Codice di Procedura Civile art. 806 - Controversie arbitrabili 1 .Controversie arbitrabili1. [I]. Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge. [II]. Le controversie di cui all'articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro. [1] L'articolo, è stato così sostituito dall'art. 20, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. . Ai sensi dell'art. 27, comma 3, d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la data di entrata in vigore del decreto. Il testo precedente recitava: «Compromesso. [I]. Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, tranne quelle previste negli articoli 429 e 459, quelle che riguardano questioni di stato e di separazione personale tra coniugi e le altre che non possono formare oggetto di transazione». InquadramentoIl campo di applicazione della disciplina dell'arbitrato, che trova il proprio fondamento nella concorde volontà delle parti (sicché l'obbligatorietà ex lege del medesimo si traduce in un'illegittima compressione del diritto di difesa ed in una violazione del principio della tutela giurisdizionale: Corte cost. n. 127/1977; Corte cost. n. 488/1991; Corte cost. n. 49/1994; Corte cost. n. 206/1994; Corte cost. n. 232/1994; Corte cost. n. 54/1996; Corte cost. n. 152/1996; Corte cost. n. 381/1997; Corte cost. n. 325/1998; Corte cost. n. 221/2005), e che si risolve nell'esercizio di un'attività sostitutiva di quella giurisdizionale (Cass. S.U., n. 24153/2013), è delimitato dalla norma in commento sulla base della nozione di disponibilità del diritto, peraltro ampiamente discussa e non facile a definirsi. Quantunque la dottrina concordi nel tenere distinta tale nozione dall'inderogabilità o imperatività che regola il rapporto controverso, ed ancor più dall'inderogabilità della competenza prevista per il caso del radicamento della lite dinanzi al giudice, non sembrano rinvenirsi in giurisprudenza altrettanto coerenti orientamenti, che vanno pertanto esaminati caso per caso. La norma ha previsto la generale arbitrabilità anche delle controversie laburistiche (così introducendo una novità virtualmente rilevante, anche se nella pratica scarsamente utilizzata), a condizione che l'arbitrato sia previsto dalla legge o da contratti o accordi collettivi di lavoro. Arbitrato e disponibilità del dirittoL'intera disciplina dell'arbitrato è stata profondamente riformata dal d.lgs. n. 40/2006, sicché i riferimenti alle disposizioni anteriormente vigenti saranno limitate all'indispensabile. Varrà tuttavia subito rammentare, a testimonianza del complessivo atteggiamento del legislatore, che, mentre il codice del 1865 si apriva con l'arbitrato, quello vigente, si chiude con esso, inserito nel libro dei procedimenti speciali. La norma in commento apre il Titolo VIII dell'ultimo libro del codice di rito, definendo anzitutto per esclusione l'ambito dell'arbitrabilità, circoscritta alle controversie su diritti disponibili e non più, come in precedenza, a quelle (unitamente ad altre ipotesi specificamente elencate dal vecchio testo dell'art. 806) «che non possono formare oggetto di transazione», avuto essenzialmente riguardo alla previsione dell'art. 1966 c.c. Il limite della disponibilità, è stato detto, si fonda sulla stessa configurazione del giudizio arbitrale, dal momento che, secondo la dottrina, rimane, tra arbitro e giudice, una differenza fondamentale: il giudice decide per autorità propria [...] mentre l'arbitro deriva il suo potere dalle parti. É per tale motivo che per il giudice è del tutto irrilevante che le parti possano disporre della situazione sostanziale sottopostagli, mentre l'arbitro, derivando il suo potere da quello delle parti, non può decidere una controversia relativa a diritti sottratti alla disponibilità delle parti stesse (Ruffini 2002, 149). L'area della compromettibilità in arbitrato, che, alla luce della disposizione, è la regola, coincide dunque oggi con quella della disponibilità dei diritti (Spatuzzi, 763; è viceversa preclusa la compromettibilità in arbitri delle controversie relative ad interessi legittimi, con riferimento alle posizioni soggettive dei privati su cui incidono gli atti autoritativi della P.A., in quanto sottratte alla disponibilità delle parti: Cass. n. 2126/2014), con conseguente sottolineatura dell'appartenenza dell'istituto arbitrale all'area dell'autonomia privata, sulla scia della riforma dell'arbitrato societario di cui all'art. 34 d.lgs. n. 5/2003, con il quale la nozione di disponibilità ha sostituito in detta materia quella di transigibilità, dando luogo tanto alla tesi di un conseguente ampliamento dell'ambito dell'arbitrabilità (Ricci 2003, 521), quanto alla tesi della sostanziale inalterazione di esso (Chiarloni, 127; Carpi, 417 ss.). Lo stesso contrasto si è sviluppato con riguardo alla norma in commento. All'opinione di chi ritiene l'art. 806 e l'art. 1966 c.c. tendenzialmente sovrapponibili (es. Verde 2010, 67), si contrappone quella di chi sostiene che l'area dell'indisponibilità prevista dall'art. 806 sarebbe più ristretta di quella desumibile dall'art. 1966 c.c., sicché rientrerebbero nel campo dell'indisponibilità, fissato dalla nuova norma, le sole situazioni sostanziali che non possano essere fatte oggetto di regolamentazione negoziale (es. Motto, 480). Dopo aver osservato che la disponibilità va commisurata al diritto oggetto della controversia, e non alle questioni che gli arbitri devono sciogliere in vista della decisione, suscettibili di essere affrontate con effetti incidenter tantum, essendo essi tenuti a sospendere il procedimento arbitrale solo se sorge questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione d'arbitrato e per legge deve essere decisa con autorità di giudicato (art. 819-bis, comma 1, n. 2), occorre porre in evidenza che, con riguardo all'ambito dell'arbitrabilità, il contrasto rammentato si riverbera essenzialmente sul rapporto tra indisponibilità del diritto oggetto di controversia ed inderogabilità o imperatività della disciplina sostanziale che lo regola. Posto che nell'attuale quadro normativo, nessun ostacolo alla compromettibilità può derivare da eventuali limiti alla transigibilità della lite, assumendo rilievo il solo criterio della disponibilità del diritto, si ritiene in prevalenza, in dottrina, che l'inderogabilità o imperatività della norma che regola il diritto, non renda automaticamente quest'ultimo indisponibile (per tutti Ricci 2006, 265), rimanendo viceversa tenuti gli arbitri ad applicare la normativa cogente in materia prevista. La posizione della giurisprudenza non pare altrettanto lineare. Poiché il limite della indisponibilità dei diritti non va confuso con quello della inderogabilità della normativa applicabile al caso controverso (così espressamente Cass. n. 3975/2004), dovrebbero ad es. reputarsi compromettibili le controversie in materia di contratti agrari e quelle locatizie (v. es. Zucconi Galli Fonseca 2010, 7), fatti salvi gli