Codice di Procedura Civile art. 747 - Autorizzazione alla vendita dei beni ereditari.Autorizzazione alla vendita dei beni ereditari. [I]. L'autorizzazione a vendere beni ereditari [783; 460 2, 493 1, 499 1, 694, 703 4, 719 1 c.c.] si chiede con ricorso [125] diretto al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione [456 c.c.]1 . [II]. Nel caso in cui i beni appartengano a incapaci deve essere sentito il giudice tutelare [344 1 c.c.]. [III]. Il giudice provvede sul ricorso con decreto, contro il quale è ammesso reclamo a norma dell'articolo 739. [IV]. Se l'istanza di autorizzazione a vendere riguarda l'oggetto d'un legato di specie [649 2 c.c.], il ricorso deve essere notificato al legatario2.
[1] Comma così modificato dall'art. 112 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. InquadramentoSi segnala anzitutto che la c.d. riforma «Cartabia» ha indirettamente inciso sulla materia, assegnando a determinate condizioni la potestà autorizatoria in esame (concorrente con quella del giudice) al notaio rogante (art. 21 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione). Ciò detto, va esaminata, con riguardo alla norma in esame, la questione se essa, nella sua formulazione attuale, attribuisca l'autorizzazione alla vendita dei beni ereditari al tribunale in composizione monocratica, oppure al tribunale in composizione collegiale, oppure mantenga la distinzione tra l'autorizzazione alla vendita dei mobili e quella alla vendita degli immobili. Vengono in considerazione, al riguardo, tre distinte disposizioni. L'art. 14 d.lgs. n. 51/1998, modificando l'ordinamento giudiziario, stabilisce il principio fondamentale per cui, sia in materia civile che penale, il tribunale giudica costantemente in composizione monocratica, salvi i casi previsti dalla legge. In linea di principio, dunque, laddove dice semplicemente «tribunale», la legge intende sempre riferirsi al tribunale in composizione monocratica. L'art. 56 d.lgs. n. 51/1998, — ossia l'art. 50-bis —, poi, detta la disciplina della riserva di collegialità e stabilisce che il tribunale giudica in composizione collegiale, tra l'altro, nei procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli artt. 737 ss., salvo che sia altrimenti disposto. Per i provvedimenti oggetto di indagine, dunque, vale la regola opposta: essi sono normalmente devoluti al tribunale in composizione collegiale, a meno di diversa previsione normativa. D'altro canto, occorre infine considerare che il transito delle funzioni del pretore al tribunale è stato a sua volta regolato da una ulteriore disposizione, l'art. 244 d.lgs. n. 51/1998, secondo cui le funzioni del pretore non espressamente attribuite ad altra autorità sono attribuite al tribunale in composizione monocratica anche se relative a procedimenti disciplinati dagli artt. 737 ss. In questo quadro a taluno è sembrato doversi condividere la tesi della regolamentazione uniforme di ogni vendita di beni ereditari, e che il legislatore della riforma abbia inteso rimettere queste autorizzazioni alla competenza esclusiva del tribunale in composizione collegiale (Campanile, 657). Secondo quest'interpretazione, cioè, non si verserebbe in ipotesi di devoluzione delle funzioni del pretore al tribunale, in applicazione del meccanismo di cui all'art. 244 d.lgs. n. 51/1998, ma di unificazione dei procedimenti di autorizzazione alla vendita dei mobili e degli immobili ereditari, mercé la cancellazione della distinzione, nell'art. 747, tra gli uni e gli altri. Disconoscendo ugualmente il rilievo dell'art. 244 ora citato, altri autori pervengono, invece, alla soluzione opposta, sostenendo che l'autorizzazione alla vendita dei beni ereditari va ora richiesta esclusivamente al tribunale, tanto per gli immobili che per i mobili, al tribunale in composizione monocratica (Lazzaro, Gurrieri e D'Avino, 120). La soluzione esatta, viceversa, è da ritenere quella che, attraverso l'applicazione dell'art. 244 d.lgs. n. 51/1998, riconosce tuttora la distinzione tra autorizzazione alla vendita dei mobili ereditari, attribuita al tribunale in composizione monocratica, e degli immobili ereditari, attribuita al tribunale in composizione collegiale. Sembra innegabile, sul piano strettamente letterale, che la riformulazione dell'art. 747, insieme con la soppressione dell'ufficio del pretore, abbia determinato il trasferimento al tribunale delle funzioni pretorili in tema di autorizzazione alla vendita di mobili ereditari: l'autorizzazione prima spettante al pretore, cioè, compete ora al tribunale. Gli orientamenti della sola giurisprudenza di merito, in