Codice di Procedura Civile art. 750 - Provvedimenti del presidente del tribunale relativi alle cauzioni e agli esecutori testamentari.

Mauro Di Marzio

Provvedimenti del presidente del tribunale relativi alle cauzioni e agli esecutori testamentari.

[I]. L'istanza per l'imposizione di una cauzione a carico dell'erede o del legatario, nei casi previsti dalla legge [492, 515, 639, 640, 647 2 c.c.], è proposta, quando non vi è giudizio pendente, con ricorso [125] al presidente del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione [456 c.c.].

[II]. Il presidente fissa con decreto l'udienza di comparizione del ricorrente e dell'erede o legatario davanti a sé e stabilisce il termine entro il quale il ricorso e il decreto debbono essere loro notificati.

[III]. Il presidente stabilisce le modalità e l'ammontare della cauzione [119; 86 att.] con ordinanza [134], contro la quale è ammesso reclamo al presidente della corte d'appello a norma dell'articolo 739. Il presidente della corte d'appello provvede con ordinanza non impugnabile, previa audizione degli interessati a norma del comma precedente.

[IV]. Le stesse forme si osservano nei casi previsti negli articoli 708 e 710 del codice civile, relativamente agli esecutori testamentari [700 ss. c.c.]1.

[1] Comma modificato dal r.d. 20 aprile 1942, n. 504.

Inquadramento

La norma in commento disciplina, sul piano processuale, taluni istituti propri del diritto sostanziale che merita trattare singolarmente nei paragrafi successivi. Il procedimento è inoltre richiamato dall'art. 81 disp. att. c.c. con riguardo all'applicazione degli artt. 1286, comma 3, e 1287, comma 3, c.c. relativi alle obbligazioni alternative. Sulla natura del procedimento, in generale, è stato detto che esso appartiene al campo della volontaria giurisdizione (App. Cagliari 31 maggio 1948, Foro sardo, 1949, 61).

Il ricorso ha il contenuto di cui all'art. 125 e contiene l'esposizione dei motivi per i quali l'istante teme pregiudizio per le proprie ragioni (Di Marzio e Thellung De Courtelary, 532). A seguito della presentazione del ricorso, il presidente del tribunale fissa con decreto l'udienza davanti a sé nella quale dovranno comparire il ricorrente e l'erede o il legatario, stabilendo il termine entro il quale il ricorso ed il decreto devono essere notificati agli interessati. Il provvedimento conclusivo assume la veste di ordinanza.

Contro tale provvedimento può essere interposto reclamo al presidente della corte d'appello ai sensi dell'art. 739, entro il termine di 10 giorni decorrenti (non dalla comunicazione a mezzo della cancelleria, ma) dalla notificazione del provvedimento a cura dell'interessato. Vale infatti la regola secondo cui, nei procedimenti camerali che si svolgono in confronto di più parti, la notificazione del provvedimento che abbia definito il relativo procedimento è idonea a far decorrere il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo solo se effettuata ad istanza di parte, così come previsto nell'art. 739, comma 2, e non anche quando sia stata eseguita a ministero del cancelliere del giudice a quo o su istanza del predetto ausiliare (p. es. Cass. n. 1462/2010).

L'ordinanza resa ai sensi dell'art. 750 dal presidente della corte d'appello, in sede di reclamo avverso analoga pronuncia del presidente del tribunale in tema di provvedimenti impositivi di cauzione a carico dell'erede o del legatario, non è ricorribile in cassazione ex art. 111 cost., stante la sua espressa qualificazione come non impugnabile ed in quanto la stessa, emessa all'esito di un procedimento di volontaria giurisdizione, non incide in modo diretto e definitivo su situazioni di diritto soggettivo, essendo strumentale alla tutela di esse e suscettibile di revoca o modifica, a differenza della diversa pronuncia, resa con la medesima ordinanza, attinente alle spese del procedimento (Cass. n. 18459/2007).

Successivamente  è stato è stato giudicato inammissibile il ricorso ordinario per cassazione avverso l'ordinanza resa in sede di reclamo contro un provvedimento relativo ad esecutore testamentario, in quanto, trattandosi di pronuncia non impugnabile ai sensi dell'art. 750, commi 3 e 4,  l'unico rimedio esperibile è il ricorso straordinario exart. 111 Cost. (Cass. n. 26473/2013): sempre che, naturalmente, ne ricorrano i presupposti.È stato quindi ribadito che, in tema di esonero dell'esecutore testamentario dal suo ufficio, in considerazione dell'espresso richiamo all'art. 710 c.c. contenuto nell'art. 750, u.c., il provvedimento del presidente del tribunale è reclamabile davanti al presidente della corte d'appello e la decisione assunta da quest'ultimo non è impugnabile in cassazione con ricorso straordinario ex art. 111 Cost. (Cass. n. 24218/2018).

