Codice di Procedura Civile art. 819 ter - Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria 1

Mauro Di Marzio

Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria1

[I]. La competenza degli arbitri non è esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice, né dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente davanti al giudice. La sentenza o l'ordinanza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato, è impugnabile a norma degli articoli 42 e 43. L'eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. La mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio2.

[II]. Nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli articoli 44, 45, 48, 50 e 2953.

[III]. In pendenza del procedimento arbitrale non possono essere proposte domande giudiziali aventi ad oggetto l'invalidità o inefficacia della convenzione d'arbitrato.

 

[1] L'articolo, assieme agli altri articoli del Capo III, è stato così sostituito dall'art. 22, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 27, comma 4, d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del decreto. . L'articolo era stato inserito dall'art. 12, l. 5 gennaio 1994, n. 25. Il testo recitava: «Assunzione delle testimonianze. - [I]. Gli arbitri possono assumere direttamente presso di sé la testimonianza, ovvero deliberare di assumere la deposizione del testimone, ove questi vi consenta, nella sua abitazione o nel suo ufficio. Possono altresì deliberare di assumere la deposizione richiedendo al testimone di fornire per iscritto risposte a quesiti nel termine che essi stessi stabiliscono».

[2] Comma così modificato dall'art. 3, comma 52, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che ha  inserito le parole: «o l'ordinanza» dopo le parole «La sentenza»​ (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[3] La Corte costituzionale, con sentenza 19 luglio 2013, n. 223, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma, nella parte in cui «esclude l'applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all'articolo 50 del codice di procedura civile».

Inquadramento

La disposizione, che, nel suo complesso, è volta a garantire l’indipendenza del procedimento arbitrale rispetto al procedimento civile ordinario (Cass. n. 3826/2013), regola la disciplina dell’eccezione di arbitrato dinanzi al giudice, esclusa qualsivoglia vis attractiva determinata dalla pendenza della stessa causa o di una causa connessa dinanzi al medesimo: principio ritenuto recentemente applicabile al caso di pendenza della medesima domanda in sede arbitrale ed in dipendenza della costituzione di parte civile nel processo penale (Cass. n. 23984/2023). L’eccezione (non rilevabile d’ufficio) deve essere formulata dal convenuto a pena di decadenza nella comparsa di risposta. La norma contempla la decisione del giudice adottata con sentenza o con ordinanza (mentre le decisioni sulla competenza, dopo la l. n. 69/2009, sono di regola adottate con ordinanza), sia che affermi o neghi la propria competenza. La sentenza, o l’ordinanza, sono impugnabili ai sensi degli artt. 42, 43, analogamente a qualsiasi altra pronuncia sulla competenza.

La disciplina dettata per l’impugnabilità con regolamento di competenza, necessario o facoltativo (artt. 42 e 43), della sentenza, o ordinanza, del giudice di merito affermativa o negatoria della propria competenza sulla convenzione di arbitrato, recata dal nuovo testo dell’art. 819-ter, trova applicazione soltanto in relazione a sentenze pronunciate con riferimento a procedimenti arbitrali iniziati successivamente alla data del 2 marzo 2006, disponendo in tal senso, con formulazione letterale inequivoca, la norma transitoria dettata dall’art. 27, comma 4, d.lgs. n. 40/2006, dovendosi, pertanto, escludere che l’operatività della nuova disciplina possa ancorarsi a momenti diversi, quale quello dell’inizio del giudizio dinanzi al giudice ordinario nel quale si pone la questione di deferibilità agli arbitri della controversia ovvero quello della data di pubblicazione della sentenza del medesimo giudice che risolve la questione di competenza (Cass. S.U., n. 19047/2010; Cass. n. 3826/2013).

dal giudice alla propria pronuncia: perciò, la sentenza con la quale il tribunale adito, ignorando la qualificazione dei rapporti di competenza tra arbitri e autorità giudiziaria, data dell'art. 819-ter, dichiari improponibile la domanda, dev'essere intesa come pronuncia declinatoria della competenza a favore degli arbitri ed è pertanto impugnabile con il regolamento necessario di competenza (Cass. n. 17019/2011). È stata invece esclusa l'ammissibilità del regolamento di competenza contro la pronuncia del giudice ordinario in ordine all'esistenza o alla validità della convenzione di arbitrato irrituale (Cass. n. 21869/2012; Cass. n. 1158/2013).

In mancanza dell'eccezione la competenza arbitrale è esclusa limitatamente alla controversia oggetto del giudizio, rimanendo salva la validità della convenzione arbitrale con riguardo ad eventuali ulteriori procedimenti. Ne discende che la mancata formulazione dell'eccezione di arbitrato non comporta rinuncia alla convenzione di arbitrato.