espressi divieti (v. il non più vigente art. 54 l. n. 392/1978, per le controversie relative alla determinazione del canone). Di recente è stato detto essere valida la clausola compromissoria con cui siano deferite ad arbitri stranieri le controversie in materia di aggiornamento del canone di locazione di un immobile destinato ad uso diverso da quello abitativo, atteso, da un lato, che l'art. 54 l. n. 392/1978, che poneva un divieto di compromettibilità in arbitri di tali controversie, deve ritenersi abrogato ad opera dell'art. 14, comma 4, l. n. 431/1998 anche con riferimento alle locazioni non abitative; e considerato, dall'altro, che il carattere inderogabile della disciplina dettata in tema di aggiornamento del canone dagli artt. 32 e 79 l. n. 392/1978, sebbene funzionale ad evitare un'elusione preventiva dei diritti del conduttore, non determina l'indisponibilità degli stessi una volta che siano sorti e possano essere fatti valere, sicché le relative controversie non soggiacciono al divieto di compromettibilità previsto dall'art. 806 (Cass. S.U., n. 14861/2017). Diverso, però, è l'orientamento, peraltro ormai remoto, seguito altre volte dalla S.C.: con riguardo alla disciplina vincolistica v. es. Cass. n. 3224/1976; Cass. n. 42/1976; così la S.C. ha confermato la decisione che aveva « tratto ulteriore elemento, che conferma l'invalidità della clausola compromissoria nella materia in oggetto, dall'art. 79 della legge n. 392 del 1978 » (Cass. n. 1172/1983). Più di recente è stato affermato che, in tema di arbitrato, l'indisponibilità del diritto costituisce il limite al ricorso alla clausola compromissoria e non va confusa con l'inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico, la quale non impedisce la compromissione in arbitrato, con il quale si potrà accertare la violazione della norma imperativa senza determinare con il lodo effetti vietati dalla legge (Cass. n. 9344/2018). La chiara enunciazione della corretta soluzione si rinviene nella massima secondo cui, in tema di arbitrato, la validità ed efficacia della clausola compromissoria non è esclusa dalla natura inderogabile delle norme che regolano il rapporto giuridico che ne integra l'oggetto, ove i diritti delle parti abbiano natura disponibile, determinandosi esclusivamente l'effetto di ampliare il sindacato giurisdizionale sul lodo anche all'error in iudicando (Cass. n. 20462/2020). Muovendo dalla sovrapposizione dei concetti di inderogabilità e indisponibilità, è stata ammessa in via di principio l'arbitrabilità delle controversie societarie (secondo la speciale previsione degli artt. 34 e 35 d.lgs. n. 5/2003; da notare che spettano agli arbitri anche le impugnazioni delle delibere assembleari, ove lo statuto sociale preveda una generica attribuzione agli stessi delle controversie che possono insorgere tra la società e ciascun socio, ovvero tra singoli soci: Cass. n. 17283/2015), ma con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi. È stata così ritenuta non compromettibile la controversia concernente la revoca per giusta causa di un amministratore di società per violazione delle disposizioni che prescrivono la precisione e la chiarezza dei bilanci (Cass. n. 1739/1988; Cass. n. 3322/1998; Cass. n. 3772/2005, in Riv. arb. 2006, 297, con nota di Groppoli; Cass. n. 11658/2007), o comunque preordinate alla tutela di interessi non disponibili da parte dei singoli soci (Cass. n. 18600/2011). Ed è stato ribadito che non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall'impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell'interesse di ciascun socio ad essere informato dell'andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell'affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente, trascendono l'interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili (Cass. n. 20674/2016). Con riguardo al diverso ambito dei consorzi di urbanizzazione è stata parimenti esclusa l'arbitrabilità dell'impugnazione della delibera assembleare per omessa convocazione del socio impugnante, atteso che oggetto del giudizio non è il diritto, disponibile, di partecipare all'assemblea, bensì la carenza di un requisito procedimentale (la convocazione, appunto, di tutti i soci) indispensabile per la formazione dell'assemblea e della deliberazione assembleare, e dunque un diritto indisponibile (Cass. n. 1148/2004). Sono state giudicate al contrario compromettibili la controversia introdotta con l'azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. (Cass. n. 8699/1998, in Giust. civ., 1999, I, 1439, con nota di Vidiri); la controversia con la quale il socio accomandante lamenti nei confronti dell'accomandatario la mancata corresponsione della quota di competenza degli utili (Cass. n. 9022/2000); la controversia volta alla caducazione della deliberazione assembleare censurata dall'associato per convocazione tardiva, omessa considerazione di una richiesta di rinvio, erroneo calcolo delle maggioranze, esclusione dello scopo di lucro del sodalizio, limitazione dell'attività del medesimo entro la regione e previsione dell'approvazione di un bilancio preventivo entro il 30 novembre di ciascun anno (Cass. n. 30519/2011); la controversia sulla nullità della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata, in relazione all'omessa convocazione del socio, quale soggetta al regime di sanatoria previsto dall'art. 2379-bis c.c. (Cass. n. 15890/2012); la controversia avente ad oggetto la legittimità del recesso del socio di s.p.a., coinvolgendo esclusivamente lo status del predetto e il suo diritto, di natura esclusivamente patrimoniale, alla liquidazione del valore delle azioni, pertanto attinente a diritti disponibili (Cass. n. 10399/2018). Nella materia, come accennato, l'art. 34 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, dettando una specifica disciplina per l'arbitrato in ambito societario, ha ammesso la compromettibilità delle liti in caso di disponibilità dei diritti e di inerenza di essi al rapporto sociale, escludendola per le controversie nelle quali la legge preveda l'intervento obbligatorio del p.m. Dopo di ciò, mentre alcuni hanno continuato a distinguere tra annullabilità e nullità, indicando come compromettibili le controversie su delibere annullabili o nulle, con esclusione di quella nulle per illiceità dell'oggetto (Chiarloni, 131), la dottrina prevalente si è orientata nel senso della generalizzata compromettibilità (di recente, con i necessari riferimenti, Salvaneschi L. 2010, 59). Nondimeno, pare che la giurisprudenza tenda a mantenere fermo il proprio precedente orientamento (Cass. n. 13031/2014; Cass. n. 16265/2013, secondo cui attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806, soltanto le controversie relative all'impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabile anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell'art. 2479- ter c.c., quelle prese in assoluta mancanza di