Finanza esterna e concordato preventivo

04 Marzo 2013

Un interessante banco di prova del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia di nuovo concordato preventivo è dato dall'utilizzo della c.d. finanza esterna, ossia del denaro messo a disposizione del concordato da soggetti diversi dal debitore insolvente.

Un interessante banco di prova del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia di nuovo concordato preventivo è dato dall'utilizzo della c.d. finanza esterna, ossia del denaro messo a disposizione del concordato da soggetti diversi dal debitore insolvente.

La persistente confusione sul trattamento dei creditori garantiti nei concordati, sulla quale ho già avuto modo di dire qualcosa in occasione di un precedente blog, si manifesta in forme particolarmente chiare proprio su questo tema: come anche recenti pronunce di merito dimostrano.
La delicatezza e l'importanza della questione sono dovute dal riguardare la stessa il nucleo concettuale del trattamento dei creditori nelle procedure concorsuali. Questo nucleo è dato dal sistema della responsabilità patrimoniale: risponde verso i creditori esclusivamente il debitore (ossia chi riveste tale posizione nel rapporto obbligatorio ed è, per questa ragione, qualificabile debitore: in via principale o di garanzia). Invece, non rispondono dei debiti del debitore soggetti diversi ed estranei (ossia tutti coloro che non ricoprono nel rapporto obbligatorio la posizione di debitore: per essere creditori o per essere del tutto estranei al rapporto).
Il patrimonio obbligato può, come tale, essere sottoposto ad esecuzione forzata: infatti, qualora il rapporto obbligatorio non sia adempiuto spontaneamente, l'ordinamento assicura l'adempimento in via coattiva.
Resta il fatto che l'esecuzione coattiva del rapporto obbligatorio non può coinvolgere patrimoni diversi da quello obbligato.
Per conseguenza, qualora il patrimonio obbligato sia incapiente, i creditori potranno giovarsi di un soddisfacimento soltanto parziale.
Questo limite fattuale alla esecuzione coattiva non vale come impedimento per una offerta concordataria ai creditori. Sin dalle origini, infatti, le procedure concorsuali sono state concepite per garantire comunque un adempimento nei confronti dei creditori, valendo la regola della parità di trattamento e non della integralità del pagamento. Il che si spiega agevolmente: potendo sempre imporsi un criterio distributivo delle risorse disponibili (ossia la parità di trattamento), ma non potendosi per legge aumentare tali disponibilità (e così pagando integralmente tutti).
Nel vigore della legge fallimentare, versione 1942, residuava qualche irrazionalità nelle regole concordatarie sul pagamento dei creditori garantiti. Questi ultimi, da soddisfarsi con preferenza rispetto ai creditori chirografari, si riteneva dovessero essere anche soddisfatti sempre e comunque per l'intero. Ovviamente la prima regola (priorità nel soddisfacimento) non implica la seconda (soddisfacimento per intero). Qualora la risorsa sia insufficiente per il pagamento integrale del creditore garantito, non potrà mai aversi il rispetto della seconda regola, ma sarà agevole rispettare la prima (destinando tutte le risorse disponibili al pagamento del creditore garantito senza nulla riservare ai creditori chirografari, o comunque ai creditori garantiti di rango inferiore).
L'irrazionalità è stata superata dalla riforma fallimentare con la introduzione della regola generale del pagamento prioritario del creditore garantito nei limiti del valore del bene oggetto della garanzia. Superato questo valore - detto “di realizzo” - per la parte restante il credito garantito è equiparato al credito chirografario ed è dunque pagato in proporzione e secondo il principio della par condicio creditorum.
Per conseguenza oggi, a differenza di quanto accadeva in passato, è possibile presentare domande di concordato preventivo (oltre che fallimentare) in cui sia offerto al creditore garantito un pagamento parziale, purché nei limiti del valore di realizzo dell'oggetto della garanzia.