mancanza, a quanto consta, di specifiche decisioni della S.C., riflette l'incertezza della dottrina. Così, secondo alcuni l'autorizzazione a vendere beni ereditari è di competenza del tribunale in composizione monocratica e, eventualmente, della sezione distaccata del tribunale (Trib. Torino 22 agosto 2002). Altri, all'opposto, sostengono la tesi della generale competenza del giudice collegiale, sia per le vendite mobiliari che per quelle immobiliari (Trib. Torre Annunziata 13 febbraio 2001, Giur. nap., 2002, 153). La soluzione qui condivisa è invece sostenuta da Trib. Lanusei, 4 gennaio 2001. Altra questione attiene all'individuazione del giudice territorialmente competente ad autorizzare la vendita. Nonostante la norma menzioni il giudice del luogo dell'aperta successione, ossia l'ultimo domicilio del defunto ai sensi dell'art. 456 c.c., si è da taluni sostenuto che, per i mobili, sarebbe altresì competente il giudice del luogo dove i beni si trovano, in ragione dell'intrinseca urgenza del provvedimento (Natoli, 188). In contrario si è osservato che la norma in esame non contiene una riserva analoga a quella prevista per l'apposizione dei sigilli, in caso di urgenza, dall'art. 752 (Di Marzio, 6). Ambito di applicazione del procedimento di autorizzazioneLe disposizioni dettate dagli art. 747 ss. «presuppongono la conoscenza del diritto sostanziale al quale sono collegate» (Satta, 1971, 59). L'esatta nozione di beni ereditari sulla quale l'art. 747 è fondato, dunque, va fissata in riferimento alla disciplina sostanziale implicitamente richiamata dalla disposizione. In proposito, si è chiarito che sono beni ereditari, ai fini dell'applicazione dell'art. 747, non già tutti beni acquistati per successione ereditaria, bensì solo quelli soggetti ad una particolare disciplina inerente all'amministrazione o all'alienazione, perché non appartengono ancora al chiamato alla successione, o che, pur appartenendo già all'erede, costituiscono un patrimonio separato dagli altri suoi beni in vista della soddisfazione di particolari interessi di altri soggetti (Jannuzzi, 339). Nell'individuare la disciplina sostanziale cui l'art. 747 si riferisce — quindi — si è detto che essa sarebbe quella prevista dall'art. 493 c.c., posto in tema di vendita compiuta dall'erede beneficiato nel quadro della liquidazione delle attività ereditarie effettuata in vista del pagamento dei creditori ereditari e dei legatari (D'Onofrio, 402). Una specifica ipotesi di autorizzazione è prevista dalla stessa norma in commento che al comma 4 menziona la vendita dell'oggetto di un legato di specie, nel qual caso il ricorso dev'essere notificato al legatario. Ciò perché, secondo l'art. 499, comma 2, c.c., i creditori, nella formazione dello stato di graduazione, sono preferiti ai legatari, sicché non può accadere che un legatario conservi il legato ed un creditore rimanga in conseguenza di ciò insoddisfatto (v. Cass. n. 398/1945). Trova inoltre applicazione l'art.747 anche nelle seguenti ipotesi: i) chiamato all'eredità che, prima dell'accettazione, voglia farsi autorizzare, ai sensi dell'art. 460 c.c., a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio; ii) erede beneficiato che, ai sensi dell'art. 486 c.c., attraverso il rinvio all'art. 460 c.c., intenda vendere in pendenza del termine per erigere l'inventario; iii) curatore dell'eredità giacente che intenda procedere alle vendite di cui all'art. 529 c.c., attraverso l'implicito rinvio all'art. 747 dell'art. 783; iv) istituzione condizionale e istituzione dei nascituri, ex art. 644 c.c.; v) alienazione dei beni oggetto di sostituzione fedecommissaria, ex art. 694 c.c.; vi) esecutore testamentario che, ai sensi dell'art. 703, comma 4, c.c., nel procedere alla vendita dei beni ereditari deve adire l'autorità giudiziaria in applicazione della norma in commento; vii) vendita dei beni per il pagamento dei debiti ereditari ai sensi dell'art. 719 c.c. La necessità del ricorso all'applicazione dell'art. 747, invece, viene meno dal momento che i beni ereditari perdono tale loro natura, dunque per l'accettazione pura e semplice da parte del chiamato, o per essere venuta meno la situazione che determina la curatela speciale, o per decadenza dell'erede dal beneficio di inventario, o per il compimento della liquidazione singolare o concorsuale, ovvero per la nascita del concepturus o per la certezza che non potrà verificarsi, o per la cessazione delle funzioni da parte dell'esecutore testamentario, ecc. (Jannuzzi, 340). Gli atti soggetti ad autorizzazioneNel discutere dell'ambito di applicazione dell'art. 747 occorre