informazione). Deve notarsi poi che la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società a responsabilità limitata che preveda la nomina di un arbitro unico ad opera delle parti e, nel caso di disaccordo, del presidente del tribunale, è affetta, sin dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2003, da nullità sopravvenuta rilevabile d'ufficio, se non adeguata al dettato dell'art. 34, comma 2 del predetto decreto legislativo, con la conseguenza che tale clausola non produce effetti e la controversia può essere introdotta solo davanti al giudice ordinario (Cass. n. 23485/2017; Cass. n. 21422/2016). Ed ancora, non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale di cui all'art. 2447 c.c., per violazione delle norme sulla redazione della situazione patrimoniale ex art. 2446 c.c., vertendo tale controversia, al pari dell'impugnativa della delibera di approvazione del bilancio per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, su diritti indisponibili, essendo le regole dettate dagli artt. 2446 e 2447 c.c. strumentali alla tutela non solo dell'interesse dei soci ma anche dei terzi (Cass. n. 14665/2019, che ha cassato la sentenza con la quale la Corte di appello aveva ritenuto che la finalità perseguita dall'art. 2446 c.c. fosse differente rispetto a quella sottesa alle norme sulla redazione del bilancio, mirando unicamente a consentire ai soci di conoscere la situazione finanziaria della società, al fine di deliberare consapevolmente). Va in generale escluso (quantunque gli indirizzi giurisprudenziali sul tema non siano sempre coerenti) che l'arbitrabilità possa essere negata in ragione dell'inderogabilità della competenza prevista in sede giudiziale (Cass. n. 3989/2006, che ha giudicato valida la clausola compromissoria con cui le parti avevano deferito ad arbitri una controversia relativa all'accertamento della responsabilità per urto di navi; Cass. n. 19393/2013, secondo cui l'arbitrabilità di una controversia locatizia non può essere negata traendo argomento dall'art. 447-bis, comma 2; non può tuttavia omettersi di rammentare che, in precedenza, Cass. n. 7127/1995 aveva affermato che fra le controversie non deferibili ad arbitri rientrano tutte quelle per le quali è prevista la competenza funzionale ed inderogabile del giudice ordinario, come, in particolare, i procedimenti speciali di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione e di sfratto per morosità, sul che v. più avanti). Ancora, l'art. 1137, comma 2, c.c. per il quale ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria avverso le deliberazioni assunte dall'assemblea del condominio, non esclude la compromettibilità in arbitri delle relative controversie, le quali non rientrano in alcuno dei divieti previsti, con la conseguenza che è legittima la norma del regolamento condominiale che preveda una clausola compromissoria (Cass. n. 4218/1983; Cass. n. 3406/1984; Cass. n. 73/1986, in Giust. civ. 1986, I, 1372, con nota di Triola). Nondimeno, in sede arbitrale non possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso una parte sottoposta ad amministrazione straordinaria, giacché l'effetto attributivo della cognizione agli arbitri è paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento o dalla apertura della procedura di amministrazione straordinaria, dell'avocazione dei giudizi, aventi ad oggetto l'accertamento di un credito verso l'impresa sottoposta alla procedura concorsuale, allo speciale ed inderogabile procedimento di verificazione dello stato passivo (Cass. n. 3918/2011; Cass. S.U., n. 9070/2003). Il deferimento ad arbitri delle controversie in ordine alla cessazione di un contratto di locazione per scadenza del termine o alla sua risoluzione per morosità non priva il giudice adito con il procedimento per convalida di licenza e sfratto per finita locazione e morosità, secondo la giurisprudenza della S.C., della competenza a pronunciare l'ordinanza provvisoria di rilascio (art. 665), ma gli impone, una volta chiusa la fase anzidetta, di declinare con sentenza la propria competenza, dichiarando sussistente per il merito quella arbitrale (Cass. n. 7127/1995; Cass. n. 387/1991; per i problemi applicativi che tale indirizzo determina e le possibili soluzioni alternative v. Di Marzio, 2822, in nota a Trib. Modena 19 marzo 2007). Secondo un primo indirizzo, le cause possessorie sono compromettibili in arbitri con l'unica limitazione dell'impossibilità di pronuncia, in quanto carenti dei relativi poteri d'imperio, dei provvedimenti interdittori attinenti alla reintegrazione ed alla manutenzione, pur sempre rinunciabili (Cass. n. 10839/1992). È stato però diversamente affermato che la clausola compromissoria che sia stata pattuita con riguardo ad un determinato contratto ed alle controversie che possano insorgere tra le parti contraenti in relazione alla sua esecuzione non può trovare applicazione nel caso che tali controversie abbiano natura possessoria, non potendo gli arbitri (sia rituali che irrituali) adottare provvedimenti coercitivi (Cass. n. 8399/1990; Cass. n. 1144/1979), sicché la denuncia di nuova opera, quando sia rivolta in via urgente alla sospensione immediata dei lavori e, successivamente, al ripristino della situazione antecedente alla lesione del diritto reale di cui si invoca la tutela possessoria o petitoria, non può essere oggetto della cognizione arbitrale, né in fase cautelare né in ordine al giudizio a cognizione piena, richiedendo necessariamente l'esercizio giudiziale di poteri coercitivi (Cass. n. 9909/2009) L'esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere il decreto ingiuntivo (atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l'emissione di provvedimenti inaudita altera parte), ma impone a quest'ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull'esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri (Cass. n. 8166/1999; Cass. n. 7990/1997; per Cass. n. 5265/2011 è facoltà dell'intimato eccepire l'improponibilità della domanda dinanzi al giudice dell'opposizione ed ottenerne la relativa declaratoria, sul rilievo che la previsione della clausola compromissoria è rilevabile non già d'ufficio, ma solo su eccezione della parte interessata e, dunque, non osta alla richiesta ed alla conseguente emissione del decreto ingiuntivo; va però considerato che Corte cost. n. 410/2005, ha riconosciuto al giudice della fase monitoria il potere di rilevare ex officio la propria incompetenza territoriale derogabile). Inoltre, in presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero avente ad oggetto tutte le controversie nascenti dal contratto ad esclusione dei procedimenti sommari o conservativi, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non potendo essere ricompreso in tali procedimenti, rimane soggetto ad arbitrato (Cass. S.U., n. 21550/2017). Si ritengono esclusi dal terreno della compromettibilità, almeno secondo parte della dottrina, i processi