Codice di Procedura Civile art. 816 - Sede dell'arbitrato 1 .

Mauro Di Marzio

Sede dell'arbitrato1.

[I]. Le parti determinano la sede dell'arbitrato nel territorio della Repubblica; altrimenti provvedono gli arbitri.

[II]. Se le parti e gli arbitri non hanno determinato la sede dell'arbitrato, questa è nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato. Se tale luogo non si trova nel territorio nazionale, la sede è a Roma.

[III]. Se la convenzione d'arbitrato non dispone diversamente, gli arbitri possono tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare ed apporre le loro sottoscrizioni al lodo anche in luoghi diversi dalla sede dell'arbitrato ed anche all'estero.

[1] L'articolo, assieme agli altri articoli del Capo III, è stato così sostituito dall'art. 22, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 27, comma 4, d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del decreto. Precedentemente l'articolo era stato sostituito dall'art. 8, l. 5 gennaio 1994, n. 25. Il testo anteriore alla riforma recitava: «Svolgimento del procedimento. - [I] Le parti determinano la sede dell'arbitrato nel territorio della Repubblica; altrimenti provvedono gli arbitri nella loro prima riunione. [II]. Le parti possono stabilire nel compromesso, nella clausola compromissoria o con atto scritto separato, purché anteriore all'inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento. [III]. In mancanza di tali norme gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno. [IV]. Essi debbono in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documenti e memorie, e per esporre le loro repliche. [V]. Gli atti di istruzione possono essere delegati dagli arbitri a uno di essi. [VI]. Su tutte le questioni che si presentano nel corso del procedimento gli arbitri provvedono con ordinanza non soggetta a deposito e revocabile tranne che nel caso previsto nell'articolo 819».

Inquadramento

Secondo l'art. 816 le parti determinano la sede dell'arbitrato nel territorio della Repubblica; altrimenti provvedono gli arbitri.

Se le parti e gli arbitri non hanno determinato la sede dell'arbitrato, questa è nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato. Se tale luogo non si trova nel territorio nazionale, la sede è a Roma.

Se la convenzione d'arbitrato non dispone diversamente, gli arbitri possono tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare ed apporre le loro sottoscrizioni al lodo anche in luoghi diversi dalla sede dell'arbitrato ed anche all'estero.

La determinazione della sede può dunque avvenire in due modi: o sono le parti ad indicarla, oppure provvedono gli arbitri.

D'altro canto, la sede dell'arbitrato può essere determinata per facta concludentia, ogni qualvolta essa di sia desumibile dagli atti di causa in via interpretativa (Cass. n. 6951/2004).

In mancanza di determinazione della sede trova applicazione il comma 2 della disposizione, che la identifica nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato ovvero in Roma, nel caso sopra menzionato.

La sede dell'arbitrato comporta l'individuazione del presidente del tribunale competente per i provvedimenti di cui agli artt. 810, comma 2 (nomina degli arbitri); art. 811 (sostituzione degli arbitri); 813-bis (decadenza degli arbitri); 814 (diritti degli arbitri); 815. comma 3 (ricusazione degli arbitri);  825 (dichiarazione di esecutività); 826, comma 3 (correzione del lodo); comporta ancora l'individuazione della corte d'appello competente per le impugnazioni ex art. 828 (impugnazione per nullità) e art. 831 (revocazione ed opposizione di terzo).

Fattispecie

La disciplina processuale del procedimento arbitrale è stata in gran parte esaminata, in sede giurisprudenziale, in riferimento alla norma in commento, che è stata poi «spacchettata» ed ha dato luogo all'introduzione degli artt. 816-bis 816-septies. Sembra perciò opportuno concentrare qui la disamina degli apporti di giurisprudenza sulla materia.

2.1) Principio della libertà di forme.

Il giudizio arbitrale è caratterizzato dal principio dell'assoluta libertà di forme, nel cui ambito gli arbitri adottano le regole da seguire, le quali, se opportuno, possono essere modificate (espressamente o implicitamente), ampliate o ristrette, con l'unico ineludibile limite dell'assoluto rispetto del principio del contraddittorio e sempre che le regole del giudizio non siano previste e determinate direttamente dalle parti in causa (Cass. n. 10192/1999).

Il procedimento arbitrale è ispirato alla libertà delle forme, con la conseguenza che gli arbitri non sono tenuti all'osservanza delle norme del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario di cognizione, a meno che le parti non vi abbiano fatto esplicito richiamo nel conferimento dell'incarico arbitrale; esso deve, comunque essere condotto nel rispetto delle norme di ordine pubblico, che fissano i principi cardine del processo, di rango costituzionale, come il principio del contraddittorio, rafforzato dalla specifica previsione della lesione di tale principio come motivo di nullità del lodo, ai sensi dell'art. 829, comma 9 (Cass. n. 17099/2013).

Il procedimento arbitrale è ispirato alla libertà delle forme, con la conseguenza che gli arbitri non sono tenuti all'osservanza delle norme del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario di cognizione, a meno che le parti non vi abbiano fatto esplicito richiamo, nel conferimento dell'incarico arbitrale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che il deposito di documenti ad opera di una delle parti in sede di memoria illustrativa avesse comportato una violazione del contraddittorio, in quanto alla controparte era stato consentito di prenderne visione e di svolgere al riguardo opportune difese) (Cass. n. 5274/2007).

Il procedimento arbitrale è ispirato alla libertà delle forme, con la conseguenza che gli arbitri non sono tenuti all'osservanza delle norme del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario di cognizione, a meno che le parti non vi abbiano fatto esplicito richiamo, nel conferimento dell'incarico arbitrale. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che avesse comportato una violazione del contraddittorio l'ammissione e l'espletamento della prova testimoniale richiesta dalla parte in una memoria istruttoria tardivamente depositata, senza concedere all'altra parte un termine per formulare controdeduzioni o per un differimento, avendo il suo difensore partecipato all'udienza di assunzione della prova senza opporsi al suo espletamento) (Cass. n. 3917/2011).

In tema di arbitrato, l'accordo delle parti sulle norme da osservare nel procedimento arbitrale — che, secondo il disposto dell'art. 816 (nel testo anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), deve essere concluso prima dell'inizio dello stesso — può intervenire anche dopo tale inizio, purché ricorra, in tal caso, anche l'assenso degli arbitri; invero, la norma pone il limite temporale nel loro interesse, affinché possano conoscere, prima di accettare l'incarico (momento cui si collega l'inizio del procedimento arbitrale), le regole procedurali che saranno chiamati ad applicare e, pertanto, ha carattere dispositivo e derogabile con il consenso degli interessati (Cass. n. 9761/2011).

Nell'arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all'osservanza delle norme del codice di rito, è consentito alle medesime di modificare ed ampliare le iniziali domande, senza che trovino applicazione le preclusioni di cui all'art. 183, salvo il rispetto del principio del contraddittorio (Cass. n. 2717/2007).

L'inosservanza di forme prescritte per i giudizi sotto pena di nullità può determinare la nullità del lodo soltanto se le parti, prima del giudizio arbitrale, abbiano stabilito le regole procedimentali cui attenersi, eventualmente anche mediante richiamo a quelle del giudizio ordinario (Cass. n. 2201/2007).

Quando le regole del giudizio arbitrale sono fissate convenzionalmente con richiamo delle norme sul processo ordinario, appare corretto affermare la nullità del lodo per qualsiasi inosservanza delle disposizioni che, con idonee prescrizioni procedurali, assicurano la tempestiva informazione e la possibilità di difesa attiva di tutti i soggetti coinvolti nella lite, come, in particolare, nel caso in cui la formulazione dei quesiti, oggetto di giudizio, sia stata effettuata senza rispettare le norme del codice di rito sul processo di cognizione disciplinanti l'introduzione della causa (art. 163 e ss.) e tendenzialmente finalizzate a garantire il contraddittorio tra le parti. È indubbio, tuttavia, che, laddove tali regole non siano adattabili al procedimento arbitrale, debba farsi riferimento alle modalità di tutela del diritto di difesa da esse delineate. Quindi, se non può invocarsi nel giudizio arbitrale il disposto di cui all'art. 163-bis, trattandosi di norma inapplicabile a tale processo, le cui modalità di attivazione divergono da quelle stabilite per l'introduzione della causa nel giudizio ordinario, viene comunque in rilievo l'esigenza espressa dalla norma in questione e riconducibile al principio del contraddittorio, nel senso che chi è chiamato a confrontarsi in un giudizio deve poter conoscere per tempo le pretese azionate nei suoi confronti ed essere così messo nella condizione di plasmare conseguentemente il proprio atto introduttivo. Peraltro, detta esigenza, riferita al processo arbitrale, non può considerarsi automaticamente e irrimediabilmente insoddisfatta ove non sia assicurato un adeguato sfalsamento temporale tra la formulazione dei quesiti di chi ha promosso il giudizio e la formulazione dei quesiti di chi vi è stato chiamato; anche nel procedimento arbitrale, come in quello ordinario, deve aversi riguardo al modo in cui le parti hanno potuto confrontarsi in giudizio in relazione alle pretese ivi esplicate, giacché il vizio di violazione del contraddittorio non ha un rilievo meramente formale, ma consegue alla concreta menomazione del diritto di difesa. (Nella specie, enunciando siffatto principio, la S.C. ha in parte qua ritenuto corretta la sentenza della corte di appello, che aveva escluso la violazione del contraddittorio, nonostante nell'atto di accesso al giudizio arbitrale mancasse la specificazione dei quesiti e per la relativa formulazione fosse stato concesso un unico termine alle parti, essendo emerso che il collegio arbitrale aveva concesso alle parti altro termine per produrre ulteriori documenti e depositare memorie con eventuale integrazione dei quesiti e delle richieste istruttorie, cosicché la parte convenuta era stata concretamente messa nella condizione di conoscere tempestivamente le domande formulate dall'avversario, di esporre le proprie ragioni e di proporre eccezioni e istanze, ovverosia di esercitare su un piano di uguaglianza le prerogative processuali) (Cass. n. 2201/2007).

