Codice di Procedura Civile art. 705 - Divieto di proporre giudizio petitorio .

Antonio Scarpa

Divieto di proporre giudizio petitorio.

[I]. Il convenuto nel giudizio possessorio non può proporre giudizio petitorio, finché il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita (1).

[II]. Il convenuto può tuttavia proporre il giudizio petitorio quando dimostra che l'esecuzione del provvedimento possessorio non può compiersi per fatto dell'attore.

(1) La Corte cost., con sentenza 3 febbraio 1992, n. 25, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria e all'esecuzione della decisione nel caso che ne derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto.

Inquadramento

I profili processuali dell'azione di spoglio e dall'azione di manutenzione sono dettati dagli artt. 703, 704 e 705. Si prevede all'uopo un rito sommario, che costituisce una figura intermedia tra il processo di merito a cognizione piena ed il processo puramente cautelare. Il procedimento possessorio non accerta, né costituisce diritti soggettivi, e neppure tende a preservare diritti al fine di assicurare la fruttuosità del giudizio di merito. L'oggetto sostanziale delle azioni possessorie ha, infatti, una sua piena autonomia rispetto alla situazione petitoria, mirando alla protezione della situazione di fatto, con la conseguenza che la relativa tutela processuale non è strumentale, né, quindi, cautelare.

Il divieto del petitorio

L'art. 705 vieta, invece, al convenuto di intentare giudizio petitorio prima che il giudizio possessorio sia stato definito e, per quanto dipende da lui, eseguito. Il divieto trova la sua «ratio» nell'esigenza di evitare che la tutela possessoria chiesta dall'attore possa essere paralizzata, prima della sua completa attuazione, dall'opposizione diretta ad accertare l'inesistenza dello «ius possidendi».

Allo stesso criterio del divieto di cumulo viene ricondotto anche il regime dell'eccezione feci sed iure feci, la quale è ammissibile, da parte del convenuto in sede possessoria, solo in quanto lo ius si riferisca ad un affermato possesso o compossesso che legittimi il suo operato e non con riferimento ad uno ius in senso petitorio o nel senso di ius possidendi (Cass. II, n. 2371/2012 ; Cass. n. 10588/2012; Cass. II, n. 1896/2011 ). L'operatività di tale principio è stata limitata dalla sentenza della Corte cost. n. 25/1992, la quale dichiarò parzialmente incostituzionale l'art. 705 (nella parte in cui detta norma subordinava comunque la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria ed all'esecuzione della decisione, nel caso derivasse o potesse derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto), potendo il resistente in sede possessoria opporre le sue ragioni petitorie solo quando dall'esecuzione della decisione sulla domanda di interdetto potrebbe derivargli un danno irreparabile (ad esempio, allorché la tutela chiesta dal ricorrente sia da attuarsi mediante distruzione di un immobile), e sempre che l'eccezione sia finalizzata solo al rigetto della pretesa domanda di reintegrazione o manutenzione, e non anche ad un accertamento definitivo del diritto vantato (vedi anche Cass. II, n. 1795/2007;Cass. II, n. 16000/2018 ). Peraltro, ad avviso di alcune sentenze (Cass. II, n. 9285/2006 ; Cass. II, n. 15753/2004 ), la pronuncia della Corte cost.  n. 25/1992  ha infranto unicamente il divieto, per il convenuto in possessorio, di agire in petitorio ove ricorrano le indicate condizioni, senza estendere affatto i propri effetti nell'ambito del giudizio possessorio, in maniera da porre nel nulla la preclusione per il resistente di sollevare difese di natura petitoria (in argomento, si veda Cossignani , Il divieto di cumulo del petitorio col possessorio (art. 705), in I procedimenti possessori, a cura di Carratta, Bologna 2015, 499 ss.).  

Procedimento

L'azione si propone, per il caso in cui non penda il giudizio petitorio, nella forma del ricorso al giudice competente dove si è verificato lo spoglio. Indubbiamente il ricorso diretto al giudice consente una maggior speditezza nella procedura ed una più rapida emissione dei provvedimenti urgenti. La forma del ricorso non è però richiesta a pena di nullità del procedimento possessorio, potendo questo instaurarsi anche con citazione (Cass. II, n. 1122/1988).

La competenza per territorio del tribunale del luogo in cui è avvenuto il fatto denunziato (art. 21, comma 2), in caso di azione posta in essere in un dato luogo ma sviluppante i suoi effetti in un vasto territorio, si individua con riguardo al posto in cui sia stata posta in essere la condotta umana che ha determinato gli effetti privativi del possesso (Cass. II, n. 5317/2005).

