Sin da quando il c.d. Decreto Sviluppo (D.L. n. 83/2012) è stato convertito dalla L. n. 134/2012, anche chi scrive - come praticamente tutti gli interpreti - per definire il nuovo istituto ora previsto dall'art. 161, comma 6, l.fall. ha adottato espressioni del tipo: “pre-concordato”, “concordato con riserva”, “concordato in bianco” et similia.
Nulla impedisce di continuare ad usare tali icastiche espressioni, anche se, a ben vedere, esse sono parzialmente falsanti. Lo sono nella parte in cui evocano comunque, ed invariabilmente, il concordato, per quanto possa apparire paradossale che si consideri falsante il riferimento al concordato per un istituto comunque regolato proprio nella sedes materiae del concordato preventivo (all'art. 161 l. fall., appunto) e che sottende la proposizione di un ricorso che ha effetti analoghi, anche se non completamente sovrapponibili, a quelli prodotti da una domanda di concordato vera e propria, ricorso che sembrerebbe per di più veicolare invariabilmente una domanda di concordato (come sembrerebbe far intendere il citato art. 161).
Tale ricorso, però, proprio perché “in bianco”, non deve necessariamente contenere né una proposta, né un piano, e dunque non una domanda di concordato riconoscibile come tale, e può poi essere seguito non necessariamente, ma solo eventualmente, da una domanda di concordato preventivo definitiva.
L'art. 161, infatti, da un lato consente al debitore di presentare una domanda priva di contenuto chiedendo un termine proprio al fine di predisporre o una domanda di concordato o una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti; dall'altro, consentendogli di proporre liberamente, entro il termine che il Tribunale gli accorda, o l'una o l'altra domanda, non lo vincola a presentare l'una piuttosto che l'altra, nemmeno quando il debitore stesso si sia spinto ad indicare in via anticipata l'intenzione di presentare una delle due in particolare.
Pertanto, il proponente può chiedere la concessione del termine anche semplicemente affermando l'intenzione di proporre poi un accordo, anziché un concordato; o tacendo del tutto sulle sue successive intenzioni e lasciando “aperta” la sua scelta.
Più che di domanda “in bianco”, allora, sarebbe il caso di parlare di “domanda “al buio”, e, più che di procedura di “pre-concordato” (che sembra preannunciare necessariamente un successivo concordato), sarebbe più corretto discettare di procedura meramente “prenotativa”, così rimarcandosi la sua idoneità ad anticipare in modo neutro (e non impegnativo per il proponente) gli effetti protettivi che sarebbero propri di una delle due procedure che possono successivamente essere attivate (concordato preventivo o accordo di ristrutturazione).
Ancor più improprie dovrebbero quindi considerarsi quelle espressioni finalizzate a far credere che durante tale fase processuale sia in corso un concordato di un certo tipo (anziché - quindi - di un altro), ad esempio un concordato con continuità aziendale, poiché, per definizione, la mancanza di una proposta e di un piano definitivi e, come tali, impegnativi per il proponente (e corredati per di più dalle necessarie relazioni attestative) rende giuridicamente non configurabile (ancora) una procedura di concordato, qualsiasi forma essa possa astrattamente assumere, né un accordo di ristrutturazione purchessia.
Né questa evidenza può mutare sol perché, e quando, il debitore produca documentazione che pretenda di essere lo schema o la bozza di una proposta o di un piano futuri, magari una documentazione quanto mai abbondante ed appariscente: come si è detto poc'anzi, prima che una proposta ed un piano definitivi siano depositati, e per di più con il corredo di tutta la prescritta documentazione, il proponente non può considerarsi impegnato a produrre alcuna particolare proposta, o alcun particolare piano, o alcun particolare accordo di ristrutturazione, quantunque egli eventualmente si spinga a prometterlo. Entro il termine fissato dal Tribunale resterà sempre libero di presentare la domanda che ritenga più confacente ai suoi interessi, senza alcuna preclusione, e senza alcun rischio di sanzione nemmeno se, contrariamente al proposito da lui stesso prima spontaneamente dichiarato, presenti un accordo anziché un concordato, o viceversa, o un tipo di concordato diverso da quello prima prospettato.
Pertanto, non si vede come una tale procedura “neutra”, “aperta”, “al buio”, possa qualificarsi alla stregua e sulla falsariga di una procedura avente caratteri determinati e tipici (chiamandola ad es. “pre-concordato con continuità aziendale”), prima che la riserva di produzione di una proposta e di un piano definitivi venga sciolta.
Ciò dovrebbe far comprendere perché non sia possibile né corretto dar seguito a quelle istanze che, sulla base di affermazioni del debitore finalizzate a far credere che sia già in corso un concordato con continuità aziendale (per il solo fatto che l'attività d'impresa è ancora effettualmente in corso e in forza della mera prospettata intenzione di proporre poi un concordato di questo tipo), mirano ad ottenere l'autorizzazione al compimento di atti (ad es. il pagamento di crediti anteriori) che possono essere autorizzati solo quando sia già pendente un vero e proprio concordato con continuità aziendale, il che è possibile però, alla stregua di quanto stabilisce con estrema chiarezza l'art. 186-bis l. fall., solo nella contemporanea presenza di indefettibili condizioni effettuali e formali, e in particolare di un piano (definitivo) analitico di continuità corredato dalla prescritta speciale attestazione dell'esperto sulla sua funzionalità/convenienza.
Pertanto, qualora in tali casi un'autorizzazione di questo tipo fosse non dimeno rilasciata dal Tribunale, essa dovrebbe considerarsi emessa extra legem, quindi affetta da nullità ed inidonea a produrre effetti, compreso quello della sottrazione dell'atto autorizzato ad un'eventuale futura revocatoria, restando soggetta per ciò stesso ad impugnazione da parte dei terzi contro-interessati.