Codice di Procedura Civile art. 808 ter - Arbitrato irrituale 1 .Arbitrato irrituale1. [I]. Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'articolo 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo. [II]. Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I: 1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812; 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825. [1] Articolo inserito dall'art. 20, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 27, comma 3, d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la data di entrata in vigore del decreto. InquadramentoAll'arbitrato irrituale, istituto nato dalla prassi e, fino alla riforma del 2006, privo di disciplina normativa, è dedicata la norma in commento, con la quale si può supporre il legislatore abbia inteso diradare cospicui dubbi concernenti il complessivo inquadramento della figura e ribaltare taluni orientamenti giurisprudenziali in proposito formatisi. Si dirà in estrema sintesi che la dottrina tradizionale guardava all'arbitrato rituale e irrituale come a fenomeni affatto distinti, l'uno collocato sul terreno processuale, l'altro su quello negoziale: l'arbitrato rituale tale da comportare l'esercizio di un'attività sostitutiva di quella giurisdizionale (dunque, potremmo dire, di un'attività paragiurisdizionale); l'arbitrato irrituale, o libero, tale da comportare, a mezzo degli arbitri, la soluzione negoziale della lite, sotto forma di mandato a transigere o di arbitraggio (art. 1349 c.c.) applicato alla transazione, ma anche, più avanti, di negozio di accertamento (per riferimenti alla vastissima bibliografia sul tema v. Bove 2010, 65). Di qui taluni corollari in punto di inapplicabilità al lodo irrituale della disciplina del lodo rituale, di efficacia ed impugnabilità del loro irrituale (attraverso le sole impugnative negoziali), di interpretazione della clausola arbitrale — questo, nel tempo, uno degli aspetti di maggior frizione nel dialogo tra giurisprudenza e dottrina —, che la S.C., nel dubbio, riteneva doversi risolvere nel senso dell'arbitrato irrituale, dal momento che l'arbitrato rituale avrebbe avuto carattere eccezionale, importando deroga alla competenza del giudice ordinario (ma v. ormai anche per il passato Cass. n. 6909/2015). All'opinione tradizionale si è contrapposta, fin dagli anni '60 del secolo scorso la teoria c.d. unitaria o monista (v. per tutti Fazzalari 1997, 24), secondo cui arbitrato rituale e irrituale costituirebbero fenomeni sovrapponibili, salvo che per il limitato effetto del lodo, che, nel primo caso avrebbe effetto di sentenza, nell'altro di negozio. Dall'omogeneità del complessivo fenomeno, anzitutto, è poi fatta derivare la tendenziale applicabilità al lodo irrituale della disciplina dettata per quello rituale. Natura dell'arbitrato irritualeAl di là delle intenzioni del legislatore, è un dato di fatto che l'art. 808 ter non abbia risolto il dibattito dottrinale, il quale appare viceversa rinfocolato, opinandosi da alcuni che la norma esprima adesione alla teoria unitaria (v. p. es. Sassani, 2006, § 1.), da altri che essa abbia voluto ribadire la non sovrapponibilità, storicamente incontestabile, delle due figure (v. p. es. Bove, 2006, § 1). Ciò suggerisce di guardare all'arbitrato irrituale privilegiando, sia pur con le eventuali osservazioni critiche necessarie, l'assetto che esso ha assunto nella giurisprudenza. Se è vero, allora, che un avvicinamento tra arbitrato rituale e irrituale si è manifestato, a partire da Cass. S.U. , n. 427/2000, che, come si è ricordato subart. 806, ha qualificato la decisione arbitrale «quale atto riconducibile, in ogni caso, all'autonomia negoziale e alla sua legittimazione a derogare alla giurisdizione, per ottenere una privata decisione della lite, basata non sullo ius imperii, ma solo sul consenso delle parti» (per tale avvicinamento v. p. es. Cass. n. 3933/2008), è altrettanto vero che ciò è dipeso da una ricollocazione (temporanea) dell'arbitrato rituale al di fuori del recinto della giurisdizione, non da un ripensamento dell'approccio all'arbitrato irrituale. E si è già visto, poi, nel commento al medesimo articolo, che Cass. S.U., n. 24153/2013 ha nuovamente riconosciuto la natura giurisdizionale, precedentemente affermata da un orientamento costante, dell'arbitrato. L'atteggiamento giurisprudenziale sull'arbitrato irrituale, dal canto suo, non pare aver subito altrettanti scossoni, come si desume ad es. dalla recente massima (consentanea ad un orientamento remoto e costante rappresentato, ex plurimis, da Cass. n. 816/1959, che ha escluso il regolamento di competenza contro la dichiarazione di improponibilità