L'art. 704 consente, invece, la proposizione del ricorso possessorio altresì davanti al giudice del procedimento petitorio, in deroga agli ordinari principi di competenza, deroga che però non trova applicazione quando i fatti lesivi del possesso siano stati commessi anteriormente all'instaurazione del giudizio petitorio; è fatta salva la possibilità di domandare la reintegrazione al tribunale individuato a norma dell'art. 21, che darà i provvedimenti temporanei indispensabili e rimetterà poi le parti davanti al giudice del petitorio. L'art. 704 è, quindi, volto a consentire la decisione sulle distinte domande nello stesso processo, avendo i provvedimenti possessori, comunque emessi in pendenza di giudizio petitorio, carattere puramente incidentale ed essendo destinati ad essere assorbiti dalla sentenza definitiva che decide la controversia petitoria, la quale costituirà l'unico titolo in grado di regolare in via definitiva i rapporti in contestazione tra le parti, sulla base dell'accertamento dell'esistenza del diritto da cui si pretende derivare il possesso (Cass. II, n. 16220/2008; Cass. II, n. 14607/2007).

Alla presentazione del ricorso introduttivo segue una fase preliminare, strumentale rispetto alla successiva fase di cognizione. Il giudice può, infatti, immediatamente provvedere in ordine all'azione proposta, assumere sommarie informazioni e, sulla base delle stesse, ai sensi dell'art. 669-sexies, comma 2, ove sussista l'obiettiva urgenza di contenere una lesione in atto o di evitare il pericolo di un danno o dell'aggravamento di esso, disporre con decreto, inaudita altera parte, i provvedimenti necessari. Si spiega, peraltro, che le dichiarazioni rese dai cd. «informatori» nella fase urgente del procedimento possessorio, pur non essendo assimilabili alla prova testimoniale, possono comunque essere utilizzate anche quali indizi, liberamente valutabili ai fini della decisione, dovendo, piuttosto, considerarsi alla stregua di vere e proprie prove testimoniali laddove assunte in contraddittorio tra le parti e sotto il vincolo del giuramento (Cass. II, n. 1386/ 2009; Cass. II, n. 24705/2006).

Con il decreto che contiene i provvedimenti immediati il giudice deve disporre ad udienza fissa la comparizione delle parti davanti a sé per confermare, modificare o revocare in contraddittorio i provvedimenti già resi (art. 669-sexies, comma 2). Il ricorso introduttivo ed il decreto dovranno essere notificati alla parte avversaria a cura dello stesso ricorrente entro un termine perentorio.

Se non ritiene di emettere l'interdetto inaudita altera parte, il giudice dispone la comparizione delle parti. La scadenza del termine che il giudice, senza adottare provvedimenti immediati, abbia assegnato per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza non impedisce all'istante, peraltro, di chiedere ed ottenere la fissazione di una nuova udienza di comparizione, integrando ciò non una proroga illegittima del termine già scaduto, ma l'esercizio dell'autonomo potere di convocare le parti mediante un distinto decreto (Cass. II, n. 248/1992). Così, in contraddittorio, il giudice procede senza alcuna formalità agli indispensabili atti di istruzione, come l'audizione degli informatori che gli vengono presentati dalle parti, ovvero individuati personalmente, quando a seguito di ispezione li trovi sul posto, e demandare, eventualmente, al consulente tecnico singole indagini: questa prima fase, definita dalla dottrina di «cognizione sommaria», si conclude con la pronuncia dei provvedimenti necessari con ordinanza.

Se richiesto da una delle parti, poi, il giudice fisserà successiva udienza per procedere alla trattazione ed alla formale istruzione della causa (cosiddetta seconda fase del procedimento possessorio) e, quindi, statuire sul merito della situazione possessoria, intesa in senso stretto, atteso che il provvedimento interdittale è comunque destinato a perdere efficacia a seguito della decisione a cognizione piena ed è quindi inidoneo a produrre effetti di diritto sostanziale e processuale con autorità di giudicato; solo il ristabilimento dell'originaria situazione conseguibile attraverso l'esecuzione coattiva della sentenza può, invero, consentire l'eliminazione di ogni situazione di contrasto con il possesso spogliato (Cass. II, n. 8446/2006; Cass. II, n. 9202/2001).

Le descritte due fasi non si devono intendere contrapposte tra di loro ed al tempo stesso vincolate da un nesso di successione inderogabile, al punto che, almeno nella struttura procedimentale antecedente alla Riforma del 2005, si sosteneva che le stesse potessero essere di fatto unificate, quando il giudice, non ravvisando la necessità o l'opportunità di provvedimenti immediati, avesse proceduto senz'altro, in contraddittorio tra le parti e con la piena osservanza delle norme di rito, all'istruzione e alla trattazione del merito (Cass. II, n. 22833/2005).