chiedersi a quali atti (che possano avere ad oggetto sia beni immobili che beni mobili, come si desume a contrario dall'art. 493, comma 2., c.c.) la norma intenda riferirsi. La dottrina è concorde nell'osservare che la nozione di alienazione utilizzata dal legislatore è più ampia di quella di vendita e comprende anche la permuta, la rinuncia traslativa, la costituzione di servitù o di altri diritti reali. (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 1977, 464; Prestipino, 306; Ferri, in Comm. S. B., 1997, 389). Nel concetto di alienazione di beni ereditari non è compreso il caso di alienazione dell'intero asse o di una quota di esso (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 1977, 465). Si discute se tra le alienazioni di cui all'art. 493 c.c. debba annoverarsi anche la divisione ereditaria. Quest'ultima — si osserva da alcuni — ha natura dichiarativa e non traslativa della proprietà, sicché non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 493 c.c. (App. Torino 20 gennaio 1995). Nello stesso senso in dottrina, v. Prestipino, 309; Ferri, in Comm. S. B., 1997, 390. Da altri si replica che la natura dichiarativa della divisione è discussa e che, comunque — questo sembra essere il punto decisivo —, la divisione comporta una modificazione strutturale del patrimonio ereditario, che rende indispensabile l'autorizzazione, richiesta per gli atti di amministrazione straordinaria in genere (Pret. Pontassieve 19 febbraio 1981, Giur. mer., 1981, I, 879; Trib. Torino 31 marzo 1992, Riv. not., 1995, 298). Secondo la S.C. l'esigenza di tutela che presiede all'applicazione dell'art. 747 sussiste in tutti i casi in cui il procedimento dell'acquisto iure hereditario non si sia ancora perfezionato e l'autorizzazione riguardi atti di straordinaria amministrazione che possono, direttamente o indirettamente, incidere sulla proprietà dei beni immobili ereditari, rendendo necessaria una valutazione d'interessi diversi da quelli del minore. Pertanto deve ritenersi, in relazione a detta esigenza di tutela che costituisce la ratio dell'art. 747, che la competenza del tribunale a rilasciare l'autorizzazione da esso prevista riguardi, finché il procedimento dell'acquisto non sia concluso, non solo gli atti di «vendita» in senso stretto di beni immobili ereditari ma, in correlazione con la ratio sopra indicata, tutti gli atti di straordinaria amministrazione che possano incidere, direttamente o indirettamente, sulla proprietà di tali beni, ivi compresa l'autorizzazione al minore a promuovere azione di divisione. Infatti l'esperimento di tale azione è idonea ad incidere sulla proprietà di beni ereditari e se ne deve, pertanto, valutare l'opportunità anche in relazione ad interessi diversi da quelli del minore, tenendo conto della sua compatibilità con lo stato della procedura e con le passività ereditarie esistenti (Cass. n. 2994/1997). Oltre agli atti di alienazione, l'art. 493 c.c. contempla espressamente la costituzione di pegno ed ipoteca su beni ereditari. Quanto alle transazioni, la dottrina ricorda che il codice abrogato prevedeva che le transazioni fossero successivamente approvate dal giudice, sicché il codice vigente ha meglio armonizzato la disciplina della materia. In argomento, poi, si aggiunge che sarebbero sottratte all'art. 493 c.c. le transazioni tra coeredi riguardanti il loro diritto alla successione, sul rilievo che esse non potrebbero pregiudicare i creditori ereditari e i legatari (Ferri, in Comm. S. B., 1997, 390). L'alienazione di beni ereditari da parte di minori in potestate. Amministrazione di sostegnoDottrina e giurisprudenza sono state a lungo impegnate a risolvere l'apparente antinomia tra l'art. 747, ora in esame, e l'art. 320 c.c., sia nella sua formulazione antecedente che in quella successiva alla riforma del diritto di famiglia. Difatti, tanto l'una che l'altra disposizione — artt. 747 e 320 — sembrano regolare la medesima ipotesi dell'alienazione di beni ereditari da parte di minori in potestate. In particolare, l'art. 747, dopo avere al comma 1 stabilito che l'autorizzazione a vendere beni ereditari si chiede con ricorso diretto al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, prosegue affermando, al comma 2, che, nel caso i beni appartengano a incapaci, deve essere sentito il giudice tutelare. Sicché, l'alienazione dei beni ereditari appartenenti ad incapaci — quindi anche a minori soggetti alla potestà genitoriale — va, secondo l'art. 747, autorizzata dal tribunale, previo parere del giudice tutelare. Diversamente, l'art. 320 c.c. fa riferimento all'autorizzazione