della domanda per essere compromessa la controversia in arbitri irrituali, Cass. n. 941/1961, che ha qualificato l'arbitrato irrituale come istituto di diritto sostanziale riconducibile nello schema negoziale del mandato, il cui contenuto specifico consiste nell'incarico, conferito a comuni mandatari, di regolare la controversia in via di composizione amichevole e transattiva, nonché, in epoca meno remota, da Cass. n. 11357/1994, Cass. n. 2741/1998, Cass. n. 4954/1999, Cass. n. 8788/2000, Cass. n. 4841/2002, Cass. n. 15353/2004; Cass. n. 1398/2005; Cass. n. 24059/2006) secondo cui il patto compromissorio libero non demanda agli arbitri l'esercizio di una funzione giurisdizionale, ma conferisce loro un mandato per l'espletamento di una attività negoziale (Cass. n. 5105/2012; Cass. n. 6830/2014), o dal principio più volte ribadito secondo cui, essendo l'arbitrato irrituale frutto di volontà contrattuale e non alternativo alla giurisdizione dello Stato, va, in caso di arbitrato irrituale, esclusa l'ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione (p. es. Cass. S.U., n. 6423/2008) e del regolamento di competenza (p. es. Cass. n. 21869/2012; Cass. n. 10300/2014, ove si afferma che all'arbitrato irrituale sono inapplicabili tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l'art. 819 ter). Da ultimo si è ribadito che l'arbitrato irrituale è un mandato congiunto a comporre una controversia mediante un negozio con questa funzione, dal che si è esclusa la sua assimilabilità al contratto di transazione atteso che la risoluzione della controversia da parte degli arbitri non implica reciproche concessioni tra le parti; peraltro, a differenza dell'arbitrato rituale, la possibilità di attuare i diritti discendenti dall'arbitrato irrituale è rimessa esclusivamente al comportamento delle parti, dovendosi escludere che il relativo lodo possa essere reso esecutivo (Cass. n. 12058/2022). Il patto compromissorioSe, dunque, si guarda all'arbitrato irrituale quale esso vive nei responsi della giurisprudenza, non v'è dubbio che non possa attagliarsi al relativo patto compromissorio, sia sotto forma di compromesso che di clausola compromissoria, la definizione di contratto ad effetti processuali che si è visto sub art. 806 essere generalmente condivisa con riguardo all'arbitrato rituale, dovendosi invece ravvisare nel patto compromissorio per arbitrato irrituale «piuttosto un contratto con effetti sostanziali» (Bove, 2010, 77), tant'è che la giurisprudenza ha stabilmente affermato che dalla previsione dell'arbitrato irrituale discende un'eccezione di natura non già processuale, bensì di merito, di improponibilità della domanda (Cass. n. 10332/2016; Cass. n. 7525/2007; Cass. n. 14118/2003; Cass. n. 12648/2001; Cass. n. 4845/2000; sembra che, allo stato della giurisprudenza, l'eccezione di improponibilità non sia rilevabile d'ufficio, potendo peraltro essere detta eccezione oggetto di rinuncia, secondo Cass. n. 12877/2011). Dalla conformazione del patto compromissorio per arbitrato irrituale quale pattuizione di stampo prettamente negoziale discendono talune rilevanti conseguenze che lo distinguono dal compromesso e dalla clausola compromissoria per arbitrato rituale: i) stante l'inapplicabilità al patto compromissorio per arbitrato irrituale dell'art. 807, la S.C. n. ha in passato affermato che detto patto richiede la forma scritta ad substantiam solo se la clausola concerne rapporti che derivano da alcuni degli atti previsti dall'art. 1350 c.c., essendo altrimenti prescritta (analogamente a quanto previsto per il contratto di transazione) la forma scritta ad probationem tantum (Cass. n. 21139/2004): principio da rimeditarsi oggi alla luce della norma in commento, la quale richiede una apposita «disposizione espressa per iscritto» (per la forma scritta ad probationem, anche nel vigore della nuova norma, Bove 2010, 80; la prevalente dottrina sembra però orientata nel senso opposto); in collegamento con la questione del requisito formale si pone quella concernente la possibilità che il verbale del procedimento arbitrale contenente la formulazione dei quesiti possa avere valore integrativo o sostitutivo del patto compromissorio per arbitrato irrituale (Cass. n. 8417/1998 e Cass. n. 5485/1982 hanno in passato risposto positivamente al quesito, a differenza di quanto avviene per l'arbitrato rituale che richiede la forma scritta ad substantiam); ii) non si applica all'arbitrato irrituale il principio di autonomia della clausola compromissoria essendo viceversa essa volta a porre in essere un negozio di secondo grado, traente origine da quello nel cui contesto è inserita (Cass. n. 5105/2012, in