Codice di Procedura Civile art. 737 - Forma della domanda e del provvedimento.InquadramentoIl modello del procedimento in camera di consiglio è proprio della giurisdizione volontaria nella quale non viene in rilievo un conflitto tra diritti ed il giudice si limita a rimuovere, nell'interesse generale o di un soggetto terzo rispetto all'istante (ad esempio, autorizzando la vendita dei beni di un minore), un ostacolo all'esercizio di una facoltà (Fazzalari, 1953, 74; Picardi, 2010, §§ 209 e ss.). Il legislatore ordinario ha tuttavia esteso il modello camerale anche a procedimenti aventi ad oggetto diritti soggettivi: tale scelta è stata da tempo avallata sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte di Cassazione, mediante l'affermazione del principio per il quale è possibile assoggettare anche la tutela di diritti soggettivi contrapposti tra le parti al procedimento in camera di consiglio ex artt. 737 e ss., da considerare invero alla stregua di un “contenitore neutro”, purché vengano assicurate le garanzie del rispetto pieno del principio del contraddittorio (anche mediante la necessità della difesa tecnica: Cass. n. 26365/2011) e della previsione avverso i provvedimenti del ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (Picardi, 2010, § 213). PremessaLa disposizione in esame apre quelle dedicate ai procedimenti in camera di consiglio, i.e. che si svolgono lungo tutta la durata secondo il duttile rito camerale. Tale modello procedimentale è proprio della giurisdizione c.d. volontaria o in senso oggettivo nella quale l'intervento del giudice, talvolta per la tutela di diritti indisponibili o nell'interesse generale, prescinde da un contenzioso tra le parti (Fazzalari, 1953, 74). Si è osservato che, pertanto, la giurisdizione volontaria è materia affidata al giudice soltanto per una scelta di politica legislativa correlate alla posizione istituzionalmente rivestita dallo stesso, ma potrebbe essere rimessa, proprio perché non vi è luogo a decidere su un diritto soggettivo quanto semplicemente rimuovere un ostacolo normativamente previsto per l'esercizio di un diritto, anche ad altri soggetti, come, ad esempio, ai notai (Picardi, 2010, §§ 209 e ss.). Il legislatore ordinario, nell'esercizio della propria discrezionalità, anche in considerazione dell'agilità dello stesso, ha finito con l'assoggettare al modello processuale comune del procedimento in camera di consiglio regolato dagli artt. 737 e ss. una serie di materie non rientranti esclusivamente nella giurisdizione volontaria in senso classico bensì anche nella giurisdizione c.d. contenziosa su diritti soggettivi (Monteleone, 986). L'estensione, quale modello processuale comune di quello delineato dagli artt. 737 e ss., anche alla giurisdizione contenziosa è stata severamente criticata da una parte della dottrina, in quanto considerata un'inammissibile limitazione rispetto alla tutela dei diritti, specie in relazione al disposto degli artt. 24 e 111 Cost. (Montesano, 915; Proto Pisani, 393). Tuttavia, già da alcuni anni la giurisprudenza, sia costituzionale (Corte cost. n. 543/1989) che di legittimità (Cass. S.U., n. 5629/1996), ha avallato le scelte compiute sul punto dal legislatore ordinario affermando, in particolare, che è possibile assoggettare anche la tutela di diritti soggettivi contrapposti tra le parti al procedimento in camera di consiglio ex artt. 737 e ss., da considerare invero alla stregua di un “contenitore neutro”, purché vengano assicurate le garanzie del rispetto pieno del principio del contraddittorio (anche mediante la necessità della difesa tecnica: Cass. n. 26365/2011) e della previsione avverso i provvedimenti del ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (Picardi, 2010, § 213). In dottrina è stato invero osservato che i problemi concernenti l’utilizzazione del rito di cui agli artt. 737 e ss. per la tutela dei diritti si ridimensiona ove si riducano le distanze tra lo stesso ed il rito ordinario, in modo da assicurare, soprattutto con riferimento al principio del contraddittorio, il rispetto delle garanzie processuali sancite dall’art. 24 Cost. (Comoglio, 731). RicorsoI procedimenti camerali devono essere introdotti mediante ricorso: peraltro, se il procedimento è incardinato con atto di citazione non è viziato da nullità quando l'atto introduttivo contenga tutti gli elementi necessari a farlo considerare come ricorso e siano stati adottati dal giudice i conseguenti provvedimenti di legge ai fini della instaurazione del contraddittorio (Cass. n. 1608/1997). Il ricorso deve essere corredato degli elementi di cui all'art. 125 (Cass. n. 9083/2000). La forma del ricorso è egualmente prescritta nell’ipotesi in cui la fase dell’impugnazione sia regolata dal rito camerale. A quest’ultimo riguardo è stato precisato, anche nella giurisprudenza di legittimità, che nei procedimenti di impugnazione che si svolgono con rito camerale, il gravame è ritualmente proposto con il tempestivo deposito del ricorso in cancelleria, mentre la notifica dello stesso e