In tema di arbitrato, a norma dell'art. 816, in mancanza di esplicita previa indicazione delle parti, gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno, ma debbono in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documenti e memorie ed esporre le loro repliche onde assicurare il corretto svolgimento del procedimento con il pieno rispetto del principio della regolarità del contraddittorio, che presiede anche allo svolgimento del giudizio arbitrale. Da ciò consegue la tardività e l'inammissibilità di quesiti formulati per la prima volta con la comparsa conclusionale, che è destinata solo a illustrare le ragioni delle pretese e delle richieste delle parti, senza possibilità alcuna di ampliare l'oggetto della controversia poiché ciò comporterebbe violazione del diritto di difesa della controparte (Cass. n. 18918/2004).

In tema di arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all'osservanza della procedura ordinaria, questi sono liberi di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo ritenuto più opportuno, anche, quindi, consentendo ai compromettenti, nell'ambito dei termini della clausola compromissoria, di modificare ed ampliare le iniziali domande — senza possibilità di evocare gli artt. 183 e 184 —, purché sia osservato il principio del contraddittorio (Cass. n. 8320/2004).

Nell'arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all'osservanza della procedura ordinaria, è consentito ai compromettenti, nell'ambito dei termini della clausola compromissoria, di modificare ed ampliare gli iniziali quesiti, senza possibilità di evocare il disposto degli artt. 183 e 184, purché sia osservato il principio del contraddittorio, che attiene all'ordine pubblico. Ad un tal riguardo, detto principio non può ritenersi violato allorché gli arbitri abbiano concesso alle parti di modificare le domande iniziali entro l'udienza di precisazione delle conclusioni, tuttavia garantendo ad esse il dialettico svolgimento delle rispettive deduzioni e controdeduzioni (anche dopo la chiusura dell'istruttoria) sulle domande stesse (Cass. n. 6950/2004).

In tema di giudizio arbitrale, l'atto introduttivo del relativo procedimento può ritenersi soggetto alle disposizioni di cui all'art. 163 — dettate in tema di citazione dinanzi al giudice ordinario — soltanto nell'ipotesi in cui le parti o gli arbitri abbiano disposto che il procedimento stesso si svolga secondo la disciplina del processo ordinario, sicché, in mancanza di regole procedimentali stabilite dalle parti o dagli arbitri a pena di nullità, può denunciarsi l'invalidità del lodo soltanto se la formulazione dei quesiti, oggetto di giudizio, sia stata effettuata senza rispettare il principio del contraddittorio (Cass. n. 2472/2003).

Nel giudizio arbitrale, ove le parti non abbiano stabilito le regole procedimentali, eventualmente anche mediante richiamo a quelle del giudizio ordinario, non prevedendo l'art. 829 altra nullità, con riferimento alle regole procedimentali adottate dagli arbitri, se non quella del mancato rispetto del principio del contraddittorio (art. 829, comma 1, n. 9), il procedimento arbitrale dovrà ritenersi regolato dalla più ampia libertà di forme, purché tali da assicurare il contraddittorio, da intendersi quale strumento essenziale di garanzia del diritto di difesa, alla cui tutela deve ritenersi diretta la norma. Ne deriva parimenti che, ove gli arbitri non abbiano predeterminato espressamente ed univocamente, all'inizio del procedimento, la procedura dell'arbitrato con riferimento al complesso della disciplina del processo ordinario, al procedimento arbitrale non sono applicabili le regole di quel processo (Cass. n. 9583/2000).

La norma contenuta nel comma 3 dell'art. 816 — in base alla quale gli arbitri, anche quando hanno la facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno, debbono, in ogni caso, assegnare alle parti i termini per presentare documenti e memorie ed esporre le loro repliche — ha carattere inderogabile, perché il principio del contradditorio attiene all'ordine pubblico. Da ciò consegue che, una volta concessa ad una parte la facoltà di depositare documenti (o memorie) oltre il termine già fissato per tale adempimento, deve ritenersi violato il principio del contraddittorio se all'altra parte non sia data comunicazione dell'avvenuto deposito, né venga assegnato un termine per eventuali osservazioni (Cass. n. 8177/1997).

2.2.) Principio del contraddittorio

Nel procedimento arbitrale l'esigenza del rispetto del principio del contraddittorio riceve specificazione nel senso che gli arbitri devono consentire alle parti di esporre i rispettivi assunti, di conoscere le prove e le risultanze del processo, di presentare entro un termine prefissato memorie e repliche e di prendere visione in tempo utile delle istanze e delle richieste avversarie (Cass. n. 6288/2000).

In tema di procedimento arbitrale, il principio secondo cui l'esigenza del contraddittorio non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma deve realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo, riceve specificazione nel senso che gli arbitri devono consentire alle parti di esporre i rispettivi assunti, di conoscere le prove e le risultanze del processo, di presentare entro un termine prefissato memorie e repliche e di prendere visione in tempo utile delle istanze e delle richieste avversarie (Cass. n. 1496/2001).

Nel giudizio arbitrale, allorché il lodo venga pronunciato immediatamente dopo la chiusura della istruzione, senza che venga offerta alle parti la possibilità di esaminare ed analizzare le prove, specificare le istanze conclusive ed esplicare le rispettive difese, esso è nullo per violazione del principio del contraddittorio, a nulla rilevando l'indagine ex post se le parti stesse abbiano o meno potuto discutere su quei fatti e quelle circostanze dal cui esame critico è scaturita la decisione. Il principio del contraddittorio costituisce, infatti, una regola processuale inderogabile di ordine pubblico, il cui rispetto va verificato ex ante, non apparendo ammissibile far dipendere la valutazione della sua osservanza dal contenuto concreto della decisione adottata (Cass. n. 8540/2000).

Il principio sancito dall'art. 816, comma 3, — secondo cui gli arbitri debbono, in ogni caso, assegnare alle parti i termini per presentare documenti e memorie e per esporre le loro repliche — esige che le parti siano messe in condizione di prospettare le proprie ragioni durante tutto il corso del procedimento arbitrale e, particolarmente, quando siano stati assunti mezzi di prova o sia stata espletata un'istruttoria. Peraltro, al fine di accertare se vi sia stata o meno violazione del principio del contraddittorio, deve aversi riguardo agli argomenti sui quali è stata fondata la decisione e stabilirsi se le parti abbiano avuto la possibilità di discutere su fatti e circostanze dal cui esame critico è scaturita la ratio decidendi ed eventualmente di contrapporre ad essi elementi atti a determinare un convincimento diverso. Per il generale principio sull'onere della prova, sancito dall'art. 2697 c.c., spetta alla parte che propone la querela nullitatis fornire la dimostrazione, coi consentiti mezzi di prova, dell'asserita violazione dei diritti di difesa (Cass. n. 4114/1974).

Indipendentemente dalla dispensa dall'osservanza delle norme procedurali ad essi conferita con il compromesso, gli arbitri sono tenuti, per il principio del contraddittorio, a dare alle parti l'opportunità di svolgere le loro ragioni in tutto il corso del procedimento arbitrale e, quando risulti espletata una istruttoria, a farne conoscere alle parti i risultati, concedendo termini per la difesa. Tuttavia, si è fuori del campo di applicazione di tale principio, quando risulti che l'istruttoria si sia svolta solo su questioni ben isolate rimaste estranee al processo formativo del lodo e che quest'ultimo sia fondato sulla risoluzione di questioni diverse dibattute tra le parti (Cass. n. 269/1972).

Nel procedimento arbitrale l'omessa osservanza del principio del contraddittorio (sancito dall'art. 816-bis, comma 1, già in precedenza ricondotto all'art. 816) non è un vizio formale, ma di attività. Ne consegue che, ai fini della declaratoria di nullità, è necessario accertare la concreta menomazione del diritto di difesa, tenendo conto della modalità del confronto tra le parti (avuto riguardo alle rispettive pretese) e delle possibilità, per le stesse, di esercitare, nel rispetto della regola audiatur et altera pars, su un piano di uguaglianza le facoltà processuali loro attribuite. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha rigettato il ricorso con il quale una delle parti sosteneva che l'altra avesse modificato le proprie domande nel foglio conclusioni introducendo nuovi temi, i quali, invece, erano stati ampiamente discussi davanti agli arbitri) (Cass. n. 28660/2013).

Nei giudizi arbitrali, gli arbitri non sono tenuti ad osservare imprescindibilmente le forme di procedura ordinaria, con le relative sanzioni di nullità e di decadenza, essendo demandato alle parti stesse di stabilire le norme da osservare ed avendo, in Mancanza, gli arbitri medesimi facoltà di regolare il giudizio nel modo più opportuno col solo vincolo di assegnare congrui termini per le difese. Non trovano, pertanto, applicazione nel giudizio arbitrale che le parti non abbiano vincolato all'osservanza delle norme del codice di rito, le preclusioni di cui agli artt. 183 e 184, né eccedono dai limiti delle loro attribuzioni gli arbitri che rispondono non solo ai quesiti loro posti nella loro formulazione originaria, ma anche a quelli più lati che la successiva discussione svoltasi fra le parti, in regolare contraddittorio fra loro, ha reso necessari e ampliati per la decisione, cosi tenendo presenti anche le successive circostanze, difese e precisazioni formulate dalle parti nel corso del giudizio arbitrale (Cass. S.U., n. 323/1962).