Manca una disposizione per l'ipotesi simmetrica di introduzione del giudizio arbitrale anteriormente a quello dinanzi al giudice ordinario. Poiché, però, l'art. 819-ter non menziona tra le norme inapplicabili all'arbitrato l'art. 39, dettato per la litispendenza e continenza di cause, sembra da credere che tale norma abbia inteso introdurre un congegno di litispendenza in favore degli arbitri, che sembra trovare riscontro nell'art. 817, comma 2, che fa salva la competenza degli arbitri a giudicare sulla propria competenza «in qualsiasi sede e per qualsiasi ragione».

Nello stabilire il principio per cui la pendenza del giudizio ordinario non impedisce l'introduzione del procedimento arbitrale, la norma pone altresì fine all'indirizzo, in precedenza accolto dalla giurisprudenza, secondo cui, in caso di connessione, la controversia pendente dinanzi agli arbitri doveva confluire nel giudizio dinanzi al giudice ordinario.

Il comma 2 dell'art. 819-ter stabilisce poi l'inapplicabilità all'arbitrato, nei suoi rapporti con il giudizio ordinario, degli artt. 44, 45, 48, 50, 295. Il giudice delle leggi (Corte cost. n. 223/2013) ha tuttavia dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui esclude l'applicabilità, nei rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all'art. 50 (in precedenza v. Cass. n. 22002/2012, che aveva ammesso la translatio dal giudice agli arbitri ma non viceversa). Deve pertanto ritenersi ammessa la trasmigrazione della causa dal giudice togato agli arbitri e viceversa.

Il richiamo dell'art. 295 comporta altresì l'esclusione della sospensione necessaria regolata da tale norma.

Difatti, ai sensi dell'art. 819-ter, comma 2, nei rapporti tra arbitrato e processo non trova applicazione l'art. 295, sicché il giudice ordinario non può sospendere il giudizio in ragione della pregiudizialità della causa pendente dinanzi agli arbitri (Cass. n. 783/2016).

Il comma 3 impedisce che, in pendenza del procedimento arbitrale, siano proposte domande giudiziali concernenti l'invalidità o l'inefficacia della convenzione di arbitrato: ciò per il fine di impedire l'impiego strumentale di simili iniziative allo scopo di paralizzare il giudizio arbitrale. La previsione in esame, secondo cui, in pendenza del procedimento arbitrale non possono proporsi all'autorità giudiziaria domande aventi ad oggetto l'invalidità o inefficacia della convenzione d'arbitrato, impone di ritenere ritenere, per converso, che possa essere proposta una domanda giudiziale intesa ad ottenere la declaratoria della invalidità o dell'inefficacia della convenzione, quando non sia stata introdotta una controversia davanti agli arbitri sulla base della convenzione stessa. L'invalidità o l'inefficacia della convenzione d'arbitrato può essere invocata davanti all'autorità giudiziaria con autonoma domanda di accertamento, o unitamente alla domanda relativa al rapporto cui la clausola compromissoria troverebbe applicazione, ovvero, ancora, in via di controeccezione proposta dalla parte attrice, allorché la parte convenuta abbia eccepito l'esistenza della clausola compromissoria invocando la competenza arbitrale. Ove avverso la decisione del giudice di merito, affermativa o negativa della competenza arbitrale, venga proposto regolamento di competenza, detto giudizio compete alla Corte di cassazione, nell'ambito dei poteri di statuizione sulla competenza (Cass. n. 17019/2011).

Eccezione di compromesso e natura dell’arbitrato

Vi è un blocco di sentenze della S.C., anche abbastanza recenti, secondo cui l'eccezione di arbitrato è un'eccezione di merito, e la decisione sull'eccezione va impugnata con l'appello, ed un blocco di sentenze secondo cui l'eccezione di arbitrato è un'eccezione di incompetenza, sicché la decisione sul punto, se riguarda la sola competenza, va impugnata col regolamento necessario, altrimenti col regolamento facoltativo o con l'appello: e la sensazione di spaesamento aumenterebbe probabilmente dopo la lettura dell'art. 819-ter, che sembra invece porre la questione senza esitazioni in termini di competenza.Per chiarire le ragioni di un contrasto così marcato occorre tornare brevemente (v. pure sub art. 806) sul tema della natura dell'arbitrato. Nel 1942 il legislatore colloca l'arbitrato in coda al codice e manifesta nei suoi riguardi un atteggiamento di evidente diffidenza, tant'è che la decisione degli arbitri — che il codice del 1865 chiamava sentenza e quello del 1942 definisce lodo — deve essere depositata presso il pretore, che, accertata la tempestività del deposito e la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto, conferendo così ad esso efficacia di sentenza.

 Secondo l'originaria ricostruzione della S.C., in aderenza alla disciplina inizialmente dettata dal codice di rito, solo con il deposito e la dichiarazione di esecutività si determina ex post una sorta di giurisdizionalizzazione del lodo (Cass. n. 454/1944; Cass. S.U., n. 1505/1956; Cass. n. 6532/1981). Soluzione che si accorda con la tesi chiovendiana secondo cui gli arbitri operano come collaboratori del giudice, dando luogo ad una attività meramente preparatoria del comando giudiziale, cioè dell'atto mediante cui viene espressa la volontà della legge, ossia il decreto di esecutorietà del lodo.