del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza risponde esclusivamente alla finalità di assicurare l'instaurazione del contraddittorio, sicché la scadenza del termine all'uopo fissato, non preceduta dalla valida effettuazione della notifica o dalla presentazione di un'istanza di proroga, non comporta alcun effetto preclusivo, ma implica soltanto la necessità di procedere alla fissazione di un nuovo termine, a meno che la controparte non si sia costituita in giudizio, in tal modo sanando il predetto vizio, con efficacia ex tunc (Cass. n. 14731/2016). La norma in esame è una “disposizione in bianco” sulla competenza — che pure è inderogabile ex art. 28 nei procedimenti in camera di consiglio (Andrioli, IV, 1968, 437) - in quanto si limita a prevedere che il ricorso deve essere depositato dinanzi al giudice competente che, pertanto, sarà quello di volta in volta indicato dalla legge (Civinini, 107). Forma della decisioneLa decisione conclusiva del procedimento assume la forma di decreto. Il procedimento di decisione all'esito di trattazione scritta ex art. 190 non trova applicazione nel procedimento camerale (App. Roma, I, 12 febbraio 2013, n. 828). In senso conforme nella giurisprudenza di legittimità si è a riguardo evidenziato che i procedimenti camerali contenziosi, fermo il rispetto del principio del contraddittorio, sono caratterizzati da particolare celerità e semplicità di forme, sicché con essi sono incompatibili le disposizioni che regolano la fase decisoria nel processo ordinario di cognizione e, segnatamente, quelle di cui agli art. 189 e 190 (Cass. n. 26200/2015, in ilprocessocivile.it, 8 agosto 2016, con nota di Petrolati). Tale provvedimento deve essere emesso dal tribunale in composizione collegiale, stante l'espressa riserva di cui all'art. 50-bis (Cass. n. 25942/2013). Nella giurisprudenza di legittimità si è affermato che la motivazione del decreto emesso per definire un procedimento in camera di consiglio, non deve essere ampia come quella della sentenza, né succinta, come quella dell'ordinanza, ma può ben essere sommaria, nel senso che il giudice, senza ritrascriverli nel decreto, può limitarsi ad indicare quali elementi, tra quelli indicati nell'istanza che lo ha sollecitato, lo abbiano convinto ad assumere il provvedimento richiesto, essendo comunque tenuto, in ottemperanza all'obbligo di motivazione impostogli dall'art. 111, comma 6, Cost., a dar prova, anche per implicito, di aver considerato tutta la materia controversa (Cass. n. 21800/2013). Il procedimento camerale di opposizione in materia di equa riparazione ex l. n. 89 del 2001L'art. 5-ter, della l. n. 89/2001, inserito dall'art. 55, comma 1, lett. f), del d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 134/2012, stabilisce che contro il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione può essere proposta opposizione dinanzi all'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento monitorio entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione dello stesso ovvero dalla sua notificazione. Invero, nell'ipotesi di accoglimento, in tutto o in parte, del ricorso per ingiunzione, l'opposizione potrà essere proposta dall'Amministrazione nei confronti della quale è stata formulata la domanda di equa riparazione, mentre nel caso di rigetto, anche parziale, interessato a proporre l'opposizione sarà il ricorrente. La S.C. ha chiarito che nel procedimento di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, in caso di mancata notificazione all'amministrazione del decreto emesso dal presidente della corte d'appello, o dal magistrato da questo delegato, la stessa amministrazione, convenuta in sede di opposizione ex art. 5-ter l. n. 89/2001 dal ricorrente, il quale si dolga dell'accoglimento parziale della domanda, può limitarsi ad eccepire l'integrale infondatezza della pretesa di indennizzo e la violazione dell'art. 2-bis della medesima legge, senza necessità di proporre opposizione in via incidentale (Cass. n. 16110/2015). Il termine per la proposizione dell'opposizione è, in ogni caso, perentorio e, pertanto, l'inosservanza dello stesso comporta il consolidarsi degli effetti del provvedimento che ha pronunciato sulla domanda in sede monitoria (Martino, 584). Il giudicato sostanziale conseguente alla mancata o tardiva opposizione avverso un decreto ingiuntivo copre non soltanto l'esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l'opposizione, mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum ovvero della causa petendi in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo (Cass. n. 11360/2010; Cass. n. 16391/2007). Dies a quo ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell'opposizione è la comunicazione dello stesso ovvero, nell'ipotesi di accoglimento della domanda, dalla notificazione, che deve essere eseguita, peraltro, entro il termine di trenta giorni dal deposito del provvedimento. L'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001 precisa che, ove la notifica venga effettuata tardivamente rispetto al predetto termine, il decreto sarà inefficace