del giudice tutelare. Le Sezioni unite hanno in proposito chiarito che, anche dopo la riforma del diritto di famiglia, la competenza ad autorizzare la vendita di beni immobili ereditari del minore soggetto alla potestà dei genitori appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del minore, a norma del comma 3 dell'art. 320 c.c., unicamente per i beni che, provenendo da una successione ereditaria, si possano considerare acquisiti definitivamente al patrimonio del minore; l'autorizzazione spetta invece — sentito il giudice tutelare — al tribunale del luogo dell'apertura della successione, in virtù dell'art. 747, comma 1, tutte le volte in cui il procedimento dell'acquisto iure hereditario non si sia ancora esaurito, come quando sia pendente la procedura di accettazione con il beneficio dell'inventario, e ciò sia perché in tal caso l'indagine del giudice non è limitata alla tutela del minore, alla quale soltanto e circoscritta dall'art. 320 cit., ma si estende a quella degli altri soggetti interessati alla liquidazione dell'eredità, sia perché altrimenti si determinerebbe una disparità di trattamento tra minori in potestate e minori sotto tutela, sotto il profilo della diversa competenza a provvedere in detta ipotesi per i primi (giudice tutelare, ai sensi dell'art. 320 c.c.) e per i secondi (tribunale quale giudice delle successioni, in base all'art. 747) (Cass. S.U., n. 1593/1981; la giurisprudenza successiva si è uniformata). È stato ribadito che la competenza ad autorizzare la vendita di immobili ereditati dal minore soggetto alla potestà dei genitori appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del primo, a norma dell'art. 320, comma 3, c.c., unicamente per quei beni che, provenendo da una successione ereditaria, si possono considerare acquisiti al suo patrimonio. Ne consegue che, ai sensi del primo comma dell'art. 747, la competenza spetta, sentito il giudice tutelare, al tribunale del luogo di apertura della successione, ove il procedimento dell'acquisto iure hereditario non si sia ancora esaurito per essere pendente la procedura di accettazione con beneficio di inventario, in quanto, in tale ipotesi, l'indagine del giudice non è circoscritta soltanto alla tutela del minore, ai sensi dell'art. 320 c.c., ma si estende a quella degli altri soggetti interessati alla liquidazione dell'eredità, così evitandosi una disparità di trattamento fra minori in potestate e minori sotto tutela, con riguardo alla diversa competenza a provvedere per i primi (giudice tutelare ai sensi dell'art. 320 c.c.) e i secondi (tribunale quale giudice delle successioni, in base all'art. 747) (Cass. n. 13520/2012). Regole non dissimili si applicano nel caso di vendita di beni ereditari da parte della persona dotata di amministrazione di sostegno (Trib. Modena, 5 settembre 2007). Stabilite le regole da utilizzare per discernere l'ambito di applicazione dell'una e dell'altra norma fin qui considerate, occorre soffermarsi sulle ipotesi normative in cui il conflitto tra l'art. 747 e l'art. 320 c.c. può presentarsi. L'ipotesi tipica è quella dell'eredità accettata dal minore con beneficio di inventario, in osservanza dell'obbligo sancito dall'art. 471 c.c. Va in proposito rammentato che, in caso di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, la vendita di un bene ereditario, ai sensi dell'art. 747, ed il reinvestimento del denaro così ricavato, non rendono il bene stesso impignorabile da parte dei creditori del de cuius, i quali ben potranno, pertanto, sottoporlo ad esecuzione e rivalersi sul ricavato, nei limiti del valore del bene, ove l'erede, proponendo la relativa eccezione, faccia valere il beneficio (Cass. n. 13206/2012). Altra ipotesi è quella dell'istituzione di erede sotto condizione risolutiva del figlio minore. In questo caso l'eredità è accettata dal minore con beneficio di inventario e i beni gli appartengono in virtù dell'accettazione, sicché l'istanza dei genitori per la vendita è regolata dall'art. 747, anche per quanto attiene alla necessità del parere del giudice tutelare. Una situazione analoga si verifica in caso di concorso della istituzione di un erede minore e della nomina di un esecutore testamentario, che deve munirsi dell'autorizzazione di cui al combinato disposto degli artt. 703 c.c. e 747 e, appartenendo i beni ad un minore, deve acquisire il previo parere del giudice tutelare. In caso di istituzione di un erede minore con un testamento recante una sostituzione fedecommissaria, a seguito dell'accettazione beneficiata, l'alienazione di beni che formano oggetto della sostituzione, ex art. 