esecutivi, ancora una volta perché affidati alla competenza inderogabile del giudice ordinario: l'assunto secondo cui la competenza del giudice ordinario del luogo dell'esecuzione forzata è inderogabile dalla volontà delle parti e sfugge quindi alla competenza arbitrale risale a Cass. n. 3365/1937. Si è poi detto che non sarebbero mai compromettibili in arbitri le opposizioni agli atti esecutivi, in quanto la verifica dell'osservanza di regole processuali d'ordine pubblico riguarda diritti di cui le parti non possono mai liberamente disporre (Cass. n. 7891/2018, la quale ammette invece la compromettibilità delle opposizioni all'esecuzione forzata). Quanto ai procedimenti cautelari, la sottrazione agli arbitri dei poteri cautelari (art. 818), e l'attribuzione di tali poteri al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito, non sottrae agli arbitri la competenza a conoscere il merito della causa (artt. 669-quinquies e 669-octies). È intuitivamente escluso che la cognizione arbitrale possa surrogarsi all'appello o alla revocazione. Si esclude per lo più che siano compromettibili le controversie che prevedono l'intervento del p.m., il che denoterebbe la presenza di un pubblico interesse e, di qui, l'indisponibilità dei diritti coinvolti (filiazione, adozione, cittadinanza, nazionalità, questioni di stato, separazione personale tra coniugi e divorzio, decadenza o nullità di marchi o brevetti, querela di falso). Al di là delle difformi opinioni di parte della dottrina (v. Auletta, 336; Bove, 2003, II, 476; Ruffini 2004, 495), pare oggi doversi rimeditare la questione, almeno con riguardo a separazione e divorzio, alla luce della nuova disciplina della negoziazione assistita (art. 6, comma 1, d.l. n. 132/2014, conv. con modif. in l. n. 162/2014), che ha fortemente valorizzato il carattere privatistico del rapporto di coniugio, consentendo ai coniugi di separarsi e di divorziare attraverso detto strumento, così da evitare il ricorso alla giurisdizione ordinaria, pur in presenza di figli minori o maggiorenni disabili o privi di autonomia economica, e con un limitato controllo da parte del p.m. esclusivamente ex post. È stata ritenuta compromettibile la controversia sorta da un contratto di franchising in ordine al diritto, contrattualmente escluso, di recesso della società affiliata pur quando l'esercizio si chiuda in perdita, diritto che la stessa società assumeva essere invece indisponibile in forza dell'art. 41 Cost. (Cass. n. 8376/2000). Al di fuori del campo dell'indisponibilità si colloca altresì il diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno per la violazione di diritti indisponibili (Cass. n. 664/1988, secondo cui i diritti a restituzioni o risarcimento dei danni, ancorché traggano origine da un illecito penale, rientrano nella disponibilità delle parti; Cass. n. 4069/1981, secondo cui la facoltà delle parti di una compravendita di devolvere ad arbitrato l'accertamento dell'inadempimento del venditore, per consegna di aliud pro alio, non trova ostacolo nella eventuale incommerciabilità della merce consegnata, per violazione della legge penale, atteso che detto arbitrato viene a coinvolgere solo gli effetti patrimoniali dell'illecito penale, non sottratti alla disponibilità delle parti stesse). L'arbitrato in materia di lavoroL'arbitrato in materia di lavoro, in precedenza disciplinato dal combinato disposto degli artt. 806 (che escludeva tali controversie dal campo dell'arbitrabilità) e 808, comma 2 (secondo cui le medesime potevano essere decise da arbitri solo se previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro, purché ciò avvenisse senza pregiudizio della facoltà di adire l'autorità giudiziaria, con previsione di nullità della clausola compromissoria che autorizzasse a pronunciare secondo equità ovvero dichiarasse il lodo non impugnabile), è oggi regolato dal comma 2 della norma in commento, applicabile a tutte le convenzioni di arbitrato stipulate dopo il 2 marzo 2006, secondo cui dette controversie possono essere decise da arbitri (ergo: le controversie di lavoro non possono considerarsi per ciò stesso indisponibili) solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro (v. Borghesi, 821). Ad esempio, la distribuzione di azioni ai dipendenti mediante l'utilizzo delle stock option ha la finalità di incentivarne la produttività con la possibilità di realizzare una plusvalenza e costituisce una diffusa forma di retribuzione mediante partecipazione agli utili, consentita ex art. 2099, ultimo comma, c.c., sicché ogni controversia fra la società ed il suo dipendente in ordine alla loro spettanza rientra nella competenza del giudice ordinario, secondo il rito speciale, ed è compromettibile in arbitri, ai sensi dell'art. 806, solo se i contratti collettivi lo prevedano (Cass. n. 15217/2016). Da un programmatico divieto coniugato ad una deroga a maglie ben strette, si è dunque passati ad una relativa apertura all'applicabilità dell'arbitrato in materia di lavoro, che è ammesso sia sulla base del compromesso che della clausola compromissoria, con abrogazione della previsione di nullità della clausola arbitrale che non consentisse alle parti di adire l'autorità giudiziaria ovvero autorizzasse gli arbitri a decidere secondo equità o dichiarasse il lodo non impugnabile. Peraltro l'art. 829, comma 4 e 5, nel testo vigente, prevede che, se l'arbitrato ha avuto ad oggetto una controversia di lavoro, il lodo è sempre impugnabile sia per violazione delle regole di diritto applicabili al merito della controversia, sia per violazione di contratti e accordi collettivi. La previsione dell'arbitrato nei contratti collettivi rappresenta, secondo una parte della dottrina, solo un pre-requisito, cui deve necessariamente seguire la convenzione arbitrale fra singolo lavoratore e datore di lavoro, sia essa una clausola compromissoria contenuta nel contratto di lavoro individuale, sia essa un compromesso a lite già sorta (Zucconi Galli Fonseca, 2008, 459, la quale ricorda Cass. n. 2733/1992, secondo cui la contrattazione collettiva è condizione di legittimità per le manifestazioni individuali di volontà compromissoria; v. ivi pure per l'opinione difforme). L'arbitrabilità è tuttora esclusa per le controversie di previdenza ed assistenza, essendo in vigore l'art 147 disp. att., secondo cui nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, sono privi di qualsiasi efficacia vincolante, sostanziale e processuale, gli arbitrati rituali, gli arbitrati irrituali. Natura dell'arbitratoAttraverso l'arbitrato (rituale: per l'arbitrato irrituale v. subart. 