e la domanda non potrà più essere riproposta. L'opposizione deve essere esperita con ricorso dinanzi all'ufficio giudiziario al quale appartiene al giudice che ha emesso il decreto, cui viene demandata una competenza funzionale assolutamente analoga a quella propria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo regolato dal quarto libro del codice di procedura civile (Martino, 584). Come evidenziato anche in giurisprudenza, il ricorso introduttivo dell'opposizione avverso il decreto di inammissibilità o rigetto, a norma dell'art. 5-terl. n. 89/2001, che richiama espressamente l'art. 125, deve contenere l'indicazione del petitum e della causa petendi, sicché in caso di omissione o di assoluta incertezza di detti elementi, il ricorso, introduttivo di una fase contenziosa, è nullo e la corte d'appello, rilevatane la nullità, è tenuta a concedere all'opponente, ai sensi dell'art. 164, un termine perentorio per l'integrazione del ricorso sempreché dette indicazioni fossero contenute nella domanda monitoria originaria (Cass. n. 3508/2015). È stato precisato, nondimeno, che l'atto di opposizione al decreto di inammissibilità o rigetto ex art. 5-ter l. n. 89/2001 può indicare petitum e causa petendi della domanda monitoria tramite l'allegazione del ricorso originario, la quale è idonea a consentire la difesa dell'amministrazione, senza che occorra la riproduzione del contenuto del ricorso medesimo all'interno dell'atto di opposizione (Cass. n. 18705/2015). Costituisce principio incontroverso quello secondo cui l'art. 645, disponendo che l'opposizione a decreto ingiuntivo deve essere proposta dinanzi all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha stabilito una competenza funzionale e non derogabile, neanche per ragioni di continenza o di connessione (v., tra le molte, Cass. n. 15052/2011; Cass. n. 15528/2000). Per quel che maggiormente rileva in questa sede, occorre considerare che il comma 3 dell'art. 5-ter l. n. 89/2001 stabilisce, quanto al procedimento, soltanto che la Corte d'Appello provvede ai sensi degli artt. 737 e ss.: viene quindi effettuato un rinvio «secco» alle norme del codice di procedura civile sul procedimento in camera di consiglio (Martino, 583). Non si può trascurare che, prima della riforma realizzata dalla l. n. 134/2012, l'art. 3 della stessa legge c.d. Pinto, pur prevedendo le forme del procedimento in camera di consiglio per la decisione da parte della Corte d'Appello sulla domanda di equa riparazione correlata all'irragionevole durata del processo, dettava una serie di disposizioni specifiche, ad esempio sul contraddittorio tra le parti e sull'istruzione probatoria, idonee a ricondurre il rito speciale esclusivo al rispetto con i principi costituzionali (Martino 2001, 1080 ss.; Ronco 249 ss.). Invero, la questione problematica attiene, nella formulazione originaria della legge Pinto ed, ancor più nell'assetto attuale, alla legittimità costituzionale, anche ai sensi dell'art. 111 Cost., di un procedimento camerale previsto dal legislatore quale veicolo esclusivo per la tutela di diritti soggettivi, attesa l'ampia latitudine dei poteri discrezionali, non previamente determinati dalla legge, attribuiti al giudice nell'ambito di tale procedimento (v., tra gli altri, Cerino Canova 431 ss.). A riguardo, è opportuno ricordare che, a fronte della posizione della dottrina, prevalentemente critica in ordine alla ricorrente scelta del legislatore del procedimento camerale su diritti, la giurisprudenza, sia della Corte di Cassazione che della Corte Costituzionale, ha ritenuto, diversamente, che il procedimento in questione si atteggia a contenitore «neutro», non incompatibile con la tutela giurisdizionale dei diritti, a condizione che vengano assicurate almeno nel nucleo essenziale le garanzie costituzionali del contraddittorio e del controllo di legittimità in cassazione. In particolare, la S.C. ha evidenziato, premesso che è il carattere decisorio del provvedimento del giudice, ossia la sua incidenza su diritti soggettivi o status con l'efficacia propria del giudicato, che conferisce carattere contenzioso – piuttosto che volontario – al relativo giudizio, il carattere decisorio del provvedimento del giudice, attribuendo al relativo procedimento camerale natura contenziosa anziché volontaria, comporta l'applicazione della regola della necessità della difesa tecnica, come per tutti gli altri giudizi contenziosi regolati secondo il rito ordinario (Cass. n. 26365/2011). Sotto altro ed analogo profilo, quanto alla questione generale esaminata, è stato affermato che in tema di procedimento camerale, viola il principio del contraddittorio il provvedimento che, statuendo su posizioni di diritto soggettivo, sia stato emesso all'esito di un procedimento del quale il destinatario degli effetti non è stato informato e nel quale questi non ha potuto pertanto interloquire (Cass. n. 11859/2007). Alla luce di tali principi, la scelta originaria, in sede di introduzione del rimedio «interno» per l'equa riparazione dei danni derivanti dall'irragionevole durata