Nel giudizio arbitrale qualora le parti non abbiano determinato nel compromesso o nella clausola compromissoria le regole processuali da adottare, gli arbitri sono liberi di regolare l'articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno e, quindi, anche di discostarsi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, purché rispettino, sia pure con gli opportuni adattamenti, il principio inderogabile del contraddittorio, posto dall'art. 101, con la conseguenza che essi possono regolare l'assunzione delle prove nel modo ritenuto più opportuno, salvo l'obbligo, dopo il compimento dell'istruttoria e prima di emettere la pronuncia, di far conoscere alle parti i risultati dell'istruttoria medesima e di assegnare alle stesse un termine per la presentazione delle rispettive osservazioni e difese, incluso il deposito di una relazione, affidata a tecnici di fiducia, che contenga osservazioni e rilievi alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio; ne consegue che ove il consulente tecnico di ufficio acquisisca della documentazione depositandola insieme all'elaborato al termine degli accertamenti, senza averla esibita al consulente tecnico di una parte, quest'ultima, qualora abbia omesso di chiedere agli arbitri di concedere un termine per osservazioni e rilievi alla consulenza, non può lamentare alcuna violazione del principio del contraddittorio (Cass. n. 19949/2007).

Anche nel giudizio arbitrale l'accettazione del contraddittorio su domande nuove, proposte nel corso del giudizio stesso, può aver luogo in modo implicito, se la parte interessata, senza contestare l'ammissibilità delle nuove domande, adotti riguardo ad esse difese di merito (Cass. n. 107/1985).

Nel giudizio arbitrale l'accettazione del contraddittorio su domande nuove proposte nel corso del giudizio stesso può aver luogo anche in modo implicito, se la parte interessata, senza contestare l'ammissibilità delle nuove domande, adotti, riguardo ad esse, difese di merito (Cass. n. 1583/1968).

Nel giudizio arbitrale l'accettazione del contraddittorio su domande nuove proposte nel corso del giudizio stesso può aver luogo anche in modo implicito, se la parte interessata, senza contestare l'ammissibilità delle nuove domande, adotti, riguardo ad esse, difese di merito (Cass. n. 302/1966).

La norma di cui all'art. 816, comma 3, — la quale impone agli arbitri, anche se autorizzati a decidere secondo equità e senza il rispetto delle regole processuali, di assegnazione in ogni caso alle parti termini per produrre documenti e memorie e per esporre le loro repliche, al fine dell'osservanza del principio del contraddittorio — non è prescritta del pari a pena di nullità nell'arbitrato irrituale. In questo, infatti, tale inderogabile principio va inteso e seguito in relazione al contenuto della pronunzia arbitrale voluta dai compromittentI: non vi si articola, quindi, necessariamente in forme rigorose e in fasi progressive regolate dall'arbitro mediante prefissione di termini, nemmeno per quanto attiene al potere delle parti di presentare documenti e memorie e di esporre repliche, essendo sufficiente che la loro attività assertiva e deduttiva si sia potuta esplicare, in qualsiasi modo e tempo, in rapporto agli elementi utilizzati dall'arbitro per la sua pronunzia (Cass. n. 3032/1995).

Quando le parti compromittenti non hanno fissato anteriormente all'inizio del giudizio arbitrale le regole procedimentali, gli arbitri hanno il potere (art. 816 comma 2 nella formulazione anteriore alla l. 5 gennaio 1994 n. 25) di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo ritenuto più opportuno, purché sia rispettato il principio del contraddittorio, a pena di nullità del lodo. Violazione di tale principio si ha non solo quando gli arbitri decidano immediatamente dopo la chiusura dell'istruzione, senza dare alle parti la possibilità di illustrare le proprie ragioni, ma anche quando, concessa a una parte la facoltà di depositare memorie e documenti, non sia data comunicazione all'altra parte dell'avvenuto deposito né sia assegnato alla stessa un congruo termine per eventuali osservazioni, essendo necessario che sia garantita non solo un'adeguata attività difensiva, ma anche parità delle armi tra le parti, in modo che esse possano esercitare su un piano di uguaglianza le facoltà processuali concesse dagli arbitri (nella specie, per una delle parti, assente per giustificato motivo, consistente in uno sciopero di trasporti, all'udienza fissata per la discussione, e poi rinviata, il termine di dieci giorni per il deposito di memorie e integrazione della documentazione si era ridotto a soli quattro giorni a seguito della comunicazione per posta del provvedimento di assegnazione del termine) (Cass. n. 464/1996).

Nel giudizio arbitrale, qualora le parti non abbiano determinato nel compromesso o nella clausola compromissoria le regole processuali da adottare, gli arbitri sono liberi di regolare l'articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno, e quindi anche di discostarsi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, con l'unico limite del rispetto del principio inderogabile del contraddittorio, posto dall'art. 101, il quale, adattato al procedimento dinanzi agli arbitri, deve essere opportunamente riferito al momento della chiusura della trattazione, in modo da consentire alle parti non solo un'adeguata attività difensiva per tutto il corso del procedimento, pur dopo la chiusura dell'istruttoria, ma anche la possibilità di esercitare su un piano di eguaglianza le facoltà processuali loro attribuite, e quindi da assicurare — senza che ne risulti leso l'altro principio della libertà delle forme, posto dall'art. 816 commI 2 e 3 — l'osservanza della regola audiatur et altera pars, secondo il precetto inderogabile di cui al comma 4 della medesima disposizione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto che la produzione di documenti oltre il termine all'uopo fissato dagli arbitri non avesse comportato alcuna violazione del contraddittorio, essendo avvenuta comunque prima dell'udienza di discussione, e non avendo la controparte, che pure ne aveva avuto conoscenza, richiesto la concessione di un nuovo termine per produrre a sua volta ulteriore documentazione) (Cass. n. 23670/2006).

La nullità della consulenza tecnica (nella specie: per utilizzazione di documenti che le parti non abbiano avuto la possibilità di esaminare) deve essere eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, e ciò tanto più nel procedimento arbitrale, più libero da forme e diretto ad una più rapida decisione (Cass. n. 107/1985).

In tema di arbitrato, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all'osservanza della procedura ordinaria, sono valide le più diverse ed articolate forme che essi vengano a scegliere per l'istruzione e la decisione della lite, quand'anche deroghino alle prescrizioni dettate dalle norme sul rito civile di cognizione, purché sia rispettata la fondamentale esigenza di assicurare il contraddittorio tra le parti. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso la nullità del lodo, in relazione alla scelta degli arbitri di articolare in più luoghi il deposito delle memorie, per assicurare a tutte le parti ed ai componenti del collegio un adeguato spatium deliberandi) (Cass. n. 473/2006).

Nell'arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all'osservanza della procedura ordinaria, non trovano applicazione le preclusioni di cui agli artt. 183 e 184, con la conseguenza che è consentito, per un verso, alle parti di modificare ed ampliare gli iniziali quesiti, nell'ambito dei termini della clausola compromissoria, per l'altro, agli arbitri, di rispondere non solo ai quesiti posti nella loro formulazione originaria, ma anche a quelli più lati che la successiva discussione svoltasi tra le parti, in regolare contraddittorio tra loro, ha reso necessari ed ampliati per la decisione, così tenendo presenti anche le successive circostanze, difese e precisazioni formulate dalle parti stesse nel corso del giudizio arbitrale (Cass. n. 1620/2000).

Nel giudizio arbitrale, l'omessa fissazione della udienza di discussione e di precisazione delle conclusioni non è causa di nullità del lodo di per se stessa, ma solo se tale omissione abbia effettivamente inciso, limitandolo, sul diritto di difesa delle parti, o anche di una sola di esse. La relativa valutazione va effettuata riportandosi alla situazione processuale antecedente alla pronuncia (Cass. n. 1988/2005).

Nel giudizio arbitrale, allorché il lodo venga pronunciato immediatamente dopo la chiusura della istruzione, senza che venga offerta alle parti la possibilità di esaminare ed analizzare le prove, specificare le istanze conclusive ed esplicare le rispettive difese, esso è nullo per violazione del principio del contraddittorio che costituisce una garanzia processuale inderogabile, così come posta dall'art. 816, comma 4, e che esige che ciascuna parte sia messa nella condizione di svolgere le proprie difese per tutto il corso del procedimento arbitrale, anche dopo la chiusura dell'istruttoria, non essendo sufficiente che sia stato assicurato alle parti un trattamento paritetico, con la fissazione di termini uguali per la presentazione di memorie e di repliche, in una qualche fase del suo svolgimento (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte di appello che aveva mandato assolto dalle censure un lodo arbitrale emesso senza la concessione di un termine per il deposito di memorie conclusionali) (Cass. n. 20828/2004).

Le norme del codice di procedura civile dettate per l' arbitrato rituale non sono applicabili all'arbitrato libero o irrituale, che e un istituto di diritto sostanziale riconducibile, in relazione alla sua intima essenza, nello schema negoziale del mandato, il cui contenuto specifico consiste nell'incarico, conferito a comuni mandatari, di regolare la controversia in via di composizione amichevole e transattiva, mentre l'arbitrato rituale importa l'attribuzione agli arbitri, per volontà di legge che diviene operante in dipendenza della electio delle parti, di poteri decisori che si esprimono in un pronuncia destinata a tenere luogo della sentenza emessa dal giudice ordinario. La disposizione dell'art. 816, comma 3, che impone agli arbitri di assegnare in ogni caso alle parti i termini per presentare documenti e memorie e per esporre le loro repliche (norma ritenuta inderogabile, al fine dell'osservanza del principio del contraddittorio, per l'arbitrato rituale, anche quando gli arbitri siano stati autorizzati a decidere secondo equità e senza l'osservanza di regole di procedura), non può ritenersi prescritta a pena di nullità anche nell'arbitrato irrituale: infatti, se non può negarsi il principio del contraddittorio anche nell'arbitrato libero, questo però deve essere inteso in relazione al contenuto della pronuncia che le parti chiedono agli arbitri di emettere; nell'arbitrato irrituale, quindi, il contraddittorio non si articola necessariamente in forme rigorose ed in fasi progressive, regolate dall'arbitrato mediante la prefissione di termini, neppure per quanto attiene al potere delle parti di presentare documenti o memorie o di esporre repliche, come prescrive il citato art. 816, comma 3, per l'arbitrato rituale ed e invece sufficiente che l'attività assertiva e deduttiva delle parti si sia potuta esplicare, in qualsiasi modo e tempo, in relazione agli elementi che l'arbitro potrà assumere a fondamento della sua pronuncia, affinché il principio del contraddittorio possa ritenersi osservato (Cass. n. 941/1961).