Né rileva in senso contrario la denuncia di un vizio di giurisdizione o competenza, posto che la pronuncia sull'osservanza delle norme che regolano il processo mutua la natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, pertanto, non può aver autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell'atto sia privo (Cass. S.U., n. 10107/2021).

Quanto alla impugnabilità delle ordinanze del presidente del tribunale dinanzi al presidente della corte d'appello, è stato affermato che dall'art. 750, che non è espressione di una regola generale ma si riferisce a situazioni ed interessi particolari, non può essere desunta la generale reclamabilità dei decreti del presidente del tribunale, in assenza di specifiche disposizione di legge, dinanzi al presidente della corte d'appello (App. Roma 24 febbraio 1987, Giur. mer., 1987, 575).

Casistica

Nell'affidare all'erede beneficiato l'amministrazione del patrimonio ereditario accettato con beneficio di inventario, il legislatore ha riconosciuto ai creditori e legatari uno strumento di tutela contro il pericolo di dispersione dei beni mobili caduti in successione, previsto dall'art. 492 c.c. È escluso, nulla disponendo la norma in proposito, che la garanzia debba riguardare gli immobili. Creditori e legatari possono avvalersi anche degli strumenti cautelari ordinari, ed in particolare, sussistendone i presupposti, del sequestro conservativo (Cass. n. 1461/1962). La garanzia, alla luce della formulazione letterale della norma — secondo la quale l'erede « deve dare idonea garanzia » — non potrebbe essere negata neppure nel caso che apparisse superflua per mancanza del pericolo di perdere la garanzia del credito. E, tuttavia, si riconosce che della misura non avrebbero titolo ad avvalersi, per carenza di interesse, i creditori già muniti di adeguata garanzia reale. Inoltre, un sicuro limite alla discrezionalità del giudice è costituito dal valore dei beni, valore che, nell'imporre la garanzia, non può essere sopravanzato. Nel silenzio della legge, che parla genericamente di garanzia, si ritiene che questa possa consistere in una cauzione, fideiussione o garanzia reale e che la scelta spetti all'onerato, ex art. 1179 c.c., competendo al giudice stabilire se sia adeguata. E, per quanto attiene alla prestazione della garanzia, occorre aggiungere che essa non può gravare sul patrimonio ereditario, il che altererebbe i rapporti tra i creditori. Deve trattarsi, perciò, di una garanzia reale su beni personali dell'erede beneficiato, ovvero di una garanzia personale data dall'erede beneficiato. La garanzia, inoltre, ha efficacia soltanto in favore di coloro i quali l'abbiano chiesta, non essendovi motivo di costituire garanzie in favore degli altri creditori e legatari che siano rimasti inattivi, fidandosi dell'erede.

Quanto all'ipotesi prevista dall'art. 639 c.c., posto in tema di garanzia in caso di condizione risolutiva, la norma, parlando genericamente di « disposizione testamentaria », si riferisce sia alla istituzione di erede che al legato, come si desume, del resto, dal riferimento all'erede o legatario, quali soggetti passivi dell'imposizione. Altrettanto chiara è la ratio della norma, che va ravvisata nel timore che la condotta del primo istituito, attraverso atti di disposizione o di cattiva gestione, possa pregiudicare la persona chiamata alla successione in caso di avveramento della condizione. In proposito, occorre rammentare che colui il quale ha un diritto subordinato a condizione sospensiva o risolutiva può disporne in pendenza di questa, ai sensi dell'art. 1357 c.c. Gli effetti di ogni atto di disposizione sono però subordinati alla condizione. Il verificarsi della condizione, cioè, travolge gli atti di disposizione compiuti nel periodo di pendenza. Verificatasi la condizione risolutiva, dunque, l'erede primo istituito perde la sua qualità, e si considera come se non fosse stato mai tale, né proprietario dei beni ereditari, ed assume ex tunc la veste di possessore e amministratore di essi. Vengono travolti, pertanto, gli atti di disposizione compiuti, salvo quelli che avrebbe potuto porre in essere nella qualità di amministratore. Su tali considerazioni, gli atti di disposizione in pendenza della condizione risolutiva potrebbero apparire inidonei a recare pregiudizio a coloro ai quali l'eredità o il legato spetta nel caso che la condizione venga ad esistenza. Ciò, però, accade soltanto riguardo ai beni immobili ed ai mobili registrati, per i quali opera l'art. 2660, comma 2, n. 6, c.c., secondo cui la nota di trascrizione degli acquisti a causa di morte deve indicare la condizione apposta alla disposizione testamentaria. Per gli atti di disposizione di beni mobili, invece, opera l'art. 1153 c.c., che salvaguarda il terzo acquirente di buona fede. In questo caso, l'erede o il legatario divenuti tali per effetto dell'avverarsi della condizione, non potendo conseguire il bene dal terzo acquirente, avrebbero esclusivamente azione nei confronti dell'alienante per il pagamento del tantundem e, dunque, potrebbero rimanere pregiudicati dall'atto di disposizione. Non v'è dubbio, poi, che l'istituito e il legatario sub condicione potrebbero essere pregiudicati dalla cattiva amministrazione del primo istituito, sia a causa dell'impoverimento dei beni amministrati, sia a causa della mancata produzione di frutti. In queste situazioni opera il citato art. 639 c.c. Quanto alle modalità di attuazione, si deve rammentare l'art. 119, secondo cui il giudice, nel provvedimento con il quale impone una cauzione, deve indicare l'oggetto di essa, il modo di prestarla e il termine entro il quale la prestazione deve avvenire. E l'art. 86 disp. att., poi, salvo che sia diversamente disposto dal giudice, dispone che la cauzione deve essere prestata in danaro o in titoli del debito pubblico nei modi stabiliti per i depositi giudiziari. È opinione diffusa, inoltre, che la cauzione, oltre che nel versamento di una somma in denaro o in titoli, possa anche consistere nella prestazione di una garanzia reale (pegno o ipoteca) ovvero personale (fideiussione).