808-ter) le parti pervengono alla decisione di una controversia mediante l'attività degli arbitri, senza ricorrere ai giudici dello Stato. Quanto ai rapporti tra giurisdizione e arbitrato si contrappongono, in sintesi, due orientamenti. Secondo un indirizzo l'arbitrato, ed il lodo con cui esso si conclude, darebbero luogo ad un'attività meramente privata, alternativa e anzi antitetica all'esercizio della giurisdizione. Tale indirizzo trova in definitiva fondamento sulla tradizionale concezione della giurisdizione come emanazione della sovranità, riservata, pertanto, esclusivamente allo Stato. Secondo l'opposta opinione, anche l'arbitrato possiede natura giurisdizionale, tanto più che, nel quadro attuale, l'esercizio della giurisdizione promana non soltanto dallo Stato, ma anche da autorità diverse, sicché l'art. 102 Cost., nel disporre che la funzione giurisdizionale è esercitata dai magistrati, non preclude ai privati di far decidere la controversia dagli arbitri, attraverso una attività sostitutiva di quella del giudice togato e destinata a sfociare in un provvedimento dotato della stessa efficacia di una sentenza. In proposito, la giurisprudenza ha manifestato un atteggiamento pendolare. Si riteneva in passato che l'attività degli arbitri (il cui lodo, nella previgente disciplina, acquistava efficacia equivalente a quella della sentenza con il rilascio dell'exequatur da parte del giudice) avesse natura giurisdizionale, sostitutiva della giurisdizione ordinaria, sicché i rapporti tra giudice ordinario e arbitro erano riguardati in termini di competenza. Tale posizione è stata ribaltata da Cass. S.U., n. 527/2000, che ha qualificato la decisione arbitrale quale atto riconducibile, in ogni caso, all'autonomia negoziale e alla sua legittimazione a derogare alla giurisdizione, per ottenere una privata decisione della lite, basata non sullo ius imperii, ma solo sul consenso delle parti. Il deferimento della controversia agli arbitri è stato così configurato quale deroga alla giurisdizione, con l'ulteriore conseguenza che ogni questione concernente la deferibilità della medesima agli arbitri è stata intesa quale questione di merito e non di giurisdizione, poiché attinente alla validità della convenzione arbitrale. Dopo che la Consulta ha ammesso gli arbitri a sollevare la questione di legittimità costituzionale (Corte cost., n. 376/2001), qualificando l'arbitrato come «procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile per l'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria», e dopo che la riforma del 2006 ha attribuito al lodo arbitrale efficacia di sentenza dall'ultima sottoscrizione (art. 824-bis), è nuovamente intervenuta sulla materia la Corte costituzionale (Corte cost., n. 223/2013) dichiarando l'incostituzionalità dell'art. 819-ter, comma 2, nella parte in cui escludeva l'applicazione all'arbitrato della translatio iudicii prevista dall'art. 50. Dopodiché Cass. S.U., n. 24153/2013, ha nuovamente riconosciuto natura giurisdizionale all'arbitrato, osservando in breve che la proponibilità dell'impugnazione non è più subordinata al decreto di esecutorietà del lodo; che la domanda arbitrale è assimilabile a quella giudiziale quanto ad effetti sulla prescrizione e sulla trascrizione; che all'arbitrato si applica l'art. 111 concernente la successione a titolo particolare nel diritto controverso; che l'art. 819-bis consente agli arbitri di sollevare questione di legittimità costituzionale; che l'art. 824-bis equipara gli effetti del lodo a quelli della sentenza. Allo stato attuale della giurisprudenza, il giudizio arbitrale ha funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria. Sicché, ad es., Cass. S.U., n. 23418/2020, considera «jus receptum il principio per cui l'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione» (si spiegano perciò con la scarsa consapevolezza dei termini del problema massime quali quella che emerge p. es. da Cass. n. 26696/2020, la quale giunge a dire che il principio ivi formulato, copiato da pronunce antecedenti al revirement del 2013, rifletterebbe il «costante insegnamento di questa Corte»). FattispecieIl rapporto che lega l'amministratore alla società è di immedesimazione organica, non riconducibile al rapporto di lavoro subordinato, né a quello di collaborazione coordinata e continuativa, dovendo essere, piuttosto, ascritto all'area del lavoro professionale autonomo ovvero qualificato come rapporto societario tout court, sicché le controversie tra amministratori e società, anche se specificamente attinenti al profilo interno dell'attività gestoria ed ai diritti che ne derivano agli amministratori (quale, nella specie, quello al compenso), sono compromettibili in arbitri, ove tale possibilità sia prevista dagli statuti societari (Cass. n. 2759/2016). L'espressione «motivi attinenti alla giurisdizione» ex art. 360, n. 1, richiamata dall'art. 374 per delineare un ambito di competenza delle Sezioni Unite, comprende l'ipotesi in cui il problema del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo sorga in funzione dell'accertamento della compromettibilità ad arbitri e, quindi, della validità del compromesso o della clausola compromissoria, nel qual caso è ammissibile la questione di giurisdizione sollevata col ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d'appello sull'impugnazione per nullità del lodo (Cass. n. 1514/2016). Lo stabilire se una controversia spetti, o meno, alla cognizione degli arbitri integra — a seguito di overruling giurisprudenziale dovuto alla pronuncia delle Cass. S.U., n. 24153/2013 — una questione di competenza, sicché, nell'ipotesi di declinatoria della competenza da parte del giudice statale, trova applicazione anche l'art. 50, attesa la necessità di conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, della domanda originariamente proposta davanti a quest'ultimo (Cass. n. 1101/2016). L'inosservanza del principio del contraddittorio verificatasi nel corso di un arbitrato irrituale rileva esclusivamente ai fini dell'impugnazione del lodo ex art. 1429 c.c., cioè come errore che, muovendo dalla violazione dei limiti del mandato conferito agli arbitri, abbia inficiato la volontà contrattuale espressa da questi ultimi, sicché la relativa deduzione comporta un'indagine da parte del giudice di merito sull'effettivo contenuto del mandato stesso, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Cass. n. 1097/2016). In considerazione della natura giurisdizionale dell'arbitrato, l'eccezione di ritualità o irritualità dello stesso non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere proposta dalla parte interessata, la quale, versandosi in materia di facoltà e diritti disponibili, ben può rinunciare ad avvalersene, anche tacitamente, ponendo in essere comportamenti incompatibili con la volontà di giovarsi del compromesso (Cass. n. 1097/2016). L'azione per l'accertamento della natura usuraria degli interessi dovuti in base ad un contratto di leasing, con la conseguente condanna della controparte alla restituzione di quanto indebitamente percepito a tale titolo, è suscettibile di deferimento alla decisione degli arbitri ai sensi dell'art. 806, in quanto ha ad oggetto un diritto disponibile, senza che la dedotta nullità del contratto posto a base della