Nell'arbitrato irrituale il contraddittorio va inteso e seguito in relazione al contenuto della pronunzia arbitrale voluta dai compromettenti. Esso non si articola, quindi, necessariamente, in forme rigorose e in fasi progressive, regolate dall'arbitro — eventualmente — anche mediante richiamo a quelle del giudizio ordinario, fra cui quelle relative alle udienze di comparizione e di audizione delle parti, ma si realizza nei limiti in cui possa assicurarsi alle parti la possibilità di conoscere le rispettive ragioni e difendersi, di modo che ognuna deve avere la possibilità di farle valere e di contrastare le ragioni avversarie. Pertanto, è sufficiente che l'attività assertiva e deduttiva delle parti si sia potuta esplicare, in qualsiasi modo e tempo, in rapporto agli elementi utilizzati dall'arbitro per la sua pronuncia e, ove questi siano acquisiti mediante l'assunzione di prove, la relativa istruttoria non può essere segreta, ma deve essere svolta dando alle parti la possibilità d'intervenire e di conoscere i suoi risultati. (In applicazione di tale principio la Corte ha respinto il ricorso con il quale una delle parti si doleva della mancata redazione di un verbale delle operazioni e della mancata comunicazione delle attività compiute, prima dell'emissione della decisione finale, senza allegare e provare il compimento di uno specifico atto istruttorio diverso dall'esame dei documenti versati da ciascuna di esse) (Cass. n. 18049/2004).

La disposizione dell'art. 816, comma 3, che impone agli arbitri di assegnare in ogni caso alle parti i termini per presentare documenti e memorie e per esporre le loro repliche (norma ritenuta inderogabile, ai fini dell'osservanza del principio del contraddittorio, per l'arbitrato rituale) non può ritenersi prescritta, a pena di nullità, anche nell'arbitrato irrituale. Infatti, se non può negarsi il principio del contraddittorio anche nell'arbitrato libero, questo pero dev'essere inteso in relazione al contenuto della pronuncia che le parti chiedono agli arbitri di emettere nell'arbitrato irrituale, quindi, il contraddittorio non si articola necessariamente in forme rigorose ed in fasi progressive, né presuppone la prefissione di termini o la possibilità di repliche. In difetto di tassativi criteri formali desumibili da una specifica prescrizione normativa, la concreta attuazione del contraddittorio va valutata, sul piano sostanziale, alla stregua dell'idoneità e congruenza delle attività materiali esplicate dai soggetti del rapporto, in qualsiasi modo e tempo (Cass. n. 1070/1962).

Nell'arbitrato irrituale non é possibile invocare il rispetto del principio del contraddittorio, poiché non si é in presenza di un giudizio, in cui debba essere assicurata la necessaria dialettica delle parti ai fini dell'esposizione delle loro ragioni e della stessa possibilità di rilievo di esse da parte del giudice, ma si pone unicamente un problema di conoscibilità, da parte dell'arbitro, delle questioni controverse, affinché la sua determinazione non risulti viziata nel suo contenuto (errore essenziale di fatto). Ciò non esclude, peraltro, che le parti, nella loro autonomia, possano anche nell'arbitrato libero prescrivere l'adozione di talune forme o il rispetto di dati termini sotto pena di nullità, nel qual caso le prescrizioni e i termini operano come elementi limitativi dei poteri dell'arbitro, con la conseguenza che l'eventuale determinazione emessa senza l'adempimento delle prescrizioni o l'osservanza dei termini stabiliti deve considerarsi inefficace, e cioè non vincolante per le parti, perché compiuta fuori dei limiti predetti (Cass. n. 2451/1979).

Quando non siano state fissate le regole procedimentali, gli arbitri del giudizio arbitrale possono regolare il procedimento nel modo ritenuto più opportuno purché, come è espressamente stabilito dall'art. 816, sia rispettato il principio del contraddittorio e, perciò, consentito alle parti il dialettico svolgimento delle rispettive deduzioni e controdeduzioni, nonché la collaborazione nell'accertamento dei fatti mediante il reperimento delle prove e la confutazione di quelle avversarie, cosi da contribuire al convincimento del giudice non solo nel momento iniziale del processo, ma anche nel corso del procedimento. Tutto ciò premesso, la garanzia dell'effettiva attuazione del principio del contraddittorio non contempla la necessità dell'ammissione di una prova testimoniale, della riconvocazione del consulente tecnico a chiarimenti e della fissazione di una nuova udienza per discutere detti incombenti probatori, in quanto il giudizio preventivo sull'ammissibilità e sulla rilevanza delle prove richieste deve essere ispirato ad esigenze di razionalità e di economia processuale rientranti nella valutazione discrezionale del giudice (Cass. n. 11936/2001).

Nel caso in cui, successivamente al deposito delle memorie, autorizzato dagli arbitri, vengano esperiti incombenti istruttori di qualsiasi tipo, la verifica del rispetto del principio del contraddittorio (inteso quale diritto di difendersi compiutamente in contraddittorio) esige l'accertamento che le parti siano state poste non solo in condizione di partecipare alle prove, ma anche che siano state rese edotte del fatto che gli arbitri consideravano chiusa l'istruttoria e siano state inoltre poste in grado di formulare le proprie conclusioni e difese definitive, anche in relazione all'istruttoria espletata (nella specie, gli arbitri esperirono due sopralluoghi dopo la scadenza dei termini concessi per memorie e repliche. Impugnato il lodo per nullità, la Corte d'appello aveva escluso la nullità ai sensi dell'art. 829, n. 9, ritenendo che, essendo stati i sopralluoghi effettuati dal collegio arbitrale nel contraddittorio delle parti informate tempestivamente, alla presenza dei rispettivi consulenti tecnici, non era necessario concedere un ulteriore termine per memorie. La S.C., sulla base del principio enunciato, ha cassato la sentenza della Corte d'appello) (Cass. n. 5498/2001).

In tema di arbitrato rituale, scopo della disposizione del comma 3 dell'art 816 (che stabilisce l'obbligo degli arbitri di assegnare in ogni caso alle parti i termini per presentare documenti e memorie e per esporre le loro repliche) e quello di dare ai contendenti la possibilità di svolgere completamente le loro difese. Tale norma, pertanto, deve ritenersi violata qualora gli arbitri decidano immediatamente dopo la chiusura dell'istruzione oppure dopo un tempo così breve da precludere alle parti l'illustrazione delle rispettive ragioni e la confutazione di quelle avversarie, ma non anche — soprattutto ove gli arbitri siano stati svincolati dall'osservanza di formalità procedurali — in una situazione in cui, nonostante la mancata fissazione di un apposito termine, le parti abbiano comunque avuto la possibilità di provvedere alla tutela dei loro interessi mediante l'esplicazione dell'attività difensiva suddetta (Cass. n. 1595/1981).

In tema di arbitrato, ove gli arbitri non siano stati vincolati all'osservanza della procedura ordinaria, è consentito alle parti, nell'ambito dei termini della clausola compromissoria, di modificare ed ampliare gli iniziali quesiti, senza possibilità di evocare il disposto degli artt. 183 e 184, ma sempre nell'osservanza del principio del contraddittorio (Cass. n. 8937/2000).

In mancanza di determinazione, nella clausola compromissoria, delle regole processuali da adottare, gli arbitri sono liberi di decidere la struttura e l'articolazione del giudizio, con l'unico limite di garantirne la funzionalità e assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, il quale, adattato al procedimento arbitrale, si riferisce essenzialmente al momento della chiusura della trattazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso la ricorrenza di una violazione del contraddittorio nel caso di specie, in cui gli arbitri all'udienza di discussione avevano concesso termine per deposito documenti e successivo termine per note e, all'udienza successiva, essendo nelle more intervenuto il fallimento di una delle parti ed essendosi costituito il curatore, rinviata la riunione in conferenza personale ponendo la controparte in grado di conoscere le note della curatela e svolgere eventuali controdeduzioni) (Cass. n. 8231/2000).

Non può ritenersi violato il principio del contraddittorio allorché, in assenza di regole previamente concordate tra le parti compromittenti, gli arbitri, i quali hanno la facoltà di regolare il procedimento nel modo ritenuto più opportuno, non concedano eventuali repliche, dopo aver consentito alle parti il dialettico svolgimento delle rispettive deduzioni e controdeduzioni (anche dopo la chiusura dell'istruttoria), non vigendo per il giudizio arbitrale le preclusioni previste dal codice di rito (nella specie, gli arbitri, dopo aver invitato entrambe le parti a dedurre successivamente al deposito delle note conclusionali, non avevano concesso al ricorrente un ulteriore termine per la replica) (Cass. n. 1608/2000).