Riv. arb. 2012, 565, con nota di Occhipinti, secondo cui la cognizione in ordine alla validità e l'efficacia del patto compromissorio non può spettare agli arbitri irrituali, ma permane in capo al giudice ordinario); iii) non si pone nel caso di arbitrato irrituale l'esigenza della specifica approvazione per iscritto ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., non ricorrendo un'ipotesi di deroga della competenza dell'autorità giurisdizionale (Cass. n. 8788/2000; Cass. n. 10240/1992; per la perizia contrattuale v. Cass. n. 11876/2007; l'atteggiamento della dottrina è ampiamente critico, v. per tutti Bove 2010, 81; può qui accennarsi che la dottrina è parimenti orientata nel senso dell'applicabilità all'arbitrato irrituale degli artt. 33 ss. d.lgs. n. 206/2005, codice del consumo; nella giurisprudenza di merito per la vessatorietà della clausola che prevede la devoluzione a arbitrato irrituale delle controversie insorgende relativamente ad un contratto di servizi di investimento stipulato tra un privato ed un intermediario finanziario v. Trib. Roma 18 agosto 2006, in Banca borsa tit. cred. 2008, II, 110, con nota di Mancini); iv) è valida la clausola compromissoria per arbitrato irrituale, la quale attribuisca soltanto ad una delle parti la facoltà di declinare la competenza arbitrale e di chiedere che la controversia sia decisa dal giudice ordinario, poiché tale derogabilità unilaterale della clausola è in linea con i limiti di esercizio dell'autonomia privata ed è coerente con la tendenza di sistema favorevole al riconoscimento della giustizia pubblica quale forma primaria di soluzione dei conflitti (Cass. n. 10679/2015); v) il creditore che agisce in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. è tenuto al rispetto del vincolo compromissorio per arbitrato rituale sottoscritto dal debitore surrogato, stante la sua posizione di sostituto, processuale ma non quello per arbitrato irrituale (Cass. n. 5724/1995). Quanto all'interpretazione del patto, e alla sua distinzione dall'arbitrato rituale, non v'è dubbio che occorra fare riferimento alle ordinarie regole di ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 ss. c.c. (Cass. n. 26135/2013; Cass. n. 14972/2007; Cass. n. 1398/2005). Si è poi già accennato all'orientamento della giurisprudenza, secondo cui nel dubbio il patto compromissorio andava interpretato come riferito all'arbitrato irrituale, stante l'eccezionalità della deroga alla competenza del giudice ordinario conseguente all'arbitrato rituale. Con la norma in commento il legislatore ha inteso capovolgere il precedente orientamento, giacché per i fini dell'arbitrato irrituale occorre una pattuizione scritta ed espressa, dovendo si pertanto in mancanza di essa propendere per la qualificazione dell'arbitrato come rituale. Tale innovazione normativa, favorevolmente accolta dalla dottrina pressoché unanime, ha fatto breccia anche nella giurisprudenza la quale ha affermato che, anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell'art. 808-ter il dubbio sull'interpretazione dell'effettiva volontà dei contraenti va risolto nel senso della ritualità dell'arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza giudiziaria (Cass. n. 6909/2015). Fermo restando dunque che, se il patto compromissorio, redatto per iscritto, qualifica l'arbitrato come irrituale o libero, sembra essersi al cospetto di una disposizione espressa, volta a stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'art. 824-bis, la controversia sarà definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale (così Sassani 2012, 116; contra Trib. 19 marzo 2007, in Giur. mer. 2007, 2822, con nota di Di Marzio, la quale richiede l'esplicita manifestazione di volontà che il lodo produca effetti negoziali, anziché di sentenza), occorre chiedersi se una pattuizione espressa in tal senso possa altresì tuttora desumersi dall'impiego di espressioni quali di «comporre», «determinare» o «definire» la lite (Cass. n. 1398/2005; Cass. n. 13840/2001; Cass. n. 8788/2000; Cass. n. 8269/1995; Cass. n. 8075/1994), in luogo di espressioni quali «controversia», «giudizio», «giudicare» (Cass. n. 14059/2006; Cass. n. 4954/1999; Cass. n. 833/1999; Cass. n. 11357/1994). Il che richiede anche di considerare che, nel contesto dell'arbitrato irrituale, le parti ben possono attribuire agli arbitri il vincolo a quantificare le spettanze delle parti iuxta alligata et probata (Cass. n. 6909/2015). In breve, l'approccio all'interpretazione della convenzione di arbitrato si riassume nella massima secondo cui, al fine di distinguere tra arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria con riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti ed al comportamento complessivo delle stesse, senza che il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell'arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell'irritualità dell'arbitrato, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte dall'arbitrato rituale quanto all'efficacia esecutiva del lodo ed al regime delle impugnazioni (Cass. n. 21059/2019, che ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che le espressioni presenti nella clausola compromissoria: «giudizio arbitrale», «giudizio inappellabile», decisione da assumere «senza formalità di rito e secondo equità», non potessero essere interpretate con sicurezza come espressive della volontà delle parti di pattuire che la decisione sarebbe stata assunta dagli arbitri nelle forme dell'arbitrato irrituale). Resta da dire che al fine di qualificare l'arbitrato come rituale o irrituale, la Corte di cassazione opera come giudice del fatto e ha, dunque, il potere di accertare direttamente, attraverso l'esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria, in quanto la relativa qualificazione incide sull'ammissibilità dell'impugnazione della decisione arbitrale (Cass. n. 23629/2015). Nonostante l'inapplicabilità al loro irrituale della complessiva disciplina prevista per il lodo rituale, la giurisprudenza ammette il ricorso all'art. 810, in via di analogia, in punto di nomina degli arbitri (da ult. Cass. n. 17114/2010, sulla scia di Cass. S.U., n. 3189/1989). Merita aggiungere che alla pubblica amministrazione deve ritenersi consentita solo la stipulazione di clausole compromissorie per arbitrato rituale, essendo per contro ad essa preclusa la possibilità di avvalersi, nella risoluzione delle controversie derivanti da contratti conclusi con privati, dello strumento del c.d. arbitrato irrituale o libero (Cass. S.U., n. 8987/2009). La P.A. non può cioè avvalersi, per la risoluzione delle controversie derivanti da contratti conclusi con i privati, dello strumento dell'arbitrato irrituale o libero, con la conseguenza che, in caso di transazione novativa sull'intero rapporto, la clausola compromissoria, contenuta nella transazione, è destinata a sostituire quella che, nell'originaria convenzione tra il privato e la P.A., disponga in favore di arbitrato irrituale, attesa la sua nullità (Cass., S.U. n. 4242/2024). L'impugnazione del lodo irritualeLa natura negoziale del lodo irrituale, faceva sì, in passato che esso rimanesse assoggettato non già all'impugnazione per nullità prevista dagli artt. 827 ss. (da ult. Cass. n. 10300/2014; Cass. n. 6830/2014), bensì alle impugnative negoziali esperibili nei riguardi dei contratti: impugnabile, dunque, non per errori di diritto, ma solo per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l'errore, la violenza, il dolo o l'incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico e dell'arbitro stesso (es. Cass. n. 22374/2006). Con l'introduzione dell'art. 808-ter la situazione può dirsi solo in parte modificata, dovendosi ritenere che i motivi indicati nell'art. 808-ter vadano ad aggiungersi rispetto alle menzionate impugnazioni negoziali (Verde, 2005, 674), rimanendo senz'altro esclusa l'impugnazione ex artt. 827 e ss., sicché l'impugnazione proposta avverso un lodo arbitrale irrituale, ancorché erroneamente omologato, deve essere dichiarata, anche d'ufficio, inammissibile (Cass. n. 13899/2014). Merita infine sottolineare che, agli effetti dell'individuazione del mezzo con cui il lodo va impugnato, ciò che conta è la natura dell'atto in concreto posto in essere dagli arbitri, più che la natura dell'arbitrato come previsto dalle parti; pertanto, se sia stato pronunciato un lodo rituale nonostante le parti avessero previsto un arbitrato irrituale, quel lodo è impugnabile esclusivamente ai sensi degli artt. 827 e ss. (Cass. n. 6842/2011, in Riv. arb., 2013, 931, con nota di Debernardi); egualmente, ove gli arbitri abbiano ritenuto, anche implicitamente, la natura rituale dell'arbitrato, avendo provveduto nelle forme di cui agli artt. 816 e ss. c.p.c., l'impugnazione del lodo, anche se diretta a far valere la natura irrituale dell'arbitrato ed i conseguenti errores in procedendo commessi dagli arbitri, va proposta davanti alla corte d'appello, ai sensi dell'art. 827 ss. c.p.c.: Cass. n. 22005/2024; v. pure Cass. n. 6140/2024), e, per converso, se è stato pronunciato lodo irrituale, non può in ogni caso ricorrersi a detta impugnazione (Cass. n. 25258/2013). FattispecieAl fine di qualificare l'arbitrato come rituale o irrituale, la Corte di cassazione opera come giudice del fatto e ha, dunque, il potere di accertare