del processo, era stata apprezzata, come evidenziato, proprio in quanto idonea in concreto, mediante puntuali previsioni integrative del rinvio agli artt. 737 e ss., a ricondurre il procedimento dinanzi alla Corte d'Appello al rispetto con i principi costituzionali. A fronte, invece, del rinvio “secco” attualmente effettuato dalla c.d. legge Pinto alle norme sul procedimento in camera di consiglio occorre chiedersi se le stesse debbano ritenersi semplicemente illegittime ex artt. 24 e 111 Cost. ovvero se debba predicarsene un'interpretazione costituzionalmente orientata. In quest'ultima direzione si pone quella dottrina secondo cui vi è spazio per un'interpretazione costituzionalmente orientata, idonea a contemperare le esigenze, entrambe rilevanti ai sensi dell'art. 111 Cost. sui canoni del giusto processo civile, del diritto di difesa con quelle relative alla ragionevole durata del procedimento di equa riparazione (Martino, 583). La stessa S.C. non ha trascurato di evidenziare che le lacune riscontrabili nella disciplina dei procedimenti camerali e di quelli speciali devono colmarsi, in mancanza di deroghe esplicite o implicite, con il ricorso alle norme del rito ordinario, costituente il paradigma procedimentale del nostro ordinamento, dal quale essi si differenziano soltanto nei limiti espressamente previsti dalla legge (Cass. n. 15100/2005; Cass. n. 5629/1966). Sul punto, è opportuno ricordare che l'art. 3, comma 4, l. n. 89/2001, nella formulazione previgente, stabiliva che il ricorso ed il decreto di fissazione della camera di consiglio dovevano essere notificati al convenuto almeno quindici giorni prima della stessa. A riguardo, peraltro, era stato più volte precisato dalla S.C. che in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte non è perentorio, posto che l'art. 3 l. n. 89/2001 si limita a prevedere il termine dilatorio di comparizione di quindici giorni per consentire la difesa dell'Amministrazione, sicché il rispetto del contraddittorio esige la notifica al controinteressato del ricorso e del decreto di fissazione della data della camera di consiglio entro un termine idoneo ad assicurare l'utile esercizio del diritto di difesa ed a tal fine, deve ritenersi applicabile anche al procedimento camerale in via analogica, attenendo ai requisiti dell'atto indispensabili a garantire il contraddittorio, l'art. 164 (Cass. n. 22153/2011). L'attuale rinvio agli artt. 737 e ss., deve essere peraltro oggetto di un'interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso, in ogni caso, della necessaria instaurazione del contraddittorio nei confronti del convenuto opposto (Martino, 585), mediante notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'adunanza camerale entro un termine che, sebbene determinato dal giudice e non predeterminato dal legislatore, dovrà essere congruo per l'esercizio del diritto di difesa. Sulla questione è intervenuta la S.C. chiarendo che nel procedimento di equa riparazione per durata irragionevole del processo, l'opposizione al decreto di rigetto, a norma dell'art. 5-terl. n. 89/2001, apre una fase contenziosa, soggetta al rito camerale, sicché l'opponente deve notificare all'amministrazione controinteressata il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza entro un termine idoneo ad assicurare l'utile esercizio del diritto di difesa; tuttavia, non essendo questo termine perentorio, se la notifica è omessa o inesistente, può concedersi all'opponente un nuovo termine, perentorio, affinché vi provveda (Cass. n. 8421/2014). In sostanza, il termine assegnato per la notificazione del ricorso non ha carattere perentorio e, laddove quest'ultima risulti omessa o inesistente, il giudice, in difetto di spontanea costituzione del resistente all'udienza fissata nel decreto (che ha valore sanante in applicazione analogica degli artt. 164 e 291), deve fissare un nuovo termine per la notifica (Cass. n. 18113/2015). E' stato peraltro precisato che, in tema di equa riparazione ai sensi della l. n. 89/2001, la mancata comparizione delle parti non può essere considerata, in assenza di un'indicazione in tal senso da parte dell'art. 737, una tacita rinunzia al ricorso e non consente, quindi, la declaratoria d'improcedibilità (Cass. n. 8771/2019). Più in generale, con riferimento alla fase di opposizione al decreto ingiuntivo emanato in materia di equa riparazione, la S.C. ha osservato che nel procedimento camerale, il giudice, al fine di garantire il contraddittorio, l'esercizio del diritto di difesa e l'effettività della tutela giurisdizionale, deve esercitare poteri ufficiosi anche mediante l'applicazione estensiva ed analogica delle disposizioni del processo di cognizione, sicché è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio richiedendo i necessari chiarimenti (ex art. 183, comma 4) e, se del caso, assumendo sommarie informazioni da soggetti terzi (ex art. 738, comma 3), sempreché tale modalità di acquisizione di elementi di giudizio non sia impiegata per supplire all'onere probatorio o con finalità meramente esplorative (Cass. n. 4412/2015). Il comma 4 dell'art. 5-ter legge Pinto prevede che l'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento, fermo restando che il collegio, tuttavia, quando ricorrono gravi motivi, può, con ordinanza non impugnabile, sospendere l'efficacia esecutiva del decreto opposto. Il sistema delineato in parte qua appare analogo a quello configurato nell'ordinario procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo in relazione ai decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi in forza del disposto dell'art. 649 che, per l'appunto in presenza di «gravi motivi», consente di sospenderne l'efficacia esecutiva concessa nella fase monitoria. I gravi motivi in presenza dei quali può essere disposta la sospensione della esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto si concretano, di regola, nel pericolo che l'esecuzione forzata del decreto possa arrecare un grave danno senza che vi sia una garanzia di risarcimento nell'ipotesi di fondatezza dell'opposizione, nell'inesistenza o irregolarità di uno dei titoli che giustificano la provvisoria esecuzione a norma dell'art. 642, nella sopravvenienza di un fatto modificativo o estintivo del credito (cfr. Ronco, 2000, 250 ss.) e, più in generale, nella circostanza che l'opposizione proposta sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione (Garbagnati, 239). Per l'ipotesi di provvisoria esecuzione del decreto concessa nella fase sommaria in forza di documentazione sottoscritta dal debitore attestante il riconoscimento dell'avversa pretesa creditoria da parte dello stesso, la giurisprudenza è incline a ritenere che il disconoscimento dell'autenticità della sottoscrizione apposta in calce alla scrittura privata sulla quale è fondato il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, se tempestivamente e ritualmente manifestato dall'opponente, è sufficiente ad integrare i gravi motivi necessari per la sospensione dell'esecuzione provvisoria del provvedimento monitorio, da parte del Giudice dell'opposizione (Trib. Latina, 20 febbraio 1996). I gravi motivi richiesti per la sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo possono concretarsi, inoltre, nell'apparente fondatezza di un'eccezione del debitore attestante un sopravvenuto fatto estintivo dell'avversa pretesa creditoria, costituito, ad esempio, anche dall'adempimento parziale successivo al deposito del ricorso per ingiunzione. In tal senso si è anche affermato che è ammissibile la revoca parziale della provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo, concessa ai sensi dell'art. 642, qualora una parte del debito per il quale fu emessa l'ingiunzione sia stata soddisfatta prima della notificazione del provvedimento all'intimato (Trib. Roma 27 novembre 2003, in Giur. mer. 2004, 699). Peraltro, rispetto al regime previsto a riguardo dagli artt. 645 e ss. c.p.c. non possono trascurarsi di evidenziare due importanti differenze che derivano entrambe dalla circostanza che il decreto concesso nella fase monitoria della l. n. 89/2001 è sempre provvisoriamente esecutivo. Diversamente, invece, nell'ambito del procedimento di ingiunzione disciplinato dagli artt. 634 e ss. soltanto nelle ipotesi indicate dall'art. 642 il decreto ingiuntivo può essere eccezionalmente concesso munito della clausola di esecuzione provvisoria (in arg. cfr., Garbagnati 1982, 579, Nonché Zucconi Galli Fonseca, 175). Ciò avviene, innanzitutto, nelle fattispecie – di carattere esemplificativo, secondo la giurisprudenza, potendo i medesimi principi trovare applicazione anche ove il ricorso sia fondato su titolo pubblico certo e prima facie non contestabile — elencate dal primo comma dell'art. 642, ossia quando il ricorso è fondato su una prova scritta di carattere privilegiato (cambiale, assegno bancario o circolare, certificato di liquidazione di borsa o atto ricevuto da notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato): in tali ipotesi, ferma la necessità di un'istanza del ricorrente, il Giudice è obbligato ad autorizzare l'esecuzione provvisoria del decreto. Inoltre, il secondo comma dell'art. 642. attribuisce al Giudice adito con il ricorso monitorio il potere discrezionale di concedere, sempre su richiesta del creditore ricorrente, il decreto munito della clausola di esecuzione provvisoria laddove: a) vi sia grave pregiudizio nel ritardo (in ragione dello stato di dissesto o di insolvenza del debitore ovvero per deperibilità o deteriorabilità delle cose oggetto del ricorso); b) il ricorrente produca documentazione sottoscritta dal debitore comprovante il diritto fatto valere (ad esempio, un atto di ricognizione di debito o promessa di pagamento documentata da scrittura privata, che determinano un'inversione dell'onere probatorio anche nel giudizio di opposizione ex art. 1988 c.c.). Il peculiare regime previsto invece per il decreto ingiuntivo pronunciato nell'ambito della legge c.d. Pinto comporta, in primo luogo, infatti, l'inutilità di una previsione che, sul modello dell'art. 648, sia volta ad accordare, nelle more della