Poiché tuttavia in tal caso potrebbero non residuare denari per pagare i creditori chirografari (come accade qualora si verifichi l'ipotesi del credito assistito da privilegio generale mobiliare non integralmente soddisfatto) la legale possibilità del concordato - assicurata dal superamento della insolvenza e da una qualche forma di soddisfacimento riservata ai creditori (cfr. Cass. SS.UU. 23 gennaio 2013, n. 1521) - potrebbe o essere messa in discussione (sul rilievo che la procedura non consentirebbe il pagamento dei creditori chirografari) oppure dimostrarsi non praticabile in concreto (essendo rimessa l'approvazione del concordato proprio ai creditori chirografari, destinati a non riceverne giovamento alcuno).
Proprio in questi casi emerge l'importanza della cosiddetta finanza esterna: ossia di apporti di denaro da parte di terzi non obbligati verso i creditori concorsuali. La inesistenza di un vincolo di destinazione di tali somme - infatti non ricomprese nel patrimonio del debitore - ai creditori concorsuali ne consente una ragionevole libertà di utilizzo nel concordato e ai fini della approvazione dello stesso.
Tali somme potranno essere infatti destinate al pagamento - secondo le regole sulla parità di trattamento - dei creditori chirografari: così interessati alla approvazione della proposta.
Resta inteso che la esclusione del vincolo di destinazione di tali somme secondo il criterio della responsabilità patrimoniale non implica libertà di utilizzo di tali somme oltre il limite segnato dalle regole procedurali del concordato.
In altri termini, il fatto che le somme del terzo non siano da destinarsi ai creditori concorsuali secondo le regole della responsabilità patrimoniale (che, nell'esempio di sopra, imporrebbero il pagamento al creditore con privilegio generale mobiliare sino ad integrale soddisfazione dello stesso prima di qualsivoglia pagamento ai creditori chirografari) non implica una assoluta libertà di utilizzo di tali somme, giacché deve comunque tenersi conto delle regole generali non della responsabilità patrimoniale, ma della procedura di concordato. Pertanto, anche la distribuzione di tali somme deve rispettare il principio della par condicio creditorum, ribadito nella procedura di concordato; né l'utilizzo di tali somme può essere strumentalizzato ai fini della approvazione del concordato da parte di una maggioranza preindirizzata (come potrebbe verificarsi se la finanza esterna fosse riservata per accrescere il trattamento di alcuni soltanto dei creditori chirografari, quelli costituenti la maggioranza).
Una conferma di tali osservazioni è rinvenibile nel divieto del mercato di voto stabilito dall'art. 233 l. fall..
Una questione particolare sembrerebbe porsi per taluni crediti fiscali (Iva e contributi previdenziali), giacché l'art. 182-ter l. fall. stabilisce che gli stessi debbano essere pagati per intero.
Una lettura superficiale della regola potrebbe far supporre che per detti crediti non valgano le regole generali sul trattamento dei creditori garantiti; e in particolare che non valga la regola del pagamento nei limiti del valore di realizzo. La conseguenza sarebbe nella inammissibilità di una domanda di concordato preventivo che, per incapienza del patrimonio del debitore, non preveda il pagamento integrale di tali crediti. Tale conclusione, tuttavia, si mostrerebbe irrazionale, giacché impedirebbe il concordato ed imporrebbe la soluzione del fallimento senza nessun vantaggio per i creditori: essendo evidente che il patrimonio dedotto in concordato non si accresce per il solo fatto di essere coinvolto nel fallimento.
Inoltre si pregiudicherebbe in ipotesi l'interesse dei creditori concorsuali, e così quando fosse offerta da un terzo un apporto di finanza esterna per i creditori chirografari (e, al limite, anche per i creditori garantiti).
Infine, si reintrodurrebbe, surrettiziamente, un giudizio di meritevolezza del debitore al concordato: nuovamente considerato, come fu in passato, un beneficio da riservare a determinati debitori. Con la finale aggravante che nella vecchia legge fallimentare il beneficio era riservato al debitore onesto ma sfortunato, e in questa interpretazione sarebbe riservato all'imprenditore - onesto o disonesto poco importa - in possesso del denaro necessario per farsi giudicare meritevole.

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