Nel giudizio arbitrale, quando le parti non abbiano determinato le regole da porre a base del procedimento, l'arbitro, pur potendo regolare il giudizio nel modo che ritiene più opportuno, è comunque tenuto ad osservare i canoni fondamentali che garantiscono il contraddittorio ed il diritto di difesa, consentendo alle parti di esporre i rispettivi assunti, di conoscere le prove e le risultanze del processo ed in tempo utile le richieste di controparte, nonché di presentare, entro termini prefissati, memorie e repliche. Le parti, tuttavia, conservano il loro potere dispositivo nella scelta dei mezzi di difesa e sono tenute a proporre tempestivamente le rispettive richieste ed eccezioni. Ne consegue che la parte che non abbia manifestato opposizione alla richiesta di discussione avanzata all'udienza all'uopo fissata, o a domanda di altro genere, non può legittimamente dolersi della violazione del principio del contraddittorio per la mancata concessione di un termine a difesa (Cass. n. 1404/1997).

I principi della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e della garanzia del contraddittorio vanno rispettati anche nello arbitrato rituale, sicché l'arbitro ha la potestà di pronunciare solo su quesiti effettivamente proposti dalle parti, sebbene in modo non formale né specifico, purché comunicati alla controparte almeno nel corso del procedimento, così da consentire concretamente l'esercizio del diritto di difesa su tutta la materia oggetto del giudizio. Da ciò deriva l'ulteriore conseguenza della tardività e dell'inammissibilità di quesiti formulati per la prima volta solo con la comparsa conclusionale, giacche tale difesa scritta e, anche nel procedimento arbitrale, destinata solo ad illustrare le ragioni delle pretese e delle richieste delle parti, senza possibilità di ampliare l'oggetto della controversia (Cass. n. 5354/1980).

La norma contenuta nel comma 3 dell'art. 816 — in base al quale gli arbitri, anche quando hanno la facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio arbitrale nel modo che ritengono più opportuno, debbono in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documenti e memorie, e per esporre le loro repliche — ha carattere inderogabile e serve a far conoscere alle parti i risultati dell'istruttoria per le loro deduzioni e difese a seguito dell'istruttoria espletata. Il collegio arbitrale che, pur se autorizzato a decidere secondo equità, conceda alle parti un unico termine per presentare documenti e memorie, e per esporre le repliche, viola la norma suddetta, atteso che la facoltà di replica, per poter essere concretamente esercitata, postula che le parti, dopo la chiusura dell'istruttoria (orale o documentale che sia), abbiano a disposizione un lasso di tempo, in aggiunta a quello concesso per l'espletamento dell'istruttoria, per valutare gli elementi raccolti e (eventualmente) controdedurre (Cass. n. 3006/1996).

L'esercizio del potere previsto dall'art. 209, di dichiarare chiusa l'assunzione delle prove quando, per i risultati già raggiunti, venga ravvisata superflua l'ulteriore assunzione di mezzi istruttori, deve ritenersi consentito anche agli arbitri ed il giudizio espresso in ordine alla superfluità della prova, si sottrae ad ogni sindacato da parte del giudice dell'impugnazione di nullità del lodo (Cass. n. 2245/1964).

Quando le parti non abbiano vincolato gli arbitri all'osservanza delle norme di procedura, essi possono regolare il procedimento nel modo ritenuto più opportuno, anche per ciò che concerne l'assunzione delle prove e la documentazione dei risultati di esse. In tal caso, gli arbitri ben possono assumere i mezzi di prova senza convocare le parti o i loro difensori e possono ridurre la documentazione, relativa ai mezzi assunti, all'annotazione degli elementi emersi, senza dare allo scritto la forma del verbale, essendo anche tale documentazione idonea a rappresentare alle parti gli elementi probatori acquisiti, ai fini dell'esercizio del diritto di difesa, in merito anche all'istruttoria espletata. Inoltre il collegio arbitrale ben può, nella fase decisoria e senza questa sospendere, procedere (previa avvertenza alle parti) collegialmente, od a mezzo di un suo componente all'uopo delegato, a controlli di misurazioni o di impianti, ritenuti utili per la decisione su punti in contestazione, in ordine ai quali le parti hanno pienamente esercitato, in contraddittorio, il diritto di difesa, senza che il collegio stesso sia obbligato ad invitare le parti a concludere nuovamente su detti punti, obbligo che deve essere più recisamente escluso quando, ai controlli cosi effettuati, abbiano partecipato tecnici incaricati dalle parti, i quali non abbiano espresso riserve o contestazioni, in ordine alle operazioni degli arbitri o del loro delegato (Cass. n. 1583/1968).

Quando le parti compromittenti non hanno fissato regole procedimentali, gli arbitri del giudizio arbitrale possono regolare il procedimento nel modo ritenuto più opportuno purché, come è espressamente stabilito dall'art. 816, sia rispettato il principio del contraddittorio e perciò consentito alle parti il dialettico svolgimento delle rispettive deduzioni e controdeduzioni e la collaborazione nell'accertamento dei fatti o, in altri termini, di esporre i relativi assunti, di conoscere le prove e le risultanze del processo, di presentare entro i termini prefissati, a norma dell'art. 816 comma 3, memorie, repliche e documenti, di conoscere in tempo utile le istanze e richieste delle parti. Tale principio è pertanto violato, con conseguente nullità del lodo (art. 829) e necessità di pronuncia nel merito da parte della corte di appello presso la quale il lodo è stato impugnato (art. 830), nel caso in cui, concessa ad una parte la facoltà di depositare memorie e documenti anche dopo la chiusura dell'istruttoria, non sia data comunicazione all'altra parte del deposito né assegnato termine per eventuali osservazioni (Cass. n. 6579/1994).

Nell'arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all'osservanza della procedura ordinaria, è consentito ai compromettenti, nell'ambito dei termini della clausola compromissoria, di modificare ed ampliare gli iniziali quesiti, senza possibilità di evocare il disposto degli artt. 183 e 184, ma sempre nell'osservanza del principio del contraddittorio, che attiene all'ordine pubblico. Ne consegue che non possono ritenersi ritualmente proposti agli arbitri quesiti indicati solo in una nota illustrativa presentata dopo che la controversia sia stata riservata in decisione, essendosi dato progressivamente atto della assenza di altre richieste (Cass. n. 12517/1993).

Gli arbitri chiamati a decidere secondo equità e senza formalità di procedura, a norma dell'art. 816, hanno facoltà di regolare l'assunzione delle prove nel modo ritenuto più opportuno, salvo l'obbligo, dopo il compimento dell'istruttoria e prima di emettere la pronuncia, di far conoscere alle parti i risultati dell'istruttoria medesima e di assegnare alle stesse un termine per la presentazione delle rispettive osservazioni e difese; ne consegue che, nel caso in cui sia stata disposta una consulenza tecnica, mentre non occorre assegnare un termine per la nomina di consulenti di parte ai sensi degli artt. 201 e 91 disp. att., sussiste per gli arbitri l'obbligo di far conoscere alle parti i risultati della perizia e di concedere alle stesse termine per le deduzioni e difese, non escluso il deposito di una relazione, affidata a tecnici di fiducia, che contenga osservazioni e rilievi alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio (Cass. n. 923/1992).

Seppure nel giudizio arbitrale debbano essere osservati i principi fondamentali sul contraddittorio, cosicché i contendenti possano svolgere tempestivamente le proprie difese, anche per quanto riguarda l'esame dei documenti e le deduzioni sui mezzi istruttori, tuttavia le parti conservano i loro poteri dispositivi nella scelta dei mezzi di difesa e sono tenute a proporre tempestivamente le rispettive richieste ed eccezioni quando non si tratti di nullità rilevabile d'ufficio, onde la richiesta di discussione della causa, avanzata all'udienza all'uopo fissata senza riserve o previe eccezioni, vale ad escludere la violazione del principio del contraddittorio per mancata concessione di un termine a difesa (Cass. n. 5408/1983).

In materia di arbitrato, la prescrizione dell'art. 816, comma 3, richiede solo che si assicuri in modo idoneo il contraddittorio delle parti. Pertanto non e indispensabile, a tal fine, che vengano assegnati termini per presentare documenti e memorie, purché, con altre modalità, l'arbitro abbia provveduto a mettere le parti in condizione di presentare le loro osservazioni o di fare le richieste ritenute opportune (Cass. n. 3760/1974).

2.3 ) Qualificazione e conseguente impugnazione.

Ove gli arbitri abbiano ritenuto la natura rituale dell'arbitrato ed abbiano, pertanto, provveduto nelle forme di cui agli artt. 816 e ss., l'impugnazione del lodo, anche se diretta a far valere la natura irrituale dell'arbitrato ed i conseguenti errores in procedendo commessi dagli arbitri, va proposta davanti alla corte di appello ai sensi degli artt. 827 e ss. e non nei modi propri dell'impugnazione del lodo irrituale, ossia davanti al giudice ordinariamente competente. Agli effetti dell'individuazione del mezzo con cui il lodo va impugnato, ciò che conta, infatti, è la natura dell'atto in concreto posto in essere dagli arbitri, più che la natura dell'arbitrato come previsto dalle parti; pertanto, se, come nella specie, sia stato pronunciato un lodo rituale nonostante le parti avessero previsto un arbitrato irrituale, ne consegue che quel lodo è impugnabile esclusivamente ai sensi degli artt. 827 e ss. (Cass. n. 6842/2011)

La determinazione della natura rituale od irrituale dell'arbitrato — che, ove costituisca oggetto di ricorso per cassazione, consente alla Corte la diretta cognizione dei fatti risultanti ex actis, senza limitarsi al controllo della decisione del giudice del merito, trattandosi di questione processuale che incide sulla ammissibilità dell'impugnazione della decisione arbitrale — va compiuta con riguardo alla reale intenzione delle parti, indagando, al di là delle espressioni letterali usate, se esse abbiano inteso affidare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella propria del giudice ovvero conferire loro un mandato a definire la controversia sul piano negoziale, con una decisione riconducibile alla volontà dei mandanti, alternativa, quest'ultima, della cui concreta sussistenza può assumere apprezzabile valore indiziario la previsione generale ed assoluta della mancanza di formalità nella decisione stessa, nel quadro anche del principio per cui, nel dubbio, è da privilegiare l'interpretazione che non comporta deroga alla giurisdizione (Cass. n. 12346/1992).