domanda, che concerne, invece, il merito della pretesa, sia sufficiente ad escludere la competenza arbitrale, risultando illogico fare dipendere l'operatività della convenzione di arbitrato dalla decisione sul merito della controversia (Cass. n. 1119/2016). L'embargo internazionale, in quanto misura sanzionatoria, e non meramente sospensiva, intesa ad inibire i rapporti commerciali con un determinato Stato, rende immediatamente inammissibile il ricorso all'arbitrato per la loro risoluzione, ed irreversibile l'azione promossa dinanzi al giudice competente secondo la lex fori, senza che dall'avvenuta revoca di quella sanzione possa derivare una recuperata arbitrabilità della controversia, non conoscendo l'ordinamento nazionale la validità sopravvenuta degli atti e dei negozi giuridici (Cass. n. 23893/2015). Spetta al giudice italiano, e non agli arbitri, la decisione sull'invalidità sopravvenuta di una clausola compromissoria per indisponibilità del diritto oggetto della controversia in conseguenza di embargo internazionale — qualificabile come factum principis — impositivo di un divieto esterno alle prestazioni contrattuali, attesa la natura sovranazionale dello ius superveniens, che si impone su qualunque disciplina particolare prefigurata dalle parti contraenti e la cui disapplicazione comporterebbe conseguenze sanzionatorie per lo Stato tenuto ad assicurarne il rispetto (Cass. n. 23893/2015). L'indagine sulla portata di una clausola compromissoria, ai fini della risoluzione di una questione di competenza, rientra nei poteri della Corte di cassazione che, in tale materia, è anche giudice di fatto (Cass. n. 19546/2015). La domanda di risarcimento per danno da mobbing, avanzata dal socio di una società cooperativa nei confronti della compagine sociale in relazione a prestazioni lavorative ricomprese nell'oggetto sociale, rientra nella competenza funzionale del giudice del lavoro anche quando i rapporti di lavoro instaurati siano temporanei, permanendo la distinzione con il rapporto sociale, sicchè, in forza dell'art. 806 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 40/2006, ratione temporis applicabile), la clausola compromissoria, contenuta nello statuto della cooperativa e non prevista da accordi o contratti collettivi, non è idonea a impedire la valida adizione dell'autorità giudiziaria (Cass. n. 18110/2015). L'inosservanza del principio del contraddittorio verificatasi nel corso di un arbitrato irrituale rileva esclusivamente ai fini dell'impugnazione del lodo ex art. 1429 c.c., cioè come errore che, muovendo dalla violazione dei limiti del mandato conferito agli arbitri, abbia inficiato la volontà contrattuale espressa da questi ultimi, sicché la relativa deduzione comporta un'indagine da parte del giudice di merito sull'effettivo contenuto del mandato stesso, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Cass. n. 1097/2016). In considerazione della natura giurisdizionale dell'arbitrato, l'eccezione di ritualità o irritualità dello stesso non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere proposta dalla parte interessata, la quale, versandosi in materia di facoltà e diritti disponibili, ben può rinunciare ad avvalersene, anche tacitamente, ponendo in essere comportamenti incompatibili con la volontà di giovarsi del compromesso (Cass. n. 1097/2016). In ipotesi di arbitrato rituale di equità, ove non venga dedotta in sede di impugnazione la totale mancanza di potestas iudicandi degli arbitri per eccesso di potere derivante dall'esorbitanza dei limiti segnati dalle parti al loro potere decisorio, il giudice dell'impugnazione non è tenuto a verificare l'applicazione in concreto dei criteri equitativi nella decisione della controversia, non essendo sindacabile il corretto esercizio dei suddetti poteri. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di rigetto dell'impugnazione del lodo che aveva pronunciato la risoluzione per inadempimento di un contratto di cessione di massa di scaglie di marmo presenti su di un terreno ritenendo infondate le censure proposte come error in procedendo ed attinenti ad un supposto difetto di concatenazione logica tra l'affermazione dell'inadempimento del venditore al trasferimento del sessantacinque per cento delle scaglie di marmo e la quantificazione delle restituzioni in denaro a favore dell'acquirente) (Cass. n. 10805/2014). Deve escludersi che, tramite la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto, la deroga alla giurisdizione del giudice ordinario e il deferimento agli arbitri si estendano a controversie relative ad altri contratti ancorché collegati al contratto principale, cui accede la predetta clausola. In particolare qualora un contratto sociale preveda la devoluzione a un collegio arbitrale di ogni controversia tra i soci, la stessa deve essere interpretata — in mancanza di espressa volontà contraria — nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie inerenti al rapporto societario e relative pretese aventi la loro causa petendi nel medesimo contratto sociale. Deriva da quanto precede, pertanto che non esiste la deroga alla giurisdizione ordinaria - prevista dalla detta clausola — con riguardo alla controversia nascente dall'inadempimento relativo alla mancata esecuzione di un contratto preliminare di vendita di quote della detta società. Nella specie, infatti, il contratto sociale costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si innesta l'azione proposta, ma non la causa petendi della stessa, perché l'inadempimento denunciato, essendo un comportamento rilevante solo sotto il profilo ricollegabile alla risoluzione dello stesso, è un fatto che non sostanzia alcun legame con gli obblighi derivanti dal contratto di società al quale soltanto si riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime parti (Cass. n. 7501/2014). Nel processo di impugnazione per nullità del lodo arbitrale non è ammissibile l'intervento del terzo, rimasto estraneo al giudizio innanzi agli arbitri, svoltosi nel vigore della disciplina successiva alla l. 5 gennaio 1994, n. 25 ed antecedente a quella introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (che ha previsto e disciplinato tale intervento proprio con riferimento al giudizio arbitrale), restando la tutela dei diritti del terzo, eventualmente pregiudicati dalla sentenza arbitrale, affidata all'esperimento di un'ordinaria azione di accertamento, svincolata dall'osservanza dei termini di cui agli artt. 404 e 326 e dalle regole di competenza risultanti dall'art. 828 (Cass. n. 2323/2014). In caso di domanda di nullità del lodo, la qualificazione dell'arbitrato come rituale o irrituale costituisce un fatto impeditivo, modificativo o estintivo del diritto tutelato, non potendo quindi qualificarsi come domanda o eccezione nuova, in quanto non si tratta di questione attinente alla competenza ma preliminare di merito (Cass. n. 2127/2014). In tema di arbitrato, è preclusa la