definizione del giudizio di opposizione, al decreto che ne sia privo, la provvisoria esecuzione laddove l'opposizione proposta non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione. Tale situazione ricorre quando le eccezioni formulate dal debitore opponente e concretanti fatti modificativi, estintivi ed impeditivi dell'avversa pretesa creditoria sono soltanto allegati e non documentati: non senza rilevanza pratica, a riguardo, è la problematica di coordinare l'art. 648, che presuppone di per sé una decisione in limine litis del giudice sull'istanza di concessione della provvisoria esecuzione, con l'art. 183, comma 6, in ordine al momento in cui scattano le preclusioni per le parti circa il deposito di documenti. L'opposizione a decreto ingiuntivo non è di pronta soluzione laddove, invece, le prove addotte dal debitore a sostegno delle proprie allegazioni sono di lunga indagine e quindi il tempo necessario per la valutazione delle stesse nel corso del giudizio potrebbe pregiudicare significativamente il creditore (Guarnieri, 598; Monnini, 1933). In secondo luogo, l'esecuzione provvisoria «necessaria» del decreto di ingiunzione pronunciato nei confronti dell'Amministrazione a fronte di un ricorso di equa riparazione per l'irragionevole durata di un processo implica ex se che tra i gravi motivi che possono essere valutati dalla Corte ai fini dell'eventuale sospensione dell'esecutorietà del decreto stesso non possa trovare spazio quello afferente la concessione di tale esecutorietà in difetto dei presupposti documentali previsti dall'art. 642 c.p.c. Ciò premesso, è opportuno ricordare, essendo tali principi applicabili anche alla fattispecie in esame, che in sede applicativa è stato ritenuto che la valutazione dei gravi motivi previsti dall'art. 649 per la sospensione della esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo deve riguardare soprattutto la probabile fondatezza dell'opposizione, in considerazione dei motivi posti a fondamento della stessa (cfr. già Pret. Termini Imerese 3 dicembre 1996). Di conseguenza si è osservato che non è possibile disporre la sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto sulla scorta, carente di ogni fumus boni juris l'opposizione proposta dal debitore, di un mero pericolo nel ritardo, costituito ad esempio dalla difficoltà di restituzione o di risarcimento del danno ovvero dal pericolo di insolvenza per il debitore stesso (pericolo che, per converso, andrà attentamente valutato ove anche in parte i motivi dell'opposizione proposta appaiano prima facie fondati). Tali considerazioni operano a fortiori, come si è osservato in dottrina, nell'ambito della valutazione demandata alla Corte d'Appello ai fini della sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto di pagamento concesso a seguito del ricorso di equa riparazione, poiché la sospensione viene richiesta dall'Amministrazione opponente rispetto alla quale sarebbe difficile ipotizzare il ricorrere di un pregiudizio apprezzabile derivante dall'esecuzione della condanna al pagamento di una somma di denaro di regola di modesta entità, di talché assumerà rilievo preponderante il fumus dell'opposizione (Martino, 594). L'art. 5-ter, comma 4, l. n. 89/2001 stabilisce che l'ordinanza di sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto non è impugnabile. Tale previsione ricalca quella dettata dall'art. 649 c.p.c. in tema di sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo, in relazione alla quale è assolutamente prevalente in giurisprudenza la tesi secondo cui l'ordinanza che sospende l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto ex art. 649 costituisce provvedimento non impugnabile né tantomeno modificabile o revocabile, poiché gli effetti dello stesso sono destinati ad esaurirsi con la sentenza che pronuncia sull'opposizione e con la quale il giudice può provvedere alla revoca o meno della stessa (v., tra le altre, Trib. Torino III, 2 aprile 2010). Parimenti, si ritiene inammissibile il rimedio del reclamo ex art. 669-terdecies avverso l'ordinanza con la quale il giudice istruttore rigetta o accoglile, ex art. 649, l'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo autorizzata a norma dell'art. 642 (Trib. Venezia 4 aprile 2000, in Foro it., 2000, I, 3644, nt. Cea). A riguardo nella giurisprudenza di merito è stato ribadito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649, con riferimento all'art. 3 Cost., per la mancata previsione del reclamo avverso l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo, non costituendo la disciplina cautelare uniforme valido tertium comparationis per le differenze strutturali e funzionali con la indicata disposizione. A tal proposito, si evidenzia, in particolare, che sebbene l'ordinanza ex art. 649 abbia funzione cautelare la stessa è priva della strumentalità, sotto il profilo strutturale, ad un successivo provvedimento di merito e quindi non potrebbe essere equiparata, quanto al sistema dei rimedi previsti rispetto alla stessa, ai provvedimenti cautelari (Trib. Lucca 16 giugno 