Ove gli arbitri abbiano ritenuto la natura rituale dell'arbitrato, ed abbiano pertanto provveduto nelle forme di cui agli artt. 816 e ss., l'impugnazione del lodo, anche se diretta a far valere la natura irrituale dell'arbitrato ed i conseguenti errores in procedendo commessi dagli arbitri, va proposta davanti alla corte di appello ai sensi degli artt. 827 e ss., e non nei modi propri dell'impugnazione del lodo irrituale, ossia davanti al giudice ordinariamente competente e facendo valere soltanto i vizi che possono inficiare qualsiasi manifestazione di volontà negoziale (errore, violenza, dolo, incapacità delle parti o dell'arbitro). (Nella fattispecie la S.C. ha pertanto affermato che la corte di appello, adita con l'impugnazione del lodo, non poteva trarre dalla circostanza che l'impugnazione fosse stata proposta davanti ad essa, e non al tribunale, argomento per affermare la natura rituale dell'arbitrato) (Cass. n. 19129/2006).

In tema di assicurazione contro i danni, qualora le parti affidino ad un terzo l'incarico di esprimere un apprezzamento tecnico sulla entità delle conseguenze di un evento al quale è collegata la prestazione dell'indennizzo, impegnandosi a considerare tale apprezzamento come reciprocamente vincolante ma escludendo — esplicitamente od implicitamente — dai poteri di detto terzo la soluzione delle questioni attinenti alla validità ed operatività della garanzia assicurativa, il relativo patto esula dall'ambito dell'arbitrato, rituale od irrituale, e configura una ipotesi di cosiddetta perizia contrattuale, che non interferisce sull'azione giudiziaria rivolta alla definizione delle indicate questioni (Cass. n. 14909/2002; Cass. n. 9032/1995).

Non sono elementi di per se incompatibili con l'arbitrato rituale il conferimento agli arbitri del potere di decidere quali amichevoli compositori e la mancata prescrizione circa l'osservanza di norme del procedimento, dovendosi, nel distinguere tra arbitrato libero e arbitrato rituale, individuare la caratteristica del primo principalmente nel conferimento di un semplice incarico di natura negoziale, per cui il compito degli arbitri liberi, proprio per la sua natura contrattuale, implica, come in ogni altra ipotesi di mandato, l'Esercizio di un'attività sostitutiva di quella che i mandanti potrebbero compiere anche direttamente nella sfera della loro autonomia negoziale (Cass. n. 546/1969).

In tema di arbitrato, qualora la controversia circa la sua natura rituale od irrituale sia sollevata con il ricorso per cassazione, la S.C. deve procedere all'esame diretto del contenuto della clausola compromissoria, senza limitarsi al controllo della decisione del giudice di merito, incidendo la relativa qualificazione sul problema processuale dell'ammissibilità dell'impugnazione del lodo per nullità (Cass. n. 8937/2000).

La determinazione della natura rituale o irrituale di un lodo arbitrale deve essere accertata d'ufficio dal giudice dell'impugnazione, siccome attinente ai limiti dell'impugnazione stessa (Cass. n. 2733/2000).

In tema di arbitrato, l'interpretazione del contenuto di una clausola compromissoria (così come di ogni altra manifestazione di volontà negoziale) è devoluta al giudice di merito, presupponendo essa la ricerca della comune intenzione delle parti mediante l'accertamento del significato semantico delle espressioni usate, nonché l'apprezzamento dei comportamenti soggettivi (eventualmente) rilevanti, sì che il risultato di tale operazione, se ed in quanto immune da violazioni di regole ermeneutiche, e se ed in quanto adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità della Corte di Cassazione. L'accertamento della natura rituale ovvero irrituale di un arbitrato comporta, peraltro, la necessità di una diretta conoscenza, da parte della S.C., della convenzione compromissoria (attraverso l'esame diretto degli atti e degli elementi acquisiti al processo, ferma restando l'esclusione di nuove acquisizioni probatorie) tutte le volte in cui la relativa indagine incida su problemi di carattere processuale, quale quello della ammissibilità dell'impugnazione del lodo per nullità del medesimo (Cass. n. 833/1999).

Nel caso in cui con il ricorso per cassazione, avverso sentenza che abbia pronunciato su impugnazione, ex artt. 828 e seguenti, di un lodo arbitrale, si metta in discussione la qualificabilità come rituale dell'arbitrato, la Corte Suprema deve esaminare e valutare direttamente il patto compromissorio integrante la fonte dell'arbitrato medesimo e non limitarsi al controllo della decisione del giudice del merito, incidendo la soluzione della questione dedotta sul problema processuale dell'ammissibilità dell'impugnazione del lodo per nullità. Tale indagine va condotta valutando il patto compromissorio sulla base delle regole proprie dell'ermeneutica contrattuale, ed avendo riguardo al fondamentale elemento atto a distinguere l'arbitrato rituale da quello libero, ossia l'esistenza della volontà delle parti di affidare agli arbitri funzioni sostitutive di quelle del giudice e non il mandato a definire controversie sul piano negoziale, a nulla rilevando la circostanza che le parti abbiano attribuito agli arbitri l'autorizzazione a decidere secondo equità e, quindi come amichevoli compositori (Cass. n. 874/1995).

2.4  ) Interpretazione dei quesiti.

L'interpretazione dell'effettivo contenuto dei quesiti posti al giudice arbitro in sede di procedimento arbitrale e l'apprezzamento della loro reale portata, identificando e qualificando giuridicamente i beni della vita destinati a formare oggetto del provvedimento richiesto (petitum) nonché il complesso degli elementi della fattispecie da cui derivano le pretese dedotte in giudizio (causa petendi), costituisce un'operazione rientrante nei compiti istituzionali del giudice del merito, da compiersi sulla base sia della formulazione letterale dei quesiti stessi sia, soprattutto, del loro contenuto sostanziale, in relazione alle finalità perseguite dalla parte e al provvedimento richiesto in concreto, desumibile non solo dalla situazione dedotta in causa, ma anche dalle eventuali precisazioni e specificazioni formulate nel corso del giudizio. Il sindacato su un'operazione interpretativa così condotta, in quanto non riferibile a un vizio in procedendo, è consentito al giudice della impugnazione del lodo e alla Corte di cassazione nei limiti del giudizio di legittimità, ovverosia solo con riferimento alla motivazione addotta a sostegno del risultato ermeneutico cui è pervenuto il giudice del merito (Cass. n. 10872/2007).

2.5  ) Aspetti procedimentali.

L'atto introduttivo del procedimento dinanzi agli arbitri non è soggetto, salva diversa espressa previsione delle parti, alle disposizioni dettate dall'art 163 con riguardo alla citazione davanti al giudice ordinario, né ad altre particolari formalità, e deve ritenersi idoneo ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio qualora ponga in concreto la controparte in grado di conoscere tempestivamente le istanze formulate, nonché di esporre le proprie ragioni e proporre eventuali domande riconvenzionali (Cass. n. 3622/1978).

In tema di arbitrato rituale, attesa l'applicabilità del principio di cui all'art. 112 anche al procedimento arbitrale, è inibito agli arbitri di esaminare aspetti nuovi della vicenda che non si traducano in mere argomentazioni difensive, ed è, altresì, precluso l'inserimento, fra i motivi di impugnazione del lodo, di specifiche questioni tratte da clausole negoziali mai poste all'attenzione degli arbitri (Cass. n. 8038/2003).

Al pari del giudice ordinario, l'arbitro é giudice della propria competenza, sia che si contesti l'esistenza stessa o l'efficacia giuridica del compromesso o della clausola compromissoria ovvero la legittimità della nomina dell'arbitro, sia che si contesti che la controversia insorta sia compresa nei limiti del negozio compromissorio. La competenza arbitrale non viene meno neppure nel caso in cui la eccezione di inefficacia della clausola compromissoria venga fondata su di un vizio che sia comune al contratto a cui essa accede (Cass. n. 2803/1968).

Il compromesso e la clausola compromissoria per arbitrato irrituale devono essere redatti per iscritto a pena di nullità solo se relativi a rapporti giuridici per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam ai sensi dell'art. 1350 c.c., mentre, se relativi a ad altri rapporti, richiedono soltanto la prova per iscritto, secondo le regole di cui all'art. 1967 c.c. Tale prova può essere costituita da qualsiasi attestazione scritta circa la esistenza del mandato compromissorio, anche se successiva alla pattuizione ed a carattere meramente ricognitivo, purché attribuibile alle parti. Pertanto, un documento, quale la conferma d'ordine, formato dal mediatore ai sensi dell'art. 1760, n. 3, c.c., da lui solo sottoscritto, ed inviato alle parti, che contenga la conferma dell'avvenuto accordo compromissorio, facendo salva la volontà delle parti di comunicare allo stesso mediatore il loro eventuale dissenso, costituisce prova del compromesso per arbitrato irrituale ove tale dissenso non sia stato manifestato (Cass. n. 7048/1999).

In seno al procedimento arbitrale non è legittimamente configurabile l'istituto processuale della contumacia, non essendo ivi prevista né una citazione né una rituale costituzione in giudizio, bensì la sola assegnazione (dopo l'instaurazione del procedimento) di un termine alle parti al fine di svolgere le proprie difese (Cass. n. 787/1999).