direttamente, attraverso l'esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria, in quanto la relativa qualificazione incide sull'ammissibilità dell'impugnazione della decisione arbitrale. Nell'esercizio di tale attività di accertamento, il criterio discretivo tra le due figure consiste nel fatto che nell'arbitrato rituale le parti vogliono la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825, con le regole del procedimento arbitrale, mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro stessa volontà (Cass. n. 23629/2015). È valida la clausola compromissoria per arbitrato irrituale, la quale attribuisca soltanto ad una delle parti la facoltà di declinare la competenza arbitrale e di chiedere che la controversia sia decisa dal giudice ordinario, poiché tale derogabilità unilaterale della clausola è in linea con i limiti di esercizio dell'autonomia privata ed è coerente con la tendenza di sistema favorevole al riconoscimento della giustizia pubblica quale forma primaria di soluzione dei conflitti (Cass. n. 10679/2015). Nell'arbitrato irrituale, il termine prefissato dalle parti per la pronuncia del lodo è, per natura e struttura, essenziale, non potendosi ammettere che le pari siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia (e alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale) per un tempo indefinito. Deriva da quanto precede, pertanto, che ai sensi dell'art. 1722, n. 1, c.c. — applicabile sia nei casi in cui il mandato abbia per oggetto il compimento di un atto negoziale, sia in quelli in cui il mandato abbia per oggetto un atto giuridico in senso stretto — il mandato conferito agli arbitri si estingue con la scadenza del termine prefissato dalle parti e la loro successiva attività è inefficace. Tuttavia, trattandosi di un rapporto negoziale, è indiscusso che le parti, pur stabilendo un termine per l'espletamento dell'incarico, ne possano escludere in concreto la essenzialità dando a esso un valore meramente orientativo, come una raccomandazione agli arbitri di procedere con sollecitudine. È un accertamento che, risolvendosi nella ricostruzione della volontà delle parti, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, quindi insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass. n. 8317/2015). In tema di interpretazione del patto compromissorio, anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell'art. 808 ter ad opera del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il dubbio sull'interpretazione dell'effettiva volontà dei contraenti va risolto nel senso della ritualità dell'arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza giudiziaria (Cass. n. 6909/2015). In tema di arbitrato, anche nel vigore della disciplina vigente anteriormente alla riforma del 2006, nel caso in cui residuino dubbi sull'effettiva volontà dei contraenti contenuta nel patto compromissorio, si deve optare per la natura rituale dell'arbitrato, tenuto conto che la deroga alla norma per cui il lodo ha l'efficacia della sentenza giudiziaria ha natura eccezionale (Cass. n. 6909/2015). In tema di arbitrato, la sentenza che neghi la propria competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato irrituale non è impugnabile per regolamento di competenza, in quanto tale tipologia di arbitrato determina l'inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l'art. 819 ter (Nella specie, la S.C. ha qualificato come irrituale l'arbitrato previsto da una clausola compromissoria contenuta nello statuto di un consorzio che deferiva alla competenza di un arbitro la soluzione delle controversie fra consorziati attraverso uno strumento inappellabile e destinato a realizzare la volontà delle parti di comporre la controversia) (Cass. n. 10300/2014). L'arbitrato irrituale, quale strumento di risoluzione delle controversie imperniato sull'affidamento a terzi del compito di ricercare una composizione amichevole riconducibile alla volontà delle parti, ha natura negoziale e, pertanto, il relativo lodo è impugnabile — fino all'entrata in vigore del d.lgs. n. 40/2006, che ha previsto, con il nuovo art. 808 ter, l'annullabilità del lodo in caso di pronuncia su conclusioni esorbitanti dai limiti della convenzione di arbitrato — solo per vizi della volontà negoziale (errore, dolo o violenza) o per incapacità delle parti o degli arbitri. Ne consegue che sia nel caso in cui il ricorrente intenda far valere la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sia nel caso, opposto, in cui sostenga che l'oggetto della decisione corrisponda puntualmente a quello della controversia deferita agli arbitri, il vizio denunciato si traduce in una questione d'interpretazione