 In dottrina, viceversa, si misurano già in questa fase, e continueranno a misurarsi in seguito, opinioni eterogenee, le quali spaziano da una tesi «giurisdizionalista» pura ad una tesi «privatista» pura, con una pluralità di soluzioni intermedie e di sfumature che non è il caso di esaminare. In breve, volendo sintetizzare in modo rudimentale un dibattito spesso astratto e faticoso, si può dire che:

- per la prima il lodo emesso dagli arbitri ha immediatamente natura di sentenza di mero accertamento, e con l'exequatur del pretore è destinato a trasformarsi in sentenza di condanna;

- per la seconda il patto compromissorio è espressione della volontà delle parti di sottrarsi alla giurisdizione, optando per la decisione arbitrale, la quale non può essere assimilata a quella statuale, giacché gli arbitri sono privi dell'imperium che caratterizza l'esercizio della giurisdizione, con l'ulteriore conseguenza che il lodo possiede esclusivamente natura ed efficacia di contratto, al quale l'omologazione attribuisce taluni effetti propri della sentenza, in particolare l'esecutorietà, ma non la medesima natura, e con essa l'attitudine al giudicato.

Il quadro normativo inizia a modificarsi nel 1983. Con la l. n. 28/1983, il legislatore aggiunge all'art. 823 un ultimo comma ai sensi del quale il lodo ha «efficacia vincolante tra le parti» sin dalla data di ultima sottoscrizione. Formula che realizza un piccolo capolavoro di ambiguità, giacché offre argomenti tali da rafforzare sia la tesi «giurisdizionalista» pura che la tesi «privatista» pura, oltre a rinvigorire e far proliferare le soluzioni intermedie o eccentriche.

Per parte sua, la S.C. si schiera in questa fase, abbastanza compatta, su una posizione pragmatica, affermando che il lodo rituale possiede la stessa efficacia della sentenza, salva la necessità dell'omologa per attribuirgli effetti esecutivi (p. es. Cass. n. 8075/1994; Cass. n. 12346/1992Cass. S.U., n. 3767/1988Cass. S.U., n. 5037/1987).

Con la l. n. 25/1994, la disciplina dell'arbitrato è ulteriormente modificata. Viene da un lato abrogato il termine annuale per il deposito del lodo, dall'altro lato viene soppressa la previsione in forza della quale il lodo acquista efficacia di sentenza solo a seguito dell'omologazione. Si tratta di novità che depongono per la tendenziale equiparazione della giustizia arbitrale a quella ordinaria: l'efficacia di sentenza del lodo, infatti, non è più subordinata all'omologazione del giudice, che è necessaria solo per la concessione dell'esecutorietà.

Sebbene la novella non sopisca il contrasto tra i fautori delle due tesi di cui si è detto, l'orientamento della giurisprudenza, con particolare riguardo alle ricadute della configurazione del giudizio arbitrale sull'eccezione di compromesso, è ormai univoco. Si equipara cioè l'eccezione di compromesso ad una eccezione di incompetenza (più precisamente ad un'eccezione di incompetenza semplice) e si afferma pertanto che essa va proposta in limine litis (Cass. n. 870/2000; Cass. n. 2775/1999;Cass. S.U., n. 10617/1996).

Nel 2000, tuttavia, le cose cambiano repentinamente. La S.C., mutando radicalmente di indirizzo, fa propria la tesi «privatista» (Cass. S.U., n. 527/2000).

Il lodo rituale viene considerato come un negozio di diritto privato stipulato fra le parti e, per questo, inidoneo ad ottenere l'autorità di giudicato sostanziale (Cass. S.U., n. 1262/2000Cass. n. 13840/2001; Cass. n. 15023/2001; Cass. S.U., n. 9289/2002; Cass. n. 11976/2002; Cass. n. 12714/2002; Cass. n. 14182/2002; Cass. n. 4462/2003; Cass. n. 17205/2003; Cass. n. 11315/2005; Cass. n. 4542/2006).

L'eccezione di compromesso, a questo punto, non è più considerata come eccezione di incompetenza, ma di merito. Il compromesso si configura, nella prospettiva accolta, quale deroga alla giurisdizione. Pertanto, lo stabilire se una controversia appartenga alla cognizione del giudice ordinario o sia deferibile agli arbitri — i quali, anche nell'arbitrato rituale, non svolgono una forma sostitutiva della giurisdizione né sono qualificabili come organi giurisdizionali dello Stato — costituisce appunto una questione, non già di competenza in senso tecnico, ma di merito, in quanto direttamente inerente alla validità o all'interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria. Ne consegue — ecco la conseguenza applicativa desunta dalla ricostruzione operata in apicibus — che è inammissibile l'istanza di regolamento (necessario o facoltativo) di competenza proposta avverso la decisione con cui il giudice adito pronunci (accogliendola o respingendola) su eccezione relativa all'esistenza di compromesso o di clausola compromissoria per arbitrato rituale (Cass. S.U., n. 9289/2002).