2007). Tuttavia, stante l'orientamento, anch'esso costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità, che esclude la ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost. dell'ordinanza che si pronuncia sull'istanza di cui all'art. 649, trattandosi di provvedimento privo di contenuto decisorio, in quanto destinato ad operare in via meramente temporanea, producendo effetti che si esauriscono con la sentenza che pronuncia sull'opposizione, autorevole dottrina ha opportunamente evidenziato le contraddizioni – che il legislatore sembra voler autorizzare a reiterare per il provvedimento in esame (Martino, 594) — nelle quali incorre la giurisprudenza da un lato riconoscendo che trattasi di misura provvisoria avente funzione latamente cautelare e dall'altro escludendo, per tale ragione, entrambi i rimedi (Saletti, 545). La formulazione del comma 4 dell'art. 5-ter della legge Pinto nel senso della non impugnabilità dell'ordinanza che sospende l'esecuzione provvisoria del decreto pronunciato dal Presidente della Corte nella fase sommaria induce a ritenere operanti i richiamati orientamenti relativi all'art. 649 anche per tale provvedimento. Quanto alla disciplina processuale del ricorso per cassazione proposto avverso il decreto emesso dalla Corte di appello nel procedimento di opposizione, si tratta di ricorso ordinario (ed il termine c.d. lungo di cui all'art. 327 c.p.c. decorre quindi dalla pubblicazione della decisione: Cass. n. 22726/2014). CasisticaIn materia di elezioni amministrative, il rito camerale richiamato dall'art. 143, comma 11, del d.lgs. n. 267 del 2000, risulta compatibile con la tutela dei diritti soggettivi e degli status, nonché rispettoso del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, in quanto idoneo a contemperare le esigenze di effettività della tutela dell'aspirazione del cittadino ad accedere alle cariche elettive pubbliche, con quelle di rapida definizione delle questioni concernenti la sua incandidabilità (Cass. n. 4500/2021). Pertanto il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali per infiltrazioni di tipo mafioso, pur essendo destinato a svolgersi con il rito camerale ex artt. 737 e ss., ha una forma speciale di instaurazione, che richiede la proposta del Ministero dell'Interno, ai sensi dell'art. 143, comma 11, d.lgs. n. 267/2000. Qualora, nell'ambito del procedimento instaurato a seguito di tale proposta, il P.M. presenti autonomo ricorso per la dichiarazione di incandidabilità, non si realizza alcuna nullità, esso avendo natura e funzione di sollecitazione della trattazione dell'atto ministeriale di impulso (Cass. S.U., n. 1747/2015). Sempre in materia di incandidabilità alle elezioni degli amministratori responsabili delle condotte che abbiano dato causa allo scioglimento dei consigli provinciali o comunali, in conseguenza di infiltrazioni di stampo mafioso, è stato osservato che la speciale modalità di introduzione del giudizio – assoggettato alla sospensione feriale dei termini processuali (Cass. n. 2749/2021) - prevista dall'art. 143, comma 11, d.lgs. n. 267/2000, mediante l'atto di trasmissione ministeriale, rappresenta una deroga alle regole comuni; tale atto di impulso non è perciò tenuto a soddisfare i requisiti ordinari, in particolare le previsioni di cui all'art. 125, e non risulta nullo qualora ometta di indicare nominativamente gli amministratori coinvolti nella procedura, o comunque non provveda ad esplicita menzione delle specifiche condotte che agli amministratori sono attribuite, in quanto rivelatrici della permeabilità dell'amministrazione locale alle influenze inquinanti delle consorterie criminali (Cass. n. 10780/2019). Al giudizio di cassazione avente ad oggetto l'incandidabilità degli amministratori comunali nell'ipotesi prevista dall'art. 143, comma 11, d.lgs. n. 267/2000, non si applicano i termini dimidiati previsti dall'art. 22, commi 1 e 11, d.lgs. n. 150/2011 - che rinvia al rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis e ss. - in ragione del richiamo contenuto nell'ultima parte del medesimo comma 11 dell'art. 143 al rito camerale contenzioso previsto dagli artt. 737 e ss. (Cass. n. 11579/2016). In tema di protezione internazionale, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, dell'art. 35-bis, comma 1, d.lgs. n. 25/2008 poiché il rito camerale ex art. 737, che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di "status", è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l'udienza, sia perché tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell'attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perché in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. n. 17717/2018). In tema di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale abbia proceduto all'audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione (Cass. n. 3356/2019). Per altro verso, sempre in tema di procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, la S.C. ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35-bis, d.lgs. n. 25/2008, nella parte in cui dispone che tale procedimento è definito con decreto non reclamabile, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. (Cass. n. 32321/2018). Il procedimento giurisdizionale previsto dall'art. 143 d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico enti locali), volto alla dichiarazione di incandidabilità degli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali per infiltrazioni di tipo mafioso, non ha natura impugnatoria, ma è riconducibile ad un ordinario giudizio camerale contenzioso di cui agli artt. 737 e ss., soggetto al generale principio della domanda. Non può, dunque, mancare un atto introduttivo che abbia tutti i requisiti della vocatio in ius e dell'editio actionis, elencati dall'art. 125, da identificarsi nella memoria dell'Avvocatura dello Stato, che rappresenta in giudizio il Ministero dell'interno, dovendosi, invece, attribuire alla proposta dello stesso Ministero, di cui al comma 11 del menzionato art. 143, il valore di atto introduttivo unicamente in una accezione atecnica, in quanto idonea a provocare l'attivazione del potere d'impulso del tribunale volto alla fissazione dell'udienza camerale (Cass. I, n. 16048/2015). Ai sensi dell'art. 130 disp. att., il procedimento di appello avverso sentenza ex art. 308, comma 2, reiettiva di reclamo proposto avverso declaratoria di estinzione del processo pronunciata dal giudice istruttore, è retto dal rito camerale sin dal momento della proposizione dell'impugnazione, che, va, quindi, introdotta con ricorso da depositare in cancelleria entro i termini prescritti dagli artt. 325 e 327 (Cass. S.U., n. 22848/2013). La nomina dell'esperto ex art. 2437-bis c.c. finalizzata alla liquidazione della quota di partecipazione societaria pur sottraendosi alla previsione dell'art. 29, d.lg. n. 5/2003, ormai abrogato dall'art. 54, comma 5, l. n. 69/2009, continua a configurarsi come procedimento camerale monosoggettivo (in cui la convocazione della controparte è facoltativa e ha valenza di mera denuntiatio litis) cosicché — anche in forza della previsione generale dell'art. 742-bis (secondo cui il rito di cui agli artt. 737 si applica a tutti i procedimenti in camera di consiglio salvo che sia diversamente disposto) — è sottoposto a tale ultima disciplina (Trib. Salerno I, 14 aprile 2012). Ai sensi dell'art. 23 l. n. 74/1987, l'appello avverso le sentenze di separazione deve essere trattato con il rito camerale, il quale si applica all'intero procedimento, dall'atto introduttivo - ricorso, anzichè citazione - alla decisione in camera di consiglio (Cass. n. 19002/2014). Il procedimento di negoziazione assistita da uno o più avvocati di cui alla l. n. 162/2014, di conversione del d.l. n. 132/2014, celebrato dinnanzi al Presidente del Tribunale adito in seguito al diniego di autorizzazione del p.m., va ricondotto alle forme del giudizio camerale, pur discostandosi dalle disposizioni comuni degli artt. 737 e ss. (Trib. Torino VII, 20 aprile 2015, in Dir. fam. pers., 2015, n. 4, 1385, con nota di Masoni). Il procedimento di modifica del decreto del Tribunale dei Minori si segue la procedura di cui agli artt. 737 e ss. e viene definito con decreto del collegio, mentre il procedimento ex art. 316-bis c.c. è di competenza presidenziale e viene definito con decreto di tale organo monocratico: nello stesso procedimento, pertanto, non si possono avanzare nello stesso giudizio due domande che sono di competenza di organi giudiziari diversi (Trib. Genova IV, 11 febbraio 2016). BibliografiaAsprella, Il regime delle spese nei procedimenti camerali, in AA. VV., Le spese nel processo, Suppl. a Giur. mer. 2009, n. 7/8, 44 ss.; Bove, Art. 111 cost. e «giusto questo processo civile», in Riv. dir. proc. 2002, 479; Cerino Canova, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ. 1987, I, 431 s.; Chiarloni, Il nuovo art. 111 Cost. e il processo civile, in Riv. dir. proc. 2000, 1010; Chizzini, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994; Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, Torino, 1994; Comoglio, Difesa e contraddittorio nei procedimenti in camera di consiglio, in Riv. dir. proc., 1997, 731; Denti, La giurisdizione volontaria rivisitata, Riv. trim. dir. proc. civ. 1987, 325 s.; Fazzalari, Giurisdizione volontaria. Profilo sistematico, Padova, 1953; Fazzalari, Giurisdizione volontaria (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 330 s.; Fazzalari, Procedimento camerale e tutela dei diritti, in Riv. dir. proc. 1988, 909 s.; Jannuzzi-Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2002; Micheli, Camera di consiglio (dir. proc. civ.), in Enc. dir., V, Milano, 1959, 981 s.; Monteleone, Camera di consiglio (dir. proc. civ.), in Nss. D.I. - App., I, Torino, 1980, 986 s.; Montesano, « Dovuto processo » su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc. 1989, 915 s.; Pagano, Contributo allo studio dei procedimenti in camera di consiglio, in Dir. e giur. 1988, 11 s.; Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss., in Riv. dir. civ. 1990, 393 ss.; Verde, La volontaria giurisdizione, Padova, 1989. |