Nel giudizio arbitrale non può trovare applicazione il principio della non mutabilità della domanda di risoluzione in domanda di adempimento del contratto, stabilita dall'art. 1453, comma 2, c.c., atteso che tale principio opera solo dopo la proposizione della domanda giudiziale, prima della quale la parte adempiente è sempre facoltizzata a mutare la richiesta di risoluzione in richiesta di adempimento, mentre la domanda di accesso agli arbitri — avendo il giudizio arbitrale natura privata ed essendo ontologicamente differente dal giudizio ordinario, rispetto al quale si pone in posizione di negazione ed antitesi — ha natura diversa dalla domanda giudiziale, alla quale è assimilabile solo in relazione a determinati effetti, specificamente precisati nella novella contenuta nella l. n. 25/1994 (nella fattispecie non applicabile ratione temporis) (Cass. n. 4463/2003).

Nel procedimento davanti agli arbitri, non esiste un fascicolo d'ufficio che abbia analoga funzione di quello previsto, nel procedimento avanti l'autorità giudiziaria ordinaria, dagli artt. 168, 347 e 359 (Cass. n. 2838/1972).

La norma di cui all'art. 347 (che fa obbligo al cancelliere di richiedere ed acquisire il fascicolo del giudizio di primo grado agli atti del giudizio di appello) non si applica al procedimento arbitrale, nel quale grava sulla parte (non potendosi fondatamente ritenere che la corte di merito abbia l'obbligo di acquisire d'ufficio la documentazione necessaria) l'onere di produrre il fascicolo del giudizio arbitrale, facendone espressa richiesta al segretario del relativo collegio (la cui sede operativa è, oltretutto, ignota al cancelliere del giudice ad quem) e, in caso di omessa consegna spontanea da parte di questi, avanzando alla corte d'appello, ex art. 210, formale istanza di esibizione di documenti provenienti da terzi (Cass. n. 9581/2000).

Nel corso del giudizio arbitrale è ammissibile la domanda diretta a far dichiarare che un determinato atto compiuto dalla controparte è illegittimo e non è idoneo ad influire sul corso del giudizio stesso (Cass. n. 2498/1969; Cass. S.U. n. 1563/1969).

Il criterio di distinzione tra arbitrato interno e arbitrato estero è dato dalla sede, determinata all'inizio della procedura arbitrale dalle parti o, in mancanza, dagli arbitri nella loro prima riunione ai sensi dell'art. 816 e nessun rilievo assume il luogo di effettivo svolgimento del giudizio arbitrale (Cass. n. 1808/2000).

Gli atti di istruzione possono essere delegati dagli arbitri ad uno, ed anche a più, di essi, di guisa che ciascuno compia una limitata serie di atti istruttori (Cass. n. 1537/1976).

Le norme del codice di procedura civile in materia d'incapacità a testimoniare e di divieto di assunzione di determinate testimonianze sono dettate nell'interesse delle parti, le quali, pertanto, in ipotesi di giudizio arbitrale, possono dispensare gli arbitri dall'osservarle (Cass. n. 2466/1970).

L'intervento del terzo estraneo al compromesso è inammissibile nel giudizio di impugnazione per nullità della decisione arbitrale, mentre la tutela dei suoi diritti, che subiscano pregiudizio per effetto dell'accordo raggiunto dalle parti col compromesso, è affidata ad un ordinario giudizio di accertamento (svincolato dalla osservanza dei termini di cui agli artt. 404 e 326 e dalle regole sulla Competenza indicate nell'art. 828 dello stesso codice). (Cass. n. 1465/1988)

Anche nel rapporto tra ordinanza e lodo deve affermarsi la validità del principio, secondo cui il contrasto tra ordinanza istruttoria e la successiva sentenza non dà luogo a vizio di contraddittorietà della decisione, dovendo ravvisarsi in tal caso una implicita revoca della ordinanza (Cass. n. 1060/1971).

Col potere di ordinanza il legislatore ha cambiato il sistema del codice di rito del 1865, basato sulle sentenze interlocutorie, preclusive del riesame delle questioni decise con esse è infatti elemento integrante e funzionale del nuovo sistema è la revocabilità dell'ordinanza, anche nel significato di modificazione delle linee della disciplina giuridica applicabile rispetto a quella ritenuta in precedenza e sul fondamento della quale e stata emessa l'ordinanza. Non diversamente deve ritenersi per il potere di ordinanza degli arbitri ed il potere di revoca delle ordinanze agli stessi esplicitamente accordato dall'art 816 (Cass. n. 1060/1971).

Le ordinanze istruttorie sia per il processo davanti al giudice ordinario, sia per il processo innanzi ad arbitri non possono pregiudicare il merito della decisione e sono revocabili (Cass. n. 1060/1971).

Quando le parti non abbiano vincolato gli arbitri a determinate formalità, l'omissione della verbalizzazione di attività istruttoria non costituisce motivo di nullità (Cass. n. 3212/1969).

La mancata redazione del verbale di ispezione dei luoghi, eseguita in sede di giudizio arbitrale, non importa nullità del lodo, allorché il compromesso non imponga dagli arbitri l'osservanza di determinate formalità procedurali (Cass. n. 2772/1967).

La consulenza tecnica può non essere disposta dagli arbitri quando essi siano in possesso delle cognizioni necessarie per decidere la causa in base alle prove già raccolte ed anche alle sole risultanze processuali emergenti dagli atti di parte (Cass. n. 493/1969).

Gli arbitri rituali, ove tenuti a pronunciare secondo diritto, in assenza di una clausola del compromesso che autorizzi il ricorso alla equità od escluda l'impugnabilità del lodo, non hanno il potere di nominare un consulente tecnico e di affidargli la soluzione di quesiti giuridici occorrente per definire la controversia, ancorché essi siano privi di nozioni ed esperienza in materia legale (nella specie, trattavasi di un collegio di tre ingegneri), considerato che ciò implicherebbe una delega, in tutto od in parte, delle funzioni decisorie, la quale non è compatibile con la natura dell'arbitrato rituale secondo diritto, ove gli arbitri assumono attribuzioni non differenti da quelle del giudice ordinario (Cass. n. 2765/1989).

La tardività del lodo arbitrale, ai sensi ed agli effetti degli artt. 820, 821 ed 829 n. 6, perché pronunciato dopo la scadenza del termine all'uopo assegnato, non può essere esclusa in relazione alla mera circostanza che gli arbitri, nominato un consulente tecnico, abbiano mantenuto un comportamento acquiescente a fronte di una richiesta del consulente di proroga del termine a lui fissato, tenuto conto che gli arbitri medesimi devono pronunciare sulle questioni che insorgano nel corso del procedimento in modo formale, con ordinanza (art. 816 ultimo comma ), e che, pertanto, in difetto di un loro specifico provvedimento, deve negarsi la configurabilità sia di una proroga del termine per la consulenza, sia di una proroga del termine per il lodo (Cass. n. 22/1986).

L'obbligo della sospensione del processo, secondo la previsione dell'art 295, in quanto diretto ad assicurare la primaria esigenza di evitare contraddittorietà di giudicati, trova applicazione anche nel corso del procedimento arbitrale in relazione alla pendenza di impugnazione per nullità di altro lodo reso in forza della medesima clausola compromissoria. Peraltro, la inosservanza di tale obbligo può essere denunciata in sede di impugnazione per nullità del lodo, o, successivamente, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che decide su detta impugnazione, nei limiti in cui sussista un'attuale interesse dello istante, e non anche, pertanto, qualora, alla stregua della sopravvenuta definizione del procedimento in relazione alla cui pendenza si poneva la necessita della sospensione, risulti in concreto escluso la possibilità di un contrasto di giudicati (Cass. n. 2702/1981).

L'art. 798, il quale prevede il riesame del merito della causa, da parte della Corte d'appello adita per la delibazione di sentenza straniera, quando questa sia stata pronunciata in contumacia, trova applicazione solo nei confronti delle sentenze conclusive di un ordinario giudizio di cognizione, e non anche, pertanto, delle pronunce arbitrali. Il procedimento arbitrale, infatti, ancorché soggetto al rispetto del principio del contraddittorio, manca di un atto di citazione, che dia ingresso alla possibilità di costituzione in giudizio, e presenta comunque complessive caratteristiche strutturali incompatibili con la configurabilità di una contumacia in senso tecnico-giuridico, alla quale non può essere equiparata la mera assenza od il disinteresse della parte allo svolgimento della procedura ritualmente incardinata (Cass. n. 459/1978).

Devolutasi all'arbitro l'interpretazione di un contratto, il compito di fare corretta applicazione dei canoni ermeneutici per accertare il significato del contratto stesso e la volontà delle parti che l'hanno stipulato spetta appunto all'arbitro, mentre al giudice dell'impugnazione del lodo spetta valutare se questo contenga al riguardo una motivazione adeguata e corretta e alla Corte di cassazione, cui possono essere denunciati vizi della sentenza di detto giudice e non vizi del lodo, spetta verificare se tale sentenza sia a sua volta adeguatamente e correttamente motivata in relazione ai motivi dell'impugnazione del lodo (Cass. n. 3366/1977).

Poiché nel procedimento per arbitrato rituale non e prevista l'emanazione di provvedimenti monitori, il giudice ordinario, che ne sia richiesto, può emettere decreto ingiuntivo anche in ordine a rapporto oggetto di clausola compromissoria. Questa può portare alla declaratoria di incompetenza, con conseguente revoca del decreto, solo a seguito di eccezione dell'ingiunto, nel giudizio di opposizione avverso il decreto, sempre che, al momento della relativa pronuncia, non siano venute meno le condizioni ostative al potere di cognizione del giudice medesimo (Cass. n. 1852/1976).