Questo indirizzo rimane per un certo tempo fermo anche dopo la riforma dell'arbitrato del 2006 (d.lgs. n. 40/2006). Il che è in certo qual modo sorprendente, dal momento che la novella introduce nella disciplina dell'arbitrato l'art. 819-ter, dedicato ai rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria, nel quale si afferma espressamente che:

a) la competenza degli arbitri non è esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice;

b) la sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato, è impugnabile con regolamento necessario o facoltativo;

c) l'eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta.

E tuttavia, per quanto consta, la qualificazione dell'eccezione di arbitrato quale eccezione di merito rimane ferma nella giurisprudenza della S.C. almeno fino al 2011 (Cass. n. 15474/2011), e anche dopo (desta infatti un qualche imbarazzo il constatare che Cass. n. 16071/2024, evidentemente digiuna dei termini del problema, abbia pedissequamente copiato la massima da ultimo citata, qualificando l'eccezione di arbitrato come eccezione di merito ed affermando che la devoluzione della controversia agli arbitri dà luogo ad una «rinuncia all'esperimento dell'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, attraverso la scelta di una soluzione della controversia con uno strumento di natura privatistica»).

Nondimeno, una pluralità di elementi convergono, man mano, a far superare l'adesione alla tesi «privatista», in favore di un meditato ritorno a quella «giurisdizionalista». Ed infatti, come si è già visto altrove:

-) già nel 2001 la Corte costituzionale ammette gli arbitri a sollevare la questione di costituzionalità, qualificando l'arbitrato come «procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile per l'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria» (Corte cost. n. 376/2001);

-) la riforma dell'arbitrato del 2006 attribuisce al lodo arbitrale fin dall'ultima sottoscrizione l'efficacia della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria (art. 824 bis), indipendentemente dal deposito disciplinato dal successivo art. 825;

-) la Consulta ammette la translatio iudicii arbitro-giudice ai sensi dell'art. 50 (Corte cost. n. 223/2013).

Si è già avuto modo di osservare che, in tale contesto, le Sezioni Unite riconoscono la natura giurisdizionale all'arbitrato (Cass. S.U., n. 24153/2013).

A questo punto si apre la strada per il ritorno alla qualificazione dell'eccezione di arbitrato quale eccezione di incompetenza: soluzione, senza alternative, tenuto conto della formulazione dell'art. 819-ter. Si afferma quindi che, in considerazione della natura giurisdizionale dell'arbitrato e della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria, come desumibile dalla disciplina introdotta dalla l. n. 5/1994 e dalle modificazioni di cui al d.lgs. n. 40/2006, l'eccezione di compromesso ha carattere processuale ed integra una questione di competenza, che deve essere eccepita dalla parte interessata, a pena di decadenza e conseguente radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta, nella comparsa di risposta e nel termine fissato dall'art. 166 (Cass. n. 22748/2015;  Cass. n. 15300/2019). 

Inoltre, quando sia investita da un regolamento di competenza ai sensi dell'art. 819 ter c.p.c., la Corte di cassazione ha i medesimi poteri del giudice di merito per accertare la validità o l'efficacia della clausola compromissoria, ai fini della statuizione sulla competenza ( Cass. n. 4531/2023 ). Merita qui ricordare che invece l'eccezione di compromesso per arbitri esteri integra una questione di giurisdizione, con la conseguenza che la sentenza che la accolga è impugnabile con l'appello e non con il regolamento di competenza ex art. 819-ter c.p.c. (Cass. n. 14186/2023).

In tale quadro, l'adesione all'eccezione di incompetenza arbitrale proposta dalla controparte determina l'immediata e definitiva caducazione del potere di giudizio in capo agli arbitri, i quali, conseguentemente, non possono più statuire sulla propria competenza, neppure nel caso in cui, prima della loro pronuncia, l'eccezione suddetta sia stata rinunciata (Cass. n. 24689/2022).

Forma e termini dell’eccezione di arbitrato

L'art. 819-ter  qualifica espressamente l'exceptio compromissi come eccezione «di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato», dettando per il suo rilievo e la sua impugnazione una disciplina che è modellata su quella dell'eccezione di incompetenza prevista dall'art. 38, pur non espressamente richiamato.

La disciplina delle forme e dei termini per eccepire l'incompetenza del giudice in ragione della sussistenza di convenzione d'arbitrato è sufficientemente piana. Il comma 1, terzo periodo, dell'art. 819-ter , infatti, dispone che l'eccezione di patto compromissorio deve essere proposta dalla parte, a pena di decadenza, con la comparsa di risposta. La S.C. ha chiarito, quantunque la norma non lo dica espressamente, che si tratta della comparsa di risposta tempestivamente depositata. È stato difatti osservato che «la mancanza di una specifica indicazione in ordine al termine entro il quale l'eccezione dev'essere sollevata impone di fare riferimento alla disciplina generale dettata dall'art. 38… il quale dispone che l'incompetenza, tanto per materia quanto per valore o per territorio, dev'essere eccepita, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata», mentre «sarebbe del tutto contraddittorio continuare a leggere il riferimento al mero deposito della comparsa di risposta nell'art. 819-ter , come non allusivo ad un deposito tempestivo», dal momento che «la sussistenza della competenza arbitrale è questione rilevabile solo dalla parte e non dal giudice» (Cass. n. 18978/2015; Cass. n. 22748/2015).