della volontà dei mandanti e si risolve, analogamente a quanto accade in ogni altra ipotesi di interpretazione della volontà negoziale, in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se condotto nel rispetto dei criteri di ermeneutica contrattuale e correttamente motivato. (Cass. n. 6830/2014). Il ricorso all'Arbitro bancario finanziario configura un'ipotesi di arbitrato irrituale, stante la mancanza di una espressa clausola compromissoria, anche perché le parti consentono al Collegio arbitrale di assumere la decisione senza l'osservanza di particolari formule e procedure di rito (Trib. Salerno 17 dicembre 2013). Al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall'art. 1362 c.c. e, dunque, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti, e al comportamento complessivo delle stesse, anche successivo alla conclusione del contratto, senza che, il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell'arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell'irritualità dell'arbitrato, ovvero possa essere invocato il criterio, residuale, della natura eccezionale dell'arbitrato rituale, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte da tale forma di arbitrato quanto all'efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni, alle possibilità per il giudice di concedere la sospensiva (Cass. n. 26135/2013). In tema di arbitrato irrituale ante d.lg. n. 40/2006 che abbia pronunciato la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore dovuto a mancato pagamento del canone, è legittimo il ricorso al g.o. per ottenere l'ordine di rilascio ed altre pronunce integrative ex art. 1349 c.c. (Trib. Roma 13 febbraio 2013). Al fine di qualificare l'arbitrato come rituale o irrituale, la Corte di cassazione opera come giudice del fatto e ha, dunque, il potere di accertare direttamente, attraverso l'esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria, in quanto la relativa qualificazione incide sull'ammissibilità dell'impugnazione della decisione arbitrale. Nell'esercizio di tale attività di accertamento, il criterio discretivo tra le due figure consiste nel fatto che nell'arbitrato rituale le parti vogliono la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825, con le regole del procedimento arbitrale, mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro stessa volontà (Cass. n. 23629/2015). È valida la clausola compromissoria per arbitrato irrituale, la quale attribuisca soltanto ad una delle parti la facoltà di declinare la competenza arbitrale e di chiedere che la controversia sia decisa dal giudice ordinario, poiché tale derogabilità unilaterale della clausola è in linea con i limiti di esercizio dell'autonomia privata ed è coerente con la tendenza di sistema favorevole al riconoscimento della giustizia pubblica quale forma primaria di soluzione dei conflitti (Cass. n. 10679/2015). Nell'arbitrato irrituale, il termine prefissato dalle parti per la pronuncia del lodo è, per natura e struttura, essenziale, non potendosi ammettere che le pari siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia (e alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale) per un tempo indefinito. Deriva da quanto precede, pertanto, che ai sensi dell'art. 1722, n. 1, c.c. — applicabile sia nei casi in cui il mandato abbia per oggetto il compimento di un atto negoziale, sia in quelli in cui il mandato abbia per oggetto un atto giuridico in senso stretto — il mandato conferito agli arbitri si estingue con la scadenza del termine prefissato dalle parti e la loro successiva attività è inefficace. Tuttavia, trattandosi di un rapporto negoziale, è indiscusso che le parti, pur stabilendo un termine per l'espletamento dell'incarico, ne possano escludere in concreto la essenzialità dando a esso un valore meramente orientativo, come una raccomandazione agli arbitri di procedere con sollecitudine. È un accertamento che, risolvendosi nella ricostruzione della volontà delle parti, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, quindi insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass. n. 8317/2015). In tema di interpretazione del patto compromissorio, anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell'art. 808 ter ad opera del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il dubbio sull'interpretazione dell'effettiva volontà dei contraenti va risolto nel senso della ritualità dell'arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza giudiziaria (Cass. n. 6909/2015). In tema di arbitrato, anche nel vigore della disciplina vigente anteriormente alla riforma del 2006, nel caso in cui residuino dubbi sull'effettiva volontà dei contraenti