694 c.c., postula l'applicazione dell'art. 747, previo parere del giudice tutelare. Vi sono, poi, altri casi in cui il conflitto tra l'art. 747 e l'art. 320 è escluso, nonostante i beni caduti in successione conservano la natura di beni ereditari. Nell'amministrazione del chiamato, ex art. 460 c.c., non può venire in questione né l'art. 747, comma 2, c.c., né l'art. 320 c.c., neppure se il chiamato sia un minore e l'amministrazione sia posta in essere dai genitori, dal momento che la prima norma si riferisce ai beni appartenenti all'incapace e la seconda ai beni pervenuti al figlio, e tali certamente non sono quelli non ancora accettati. Allo stesso modo, se vi è un curatore dell'eredità giacente, non possono esservi, evidentemente, beni allo stato appartenenti o pervenuti ad un minore. Analogamente quanto alle amministrazioni in caso di istituzione condizionale o di istituzione di nascituri, ex artt. 641 e 643 c.c., cui si applicano le regole della curatela dell'eredità giacente, ex art. 644 c.c. Riveste particolare rilievo pratico, nella delimitazione del rispettivo ambito di applicazione degli artt. 747 e 320 c.c., l'individuazione del momento in cui la procedura di eredità beneficiata cessa e, dunque, essendovi un erede minore, va applicata non più la prima, ma la seconda delle disposizioni in esame. Due casi sono semplici da risolvere. Ai sensi dell'art. 493 c.c. — norma sostanziale di cui l'art. 747 è in questo caso il riflesso procedurale — l'autorizzazione giudiziaria alla vendita non è necessaria dopo il decorso di cinque anni dalla dichiarazione di accettazione beneficiata, per i mobili. Spirato il termine, dunque, si applica l'art. 320 c.c. e non più l'art. 747. Allo stesso modo, se l'erede beneficiato minore abbia prescelto o sia stato spinto a dar luogo alla liquidazione concorsuale dell'eredità, ex artt. 498 ss. c.c., la procedura beneficiata cessa con l'esecuzione dello stato di graduazione, nei termini previsti dall'art. 502 c.c. La difficoltà, invece, si incontra nell'ipotesi che l'erede beneficiato abbia scelto la strada della liquidazione individuale. In questo caso non c'è dubbio che l'accettazione con beneficio d'inventario e la redazione dell'inventario non esauriscono il procedimento liquidatorio, nel quale sono coinvolti i creditori i cui interessi non potrebbero essere adeguatamente apprezzati dal giudice tutelare (Cass. n. 8177/1996). Come si sa, dunque, la legge non pone un limite temporale alla durata della procedura, né prevede una scadenza entro la quale i creditori e legatari debbano far valere i loro diritti. Si può dire, dunque, che la liquidazione individuale viene fisiologicamente meno solo per due ragioni: o perché sono state soddisfatte tutte le passività ereditarie, o perché sono state esaurite le attività con cui estinguerle. Oltre a ciò può ipotizzarsi il venir meno della liquidazione per effetto dell'estinzione dei crediti da soddisfare in conseguenza del maturare del termine di prescrizione applicabile: pur con tutte le difficoltà che discendono sia dal regime processuale dell'eccezione di prescrizione, sia dalla difficoltà di stabilire il termine di scadenza dell'obbligazione contratta dal de cuius e la sussistenza di eventuali cause di interruzione o sospensione. Non interessano, invece, in questa sede, le cause per così dire patologiche di cessazione della procedura, ossia la decadenza dal beneficio di inventario e la rinunzia ad esso, giacché né l'una, né l'altra si applicano ai minori. La mancanza della previsione di un termine palese di cessazione della liquidazione individuale assume poi, nel quadro dell'accettazione beneficiata del minore, aspetti peculiari. Difatti, la volontaria scelta dell'accettazione beneficiata dell'eredità da parte di un maggiore si giustifica, normalmente, con la probabile presenza di passività ereditarie eccedenti le attività. Ma l'accettazione beneficiata è imposta al minore dall'art. 471 c.c., sicché è ben possibile che essa conviva con un'eredità largamente attiva e, anzi, priva di passività ereditarie. Sorge, allora, il quesito se la procedura di liquidazione individuale debba considerarsi in corso quando non risultino debiti, o legati, o altri oneri in genere. Secondo la S.C., l'assenza di passività non determina il definitivo transito dei beni ereditari nel patrimonio del minore. Ciò il giudice di legittimità ha affermato in un caso in cui la madre esercente la potestà sui figli minori aveva chiesto al giudice tutelare l'autorizzazione a vendere gli immobili ad essi pervenuti in eredità, e questi aveva declinato la propria competenza