Come è stato ribadito, l'eccezione di compromesso ha carattere processuale ed integra una questione di competenza che non ha natura inderogabile, così da giustificarne il rilievo d'ufficio exart. 38, comma 3, atteso che essa si fonda unicamente sulla volontà delle parti, le quali sono libere di scegliere se affidare o meno la controversia agli arbitri. ne consegue ad esempio che, anche nel procedimento sommario di cognizione, tale eccezione deve essere formulata dalla parte interessata, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta e nel termine fissato dall'art. 702-bis, comma 4 (Cass. n. 15300/2019).

È certamente escluso dunque il rilievo officioso. In particolare l'eccezione di incompetenza trova fondamento unicamente sulla volontà delle parti, le quali sono libere di scegliere se affidare la controversia agli arbitri e, quindi, anche di adottare condotte processuali tacitamente convergenti verso l'esclusione della competenza di questi ultimi, con l'introduzione di un giudizio ordinario, da un lato, e la mancata proposizione dell'eccezione di arbitrato, dall'altro (Cass. n. 22748/2015). In sintesi, in tema di arbitrato rituale, l'exceptio compromissi ha carattere processuale e integra una questione di competenza, pertanto deve essere sollevata, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo della parte convenuta, non potendosi assimilare la competenza arbitrale a quella funzionale sì da giustificarne il rilievo officioso ad opera del giudice, fondandosi essa unicamente sulla volontà delle parti (Cass. n. 112/2024).

 Nel caso di procedimento monitorio, l'eccezione va formulata con l'atto di citazione o col ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo. In dottrina, peraltro, si è dubitato che il difetto di competenza non possa essere sollevato d'ufficio nella fase monitoria del procedimento ingiuntivo, in applicazione analogica dei principi posti da Corte cost. n. 410/2005, la quale ha affermato che l'art. 640, per essere conforme a Costituzione, deve essere interpretato nel senso di consentire al giudice della fase monitoria di rilevare d'ufficio la propria incompetenza territoriale semplice.

In tema di competenza arbitrale, poi, l'eccezione di compromesso sollevata soltanto da alcuni dei contraenti convenuti in giudizio è produttiva di effetti nei confronti di tutti gli altri litisconsorti (Cass. n. 8595/2018). Viene osservato, nel segno di Corte cost. n. 41/2006, che ha reputato costituzionalmente illegittimo il combinato disposto degli artt. 38 e 102, nella parte in cui, in ipotesi di litisconsorzio necessario, consente di ritenere improduttiva di effetti l'eccezione di incompetenza territoriale derogabile proposta non da tutti i litisconsorti convenuti, che l'eccezione di compromesso sollevata da alcuni soltanto dei convenuti produce effetti anche nei confronti di tutti i litisconsorti, poiché, attesa l'inscindibilità del vincolo, è sufficiente che anche uno solo dei soggetti contraenti invochi l'osservanza della clausola di che trattasi per far sì che la controversia venga sottratta alla cognizione del giudice ordinario. Del resto, la S.C. ha spiegato che, nell'ipotesi in cui il rapporto sostanziale determina la necessità del litisconsorzio, è sufficiente che l'osservanza della clausola compromissoria sia invocata da uno dei contraenti, perché della controversia, nei confronti di tutti gli interessati, in unico processo, siano investiti gli arbitri sia che tutti gli altri interessati resistano attivamente, sia che alcuni di essi preferiscano rimanere inerti (Cass. n. 1011/1969). Al contempo, il favor per l'arbitrato è allo stato indiscutibilmente espresso dall'art. 808-quater ed, antecedentemente al d.lgs. n. 40/2006, dall'insegnamento per cui la clausola compromissoria deve, in mancanza di espressa volontà contraria, essere interpretata nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto (Cass. n. 28485/2005).

Mancata proposizione dell’eccezione

Secondo l'art. 819-ter , comma 1, quarto periodo,  «la mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio». Alcuni ritengono che la previsione debba essere intesa nel senso che la mancata proposizione dell'eccezione comporta lo scioglimento del patto compromissorio relativamente alla controversia dedotta in giudizio poiché implicherebbe, da parte del convenuto, l'adesione alla volontà di risolvere la convenzione arbitrale manifestata dall'attore con la proposizione della domanda davanti al giudice statale anziché agli arbitri.

Altri replicano che l'omesso rilievo dell'incompetenza del giudice non può determinare lo scioglimento del patto compromissorio, giacché l'omissione dell'eccezione è una scelta del difensore che non produce effetti dispositivi a carico della parte, tanto più che il patto compromissorio (e quindi anche il suo scioglimento) richiede la forma scritta ad substantiam.