contenuta nel patto compromissorio, si deve optare per la natura rituale dell'arbitrato, tenuto conto che la deroga alla norma per cui il lodo ha l'efficacia della sentenza giudiziaria ha natura eccezionale (Cass. n. 6909/2015). In tema di arbitrato, la sentenza che neghi la propria competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato irrituale non è impugnabile per regolamento di competenza, in quanto tale tipologia di arbitrato determina l'inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l'art. 819-ter (Nella specie, la S.C. ha qualificato come irrituale l'arbitrato previsto da una clausola compromissoria contenuta nello statuto di un consorzio che deferiva alla competenza di un arbitro la soluzione delle controversie fra consorziati attraverso uno strumento inappellabile e destinato a realizzare la volontà delle parti di comporre la controversia) (Cass. n. 10300/2014). L'arbitrato irrituale, quale strumento di risoluzione delle controversie imperniato sull'affidamento a terzi del compito di ricercare una composizione amichevole riconducibile alla volontà delle parti, ha natura negoziale e, pertanto, il relativo lodo è impugnabile — fino all'entrata in vigore del d.lgs. n. 40/2006, che ha previsto, con il nuovo art. 808-ter, l'annullabilità del lodo in caso di pronuncia su conclusioni esorbitanti dai limiti della convenzione di arbitrato — solo per vizi della volontà negoziale (errore, dolo o violenza) o per incapacità delle parti o degli arbitri. Ne consegue che sia nel caso in cui il ricorrente intenda far valere la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sia nel caso, opposto, in cui sostenga che l'oggetto della decisione corrisponda puntualmente a quello della controversia deferita agli arbitri, il vizio denunciato si traduce in una questione d'interpretazione della volontà dei mandanti e si risolve, analogamente a quanto accade in ogni altra ipotesi di interpretazione della volontà negoziale, in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se condotto nel rispetto dei criteri di ermeneutica contrattuale e correttamente motivato (Cass. n. 6830/2014). Al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall'art. 1362 c.c. e, dunque, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti, e al comportamento complessivo delle stesse, anche successivo alla conclusione del contratto, senza che, il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell'arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell'irritualità dell'arbitrato, ovvero possa essere invocato il criterio, residuale, della natura eccezionale dell'arbitrato rituale, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte da tale forma di arbitrato quanto all'efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni, alle possibilità per il giudice di concedere la sospensiva (Cass. n. 26135/2013). In tema di arbitrato irrituale ante d.lg. n. 40/2006 che abbia pronunciato la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore dovuto a mancato pagamento del canone, è legittimo il ricorso al g.o. per ottenere l'ordine di rilascio ed altre pronunce integrative ex art. 1349 c.c. (Trib. Roma 13 febbraio 2013). La distinzione tra arbitrato rituale e irrituale, avendo entrambi natura privata, non può più imperniarsi sul rilievo che nel primo le parti tendono a una decisione sul piano giurisdizionale, per aver affidato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma deve fondarsi sulla circostanza che nell'arbitrato rituale esse intendono ottenere un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825, con l'osservanza del regime formale di cui agli artt. 816 e ss., mentre in quello irrituale esse si propongono di rimettere all'arbitro la soluzione di controversie insorte o insorgende soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alle stesse parti, le quali si impegnano ad accettare la decisione come espressione della loro volontà. In questa ottica interpretativa non può essere omessa la considerazione — formulata ab antiquo dalla dottrina e alla quale ora, in un contesto normativo nuovamente mutato, ha dato base legislativa l'art. 808-ter della legge di riforma dell'arbitrato n. 40 del 2006 — secondo la quale, costituendo l'arbitrato irritale un istituto atipico, derogatorio dell'istituto tipico regolato dalla legge sfornito delle garanzie all'uopo previste dal legislatore, in mancanza di una volontà derogatoria chiaramente desumibile dal compromesso o dalla clausola compromissoria, il deferimento ad arbitri della soluzione di determinate controversie costituisce normalmente espressione della volontà delle parti di fare riferimento all'istituto tipico