a favore del tribunale, sicché quest'ultimo aveva sollevato conflitto di competenza ai sensi dell'art. 45 , ritenendo che sull'istanza dovesse invece provvedere il giudice adito, posto che l'acquisto dell'eredità da parte dei minori si era perfezionato con l'accettazione della eredità beneficiata, dal momento che non esistevano né passività, né legati. La Cassazione — sulla scia di Cass. n. 1770/1974, secondo cui l'esigenza dell'autorizzazione da parte del tribunale perdura finché permangono gli effetti di diritto sostanziale del beneficio di inventario — ha giudicato privo di pregio il rilievo del tribunale secondo cui l'assenza di debiti (e di legati) avrebbe determinato l'acquisto definitivo del patrimonio ereditario in capo ai minori, posto che l'esistenza di creditori del de cuius non può essere esclusa per il solo fatto che essi non si siano fatti ancora avanti nel momento in cui sia sorta la necessità della vendita di beni facenti parte dell'eredità. Pertanto, l'esigenza del controllo del giudice sulle alienazioni dei beni ereditari a tutela delle ragioni dei creditori ereditari, non può venir meno solo perché non siano ancora state avanzate pretese di adempimento di eventuali obbligazioni debitorie del de cuius, per far valere le quali nei confronti degli eredi non è posto dall'ordinamento alcun termine specifico per cui, mentre il maggiore di età può valutare la convenienza di alienare i beni senza l'autorizzazione decadendo dal beneficio d'inventario (art. 493 c.c.), i genitori del minore, al quale, ai sensi dell'art. 489 c.c., deve essere in ogni caso assicurato il diritto di non rispondere ultra vires, non possono essere dispensati dal richiedere la prescritta autorizzazione giudiziaria, che per i beni immobili deve essere proposta al tribunale del luogo dell'apertura della successione (Cass. n. 3715/1993). E successivamente è stato ribadito che solo in esito al detto procedimento liquidatorio i beni pervenuti al minore potranno essere definitivamente acquisiti al suo patrimonio al quale, per effetto dell'accettazione, appartengono solo in via provvisoria (Cass. n. 8177/1996). La soluzione non è pienamente persuasiva. Non è facile comprendere, infatti, al di là dell'astratta affermazione di principio, come, con quali cautele, il tribunale possa mai salvaguardare creditori e legatari di cui non risulta l'esistenza: se non ingessando la situazione patrimoniale dell'erede beneficiato minore fintanto che, divenuto maggiorenne, non alieni senza autorizzazione perdendo finalmente il beneficio. Non a caso, la dottrina giunge alla conclusione opposta, osservando che, quando l'eredità non è gravata da debiti o da legati, non v'è luogo all'esigenza di tutela dell'interesse di persone diverse da quelle del minore; e, quindi, non v'è ragione di far ricorso ad uno strumento legislativo predisposto per tale esigenza nell'art. 747, ma bisogna far capo allo schema specifico dettato per tutelare l'unico interesse del minore soggetto alla potestà dei genitori, che è quello indicato nell'art. 320 c.c. Alla stessa conclusione si perviene quando l'erede, procedendo alla liquidazione individuale dell'eredità, abbia soddisfatto l'interesse dei creditori e dei legatari a misura che si presentano, a norma dell'art. 495 c.c., salvi i diritti di priorità. In tal caso, se la liquidazione non importa l'esaurimento dei beni ereditari, non pare esatto mantenere il vincolo sulla parte residua a garanzia del soddisfacimento delle pretese di eventuali creditori e legatari che non si sono presentati (Jannuzzi, 1984, 352). A suffragio della tesi si è osservato che l'accettazione beneficiata è sottoposta ad un regime di pubblicità che la rende legalmente nota, sicché, a ritenere comunque applicabile l'art. 747, si finisce per riservare tutela a creditori e legatari che hanno negligentemente trascurato di presentarsi (Jannuzzi, 1984, 353). La soluzione più elastica raccoglie talvolta il favore della giurisprudenza di merito, la quale ha affermato che il bene pervenuto per successione mortis causa in favore di un minore deve essere considerato come definitivamente acquisito al suo patrimonio, con conseguente competenza del giudice tutelare ad autorizzarne la vendita, quando dall'inventario non risultino creditori o legatari e non risultino notificate opposizioni da parte di questi ultimi (Trib. Pistoia 24 maggio 2010). Viceversa, se si aderisce al punto di vista della Corte suprema, deve concludersi che la cessazione della procedura di eredità beneficiata ed il definitivo transito dei beni ereditari nel patrimonio del minore, in caso di