Codice di Procedura Civile art. 789 - Progetto di divisione e contestazioni su di esso.Progetto di divisione e contestazioni su di esso. [I]. Il giudice istruttore predispone un progetto di divisione [194 att.] [che deposita in cancelleria] e fissa con decreto [135] l'udienza di discussione del progetto, ordinando la comparizione dei condividenti e dei creditori intervenuti [784; 1113 3 c.c.]1. [II]. Il decreto è comunicato [136] alle parti. [III]. Se non sorgono contestazioni, il giudice istruttore, con ordinanza non impugnabile [177 3 n. 2], dichiara esecutivo il progetto, altrimenti provvede a norma dell'articolo 187. [IV]. In ogni caso il giudice istruttore dà con ordinanza le disposizioni necessarie per l'estrazione a sorte dei lotti [195 att.; 729 c.c.]. [1] Comma modificato dall'art. 3, comma 8, lett. r) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che ha soppresso le parole «che deposita in cancelleria»; ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. Inquadramento.Gli artt. 784 e ss. configurano il giudizio di scioglimento delle comunioni come finalizzato non all'accertamento di diritti, quanto all'individuazione del miglior modo per dividere il patrimonio comune, rendendo soltanto eventuale la pronuncia di sentenze ove si verifichino contestazioni. L’ordinanza ex art. 789L'art. 785, per il caso in cui non sorgano contestazioni sul diritto a dividere, e l'art. 789, per il caso in cui non sorgano contestazioni sul progetto di divisione, prevedono una definizione del procedimento mediante ordinanza. La presenza di una contestazione, seppure limitata alla misura del conguaglio e in quanto non recepita dai compartecipi, impedisce per ciò solo e indipendentemente da qualsiasi altra considerazione sul merito di definire il giudizio divisorio con ordinanza, richiedendosi la pronunzia della sentenza ai sensi dell'art. 789, comma 3, atteso che i conguagli non hanno alcuna autonomia dalla divisione, rappresentando il riflesso della ripartizione prefigurata con il progetto, cosicché non è possibile contestarli senza contemporaneamente contestare il progetto divisionale nel suo complesso (Cass. II, n. 19947/2024; Cass. VI-2, n. 1495/2023). In tali fattispecie la non contestazione diventa un espediente processuale di cui l'ordinamento si serve, in alternativa all'ordinaria completa istruzione probatoria sui fatti allegati, per conseguire in modo più veloce ed economico l'accertamento giudiziale del diritto alla divisione e l'attribuzione delle quote, all'esito, peraltro, di un procedimento che ha tutte la caratteristiche e le garanzie proprie del giudizio di cognizione. L'ordinanza ex art. 789, in particolare, costituisce l'esito di una struttura non contrattualistica, ma processualistica, che, cioè, ricollega l'effetto tipico divisorio non solo alla significativa condotta delle parti, quanto anche essenzialmente al provvedimento ricognitivo finale del giudice istruttore: è invero innegabile che il comma 3 dell'art. 789 diversifica la natura dell'intervento giudiziale sulla base dell'eventuale insorgenza di contestazioni, queste sole postulando l'esercizio di un concreto potere decisorio procedimentalizzato nelle forme proprie di cui all'art. 187 (Cass. S.U., n. 2317/1995). La forma legale dell'ordinanza non vanifica, peraltro, l'obiettivo di rendere immutabile e incontrovertibile la certezza così acquisita, e perciò giustifica l'opzione per un provvedimento non sottoponibile ai normali mezzi di impugnazione. L'ordinanza con cui il giudice istruttore, ai sensi dell'art. 789, comma 3, dichiara esecutivo il progetto di divisione, pur in presenza di contestazioni, ha natura di sentenza ed è quindi impugnabile con l'appello (Cass. S.U., n. 16727/2012). La Cass. II, n. 14223/2016 ha perciò dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso l'ordinanza del tribunale che si assumeva emessa fuori dei presupposti di cui all'art. 789, comma 3, non potendo la contumacia, secondo il ricorrente, valere come mancanza di contestazioni. E stato anche escluso che il ricorso potesse essere esaminato nel merito in base ai principi in tema di overruling, essendo stato proposto dopo che, per effetto della sentenza Cass. II, n. 4245/2010, era venuto meno l'orientamento consolidato che ammetteva la proponibilità del ricorso straordinario avverso l'ordinanza ex art. 789, comma 3, emanata in assenza dei presupposti che ne legittimano