Il consulente tecnico d'ufficio — al pari di ogni altro ausiliario del giudice — può agire per il pagamento del compenso nei confronti di chi ha richiesto la prestazione della sua attività, senza attendere la fine del processo e, comunque, a prescindere dalla soluzione della questione a chi fra le parti spetti il carico definitivo di tali spese. Il principio, in Mancanza di norme specifiche, trova applicazione anche nel caso di consulenza disposta, su richiesta di una delle parti, nel corso di un giudizio arbitrale (Cass. n. 573/1973).

2.6 ) Notifica della domanda di arbitrato.

In materia di arbitrato, l'indubbia natura negoziale dell'atto di nomina non esclude che esso produca anche gli effetti della vocatio in ius; infatti, nel quadro normativo formatosi con la l. n. 25/1994, la notifica della domanda di arbitrato segna l'inizio, a tutti gli effetti, del procedimento arbitrale (Cass. n. 17099/2013).

Il rapporto processuale deve considerarsi pendente davanti ad un collegio arbitrale (ancorché, come nella specie, si tratti di arbitrato obbligatorio, quale quello previsto dall'art. 25 r.d. n. 1127/1939 - ora d.lgs. n. 30/2005) non già dalla data della notificazione, a richiesta di una delle parti, della domanda di arbitrato con la nomina dell'arbitro, ma dal momento in cui tutti gli arbitrati designati abbiano accettato l'incarico (Cass. n. 2439/1973).

2.7 ) Connessione.

In materia di procedimento arbitrale, è legittima l'instaurazione di un unico procedimento arbitrale per la risoluzione di controversie connesse nascenti da contratti collegati, contenenti clausole compromissorie di identico contenuto, e la cui risoluzione è destinata ad incidere sulla complessiva regolamentazione negoziale dettata dai contratti medesimi; qualora, peraltro, non vi sia consenso sull'esistenza di una situazione di collegamento negoziale o di clausole omologhe, la controparte può manifestare la volontà di tenere distinte le procedure e nominare un arbitro diverso per ciascuna di esse, mentre l'unico arbitro nominato dalla prima parte comporrà i diversi collegi che si andranno a formare (Cass. n. 12321/2007).

Nel procedimento arbitrale è tempestiva l'eccezione di incompetenza per connessione con una causa pendente dinanzi al giudice ordinario che sia stata formulata in una memoria di replica dopo lo spirare del termine concesso dagli arbitri per le difese, atteso che tale termine non è dichiarato perentorio dalla legge e che il comma 2 dell'art. 40 è inapplicabile al procedimento arbitrale, nel quale era privilegiata (prima dell'introduzione dell'art. 819-bis da parte dell'art. 11 l. n. 25/1994) la vis actractiva del giudizio connesso, pendente dinanzi al giudice, ed in cui vige il principio della libertà delle forme procedimentali (art. 816) (Cass. n. 6403/1996).

In ipotesi di domande connesse, alcune di competenza degli arbitri ed altre del giudice ordinario, l'eccezione di connessione non è soggetta, nel giudizio arbitrale, al termine di cui all'art. 40, ove non sia diversamente stabilito nel compromesso e gli arbitri non abbiano dettato una norma procedurale in tal senso, in quanto l'art. 816 dello stesso codice attribuisce a questi ultimi, nel silenzio del compromesso, la facoltà di regolare il giudizio nel modo ritenuto più opportuno (Cass. n. 4171/1982).

2.8 ) Successione a titolo particolare e nomina degli arbitri.

All'esito delle modifiche introdotte dalla l. n. 25/1994 al procedimento arbitrale — in particolare, con l'art. 1 (introduttivo dell'art. 669-octies), 25 (sostitutivo dell'art. 2943 comma 4 c.c., ed additivo del comma 4 all'art. 2945) e 26 (additivo di un capoverso agli artt. 2652, 2653, 2690 e 2691 c.c.) — deve ritenersi che tale procedimento si instauri con la notificazione della domanda di accesso all'arbitrato, e non anche con la costituzione del collegio arbitrale, con la conseguenza che, determinatosi l'effetto della pendenza del giudizio con la detta notifica, il giudizio si radica fin da tale momento tra i soggetti sottoscrittori della clausola compromissoria (i soggetti, cioè, legittimati attivamente e passivamente ad agire e resistere nella procedura arbitrale fino alla sua definizione), e con l'ulteriore conseguenza che l'eventuale subingresso di un altro soggetto nel rapporto controverso, dopo l'inizio del procedimento, non incide sulla ritualità della nomina dell'arbitro di parte effettuata dal destinatario della domanda di arbitrato nei termini e con le modalità di cui all'art. 810. Nella diversa ipotesi in cui l'arbitro di parte, mai nominato dal dante causa, sia stato, invece, nominato direttamente dal subentrante ex lege nel rapporto controverso — con ciò stesso intervenendo questi nella procedura —, deve ritenersi, attesa la natura sostanziale e non meramente processuale dell'atto di nomina dell'arbitro (nonché la circostanza che la titolarità del rapporto controverso, e della stessa clausola compromissoria, è passata al successore a titolo particolare), che sia il successore a titolo particolare stesso il soggetto legittimato alla nomina dell'arbitro, senza che tale nomina possa in alcun modo dirsi, pertanto, affetta da nullità (come erroneamente ritenuto, nella specie, dal giudice di merito) (Cass. n. 5457/2003).

2.9 ) Sospensione feriale

In tema di arbitrato, la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, prevista dall'art. 1 l. n. 742/1969, non è applicabile al termine per la pronuncia del lodo revisto dall'art. 820 (centottanta giorni, secondo il comma 1 della norma nella versione anteriore alla modifica di cui al d.lgs. n. 40/2006, applicabile nella specie ratione temporis), essendo detta sospensione, quale istituto tipico della giurisdizione, condizionata dalla sussistenza di un requisito soggettivo, consistente nella celebrazione di un processo da parte di un giudice, ordinario od amministrativo, mentre l'arbitrato, sia rituale che irrituale, costituisce espressione di autonomia negoziale e rinviene il suo fondamento nel potere delle parti di disporre dei diritti soggettivi rinunciando alla giurisdizione ed all'azione giudiziaria (Cass. n. 24866/2008).

2.10 ) Sede dell'arbitrato e liquidazione onorari.

Per il combinato disposto del comma 2 dell'art. 814 e del comma 2, prima ipotesi, dell'art. 810, la competenza in ordine alla liquidazione degli onorari e delle spese spettanti agli arbitri è attribuita al Presidente del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato, sede che, ai sensi del successivo art. 816, è stabilita dalle parti ovvero, qualora queste non abbiano provveduto al riguardo, dagli stessi arbitri nella loro prima riunione. Per quanto concerne, invece, la nozione di luogo di stipulazione del compromesso o della clausola compromissoria, di cui all'art. 810, comma 2, seconda ipotesi, nella sua primitiva formulazione, ovvero di luogo in cui è stato stipulato il compromesso o il contratto al quale si riferisce la clausola compromissoria, nell'attuale formulazione, essa non è pertinente in materia, avendo essa riguardo alla sola ipotesi di mancata determinazione della sede dell'arbitrato ad opera delle parti interessate, ed alla conseguente competenza del presidente del tribunale di quel luogo a conoscere della domanda della parte che ha preso l'iniziativa di promuovere il giudizio arbitrale, di nomina dell'arbitro per la controparte che non vi abbia provveduto in seguito a regolare invito a designare il proprio arbitro (Cass. n. 1226/2003).

Per il combinato disposto del comma 2 dell'art. 814 e del comma 2, prima ipotesi, dell'art. 810, la competenza in ordine alla liquidazione degli onorari e delle spese spettanti agli arbitri è attribuita al Presidente del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato, sede che, ai sensi del successivo art. 816, è stabilita dalle parti ovvero, qualora queste non abbiano provveduto al riguardo, dagli stessi arbitri nella loro prima riunione. Per quanto concerne, invece, la nozione di luogo di stipulazione del compromesso o della clausola compromissoria, di cui all'art. 814, comma 2, seconda ipotesi, essa non si rende pertinente in materia, avendo essa riguardo alla sola ipotesi di mancata determinazione della sede dell'arbitrato ad opera delle parti interessate ed alla conseguente competenza del Presidente del tribunale di quel luogo a conoscere della domanda della parte che ha preso l'iniziativa di promuovere il giudizio arbitrale, di nomina dell'arbitro per la controparte che non vi abbia provveduto (Cass. n. 4601/1999).

2.11 ) Nomina degli arbitri e costituzione in mora

La nullità del procedimento di nomina degli arbitri (nella specie per aver proceduto il presidente del tribunale alla nomina di un arbitro senza che il soggetto cui spettava fosse stato invitato formalmente dalla controparte a nominare il proprio arbitro) opera sul piano processuale e la domanda arbitrale, anche se nulla, può valere come atto di costituzione in mora ai sensi dell'art. 1219, comma 1, c.c., qualora, per il suo contenuto e per il risultato cui è rivolta, possa essere considerata come richiesta scritta stragiudiziale di adempimento rivolta dal creditore al debitore (Cass. n. 6693/2000).

2.12 ) Appalto di opere pubbliche.

Il divieto di arbitrato previsto dall'art. 3, comma 2, d.l. n. 180/1998 (convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 1998, n. 267) per le controversie relative all'esecuzione di opere pubbliche comprese nei programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali, non può essere rilevato allorquando la questione relativa alla potestas iudicandi degli arbitri — la quale, tenuto conto del carattere unitario della controversia arbitrale, attiene all'intera materia devoluta alla loro cognizione e non solo alle domande introdotte con l'atto di arbitrato — sia coperta da una preclusione di giudicato esterno, qual è quella derivante dalla pronuncia affermativa sulla stessa resa dalla corte d'appello in sede di impugnazione di un precedente lodo arbitrale tra le stesse parti e relativo al medesimo rapporto (Cass. n. 25372/2013).

Bibliografia

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