porreca, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, in La locazione, a cura di Cuffaro, Bologna, 2009, 553 seg.;D’Ascola - Stropparo, Commento all’art. 666, in Commentario del Codice di procedura civile a cura di Comoglio – Consolo – Sassani - Vaccarella, VII, I, Torino 2014, 1020; Di Marzio, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Milano, 1998;Di Marzio, L’impatto della riforma del processo civile sul procedimento per convalida di sfratto, in IUS processocivile.it; Di Marzio - Di Mauro, Il processo locatizio. Dalla formazione all’esecuzione del titolo, Milano, 2007; Duni, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1957; Fornaciari, La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto e l’ordinanza provvisoria del rilascio tra tutela cautelare e tutela giurisdizionale differenziata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 1007 ss.; Frasca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2001; Garbagnati, I procedimenti d’ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano, 1979; Giordano, Procedimento per convalida di sfratto, Bologna, 2015; Giordano - Tallaro, Il processo delle locazioni, Padova, 2014; Giudiceandrea, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino 1956; Grasselli – Masoni, Le locazioni, Padova 2007; Lazzaro - Preden - Varrone, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1978; Mandrioli, Sulla nozione di «irregolarità» nel processo civile, in Riv. dir. civ. 1977, 509 ss.; Mandrioli, Sull’impugnazione dell’ordinanza di licenza o sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1977, n. 3, 1354 ss.; Masoni, I procedimenti locatizi, Padova, 2004; Piombo, Locazione (controversie in materia di locazione), in Enc. giur., XIX, Roma, 2001; Porreca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2006; Preden, Sfratto (procedimento per convalida di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1990, 429; Proto Pisani, Il procedimento per convalida di sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1988, 1354; Proto Pisani, Note in tema di nullità dell’atto di citazione e di effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale, in Riv. dir. civ. 1988, 665; Ronco, Pluralità di riti e fase introduttiva dell’opposizione a decreto ingiuntivo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001, n. 2, 433 ss.; Satta, Domanda giudiziale (diritto processuale civile), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 823 ss.; Sorace, Locazione, II, Controversie in materia di locazione, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, 14; Tedoldi (a cura di), Il procedimento per convalida di sfratto, Bologna, 2009; Tombari Fabbrini, In tema di dolo revocatorio ex art. 395, n. 1, c.p.c., in Foro it., 1991, I, 484; Trifone - Carrato, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 200; Trisorio Liuzzi, Procedimenti speciali di rilascio degli immobili locati, in I procedimenti sommari e speciali, I. Procedimenti sommario (633-669 c.p.c.), a cura di Chiarloni - Consolo, Torino, 2004, 491; Trisorio Liuzzi, Tutela giurisdizionale delle locazioni, Napoli, 2005. |