In definitiva, secondo l'opinione dottrinale prevalente, la mancata formulazione dell'eccezione di arbitrato preclude soltanto l'avvio o la prosecuzione di un giudizio arbitrale sul medesimo oggetto.

Eccezione di arbitrato e domanda riconvenzionale

Una questione pratica sovente presentatasi in giurisprudenza è se la proposizione di domanda riconvenzionale comporti rinuncia a far valere l'eccezione di arbitrato pure espressamente proposta.

Secondo un primo indirizzo l'eccezione di compromesso deve intendersi come implicitamente rinunciata a fronte della ulteriore proposizione di domanda riconvenzionale, sussistendo un'incompatibilità tra eccezione di incompetenza del giudice ordinario e proposizione davanti allo stesso giudice – ritenuto incompetente – di un'autonoma domanda giudiziale (Cass. n. 13317/1992).

Secondo un altro orientamento, in tale situazione la domanda riconvenzionale deve considerarsi naturalmente subordinata al rigetto dell'eccezione di compromesso (Cass. n. 12684/2007; Cass. n. 12475/2005; Cass. n. 15941/2000).

Il contrasto è in effetti però solo apparente. Le sentenze da ultimo citate a favore della compatibilità tra domanda riconvenzionale ed eccezione di compromesso hanno deciso fattispecie concrete nelle quali le due attività erano state compiute dal convenuto contestualmente, mediante il medesimo atto introduttivo. La S.C. reputa cioè che l'atto unitariamente costruito non permetta di considerare rinunciata l'eccezione di arbitrato in esso formulata ogni volta che possa agevolmente desumersi la subordinazione della domanda riconvenzionale al rigetto dell'eccezione (Cass. n. 15941/2000). Tali pronunce non sono, quindi, in effettivo contrasto con quelle che hanno dichiarato implicitamente rinunciata l'eccezione di arbitrato a causa della successiva proposizione di domanda riconvenzionale (Cass. n. 13117/1992; Cass. n. 12736/2007). In tal caso, cioè, a fronte della proposizione della riconvenzionale in un momento successivo alla formulazione dell'eccezione di arbitrato, occorre verificare se la riconvenzionale non importi l'abbandono dell'eccezione.

Sicché appare in definitiva isolata la decisione che ravvisa un'implicita rinuncia all'eccezione in caso di contestuale proposizione della domanda riconvenzionale (Cass. n. 18643/2003).

La forma della decisione

L'art. 819-ter stabiliva che la decisione sull'exceptio compromissi va adottata con sentenza. Sorgeva così il problema del coordinamento di tale previsione con l'indirizzo successivamente adottato dalla l. n. 69/2009 nel novellare l'art. 38, indirizzo secondo cui le questioni di competenza si decidono con ordinanza.

Secondo alcuni la mancata modifica dell'art. 819-ter avrebbe dovuto essere intesa quale mero difetto nel coordinamento, sicché il giudice doveva pronunciarsi con ordinanza anche sull'exceptio compromissi.

Secondo altri, invece, il legislatore avrebbe deliberatamente mantenuto la forma della sentenza per la decisione sulla competenza arbitrale. La c.d. rforma Cartabia ha poi introdotto nel secondo periodo del primo comma l'inciso «o l'ordinanza».

L'impugnazione della sentenza

 

La sentenza (od oggi l’ordinanza) che pronuncia sull'eccezione di arbitrato è assoggettata al regolamento di competenza necessario o facoltativo, secondo che il giudice si sia pronunciato solo sull'eccezione o anche sul merito (Cass. n. 5510/2011). È ovviamente scontato che il regolamento di competenza può essere impiegato contro la sentenza del giudice, non contro il lodo che ai sensi dell'art. 817 abbia deciso sulla competenza, il quale è eventualmente sottoposto all'impugnazione per nullità ai sensi dell'art. 829.

Si è sostenuto che la pronuncia dovrebbe considerarsi resa anche sul merito ogni qual volta il giudice, ai fini del decidere, abbia scrutinato validità od efficacia della convenzione arbitrale in contestazione. Secondo altri la pronuncia sull'eccezione di arbitrato è comunque una decisione sulla sola competenza.

Altro quesito in tema di impugnazione per regolamento di competenza, che è però marginale dal punto di vista dell'impatto pratico, è quello concernente la sua applicazione alle decisioni sull'eccezione di arbitrato pronunciate dal giudice di pace, giacché per regola generale il regolamento, sia necessario che facoltativo, non si applica nei giudizi davanti al giudice di pace ai sensi dell'art. 46.

Per un verso si potrebbe porre l'accento sul rilievo che l'art. 819-ter  assoggetta al regolamento tutte le sentenze con cui il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato. Per altro verso, ed è l'opinione senz'altro preferibile, il richiamo dell'art. 819-ter  agli artt. 42 e 43 sembra involgere l'intera disciplina dettata per il regolamento di competenza, con conseguente inapplicabilità alle sentenze del giudice di pace, tanto più che la norma, nell'elencare espressamente le disposizioni inapplicabili nei rapporti tra arbitrato il processo, non richiama l'art. 46.

