Revoca dell’ammissione del concordato: la rinunzia alla proposta con “nuova domanda” dopo l’atto di frode

11 Ottobre 2012

La rinunzia alla domanda di concordato nel corso del giudizio di revoca, se uno dei legittimati ha svolto istanza di fallimento, presuppone l'assenso di questi ultimi; in ogni caso qualsiasi modifica della proposta concordataria non comporta soluzioni di continuità nella procedura, che resta unitaria, né può rimuovere la rilevanza del compimento di atti di frode, che costituisce un fatto storico ormai acquisito e definitivo.

La rinunzia alla domanda di concordato nel corso del giudizio di revoca, se uno dei legittimati ha svolto istanza di fallimento, presuppone l'assenso di questi ultimi; in ogni caso qualsiasi modifica della proposta concordataria non comporta soluzioni di continuità nella procedura, che resta unitaria, né può rimuovere la rilevanza del compimento di atti di frode, che costituisce un fatto storico ormai acquisito e definitivo.
La rinunzia alla domanda di concordato appare sussumibile nella fattispecie della rinunzia agli atti (art. 306 c.p.c.): essa infatti vuol evitare che il Tribunale si pronunzi sulla domanda concordataria, senza tuttavia rinunziare al diritto del debitore di chiedere il concordato. Essa pertanto presuppone l'accettazione delle altre parti che abbiano un interesse ulteriore rispetto a quello del regolamento delle spese di lite.
Dunque se uno legittimati ha instato per il fallimento il procedimento non può essere dichiarato improcedibile e/o estinto, dovendo il Tribunale pronunziarsi sull'istanza.
La eventuale “nuova” domanda di concordato presentata dopo la rinunzia non accettata deve essere qualificata o come una modifica della proposta iniziale, oppure come una nuova domanda di concordato introdotta quando un altro procedimento di concordato è pendente, con conseguente inammissibilità plateale ed evidente.
D'altro canto, la modifica della proposta sopravvenuta all'apertura da parte del Tribunale del giudizio di revoca ex art. 173 l. fall. è palesemente inammissibile, ove il giudizio si fondi sulla commissione di atti di frode.
L'atto di frode infatti, siccome fatto storico ormai verificatosi, che ha manifestato la sua idoneità a trarre in inganno i creditori nel processo motivazionale che consente loro di determinarsi al voto, non può in alcun modo essere rimosso attraverso una modifica della proposta concordataria. Una modifica può infatti rimuovere solo un vizio di contenuto del piano concordatario (ad es. attinente alla fattibilità).
Inoltre, sembra di dover dare continuità ad un orientamento giurisprudenziale autorevole, pur formatosi prima della Riforma (Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2594; di recente v. App. Torino, 25 giugno 14 luglio 2010), per il quale, allorché penda una procedura di concordato preventivo, non è configurabile una ulteriore domanda di concordato con carattere di autonomia rispetto a quella originaria, perché con riguardo al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza il concordato non può che essere unico.
Una conferma si ricava dal nuovo art. 161, introdotto dal d.l. n. 83/2012, per il quale la modifica rilevante della proposta concordataria (quale certo è una modifica così sostanziale da autodefinirsi “nuova domanda”) non presuppone che si rinnovi il giudizio di ammissione, ma richiede solo che sia prodotta una nuova attestazione dell'esperto; il Legislatore ha infatti evidentemente presupposto la continuità della procedura, che resta unica.
Una conferma di ciò si rinviene nella speciale revoca di cui all'art. 186-bis l. fall. (concordato “con continuità”), ove solo di fronte alla cessazione dell'attività, oppure al venir meno del requisito della funzionalità della prosecuzione dell'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori (circostanza che deve risultare in modo “manifesto”, speciale regola istruttoria e probatoria dettata per il procedimento camerale di cui all'art. 173 l. fall.), e dunque non ad atti di frode, il debitore può evitare la revoca modificando la proposta.
Norma che peraltro conferma altresì che il controllo del Giudice nel giudizio di revoca attiene anche al merito, ed in particolare alla perdurante fattibilità del piano (nel caso di specie, in continuità) ed alla permanenza dei requisiti di ammissibilità (cioè in particolare della funzionalità del piano a garantire l'interesse dei creditori).

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