compromettibilità in arbitri delle controversie relative ad interessi legittimi, con riferimento alle posizioni soggettive dei privati su cui incidono gli atti autoritativi della P.A., in quanto sottratte alla disponibilità delle parti (Cass. n. 2126/2014). Poiché l'arbitrato rituale ha natura giurisdizionale, anche rispetto ad esso opera il principio secondo cui il disposto dell'art. 5 non trova applicazione nei casi in cui la giurisdizione o la competenza, insussistenti al momento della proposizione della domanda, sopravvengano nel corso del processo (Cass. n. 132/2014). L'improponibilità della domanda a causa della previsione d'una clausola compromissoria per arbitrato irrituale è rilevabile non già d'ufficio, ma solo su eccezione della parte interessata e, dunque, non osta alla richiesta ed alla conseguente emissione di un decreto ingiuntivo; tuttavia, è facoltà dell'intimato eccepire l'improponibilità della domanda dinanzi al giudice dell'opposizione ed ottenerne la relativa declaratoria. (Trib. Roma 30 ottobre 2013). Il principio di cui all'art. 112 è applicabile anche al procedimento arbitrale, sicchè è inibito agli arbitri esaminare aspetti nuovi della vicenda che non si traducano in mere argomentazioni difensive (Nella specie, con la domanda di arbitrato era stata proposta unicamente l'impugnazione di delibera consortile comminativa di sanzioni, mentre l'arbitro aveva rideterminato la sanzione e condannato la parte) (Cass. n. 19786/2014). Nella ipotesi in cui la questione inerente alla natura dell'arbitrato incide su questioni di carattere processuale — come quella inerente all'ammissibilità dall'impugnazione — la Corte di cassazione può procedere alla diretta lettura della clausola e compiere indagini e valutazioni concernenti la esistenza e la interpretazione della convenzione arbitrale, senza essere vincolata alle valutazioni già compiute dal giudice del merito (Nella specie, pur prevedendo la clausola arbitrale la risoluzione delle controversie in via irrituale secondo la procedura dell'arbitrato ordinario, la Suprema corte ha ritenuto la natura rituale dell'arbitrato stesso, stante il tenore complessivo della convenzione. Infatti — ha precisato la Suprema corte — a prescindere dalla assenza di qualsiasi riferimento a una attività di tipo negoziale, sintomatica delle natura irrituale dell'arbitrato, deve rilevarsi che l'utilizzo del termine decisione, proprio di una attività giurisdizionale e non negoziale, e il riferimento all'esecuzione del lodo sono indici inequivocabili della natura rituale dell'arbitrato. Una tale conclusione — ha altresì, evidenziato la Cassazione — trova ulteriore conforto anche in relazione alla esplicita qualificazione, nei verbali del procedimento arbitrale, sottoscritti anche dalle parti personalmente, dello stesso come rituale) (Cass. n. 13214/2014). Deve escludersi che, tramite la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto, la deroga alla giurisdizione del giudice ordinario e il deferimento agli arbitri si estendano a controversie relative ad altri contratti ancorché collegati al contratto principale, cui accede la predetta clausola. In particolare qualora un contratto sociale preveda la devoluzione a un collegio arbitrale di ogni controversia tra i soci, la stessa deve essere interpretata — in mancanza di espressa volontà contraria — nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie inerenti al rapporto societario e relative pretese aventi la loro causa petendi nel medesimo contratto sociale. Deriva da quanto precede, pertanto che non esiste la deroga alla giurisdizione ordinaria — prevista dalla detta clausola — con riguardo alla controversia nascente dall'inadempimento relativo alla mancata esecuzione di un contratto preliminare di vendita di quote della detta società. Nella specie, infatti, il contratto sociale costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si innesta l'azione proposta, ma non la causa petendi della stessa, perché l'inadempimento denunciato, essendo un comportamento rilevante solo sotto il profilo ricollegabile alla risoluzione dello stesso, è un fatto che non sostanzia alcun legame con gli obblighi derivanti dal contratto di società al quale soltanto si riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime parti (Cass. n. 3316/2014). Ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo, non rileva il tempo di svolgimento della procedura arbitrale, ancorché, a seguito di impugnazione del lodo, la controversia sia sfociata nel giudizio civile ordinario, della cui durata trattasi, ciò in quanto l'arbitrato, pur se rituale, ha natura privatistica ed è esterno all'esercizio della funzione giurisdizionale (Cass. n. 2323/2014). Attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806, soltanto le controversie relative all'impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabile anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell'art. 2479-ter c.c., quelle prese in assoluta mancanza di informazione, sicché la controversia che abbia ad oggetto l'interpretazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea di una società a responsabilità limitata, in cui si discuta esclusivamente se concerna le dimissioni del ricorrente dalla carica di amministratore delegato o anche da quella di componente del consiglio di amministrazione, in quanto suscettibile di transazione, può essere deferita ad arbitri (Cass. n. 16265/2013). Il divieto di compromettibilità in arbitri, stabilito con riferimento alle controversie relative alla determinazione del canone dall'art. 54 l. 27 luglio 1978 n. 392, non preclude agli arbitri — investiti della domanda di rescissione per eccessiva sproporzione tra il corrispettivo dovuto al locatore ed il godimento dell'immobile — di confrontare il canone corrisposto in forza di un precedente contratto di locazione e quello della cui sproporzione si controverte, atteso che tale valutazione incidentale non ha alcuna incidenza sulla determinazione del canone precedentemente pattuito, il quale viene in rilievo solo come parametro indiziario della dedotta lesione ultra dimidium (Cass. n. 6284/2013). La proposizione di una domanda riconvenzionale ha necessariamente natura subordinata al mancato accoglimento della preliminare eccezione di arbitrato e non comporta rinuncia ad avvalersi della clausola compromissoria (Trib. Milano 5 marzo 2013) In tema di giudizio arbitrale, la sentenza dichiarativa della nullità del lodo per violazione del principio del contraddittorio non ha carattere definitivo perché non esaurisce la controversia tra le parti ma decide solo una questione pregiudiziale processuale. Infatti, dopo aver accertato una siffatta nullità, il giudice dell'impugnazione è tenuto, salva diversa concorde volontà delle parti, ad esperire il giudizio rescissorio garantendo il rispetto dinanzi a sé del menzionato principio in precedenza violato dagli arbitri (Trib. Milano 5 marzo 2013). In tema di