Si pone poi in argomento un quesito che ha tutt'ora un qualche rilievo in tema di diritto intertemporale: il quesito se l'impugnazione per regolamento di competenza sia applicabile o no alle sentenze pronunciate dopo l'entrata in vigore art. 819-ter , introdotto dall'art. 22 d.lgs. n. 40/2006 (2 marzo 2006), anche se il processo ha avuto inizio anteriormente a quella data.

 In proposito le Sezioni Unite hanno in generale stabilito che: «In tema di arbitrato, la disciplina sull'impugnabilità con regolamento di competenza, necessario o facoltativo (artt. 42 e 43), della sentenza del giudice di merito affermativa o negatoria della propria competenza sulla convenzione di arbitrato, recata dal nuovo testo dell'art. 819-ter  (introdotto dall'art. 22 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), trova applicazione soltanto in relazione a sentenze pronunciate con riferimento a procedimenti arbitrali iniziati successivamente alla data del 2 marzo 2006, disponendo in tal senso, con formulazione letterale inequivoca, la norma transitoria dettata dall'art. 27, comma 4, dell'anzidetto d.lgs. n. 40/2006, dovendosi, pertanto, escludere che l'operatività della nuova disciplina possa ancorarsi a momenti diversi, quale quello dell'inizio del giudizio dinanzi al giudice ordinario nel quale si pone la questione di deferibilità agli arbitri della controversia ovvero quello della data di pubblicazione della sentenza del medesimo giudice che risolve la questione di competenza» (Cass. S.U., n. 19047/2010).

Un'ulteriore questione in tema di impugnazione. Il succedersi dei diversi orientamenti di cui si è detto ha creato com'è ovvio una certa confusione nei giudici di merito, in particolare nell'adozione della formula da impiegare nell'accogliere l'eccezione di arbitrato, formula che, quando l'eccezione veniva considerata eccezione di merito, era (più o meno) «dichiara improponibile la domanda», e, da quando l'eccezione è tornata ad essere eccezione di incompetenza, è appunto «dichiara la propria incompetenza, competenti essendo gli arbitri». Ora, la S.C. ha precisato che per i fini dell'impugnabilità mediante regolamento di competenza nulla rileva la qualificazione data dal giudice alla propria pronuncia: perciò, la sentenza con la quale il tribunale adito, ignorando la qualificazione dei rapporti di competenza tra arbitri e autorità giudiziaria, data dall'art. 819-ter  , dichiari improponibile la domanda, dev'essere intesa come pronuncia declinatoria della competenza a favore degli arbitri ed è pertanto impugnabile con il regolamento necessario di competenza (Cass. n. 17019/2011).

Le norme inapplicabili

Il comma 2 dell'art. 819-ter  stabilisce che «nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli artt. 44, 45, 48, 50 e 295». Si è però già accennato che la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della disposizione nella parte in cui escludeva l'applicazione all'arbitrato della translatio iudicii di cui all'art. 50.

Per il resto l'art. 44, stabilisce che il provvedimento con cui il primo giudice declina la propria competenza per territorio derogabile a favore di altro giudice diviene incontestabile se non è tempestivamente impugnato e la causa viene riassunta davanti al giudice indicato come territorialmente competente entro i termini previsti dall'art. 50. Sembra che la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 819-ter  in relazione all'art. 50  non produca ricadute sull'inapplicabilità dell'art. 44, in forza del quale la sentenza con cui sia stata decisa la questione di competenza non possiede valore vincolante nei confronti degli arbitri: soluzione che è coerente espressione del principio del «doppio binario».

L'art. 45 stabilisce che qualora il giudice adito ai sensi della norma precedente, si ritenga a propria volta incompetente, questi possa richiedere d'ufficio il regolamento di competenza. In proposito la S.C. ha chiarito che, nell'ipotesi in cui la pronuncia che rigetta l'eccezione di patto compromissorio al contempo dichiari la competenza territoriale di altro giudice, quest'ultimo potrà contestare con il regolamento di ufficio il criterio attributivo della competenza per territorio ma non anche porre nuovamente in discussione la questione della competenza arbitrale (Cass. n. 24082/2010). Anche in questo caso non vedo interferenze tra la dichiarazione di incostituzionalità di cui ho detto e l'inapplicabilità del citato art. 45.

L'art. 48 impone la sospensione dei procedimenti per i quali sia stato chiesto il regolamento di competenza. Il richiamo, tra le norme escluse, all'art. 48  è stato criticato. Immaginiamo che il giudice abbia rigettato l'eccezione di incompetenza e abbia anche deciso sul merito. In questo caso, se non opera la sospensione, il soccombente non può di fatto proporre il regolamento facoltativo, che gli consumerebbe ineluttabilmente il termine per l'appello. D'altro canto non ha senso costringere l'interessato a proporre simultaneamente sia il regolamento che l'appello.