liquidazione individuale, si verifica solo, pur con le difficoltà che si sono prima evidenziate, al decorso del termine ordinario di prescrizione decennale. Nel qual caso, troverà applicazione l'art. 747 fino alla scadenza del termine e l'art. 320 c.c. dopo di essa. Profili processualiL'autorizzazione di cui all'art. 747 si chiede con ricorso. Alla proposizione del ricorso si applicano le regole dettate dall'art. 737 (Sessa, 648). Nonostante la diversa prassi instaurata da taluni uffici giudiziari, non è richiesto il parere del pubblico ministero, che, tuttavia, è legittimato a reclamare contro il provvedimento (Pret. Napoli 14 settembre 1975, Vita not., 1978, I, 1154). Come si è già visto in precedenza, è necessario il parere del giudice tutelare nell'ipotesi di cui all'art. 747, comma 2. Il giudice pronuncia con decreto. Non è in generale prevista — ma non per questo è impedita — la fissazione di un'udienza per sentire le parti interessate. Occorre, tuttavia, tener sempre presente che la disposizione in esame regola dal punto di vista procedurale fattispecie che trovano altrove la loro disciplina sostanziale. Ad esempio, l'obbligo di sentire le parti, non prevista dall'art. 747, è però contemplata dall'art. 703 c.c., nel caso di vendita operata dall'esecutore testamentario. Ed inoltre, è lo stesso art. 747, come si è visto, a regolare un'ipotesi in cui gli interessati devono essere posti in condizione di interloquire: è il caso che la vendita riguardi l'oggetto di un legato di specie. Secondo l'art. 747, comma 3, contro il decreto è ammesso reclamo a norma dell'art. 739. Ebbene, l'art. 739, comma 1, prevede espressamente i reclami contro i decreti del giudice tutelare e del tribunale. Perciò è fuor di dubbio che i decreti riguardanti la vendita di beni immobili ereditari, pronunciati dal tribunale in composizione collegiale, debbano essere reclamati dinanzi alla corte d'appello. Il dubbio, invece, sorge per i reclami contro i decreti relativi alla vendita di beni mobili ereditari pronunciati dal tribunale in composizione monocratica, riguardo ai quali può in astratto prospettarsi sia una competenza del collegio, sia una competenza della corte d'appello. La S.C. n. pare ormai orientata a ritenere che «sulle impugnazioni dei decreti camerali del tribunale in composizione monocratica, di norma e in base alle regole generali sulle impugnazioni, deve pronunciarsi la corte d'appello, a seguito della novella del 1998» (Cass. n. 22153/2010). In materia successoria, in particolare, la S.C. n. ha ritenuto la competenza della corte d'appello in sede di reclamo contro i provvedimenti del tribunale in composizione monocratica con riguardo all'eredità giacente (Cass. n. 5274/2006). Il reclamo contro il decreto ex art. 747 del tribunale in composizione monocratica, dunque, secondo l'opinione che appare stabilizzata, va proposto alla corte d'appello. In tema di eredità con beneficio d'inventario, il decreto con cui il tribunale, accertata la difficoltà dei coeredi di completare la liquidazione, autorizzi la vendita concorsuale non è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, in quanto, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, tale decreto chiude un procedimento non contenzioso, privo di vero e proprio contraddittorio, senza statuire su dette posizioni in via decisoria e definitiva (Cass. n. 13820/2016). Effetti dell'inosservanza dell'art. 747Quanto agli effetti dell'inosservanza dell'art. 747, la giurisprudenza ha esaminato il caso che il minore abbia accettato l'eredità puramente e semplicemente, a mezzo dei genitori, e, nell'anno dal raggiungimento della maggiore età, non si sia conformato alle disposizioni in materia di accettazione beneficiata. Questo il responso: il minore che entro un anno dal raggiungimento della maggiore età non abbia accettato, con beneficio d'inventario, l'eredita già accettata dal padre di lui senza detto beneficio, non può dolersi che, nella vendita di beni appartenenti all'eredità, già compiuta dal padre in suo nome, non siano state osservate le forme previste dall'art. 747, e quelle, che ne costituiscono il presupposto, previste dall'art. 493 c.c. poiché tali norme sono dirette alla tutela dell'interesse dei creditori dell'eredità beneficiata, i quali hanno diritto a soddisfare i loro crediti sui beni eredi- tari con preferenza rispetto ai creditori personali dell'erede (Cass. n. 1051/1966). In senso diverso, si è affermato che la violazione dell'art. 747, dettato a prevalente tutela dell'interesse dei creditori e legatari dell'eredità, importa decadenza dal beneficio di