arbitrato societario, la clausola compromissoria prevista dall'atto costitutivo di società, che preveda la decisione di qualunque controversia insorta tra i soci e la società sia decisa da un arbitro amichevole compositore nominato dall'autorità giudiziaria su istanza della società, non è lesiva del diritto del socio di agire a tutela dei suoi diritti, in quanto l'art. 810, il quale prevede che nel caso di inerzia di una delle parti nella nomina del proprio arbitro l'altra parte possa chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale, deve ritenersi applicabile analogicamente, ricorrendo l'eadem ratio, al caso in cui sia rimessa all'autorità giudiziaria la nomina dell'unico arbitro e sia previsto che la relativa istanza venga presentata da una specifica parte e questa non abbia attivato il procedimento malgrado il sollecito dell'altra parte (Cass. n. 2189/2013). In particolare, la clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società, la quale preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie connesse al contratto sociale, deve ritenersi estesa alla controversia riguardante il recesso del socio dalla società, alla domanda di accertamento dell'inadempimento dell'amministratore agli obblighi di comunicazione ai soci accomandanti del bilancio e del conto dei profitti e perdite, ai sensi dell'art. 2320, comma 3, c.c., e alla connessa domanda di condanna dell'amministratore al risarcimento del danno ex art. 2395 c.c., rientrando i correlativi diritti nella disponibilità del socio che se ne vanti titolare (Cass. n. 15697/2019). La controversia sulla nullità della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata, in relazione all'omessa convocazione del socio, quale soggetta al regime di sanatoria previsto dall'art. 2379-bis c.c., è compromettibile in arbitri, atteso che l'area della non compromettibilità è ristretta all'assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili (Cass. n. 15890/2012). Il principio dell'autonomia della clausola compromissoria rispetto al negozio di riferimento vale in relazione all'arbitrato rituale ma non a quello irrituale. Questo ultimo, infatti, integra la volontà delle parti, dando vita a un negozio di secondo grado, il quale trae la sua ragione d'essere dal negozio nel quale la clausola è inserita e non può sopravvivere alle cause di nullità che facciano venire meno la fonte stessa del potere degli arbitri (Cass. n. 5105/2012). In tema di interpretazione di una clausola arbitrale, l'accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche (Cass. n. 4919/2012). Attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806, soltanto le controversie relative all'impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabile anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell'art. 2479-ter c.c., quelle prese in assoluta mancanza di informazione, sicché la controversia che abbia ad oggetto l'interpretazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea di una società a responsabilità limitata, in cui si discuta esclusivamente se concerna le dimissioni del ricorrente dalla carica di amministratore delegato o anche da quella di componente del consiglio di amministrazione, in quanto suscettibile di transazione, può essere deferita ad arbitri (Cass. n. 16265/2013). Il divieto di compromettibilità in arbitri, stabilito con riferimento alle controversie relative alla determinazione del canone dall'art. 54 l. 27 luglio 1978 n. 392, non preclude agli arbitri — investiti della domanda di rescissione per eccessiva sproporzione tra il corrispettivo dovuto al locatore ed il godimento dell'immobile — di confrontare il canone corrisposto in forza di un precedente contratto di locazione e quello della cui sproporzione si controverte, atteso che tale valutazione incidentale non ha alcuna incidenza sulla determinazione del canone precedentemente pattuito, il quale viene in rilievo solo come parametro indiziario della dedotta lesione ultra dimidium (Cass. n. 6284/2013). La proposizione di una domanda riconvenzionale ha necessariamente natura subordinata al mancato accoglimento della preliminare eccezione di arbitrato e non comporta rinuncia ad avvalersi della clausola compromissoria (Trib. Milano 5 marzo 2013). In tema di giudizio arbitrale, la sentenza dichiarativa della nullità del lodo per violazione del principio del contraddittorio non ha carattere definitivo perché non esaurisce la controversia tra le parti ma decide solo una questione pregiudiziale processuale. Infatti, dopo aver accertato una siffatta nullità, il giudice dell'impugnazione è tenuto, salva diversa concorde volontà delle parti, ad esperire il giudizio rescissorio garantendo il rispetto dinanzi a sé del menzionato principio in precedenza violato dagli arbitri (Cass. n. 3063/2013). In tema di arbitrato societario, la clausola compromissoria prevista dall'atto costitutivo di società, che preveda la decisione di qualunque controversia insorta tra i soci e la società sia decisa da un arbitro amichevole compositore nominato dall'autorità giudiziaria su istanza della società, non è lesiva del diritto del socio di agire a tutela dei suoi diritti, in quanto l'art. 810, il quale prevede che nel caso di inerzia di una delle parti nella nomina del proprio arbitro l'altra parte possa chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale, deve ritenersi applicabile analogicamente, ricorrendo l'eadem ratio, al caso in cui sia rimessa all'autorità giudiziaria la nomina dell'unico arbitro e sia previsto che la relativa istanza venga presentata da una specifica parte e questa non abbia attivato il procedimento malgrado il sollecito dell'altra parte. Nel senso che l'art. 810 è applicabile anche nel caso di arbitro unico, in via di interpretazione estensiva, cfr. Cass. 3 febbraio 1976 n. 348 (Cass. n. 2189/2013). La controversia sulla nullità della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata, in relazione all'omessa convocazione del socio, quale soggetta al regime di sanatoria previsto dall'art. 2379-bis c.c., è compromettibile in arbitri, atteso che l'area della non compromettibilità è ristretta all'assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili (Cass. n. 15890/2012). In tema di interpretazione di una clausola arbitrale, l'accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche (Cass. n. 4919/2012). È valida la clausola compromissoria con la quale viene deferita ad arbitri la soluzione della controversia riguardante contratti stipulati tra la pubblica amministrazione e terzi purchè si verta in tema di diritti disponibili e non di interessi legittimi, l'arbitrato abbia carattere rituale e sia escluso il potere di decidere secondo equità (Cass. n. 28533/2018). Di Marzio BibliografiaAuletta F., Dell'arbitrato, in Sassani B. (a cura di), La riforma delle società. Il processo, Torino, 2003, 336; Bertoldi, Art. 813-bis. 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