la pronuncia. La stessa Cass. II, n. 14223/2016 ha precisato che non ha comunque contenuto decisorio l'ordinanza con cui il giudice istruttore dichiari esecutivo il progetto di divisione qualora non siano sorte contestazioni in ordine alla mancata citazione del contumace per l'udienza di discussione del progetto stesso, alla quale costui non abbia partecipato. La dottrina suggerisce di distinguere le diverse situazioni che possono verificarsi nella fase successiva al deposito del progetto di divisione ed alla comparizione dei condividenti all'udienza di discussione (Lombardi, 2009, 270 ss.). Può avvenire, ad esempio, che, essendo insorte contestazioni, il giudice istruttore, dopo aver rimesso la causa in decisione a norma dell'art. 187, risolva poi i contrasti con ordinanza e non con sentenza: qui si sarebbe in presenza di un errore del giudice nello scegliere la veste formale dell'atto, per cui, in applicazione della regola di prevalenza della sostanza sulla forma, l'ordinanza sarebbe certamente appellabile. Può altrimenti accadere che il giudice istruttore, allegate dalle parti le contestazioni sul progetto di divisione, pronunci nondimeno ordinanza senza eventualmente procedere ad istruttoria sul punto e senza comunque rimettere la causa in decisione (quindi senza far precisare le conclusioni a norma dell'art. 189, e senza disporre lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell'art. 190), esplicitamente risolvendo nella medesima ordinanza i contrasti insorti fra i condividenti, ovvero, al contrario, omettendo qualsiasi espresso riferimento al dissenso opposto dalle parti avverso il piano di riparto. In simili evenienze, avverte tale dottrina, l'errore del giudice concernerebbe non la forma del provvedimento, ma l'iter processuale seguito, ed andrebbe piuttosto configurato come un error in procedendo, per violazione del divieto di provvedere. L'ordinanza che espressamente affronti le contestazioni dei condividenti, o che ignori completamente le stesse, delineerebbe, quindi, in concreto una violazione dell'art. 112, per difetto della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, come avviene appunto allorché si prospetti che il giudice abbia del tutto trascurato determinate richieste delle parti, o abbia pronunciato su domande che non risultano proposte o ultra petita, oppure manchi un sia pur sintetico contributo sul piano ermeneutico del giudice in ordine ad istanze e deduzioni formulate in giudizio. La sussistenza del relativo error in procedendo renderebbe l'ordinanza egualmente assoggettabile all'appello. Ciò non oblitera il dato normativo della inimpugnabilità dell'ordinanza in esame, tale rimanendo il provvedimento che sia conforme al dettato dell'art. 789: l'obiettivo del legislatore è invero unicamente quello della immodificabilità dell'ordinanza, propriamente emessa dal giudice istruttore, dopo che le parti non abbiano sollevato tempestive contestazioni al progetto nel corso dell'udienza di discussione. A tutte queste ipotesi esemplificative, in cui le parti abbiano mosso tempestive contestazioni anomalamente risolte da giudice con ordinanza, ovvero rimaste inascoltate da quest'ultimo, si aggiunge l'eventualità in cui i condividenti non abbiano proprio potuto opporsi al progetto di divisione per cause a loro non imputabili, allorché potrebbe venire in soccorso la rimessione in termini prevista dall'art. 153, comma 2, supplendosi per via interpretativa alla mancanza di un istituto analogo all'opposizione tardiva all'esecuzione per le ordinanze di cui agli artt. 785 e 789 (Di Cola, Sull'impugnazione dei provvedimenti, 2011, 626 - 627). Più in generale, l'ordinanza resa in presenza di controversia sulla necessità della vendita, nel caso di cui all'art. 788, commi 1 e 2 (Cass. II, n. 23840/2010), ovvero ogni decisione che risolve le contestazioni circa il diritto alla divisione, i criteri o le modalità della sua attuazione (tenuto conto della modifica legislativa introdotta dal d.lgs. n. 51/1998, che ha sottratto la divisione giudiziale dal novero delle cause devolute alla decisione del tribunale in composizione collegiale), anche se assunta con ordinanza, è impugnabile con l'appello (Cass. II, n. 22663/2010; Cass. VI, n. 7665/2011). La comunicazione del deposito del progetto divisionale e dell'udienza fissata per la relativa discussione deve essere effettuata, a norma dell'art. 789, comma 