È parimenti esclusa la sospensione necessaria prevista dall'art. 295.

Cognizione in via principale dell'accordo compromissorio

Ai sensi del comma 3 dell'art. 819-ter  nel corso del giudizio arbitrale le parti non possono proporre domande giudiziali dirette a far valere l'invalidità della convenzione arbitrale.

La disposizione ha il fine di impedire l'impiego strumentale di simili iniziative allo scopo di paralizzare il giudizio arbitrale. La norma mira cioè a proteggere dalle ingerenze del giudice statale la potestà arbitrale di decidere su validità ed efficacia della convenzione d'arbitrato prevista dall'art. 817, comma 1.

La questione posta dalla norma non sta tanto nel suo significato positivo, che è chiaro, ma nella fondatezza di una lettura a contrario della norma, la quale consenta di ritenere che essa, prima dell'inizio dell'arbitrato, consenta la proponibilità di una domanda giudiziale diretta a far valere invalidità od inefficacia della convenzione arbitrale.

Si tratta di un problema discusso in dottrina, e che è risolto in prevalenza in senso positivo, ossia per l'ammissibilità di un'azione, introdotta prima del giudizio arbitrale, volta alla verifica della validità ed efficacia della convenzione d'arbitrato.

In contrario si osserva che tale soluzione attribuirebbe al giudice proprio quel potere di sindacato della convenzione di arbitrato che l'art. 817 c.p.c., comma 3, intende contrastare, in conflitto altresì con il principio del «doppio binario» sancito dal comma 1 dell'art. 819-ter .

D'altro canto è in se stesso legittimo, a prescindere dall'art. 819-ter  comma 3, il dubbio che si possa proporre una domanda giudiziale su validità ed efficacia di un patto compromissorio. Alla luce della qualificazione dei rapporti fra arbitro e giudice come questione di competenza, l'azione mirerebbe infatti ad ottenere nient'altro che una pronuncia sulla sussistenza della competenza del giudice o dell'arbitro, ma risulterebbe inammissibile per difetto di interesse ad agire.

In questo senso si è pronunciata la S.C. in un precedente risalente assai indietro nel tempo, secondo cui: «L'indagine sulla validità e sulla portata di una clausola compromissoria si risolve sempre nella ricerca di quell'effetto di diritto processuale, che le è connaturale ed esclusivo, di sottrarre al giudice ordinario la cognizione di una o più controversie di diritto sostanziale, con la conseguente attribuzione delle controversie medesime al giudice privato. Trattandosi, quindi, di una indagine che si risolve sempre in una questione di competenza, ne deriva che, come sarebbe improponibile davanti a qualsiasi giudice una questione generica ed astratta di competenza, senza la deduzione contemporanea di una controversia di diritto sostanziale, in relazione alla quale occorra risolvere il dubbio sulla scelta del giudice che dovrà provvedere sulla controversia stessa, così non può ammettersi né un giudizio di mero accertamento sulla validità e sulla portata della clausola compromissoria, né, per conseguenza, che la decisione su tale punto costituisca un capo autonomo della sentenza, munito di un'autorità propria di giudicato, indipendentemente dalla pronunzia sulla competenza a provvedere sulla domanda di diritto sostanziale» (Cass. n. 3167/1957). Anche in tempi meno remoti si è ribadito che: «Un'azione di mero accertamento sulla validità e sulla portata della clausola compromissoria, senza la contemporanea deduzione di una controversia relativa ad un diritto sostanziale, è improponibile per difetto di interesse, in quanto condurrebbe ad una generica affermazione di competenza, sfornita di efficacia preclusiva per il giudice che fosse chiamato successivamente a provvedere su una domanda determinata» (Cass. n. 3361/1991). In tempi più recenti si è invece affermato il contrario: «Ai sensi dell'art. 819-ter , ultimo comma, così come novellato dall'art. 22 d.lgs. n. 40/2006, in pendenza del procedimento arbitrale non possono proporsi all'autorità giudiziaria domande aventi ad oggetto l'invalidità o inefficacia della convenzione d'arbitrato, dovendosi ritenere, per converso, che possa essere proposta una domanda giudiziale intesa ad ottenere la declaratoria della invalidità o dell'inefficacia della convenzione, quando non sia stata introdotta una controversia davanti agli arbitri sulla base della convenzione stessa. L'invalidità o l'inefficacia della convenzione d'arbitrato può essere invocata davanti all'autorità giudiziaria con autonoma domanda di accertamento, o unitamente alla domanda relativa al rapporto cui la clausola compromissoria troverebbe applicazione, ovvero, ancora, in via di controeccezione proposta dalla parte attrice, allorché la parte convenuta abbia eccepito l'esistenza della clausola compromissoria invocando la competenza arbitrale. Ove avverso la decisione del giudice di merito, affermativa o negativa della competenza arbitrale, venga proposto regolamento di competenza, detto giudizio compete alla Corte di cassazione, nell'ambito dei poteri di statuizione sulla competenza» (Cass. n. 17019/2011).

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