dell'arbitrato regolato dal codice di rito civile (Cass. n. 3933/2008). È applicabile estensivamente all'arbitrato irrituale la norma di cui all'art. 814, comma 2, considerato il sostanziale riconoscimento dell'unitaria natura della decisione arbitrale, quale atto riconducibile all'autonomia negoziale ed alla legittimazione a derogare alla giurisdizione per ottenere una privata decisione della lite così da collocarsi in posizione del tutto autonoma ed alternativa rispetto al giudizio ordinario. Né può operare nella concreta fattispecie la norma innovativa dell'art. 808-ter, che pone la distinzione tra i due tipi di arbitrato ed enuncia l'inapplicabilità all'arbitrato irrituale della previsione di cui all'art. 824-bis, essendo tale norma applicabile alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo il 2 marzo 2006, mentre il contratto di affitto d'azienda intercorso tra le parti, contenente la clausola compromissoria, risale al 1° giugno 2000 (Trib. Perugia 31 aprile 2007). Nella clausola di un contratto di assicurazione contro gli infortuni, che preveda una perizia contrattuale (con il deferimento ad un collegio di esperti degli accertamenti da espletare in base a regole tecniche e con l'impegno di accettarne le conclusioni come diretta espressione della volontà dei contraenti), è insita la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto. Tale clausola non ha, peraltro, carattere compromissorio o, comunque, derogativo della competenza del g.o., e non rientra, pertanto, fra quelle da approvarsi specificamente per iscritto a norma degli artt. 1341 e 1342 c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato l'impugnata sentenza di merito con la quale, in virtù di una clausola contemplante la necessità di ricorrere ad una perizia contrattuale, era stata ritenuta la temporanea improponibilità della domanda nella sede giudiziaria ordinaria di tutte le azioni derivanti dal dedotto contratto di assicurazione stipulato anteriormente all'entrata in vigore degli art. 1469-bis e ss. c.c., introdotti per effetto dell'art. 25 della legge irretroattiva n. 52/1996, e quindi sia della domanda dell'assicurato al pagamento dell'indennizzo che di quella di risarcimento del danno per inadempimento a detto obbligo di adempimento, senza che potesse assumere, al riguardo, alcun rilievo la qualificazione della domanda al fine di superare la ravvisata temporanea preclusione dell'azione giudiziaria, derivante dal mancato espletamento della perizia convenzionalmente pattuita) (Cass. n. 11876/2007). Ai fini della configurazione di un arbitrato come irrituale non sono elementi decisivi né il conferimento agli arbitri del potere di decidere quali amichevoli compositori né la preventiva attribuzione alla pronuncia arbitrale del carattere dell'inappellabilità né la previsione di esonero degli arbitri da formalità di procedura, assumendo a tal fine rilevanza espressioni terminologiche congruenti con l'attività del giudicare e con il risultato di un giudizio in ordine ad una controversia, caratterizzanti la previsione dell'arbitrato rituale (App. Milano 24 aprile 2007). La convenzione di arbitrato con cui le parti di un contratto di locazione deferiscano le controversie scaturenti dal contratto medesimo, riguardanti l'interpretazione, esecuzione e risoluzione di esso, ad «arbitrato libero», non concretando un'espressa manifestazione di volontà diretta a far sì che tali controversie siano definite dagli arbitri mediante determinazione contrattuale, va interpretata, in conformità all'art. 808-ter comma 1, come convenzione di arbitrato rituale (Trib. Modena 19 marzo 2007). L'uso ripetuto, all'interno della convenzione arbitrale (nella specie, stipulata nel 1997), di espressioni quali «giudizio», «emetterà giudizio» e «giudicherà» meglio si attagliano all'attività degli arbitri rituali, i quali debbono emettere, all'esito di un giudizio privato, una decisione potenzialmente fungibile con quella degli organi della giurisdizione; né vale ad escludere la natura rituale dell'arbitrato il conferimento del potere di giudicare secondo equità, quali «amichevoli compositori» (Cass. n. 24059/2006). I provvedimenti della Commissione di disciplina dell'Enci, quali lodi arbitrali irrituali, non sono impugnabili per errori di diritto bensì esclusivamente per i vizi che possono alterare la manifestazione della volontà negoziale, ovvero l'errore, la violenza, il dolo o l'incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico e dell'arbitro stesso (Cass. n. 22374/2006). BibliografiaAuletta F., Dell'arbitrato, in Sassani B. (a cura di), La riforma delle società. 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