2, nei confronti di tutti i condividenti, anche se contumaci. Ne consegue che viola il disposto del citato art. 789 il giudice istruttore che - dopo aver dichiarato, con ordinanza, l'esecutività del progetto divisionale approntato dal c.t.u., disponendo anche l'estrazione dei lotti - proceda successivamente alla revoca di tale provvedimento e, senza fissare una nuova udienza di discussione dell'ulteriore progetto di divisione individuato alla luce di promesse di vendita in precedenza intercorse tra i condividenti - e senza, quindi, consentire anche alle parti contumaci di venire a conoscenza del nuovo progetto, per poter proporre eventuali osservazioni - disponga l'assegnazione dei beni secondo la rinnovata rappresentazione di volontà delle sole parti costituite (Cass. II, n. 880/2012). La comunicazione del deposito del progetto divisionale e dell'udienza fissata per la relativa discussione non può essere sostituita dal mero deposito in cancelleria dell'elaborato peritale (Cass. II, n. 21829/2010). Non occorre, tuttavia, una formale osservanza delle disposizioni previste dall'art. 789 - ovvero la predisposizione di un progetto di divisione da parte del giudice istruttore, il suo deposito in cancelleria e la fissazione dell'udienza di discussione dello stesso - essendo sufficiente che il medesimo giudice istruttore faccia proprio, sia pure implicitamente, il progetto approntato e depositato dal c.t.u., così come non è necessaria la fissazione dell'apposita udienza di discussione del progetto quando le parti abbiano già escluso, con il loro comportamento processuale (ad esempio, richiedendo concordemente di differire la causa all'udienza di precisazione delle conclusioni), la possibilità di una chiusura del procedimento mediante accettazione consensuale della proposta divisione (Cass. II. n. 242/2010; Cass. II, n. 13621/2017). Il giudice istruttore, alla stregua di quanto sancito dall'art. 789, commi 3 e 4, può poi procedere all'estrazione a sorte dei lotti solo quando le contestazioni al progetto di divisione da lui predisposto siano state risolte con sentenza passata in giudicato. Tuttavia, l'ordinanza di sorteggio erroneamente resa in difetto di tale condizione, non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di natura istruttoria, di per sé revocabile e privo del necessario carattere della decisorietà (Cass. II, n. 22435/2013; Cass. II, n. 18354/2013). Del pari, si è affermato in giurisprudenza che il provvedimento con il quale il giudice istruttore, uniformatosi alle statuizioni della sentenza non definitiva che ha approvato il progetto di divisione, provveda al sorteggio e alla assegnazione dei lotti, non è soggetto a impugnazione, in quanto mero atto esecutivo delle decisioni assunte con la pronuncia non definitiva (Cass. II, n. 7182/2018). Ove si proceda mediante attribuzione diretta delle quote ai condividenti, non occorre attendere il passaggio in giudicato della sentenza che definisca le contestazioni insorte rispetto al progetto di divisione, giacché in tal caso, diversamente dall'ipotesi di assegnazione con sorteggio, la formazione delle parti e la loro distribuzione sono distinguibili solo dal punto di vista logico, mentre, sul piano operativo, rappresentano due aspetti di una medesima operazione, essendo la porzione formata in funzione del condividente cui va attribuita (Cass. II, n. 26356/2020). Si è deciso che con il provvedimento che definisce il giudizio di divisione endoesecutiva (sentenza o ordinanza ex art. 789, comma 3.) va disposta la condanna del condividente debitore esecutato alla refusione delle spese sopportate in detta lite dal creditore (procedente o intervenuto titolato), da liquidarsi secondo lo scaglione tariffario corrispondente al valore della massa, e la relativa statuizione costituisce titolo per la collocazione nella distribuzione dell'attivo dell'espropriazione con il privilegio ex art. 2770 c.c. e con la preferenza garantita dall'art. 2777 c.c. (Cass. III, n. 24550/2024). Scarpa Antonio BibliografiaAzzariti, La divisione, Torino, 1982; Busani, Divisione a domanda congiunta con progetto approvato dal giudice, in ilsole24ore.com, 17 agosto 2013; Carnelutti, Meditazioni sul processo divisorio, in Riv. dir. proc. 1946, II, 22 ss.; Criscuolo, Il contenzioso in tema di scioglimento delle comunioni: tecniche di conduzione, in Arch. 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