Altra ipotesi che viene in questione è quella del legato sottoposto a condizione sospensiva o a termine iniziale ovvero a termine finale, ex art. 640 c.c. Quanto alle spese per l'imposizione della cauzione è stato chiarito che nel caso di legato sottoposto a condizione sospensiva o a termine le spese anticipate dal legatario per la costituzione della garanzia che, ai sensi dell'art. 640 c.c. egli può pretendere dall'onerato, costringendolo a fornirla in caso di necessità, devono essere da quest'ultimo rimborsate, alla stregua del principio generale secondo cui le spese anticipate dal creditore, per garantire il proprio credito sono a carico del debitore (Cass. n. 3708/1997). La giurisprudenza ha escluso, in un caso di legato sottoposto a condizione risolutiva, che l'imposizione di idonea garanzia possa consistere nella privazione della disponibilità del bene stesso (Cass. n. 554/1961).

L'art. 700, comma 1, c.c. prevede che il testatore possa nominare più esecutori testamentari. L'art. 700, comma 2, c.c. si sofferma su questa ipotesi e fissa il principio che essi devono agire congiuntamente. Può darsi il caso, però, che vi sia disaccordo tra gli esecutori, ed allora, per dirimere il contrasto, deve farsi applicazione dell'art. 750. L'art. 710 c.c., poi, prevede la possibilità dell'esonero dell'esecutore testamentario dall'ufficio, su istanza di ogni interessato, in caso di gravi irregolarità nell'adempimento dei suoi obblighi, inidoneità all'ufficio o menomazione della fiducia. Sottolineata la scarsa definizione dei contorni delle tre distinte cause di esonero, si è osservato che, in definitiva, le prime due si risolvono nella terza, in quanto determinano una menomazione della fiducia nell'esecutore. L'esonero può essere richiesto da chiunque vi abbia interesse. Legittimati a chiedere l'esonero, dunque, sono tutti coloro che, dall'operato dell'esecutore testamentario, potrebbero subire un pregiudizio economico. In particolare è stato in proposito affermato che il chiamato alla successione che non rappresenti i minori non ha interesse a chiedere la decadenza dell'esecutore testamentario dall'ufficio per non aver promosso l'apposizione dei sigilli per la presenza di minori fra i chiamati alla successione (Cass. n. 3759/1955). È, invece, da escludere che l'azione di esonero possa essere proposta dal pubblico ministero, sulla base del riconoscimento di un rilievo pubblicistico dell'esecuzione testamentaria che è corretto escludere. Neppure può essere condivisa la tesi che l'esecutore potrebbe essere esonerato sull'accordo di tutti gli interessati, apparendo agevole controbattere che l'esecutore testamentario è imposto agli interessati dalla volontà del testatore, che essi non possono disattendere. In caso di pendenza del giudizio ordinario di accertamento dell'adempimento dei legati è stato affermato che non debba procedersi alla sospensione del procedimento ex art. 750. In particolare, poiché i compiti dell'esecutore testamentario non si limitano all'esecuzione dei legati, ma comprendono l'adempimento dei debiti: pertanto, il procedimento iniziato a norma dell'art. 750 per l'esonero dell'esecutore testamentario, non può sospendersi fino all'esito del giudizio ordinario promosso dall'erede allo scopo di accertare se siano stati soddisfatti i legatari (App. Brescia 13 settembre 1953, Foro pad., 1953, I, 1036). Il provvedimento di esonero dell'esecutore testamentario, assunto, in considerazione dell'espresso richiamo all'art. 710 c.c. contenuto nell'art. 750 dal presidente del tribunale con ordinanza reclamabile davanti al presidente della corte d'appello, non ulteriormente è ricorribile in cassazione, in conformità alla previsione specifica dell'art. 750 ed alla regola generale di cui all'art. 739 (Cass. n. 1764/2008).

Bibliografia

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