Se l'attore, che invochi la tutela possessoria, intende ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703, comma 4, la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti alle pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena. Ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello (Cass. II, n. 20635/2014).

È ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto nel corso del procedimento possessorio, ancorché, nella fase sommaria o in sede di reclamo, sia stata risolta, in senso affermativo o negativo, una questione attinente alla giurisdizione, trattandosi di provvedimento che mantiene carattere di provvisorietà ed essendo comunque possibile richiedere la prosecuzione del giudizio, ai sensi dell'art. 703, comma 4, per la rivalutazione della stessa questione. In difetto, tuttavia, di istanza di parte per la fissazione del giudizio di merito, non è proponibile il ricorso ex art. 41, in quanto l'interesse a promuovere l'accertamento sulla giurisdizione postula necessariamente la pendenza di un processo (Cass. S.U., n. 15155/2015).

Il divieto del petitorio

L'art. 705 vieta al convenuto di intentare giudizio petitorio prima che il giudizio possessorio sia stato definito e, per quanto dipende da lui, eseguito. Il divieto trova la sua «ratio» nell'esigenza di evitare che la tutela possessoria chiesta dall'attore possa essere paralizzata, prima della sua completa attuazione, dall'opposizione diretta ad accertare l'inesistenza dello «ius possidendi».

Allo stesso criterio del divieto di cumulo viene ricondotto anche il regime dell'eccezione feci sed iure feci, la quale è ammissibile, da parte del convenuto in sede possessoria, solo in quanto lo ius si riferisca ad un affermato possesso o compossesso che legittimi il suo operato e non con riferimento ad uno ius in senso petitorio o nel senso di ius possidenti (Cass. II, n. 24236/2022; Cass. II, n. 24236/2022; Cass. II, n. 2988/2019; Cass. II, n. 2371/2012; Cass. n. 10588/2012; Cass. II, n. 1896/2011). L'operatività di tale principio è stata limitata dalla sentenza della Corte cost. n. 25/1992, la quale dichiarò parzialmente incostituzionale l'art. 705 (nella parte in cui detta norma subordinava comunque la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria ed all'esecuzione della decisione, nel caso derivasse o potesse derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto), potendo il resistente in sede possessoria opporre le sue ragioni petitorie solo quando dall'esecuzione della decisione sulla domanda di interdetto potrebbe derivargli un danno irreparabile (ad esempio, allorché la tutela chiesta dal ricorrente sia da attuarsi mediante distruzione di un immobile), e sempre che l'eccezione sia finalizzata solo al rigetto della pretesa domanda di reintegrazione o manutenzione, e non anche ad un accertamento definitivo del diritto vantato (vedi anche vedi Cass. II, n. 16000/2018Cass. II, n. 1795/2007; Cass. II, n. 10862/1998). Peraltro, ad avviso di alcune sentenze (Cass. II, n. 9285/2006; Cass. II, n. 15753/2004), la pronuncia Corte cost. n. 25/1992 della Corte costituzionale ha infranto unicamente il divieto, per il convenuto in possessorio, di agire in petitorio ove ricorrano le indicate condizioni, senza estendere affatto i propri effetti nell'ambito del giudizio possessorio, in maniera da porre nel nulla la preclusione per il resistente di sollevare difese di natura petitoria.

La sentenza resa sulla domanda possessoria non può avere autorità di cosa giudicata nel giudizio petitorio: le due azioni sono, invero, caratterizzate da diversità di petitum e causa petendi, giacché il giudizio petitorio è volto alla tutela della proprietà o di altro diritto reale, mentre il giudizio possessorio tende soltanto al ripristino dello stato di fatto mediante un'azione che  culmina in un provvedimento suscettibile di giudicato sostanziale, indipendentemente dall'esistenza o meno del diritto al quale il possesso corrisponda e il cui eventuale contrasto col giudicato petitorio va risolto attraverso le opportune restitutiones in integrum (Cass. II, n. 13450/2016; Cass. II, n. 2300/2016; Cass. VI-2, n. 14979/2015).

Si è peraltro affermato che sia l'azione che l'eccezione petitoria, ancorché irritualmente esperite o sollevate nel giudizio possessorio,  stante il divieto ex art. 705, comma 1, sono idonee, sul piano sostanziale, ad interrompere il termine per l'usucapione in base agli artt. 1165 e 2943 c.c., in quanto esercizio del diritto di proprietà e manifestazione della volontà del suo titolare di evitarne la perenzione, con conseguente insussistenza del grave pregiudizio che ne giustifica l'ammissibilità (Cass. II, n. 14829/2024). Scarpa Antonio

Bibliografia

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