inventario, ai sensi dell'art. 493 c.c., su istanza dei creditori e legatari stessi, se l'alienazione non autorizzata dei beni ereditari sia stata posta in essere dall'erede capace. Qualora, invece, l'erede alienante sia un incapace e non abbia ottenuto l'autorizzazione prevista nel secondo comma del predetto art. 747, l'alienazione non autorizzata può essere impugnata tanto dai creditori e legatari dell'eredità, affinché il bene alienato non venga sottratto all'asse ereditario e possa costituire oggetto di soddisfacimento delle loro ragioni, quanto dallo stesso incapace, poiché la norma anzidetta e preordinata anche a sua protezione. Tuttavia, quando l'alienazione stessa venga autorizzata dal giudice tutelare ai sensi dell'art. 320 c.c., che realizza il massimo di tutela degli interessi dei minori, l'impugnativa e riservata soltanto ai creditori e legatari (Cass. n. 337/1967). Analogamente, si è ripetuto che gli atti di disposizione compiuti dal minore, o in suo nome, in ordine a beni ereditari, senza l'osservanza delle norme poste a tutela degli incapaci, non sono nulli, ma semplicemente annullabili, sia a istanza dello stesso minore, sia ad istanza dei creditori e legatari dell'eredità, trattandosi di norme dettate anche a tutela dell'interesse di questi ultimi, affinché il bene alienato non venga sottratto all'asse ereditario, e possa costituire oggetto di soddisfacimento delle loro ragioni (Cass. n. 2566/1970). Una particolare applicazione del principio si trova affermata in materia di usucapione. Si è ribadito che la vendita di un bene immobile ereditario compiuta da un minore senza l'autorizzazione del tribunale costituisce un atto annullabile e si è aggiunto che, di conseguenza, la mancata impugnazione dell'atto dispositivo da parte di coloro nell'interesse del quale l'autorizzazione e prescritta (creditori dell'eredità, legatori e, eventualmente, l'erede incapace) fa si che l'atto stesso resti operante e costituisca titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà, invocabile dall'acquirente per far valere l'usucapione decennale (Cass. n. 3255/1971). Altra applicazione meritevole di essere ricordata riguarda il preliminare di vendita di un immobile pervenuto in eredità ad un minore, stipulato dal genitore senza la previa autorizzazione del tribunale prescritta dall'art. 747. Un simile atto — ha anche in questo caso ripetuto la Corte di cassazione — non è inesistente o nullo bensì solo annullabile, salvo che le parti nella legittima esplicazione della loro autonomia negoziale abbiano subordinato la validità, come l'esecuzione del contratto stesso, con riguardo al termine per la stipulazione del contratto definitivo, al previo intervento della autorizzazione (Cass. n. 1262/1987). L'opposta opinione, però, è stata talvolta raggiunta dalla dottrina, che, nell'esaminare la medesima questione, ha sostenuto essere l'autorizzazione presupposto di validità dell'atto e della legittimazione del soggetto, sicché la stipulazione di un preliminare di vendita di bene appartenente a minore senza la prescritta autorizzazione provocherebbe la nullità dell'atto. Altro caso particolare di inosservanza dell'art. 747 è consistito nell'alienazione di un bene, da parte del curatore dei beni ceduti ai creditori e legatari, a persona diversa da quella indicata nel provvedimento autorizzativo. Secondo la S.C., con la cessione dei beni ai creditori, gli eredi beneficiati, pur non perdendo la proprietà dei beni stessi, ne perdono, tuttavia, la disponibilità, ed al curatore, nominato dal giudice, viene attribuita ogni facoltà di amministrazione del patrimonio con lo scopo di soddisfare i creditori, per poi restituire agli eredi medesimi le eventuali attività residuate. Nell'adempimento di tale incarico il curatore deve, come è noto, richiedere all'autorità giudiziaria le necessarie autorizzazioni per la vendita dei beni, avendo l'obbligo di liquidare il patrimonio ereditario nell'interesse e dei creditori e degli stessi eredi beneficiati, dei quali ultimi, in pratica, diviene rappresentante ex lege. Ora, l'autorizzazione è preordinata al solo scopo di valutare la necessità o la utilità e convenienza della vendita di guisa che, una volta accordata perché sono stati ritenuti dal giudice sussistere i predetti requisiti, nessuna rilevanza può avere sulla validità della detta vendita la circostanza che la stessa sia stata o meno effettuata in favore delle persone indicate nel provvedimento autorizzativo, non subendo da tale violazione gli alienanti alcun danno (Cass. n. 4469/1993). 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